lunedì 28 giugno 2021

TRE UOMINI IN BARCA (PER NON PARLAR DEL CANE)

Si tratta in assoluto dell’esempio per definizione di romanzo umoristico di marca anglosassone: Tre uomini in barca (per non parlar del cane)  fu pubblicato dal giornalista e scrittore inglese Jerome Klapka Jerome (1859-1927) nel 1889 e divenne a sorpresa un bestseller in patria, ottenendo ben presto un discreto successo anche oltre Manica. In effetti il successo fu imputabile in buona parte anche all’editor che si occupò del libro di Jerome, che in origine sembra fosse nato come una sorta di guida turistica sul Tamigi: in fase di stampa furono però sforbiciate quasi tutte le digressioni storico-culturali, mettendo così in evidenza le numerose ed irresistibili gag del romanzo. Il libro in sé all’autore fu effettivamente ispirato in seguito ad una luna di miele in barca sul Tamigi, ma Jerome decise di raccontare la storia di viaggio di tre amici (tra cui lui stesso e due personaggi ripresi dalla realtà) piuttosto che un romanzo sentimentale: la scelta fu premiata da un imprevedibile successo, dato che il libro solo in Gran Bretagna vendette un milione e mezzo di copie, in molti battezzarono le proprie barche “Tamigi” su diretta ispirazione del romanzo e qualche anno dopo arrivò anche l’immancabile sequel Tre uomini a zonzo. Ma senza indugio ulteriore veniamo alla storia: Tre uomini in barca prende avvio con la decisione di tre amici londinesi di viaggiare su una barca risalendo la corrente del Tamigi. Sono rispettivamente Jerome (che è anche la voce narrante del romanzo), Harris e George, terzetto completato dal vivace cane Montmorency, un fox terrier che amplifica a dismisura il naturale afflato umoristico del gruppo. La decisione di viaggiare è assolutamente attuale: i tre amici si vedono messi male e decidono di fuggire dalla confusione e dalla monotonia di Londra con un bel viaggio fluviale che si prospetta avventuroso e rilassante al tempo stesso. Dei tre Jerome è quello che ha il malanno facile, mentre Harris pensa di far tutto lui e George è pigro oltre misura: in realtà tutti e tre non sembrano in pessime condizioni di salute poiché dimostrano a più riprese un invidiabile appetito. Durante questo esilarante viaggio fluviale lungo le campagne britanniche i nostri eroi vivranno tragicomiche avventure proponendoci un incredibile repertorio di storielle e battute: degna di segnalazione in tal senso è la storia dello zio Podger impegnato ad attaccare un quadro con tutti gli immancabili disastri che ne seguono. Tre uomini in barca fa sorridere in continuazione grazie all’uso delle armi di distrazione di massa dello humour britannico: disavventure in sequenza, nonsense a ripetizione e strepitose divagazioni sul senso della vita. Insomma, un classico dell’umorismo che ancora oggi si fa leggere regalando grande diletto.

Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca, Milano, Feltrinelli, 2013; pp. 190

martedì 22 giugno 2021

LE OTTO MONTAGNE

È diventato già un cult della narrativa italiana contemporanea Le otto montagne dell’autore milanese Paolo Cognetti, classe 1978, che con questo romanzo ha vinto il premio Strega nel 2017. Si tratta di un romanzo di formazione articolato in tre parti, intitolate rispettivamente Montagna d’infanzia, La casa della riconciliazione e L’inverno di un amico. La storia è raccontata in un’avvolgente prima persona dal protagonista, Pietro, un ragazzo di città figlio di un taciturno chimico e di un’operatrice sanitaria, entrambi provenienti dal Veneto ed entrambi appassionati alpinisti. La comune passione per la montagna è appunto la scintilla che ha fatto scoccare l’amore tra i genitori di Pietro, che si sono addirittura sposati in una chiesetta ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo e hanno passato la prima notte di nozze in un rifugio montano. Trasferitisi a Milano, i due durante le ferie estive si spostano puntualmente a Grana, un minuscolo paese valdostano alle pendici del Monte Rosa dove Pietro fin da bambino ha conosciuto Bruno, un coetaneo che, diversamente da lui, d’estate non è vacanza ma deve occuparsi delle bestie di famiglia, dato che i genitori sono allevatori. I due divengono ben presto inseparabili amici… stagionali, ma l’adolescenza li separa: nonostante la madre di Pietro cerchi di aiutare Bruno negli studi, il ragazzo è costretto dalla famiglia ad abbandonare la scuola una volta raggiunta l’età dell’obbligo scolastico. Bruno inizierà a lavorare prima come allevatore, quindi come muratore, mentre Pietro continuerà gli studi a Milano per poi trasferirsi a Torino iniziando a lavorare come documentarista, anche per il rapporto conflittuale col padre. L’amore per la montagna in effetti sembra l’unico insegnamento che il padre ha lasciato a Bruno, col suo modo tormentato di ascendere verso le cime attraverso l’itinerario più scosceso e a passo veloce, per poi esaurire il desiderio di conquistare la cima un secondo dopo esserci arrivato. Alla morte del padre, Pietro, che ha ricevuto in eredità una baita diroccata, ritroverà l’amico di un tempo per ricostruire insieme l’edificio, vivendo un’estate di svolta esistenziale che darà due direzioni precise alle loro vite. Le otto montagne è uno struggente romanzo di formazione che vive sul Leitmotiv della montagna a cui tutti i personaggi finiscono sempre per tornare e che costituisce il crocevia simbolico di tutte le storie umane che Cognetti ha condensato nel suo libro. Oltre alla montagna il romanzo squaderna una manciata di tematiche indimenticabili: la nostalgia della terra natia, la magia dell’infanzia, il rapporto talvolta problematico tra padre e figlio e l’amicizia virile. È uno di quei libri in cui è bello perdersi e in grado di cambiare la percezione esistenziale del lettore.

Paolo Cognetti, Le otto montagne, Torino, Einaudi, 2016; pp. 203

mercoledì 16 giugno 2021

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO

 

Il capolavoro indiscusso di Italo Calvino è la visionaria e grottesca trilogia romanzesca intitolata I nostri antenati - comprendente rispettivamente Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente - ma è in un genere completamente diverso che l’autore ligure ha esordito come narratore con Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo breve di chiaro impianto neorealista che ha aperto la cosiddetta narrativa di Resistenza. Nella sua opera prima Calvino ha riversato – espropriandosene, per certi versi – buona parte del proprio bagaglio personale di ricordi giovanili, quelli ‘ingombranti’ almeno, accumulati nel suo periodo di militanza attiva nei ranghi della Resistenza partigiana. Il romanzo, ambientato tra una cittadina ligure tra la riviera di Ponente e le montagne dell’entroterra, fu scritto nell’immediato Dopoguerra e pubblicato nel 1947 con una prefazione di Cesare Pavese. Protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno è un bambino, Pin, che ha perso i genitori e vive con la sorella (una giovane prostituta) in un clima di privazioni e confusione, nel periodo della Resistenza, appunto. Avendo trovato una pistola lasciata distrattamente in casa sua da un soldato nazista dopo un occasionale incontro mercenario con la sorella, Pin decide di nascondere l’arma in un sentiero sperduto, per lui quasi magico, l’unico al mondo (a suo parere) dove i ragni facciano il nido. Pin entra poi in un contraddittorio gruppo di partigiani, ognuno con la sua storia ed un indistinto (e personale) ideale di Resistenza da seguire. Quando il drappello si sfascia, Pin resta con un partigiano, il Cugino, avviandosi, in uno splendido finale interrotto, verso la notte illuminata da lucciole, nella campagna, senza meta, l’uomo e il bambino mano nella mano: intorno a loro una guerra civile, anch’essa contraddittoria, sfumata, comprensibile a pochi. Il sentiero dei nidi di ragno è un romanzo di formazione che racconta uno strano percorso di iniziazione alla vita, caratterizzato da un realismo di base cui s’intrecciano in sottofondo i fili del meraviglioso, del fantastico e del fiabesco, una peculiarità stilistica che diventerà il tratto distintivo dello scrittore ligure negli anni della maturità. Il romanzo si fa leggere e cattura subito il lettore per la particolare prospettiva dal basso scelta da Calvino per raccontare la storia.

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Garzanti, 1991; pp. 199   


mercoledì 9 giugno 2021

EHI, PROF! QUANDO MCCOURT SALE IN CATTEDRA…

Lui è Frank McCourt (1930-2009), newyorchese di nascita, irlandese di ritorno e di nuovo migrante nella Grande Mela, dove è sbarcato in cerca di fortuna ed ha passato tutta la vita da docente delle superiori, finché da pensionato si è ritrovato a diventare un incredibile caso letterario internazionale con il bestseller autobiografico Le ceneri di Angela, premiato col Pulitzer nel 1997 e poi diventato un film di Alan Parker. Dopo l’immancabile sequel Che paese, l’America! è poi arrivato Ehi, prof!, altro memoriale centrato in particolare sul Frank McCourt dietro la cattedra, un romanzo autobiografico di ambientazione scolastica, insomma. La storia prende avvio nel marzo 1958 quando il protagonista è in trepidante attesa dei suoi studenti in un’aula vuota dell’Istituto Tecnico e Professionale McKee, distretto di Staten Island, New York. Lui, insegnante alle prime armi, sta giocherellando nervosamente con gli oggetti scalcinati dell’arredo scolastico, e fin dalle prime battute ci fa capire che ci troveremo spesso a girovagare per i suoi pensieri con quello stile sarcastico, disincantato e irresistibile che ormai è diventato il suo marchio di fabbrica: infatti ci dice fin dall’inizio che il primo giorno ha rischiato il posto per aver mangiato il panino a un alunno e il secondo giorno, non contento, di averci riprovato facendo un’ambigua allusione sulla confidenza ‘relazionale’ che gli irlandesi avrebbero con gli ovini. Dalla prima pagina in poi è un ininterrotto diario di giorni e giorni di scuola, di centinaia (anzi di migliaia) di alunni spesso senza prospettive ma con un bagaglio di umanità da vendere che si alternano sui banchi di scuola davanti al nostro eroe, sempre più sfinito, sempre più assordato dal brusio di sottofondo della classe durante le sue lezioni ma sempre con la voglia di trovare il modo di insegnare qualcosa ai suoi ragazzi, non necessariamente quello più convenzionale possibile. E poi ci sono divagazioni imperdibili sulle amenità scolastiche per definizione, come l'irresistibile excursus sulle giustificazioni più fantasiose raccolte negli anni dai suoi studenti. Alla fine, dopo trent’anni di lezioni tra scuole tecniche (e non) ubicate tra Staten Island, Brooklyn e Manhattan, Frank McCourt si dichiara stupito di aver resistito tutto quel tempo, anche se da una pagina all’altra, si fa presto a capire il perché: ha raccontato un sacco di aneddoti personali, si è fatto continui esami di coscienza per capire dove sbagliava e aggiustare il tiro, ha sempre provato a fare quella che gli sembrava la cosa giusta, insomma, è stato umano fino allo squillo dell’ultima campanella della sua carriera. La prima, che poi ha usato per raccontare la seconda da scrittore, soprattutto in questo libro. Leggendo Ehi, prof! sembra di vedere all’opera una versione normale del John Keating del mitico L’attimo fuggente, meno fantasioso e memorabile ma non meno sognatore, perché il bello di un prof di buona volontà è non smettere mai di provarci fino all'ultimo secondo dell'ultima ora di lezione. Assolutamente da leggere nonché auspicabile come lettura obbligatoria per qualunque docente contemporaneo.

Frank McCourt, Ehi, prof!, Milano, Adelphi, 2006; pp. 309

domenica 30 maggio 2021

ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS, UN CLASSICO DEL GIALLO

Senza dubbio Assassinio sull’Orient Express insieme a Dieci piccoli indiani è uno dei gialli a orologeria che hanno fatto la fortuna della signora del brivido, Agatha Christie (1890-1976), celebre scrittrice e drammaturga britannica diventata un vero e proprio mito letterario grazie a due personaggi seriali del calibro di Miss Marple e del detective Hercule Poirot. Assassinio sull’Orient Express prende avvio alle cinque del mattino nella stazione di Aleppo, in Siria, dove il noto investigatore belga ha appena risolto un caso importante su richiesta del governo francese: Poirot è diretto verso Istanbul, dove ha intenzione di passare qualche giorno da turista – tra parentesi la Christie scrisse il romanzo proprio qui, nella stanza 441 dell’Hotel Pera Palais – ma un telegramma lo costringe a ripartire subito alla volta di Londra. Il detective cerca di prenotare un posto su un vagone letto dell’Orient Express, ma nonostante nella stagione invernale i viaggiatori siano sempre pochi, scopre che stranamente non ci sono posti disponibili, riuscendo comunque a trovarne uno grazie all’amico Monsieur Bouc, direttore della compagnia ferroviaria. Nel vagone ristorante il protagonista conosce un ricco imprenditore americano, Ratchett, che tenta di ingaggiarlo perché teme d’essere ucciso, ma Poirot rifiuta perché a pelle non gli va a genio. La notte successiva il treno resta bloccato da una tormenta di neve e l’indomani viene scoperto proprio il cadavere di Ratchett, assassinato con dodici pugnalate. Poirot, su richiesta dell’amico Bouc, accetta di indagare: prima perquisisce lo scompartimento della vittima trovando una serie di indizi apparentemente insignificanti, quindi inizia ad interrogare tutti i sospettati che viaggiano sull’Orient Express. Da qui Poirot comincerà a dipanare una complessa matassa di interconnessioni umane per arrivare all’immancabile soluzione dell’intricatissimo caso, peraltro ispirato alla tragica vicenda di cronaca nera che colpì il celebre aviatore americano Charles Lindbergh all’inizio degli anni Trenta. Assassinio sull’Orient Express è un implacabile meccanismo narrativo in cui la Christie ha sublimato tutte le convenzioni del genere giallo: un ambiente chiuso come un leggendario treno bloccato dalla neve in mezzo al nulla, un crimine apparentemente insolubile, una serie di indizi che non sembrano portare da nessuna parte, un gruppo di sospettati a prima vista senza niente in comune. Voilà, il delitto è servito, e il lettore sfidato ad aguzzare l’ingegno per risolvere il mistero o scoprirlo pagina dopo pagina in un crescendo di suspense. Un grande classico.

Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express, Milano, Mondadori, 1987; pp. 191

martedì 25 maggio 2021

IL FURIOSO ARIOSTESCO RACCONTATO DA CALVINO

Questo volume costituisce l’incontro tra uno degli scrittori più sperimentali della letteratura italiana del Novecento, Italo Calvino (1923-1985), e il più celebre degli autori di poemi cavallereschi tra Quattrocento e Cinquecento, Ludovico Ariosto. Il motivo di questo strano incontro è prima di tutto la predilezione dimostrata da Calvino per l’Orlando Furioso, che l’autore della trilogia de I nostri antenati, da sempre considera il suo poema, uno dei suoi libri d’elezione. Il problema è che spesso il capolavoro ariostesco è considerato dai potenziali lettori un libro difficile da leggere, come d’altra parte la maggioranza dei classici più antichi della letteratura italiana: l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino è il tentativo di rendere meno impegnativo e più immediato l’incontro di un lettore con il poema ariostesco, che ha molteplici dinamiche da considerare, tra le quali una tradizione assai stratificata (e articolata tra più nazioni), molteplici intrecci di personaggi e di avventure ed infine un linguaggio poetico mirabilmente codificato in ottava rima. Così, dato che la strada dei riassunti scolastici non si è mai rivelata funzionale al godimento di un poema come il Furioso, Calvino ha adottato una strategia ibrida, individuando ventidue episodi fondamentali del libro dell’Ariosto e quindi proponendone le ottave più memorabili intervallate da inserti in prosa in cui sintetizza, contrappunta e chiarisce per noi lettori le parti più ardue dell’episodio narrato. Sembrerà strano, ma il tentativo di Calvino funziona, in quanto l’autore di Marcovaldo non vuole sostituire il testo di Ariosto ma proporne una guida alla lettura, offrendoci così una serie di itinerari “facilitati” e dotati di commenti che ne facilitano la fruizione e la comprensione. Ovviamente si perde un po’ il senso riposto del capolavoro ariostesco, quell’entrelacement che conduce il lettore lungo un continuo zigzagare tra mille avventure che arrivano ogni volta al punto culminante per passare a qualcos’altro (e così via), ma cattura decisamente lo spirito del Furioso e può costituire un buon viatico per la lettura diretta dell’opera (che forse era proprio il fine ultimo che Calvino si era fissato). Assolutamente da provare.

Italo Calvino, Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1970; pp 286

domenica 23 maggio 2021

TRASH, UN GIALLO D’INCHIESTA NATO DALLA SPAZZATURA

Andy Mulligan, classe 1966, originario di Londra, dopo la laurea a Oxford ha fatto il direttore teatrale per dieci anni, poi ha insegnato Inglese e Drammaturgia alternandosi tra l’India, le Filippine e il Brasile, quindi ha esordito come autore di narrativa per ragazzi, centrando il successo internazionale proprio con Trash nel 2010, un romanzo che poi nel 2014 è stato traslato sul grande schermo da Stephen Daldry, il regista di Billy Elliot. La storia al centro di Trash prende avvio in India, a Behala, un sobborgo di Calcutta, e vede protagonisti tre ragazzini di quattordici anni, Raphael, Gardo e Ratto, che sopravvivono rovistando tra i rifiuti della vasta discarica locale, per poi smistarli e venderli a peso. Ovviamente hanno a che fare soprattutto con l’immondizia prodotta dagli abitanti della baraccopoli circostante, quindi in parecchi dei sacchetti che i tre squarciano con i loro rampini si trova quasi sempre quella che loro chiamano stuppa, ovvero escrementi umani, perché negli slums suburbani l’acqua corrente e i servizi igienici sono un optional rarissimo degli alloggi di fortuna in cui vivono gli esponenti più poveri e sfortunati della razza umana, che fanno i propri bisogni dove capita e li raccolgono con carta di giornale (o quello che c’è) per poi gettarli via con la spazzatura. Un bel giorno, però, mentre Raphael sta girovagando a piedi nudi con Gardo per la discarica, al ragazzo capita una bella sorpresa: un borsello con dentro un sacco di soldi, documenti, una mappa e una chiave di piccole proporzioni (senza indizi su cosa esattamente possa aprire). Non c’è neanche il tempo di gioire della fortuna insperata che si fanno avanti con grande energia i poliziotti, che sembrano davvero pronti a tutto per recuperare l’oggetto: dopo lo sconforto iniziale, i due ragazzi decidono di coinvolgere anche Ratto per scoprire cosa bolle in pentola, visto che sembra molto importante per la polizia. Così, con calma e metodo, i tre cominciano a indagare per trovare la serratura della chiave misteriosa, imbattendosi in un codice cifrato complicatissimo e ritrovandosi dentro una brutta storia di malapolitica che in tanti vorrebbero tenere segreta. Trash si sviluppa come un gradevole cocktail tra un romanzo d’avventura e un anomalo giallo d’inchiesta raccontato da una spiazzante prospettiva multipla che ogni volta costringe il lettore a mettersi nei panni di un personaggio diverso - Raphael, Gardo e Ratto, ovviamente, ma anche il missionario Padre Juilliard e l’assistente Olivia Weston –. Insomma, una storia intricata ma anche avvincente e con l’immancabile happy ending in agguato. Assolutamente da provare.

Andy Mulligan, Trash, Milano, Rizzoli, 2014; pp. 277 

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...