giovedì 23 dicembre 2021

ERA IL NOSTRO PATTO: UNA GRAPHIC NOVEL TRA VIAGGIO E MAGIA

L’americano Ryan Andrews è un apprezzato illustratore e fumettista che vive da qualche tempo in una ridente campagna del Giappone insieme alla famiglia e a svariati animali domestici e da cortile. Non a caso la sua passione per la natura è evidente anche nella sua produzione artistica, come conferma la sua ultima fatica, la bella graphic novel intitolata Era il nostro patto. La storia prende avvio in una cittadina americana dei giorni nostri nella notte più incantata dell’anno, quella del locale Festival dell’Equinozio d’Autunno, nella quale tutti i cittadini si riuniscono per abbandonare alla corrente del fiume centinaia di lanterne di carta. Secondo la leggenda queste lanterne accese, quando saranno lontane dagli sguardi umani, si libreranno verso il cielo notturno indirizzate verso la Via Lattea, dove si trasformeranno in stelle luminose. È solo una vecchia storia popolare o si tratta della verità ammantata di leggenda? Per appurarlo Ben e i suoi quattro amici hanno stretto un patto basato su due semplicissime regole: nessuno torna a casa, nessuno si volta indietro. E così, seguiti a breve distanza da Nathaniel, il nerd del gruppo, i cinque ragazzi inforcano le loro biciclette e iniziano a correre a perdifiato sulla strada che segue il corso del fiume, fino ad arrivare il ponte che da sempre ha segnato il punto oltre il quale non si può andare. Uno ad uno, però, lungo il percorso, tutti abbandonano l'impresa e solo due decidono di superare il limite che nessuno di loro ha mai osato oltrepassare, soprattutto senza che i genitori ne siano informati. Sono Ben e Nathaniel la strana coppia che decide comunque di andare avanti per scoprire dove diavolo vadano a finire le lanterne: non è che l’inizio di un viaggio aperto alla meraviglia e alla magia che porterà i due verso terre inesplorate, con incontri sorprendenti e un’amicizia inaspettata in agguato dietro l'angolo. Si tratta di una graphic novel di formazione felicemente in equilibrio tra una manciata di temi di quelli che lasciano il segno: il viaggio, l’adolescenza e la magia. E funziona: si comincia a leggere Era il nostro patto e ci ritrova incantati a seguire i passi insicuri dei due protagonisti che, comunque vada, ci faranno procedere insieme a loro prestando fede a quanto si sono ripromessi di fare. Una piccola magia letteraria e narrativa da non perdere, insomma…

Ryan Andrews, Era il nostro patto, Milano, Il Castoro, 2019; pp. 332

mercoledì 22 dicembre 2021

IL MIO AMICO GENIALE: GARANTISCE GARY PAULSEN

È stato indubbiamente uno dei più prolifici scrittori di narrativa avventurosa per ragazzi lo statunitense Gary Paulsen (1939-2021), autore di oltre duecento libri tradotti in tutto il mondo, comprese piccole meraviglie come Nelle terre selvagge e John Della Notte. In questo romanzo breve Paulsen  si cimenta con una storia di formazione a tinte decisamente comiche, a tratti davvero esilarante, e dal sapore vagamente autobiografico, come si evince dalla chiusa. I due protagonisti sono quelli che si potrebbero definire “amici per forza”, dato che sono in assoluto i due studenti più sfigati della Washington Junior High School di Peat, nel Minnesota, ovvero la voce narrante della storia e il suo amico Harold, diversissimi per estrazione sociale, per capacità scolastiche e per carattere, e forse anche per questo una coppia davvero ben assortita. In particolare il geniale amico del narratore sembra un perfetto nerd, si veste come un contabile trentenne ed è uno scienziato in erba in grado di appassionarsi a qualunque mistero della natura. Le tragicomiche disavventure dei nostri eroi prendono avvio con la disastrosa scoperta da parte di Harold dei benefici effetti dell’elettricità, scoperta che prelude ad un vero e proprio cataclisma che si verifica nel bel mezzo della lezione di scienze. Poi si continua con una sequenza strepitosa di scoperte pseudoscientifiche in un crescendo di divertimento: il primato del cervello sui muscoli, i rapporti interpersonali,  la gravità (grazie a un paio di vecchi sci), l’amicizia, la pesca e la natura della ricchezza. Le avventure sono improbabili e finiscono praticamente tutte in un disastro, d’altra parte Il mio amico geniale dimostra che l’adolescenza non è assolutamente una passeggiata, soprattutto per ragazzi come i due protagonisti, che sono senza ombra di dubbio i due studenti più impopolari e destinati al fallimento della loro scuola. Tra parentesi tutti i capitoli sono anticipati da un aforisma del buon Harold che prelude all’immancabile sviluppo negativo, sprazzi di verità assoluta come quello dedicato alla pesca con il verme: “I pesci non sanno niente, mai niente, assolutamente niente, niente di niente. Per questo è così difficile pescarli”. Il tutto passando attraverso i più classici miti adolescenziali come il sogno dell’irraggiungibile Julie Hansen, la ragazza indiscutibilmente più carina della scuola, oppure l’incubo del terribile Dick Chimmer, il nerboruto bullo della Washington Junior High School, che sembra esistere più che altro per tormentare i due protagonisti. Assolutamente da provare.

Gary Paulsen, Il mio amico geniale, Padova, Camelozampa, 2021; pp.126

lunedì 20 dicembre 2021

LA SCUOLA SECONDO PENNAC

Il grande Daniel Pennac, classe 1944, non aveva certo bisogno di questo libro per entrare nei nostri cuori: lo aveva già fatto negli anni Novanta con la strepitosa saga di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e della sua variopinta e sgangherata famiglia, con romanzi esilaranti e straordinari al tempo stesso come Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola e Signor Malaussène, Anche dell’amore di Pennac per la scuola già si sapeva, non solo per il romanzo Signori bambini del 1998, ma anche perché prima di diventare scrittore a tempo pieno l’autore transalpino è stato per anni un professore di francese. Ma Diario di scuola è decisamente un’altra cosa, qualcosa che Pennac non aveva mai azzardato prima:addirittura un romanzo-diario-confessione sulla propria storia di “asino”, ovviamente dal punto di vista scolastico. Ecco, uno dei motivi per cui questo libro dovrebbe diventare un titolo obbligatorio per gli studenti di ogni ordine e grado – anche se lo stesso Pennac si risentirebbe, leggere in merito Come un romanzo, il suo bellissimo saggio sulla lettura… – è perché, pagina dopo pagina, Diario di scuola riesce a trasmettere un’energia ed una motivazione invidiabili: dovrebbe leggerlo ogni ragazzo che si sia sentito stremato dal ritmo didattico della propria classe, incapace di conseguire buoni risultati o schiacciato da critiche troppo ponderose. Pennac comincia ad intrigarci tratteggiando con ironia dolceamara i suoi disastrosi primi passi dietro ad un banco di scuola, fino all’imposizione del collegio da parte dei genitori come ultima carta, una scelta disperata che imbriglierà il giovane ‘somaro’ Pennac allo studio in orari prestabiliti, offrendogli occasionalmente qualche docente col fiuto del salvatore, capace di cominciare a far emergere il futuro insegnante e scrittore di fama. Infine, incredibile a dirsi, Pennac ci racconta di essere arrivato alla laurea nel 1969 per poi dedicarsi all’insegnamento, un evento commentato con toni ironicamente apocalittici dal padre, che disse al figlio ex asino che se c’era voluto la rivoluzione per farlo laureare, come minimo per il dottorato sarebbe servita la terza guerra mondiale. A seguire il Pennac divenuto docente ci racconta anche i suoi sforzi per sottrarre i tanti studenti somari capitati davanti a lui dal loro personale dolore e dalla mancanza di autostima, colorando il tutto con aneddoti vari, bozzetti e battute. La differenza tra un bravo e un cattivo professore, osserva il docente-scrittore transalpino, è che il bravo maestro sa calarsi nella classe, anche se magari la società contemporanea gli ha consegnato una classe di studenti-consumatori, di veri e propri ‘clienti’, ma che l’amore incondizionato può comunque ‘salvare’ (anche se per Pennac il termine non si dovrebbe usare). Da questo punto di vista possono aiutare anche pratiche considerate desuete come lo studio a memoria o il dettato, sempre utilissime, almeno a patto d’essere affiancate da tecniche d’insegnamento efficaci e, possibilmente, divertenti. Un gran bel libro che offre spunti di vero genio dal punto di vista didattico, oltre ad un gran numero di aneddoti imperdibili proposti nello stile affabulatorio di Daniel Pennac, che ci intriga con il lato meno eclatante della sua vita. Assolutamente da non perdere. 

Daniel Pennac, Diario di scuola, Milano, Feltrinelli, 2008; pp. 241


TANTO NON BOCCIA NESSUNO

L’autore di Tanto non boccia nessuno è di Prato, si chiama Viviano Vannucci e alle spalle ha un passato di educatore di ragazzi diversamente abili e di curatore di laboratori teatrali per le scuole. Il suo libro è un romanzo di formazione che racconta la storia del tredicenne Diego, uno studente di terza media che non ha mai avuto particolari difficoltà scolastiche ed ha sempre studiato normalmente, ma un bel giorno per un caso fortuito si mette a riflettere sul fatto che in fondo anche i suoi compagni che di problemi ne hanno causati in serie, anche quelli che non si esprimono bene, anche quelli che non fanno mai i compiti o dicono un sacco di frottole, alla fine dell’anno sono stati sempre puntualmente promossi. “Tanto non boccia nessuno” ha pensato dentro di sé Diego, e così ha deciso di non darsi più da fare perché tanto la scuola di oggi finisce comunque per promuovere anche gli scansafatiche e i bulli. Come nel caso del suo compagno Brando, mentitore seriale in classe per evitare brutti voti o note, implacabile e crudele nel canzonare i più deboli della classe: saggiamente finora Diego gli ha sempre girato al largo, ma dopo aver cambiato vita inizia a frequentarlo con tutto quello che ne può conseguire in negativo, come per esempio perdere l’amicizia di Larbi, il suo inseparabile compagno di origini straniere (quindi una delle vittime predilette di Brando). Diego comincia a collezionare brutte figure, pessimi voti e note disciplinari, ma la situazione sembra precipitare in modo irreparabile quando arriva addirittura ad insultare una prof (che tra l’altro stravedeva per lui) beccandosi una sospensione che sembra preludere all’inevitabile bocciatura. Nel frattempo la storia si complica perché anche Bianca, di cui Diego ha scoperto di essere innamorato, sembra non considerarlo più da quando lui ha cominciato ad andare alla deriva. E nemmeno tra le mura di casa le cose vanno granché bene… Riuscirà il nostro eroe ad invertire la marcia ed approdare alle superiori? Lo scopriremo in un finale avvincente felicemente sospeso tra il miraggio di un impossibile happy ending e l’inevitabile disastro annunciato… Tanto non boccia nessuno racconta un’ordinaria storia di naufragio scolastico con conseguente terapia psicologica: fin dall’incipit infatti la dottoressa Olivia chiede al protagonista di raccontarle in prima persona la sua storia dopo il grosso guaio in cui si è cacciato trattando male la prof Benedetti, l’unica che ha sempre cercato di aiutarlo. Il libro infatti si alterna di continuo tra gli scambi tra Olivia e Diego, e una sorta di lungo monologo che Diego rivolge alla docente che ha offeso di brutto. Ne viene fuori un realistico quadro della scuola di oggi, con un variegato consiglio di classe in cui spiccano una tostissima prof di Inglese e un cattivissimo prof di Matematica, e la classe di Diego, che sembra propria una delle multietniche classi italiane di oggi, equamente divisa tra femmine stilose e chiacchierone da una parte, e maschi col telefonino sempre tra le mani dall’altra con vari esempi di umanità adolescenziale in mezzo. Da provare.

Viviano Vannucci, Tanto non boccia nessuno, Torino, Einaudi, 2021; pp. 237

sabato 18 dicembre 2021

L'OCCHIO DI VETRO: CORNELL WOOLRICH RACCONTA...

 

Cornell Woolrich, nato nel 1903 e morto nel 1968, è un nome di primo piano del noir del Novecento americano, e merita di essere ricordato ad libitum per aver fornito spunto a un capolavoro cinematografico come La finestra sul cortile del grande Alfred Hitchcock. L'occhio di vetro è un delizioso romanzo breve di formazione con retrogusto giallo che vede protagonista un dodicenne americano di nome Frankie, un tipo sveglio che ama barattare oggetti improbabili con i coetanei per accumulare un "capitale" maggiore di quello di partenza. Tutto cambia quando viene interrotto nel bel mezzo di una transazione difficile dal padre, arrivato all’improvviso per riportarlo bruscamente a casa perché si è davvero fatto troppo tardi e la mamma lo sta chiamando da un sacco di tempo. Il buon Frankie così si ritrova in mano quella che pare una solenne fregatura, dato che ha accettato di scambiare una palla da baseball di terza mano con un occhio di vetro, peraltro apparentemente in buone condizioni, ma di fatto inutile. A casa il ragazzino apprende che il nervosismo del padre è dovuto al fatto che in polizia gli hanno tolto l'incarico di detective sbattendolo dietro a una scrivania a fronte di un lavoro poco eccitante e meno retribuito. Come fare per dargli una mano? Un intricato caso di omicidio con cui fare colpo sui superiori sarebbe davvero perfetto, così Frankie prova a sondare l'unico indizio interessante che gli sia capitato in mano, chiaramente l'occhio di vetro, che di solito è un effetto personale che non si cambia per un altro modello, soprattutto se è in buono stato come quello di cui è entrato in possesso con l'ultimo baratto. Sarà l'occasione per indagare a ritroso in cerca del proprietario per accettarsi che non sia scomparso nel nulla. E noi lettori seguiremo questa anomala indagine attraverso il punto di vista dal basso di Frankie, che dovrà barcamenarsi tra i compiti di scuola, gli orari di casa e le sue limitazioni… anagrafiche per risolvere il caso. Già, perché ben presto Frankie, con un piccolo aiuto da parte dell’amico Scanlon (ovvero quello che gli ha rifilato l’occhio di vetro), seguendo à rèbours la pista del suo unico indizio, si renderà conto che forse di mezzo potrebbe esserci davvero un assassino. Riuscirà il nostro piccolo eroe a risolvere il caso e salvare la pelle? Lo scopriremo, neanche a dirlo, in un crescendo di suspense. Assolutamente da provare.

Cornell Woolrich, L’occhio di vetro, Roma, Orecchio Acerbo, 2019; pp. 96

lunedì 6 dicembre 2021

VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI

Italo Calvino descrivendo i classici della letteratura scrisse che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire”: una simile definizione significa che un libro che si meriti l’etichetta di classico è apprezzato e percepito sempre con nuove sfumature a seconda del periodo storico in cui vivono i suoi lettori. E se c’è un libro che ha i connotati del classico d’avventura è senza dubbio Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, narratore francese originario di Nantes (1828-1905) che nella seconda metà dell’Ottocento è stato autore di numerosi bestseller che talvolta hanno anche anticipato gli sviluppi della tecnologia, come Il giro del mondo in ottanta giorni, Dalla Terra alla Luna e Viaggio al centro della Terra.

La storia vede protagonista il professor Aronnax, che insegna Storia naturale all’Università della Sorbona e, appena dopo aver concluso una spedizione scientifica, viene invitato dal governo degli Stati Uniti a salire sulla Abraham Lincoln per partecipare alla caccia del misterioso e gigantesco mostro che sta affondando navi nei mari di tutto il mondo. Aronnax è accompagnato dal fido servitore Conseil e a bordo conosce il fiociniere canadese Ned Land, assoldato in quanto una delle ipotesi sulla natura del mostro è che si tratti di una balena di tipo rarissimo oppure di un grandissimo narvalo o infine di una creatura preistorica arrivata fino a noi. Il primo contatto col mostro mette la nave su cui viaggia il professore francese a contrasto con un avversario incredibilmente veloce e dotato di una corazza apparentemente impenetrabile. Il problema è che Aronnax nel mezzo della notte in seguito all’assalto della misteriosa creatura si ritrova sbalzato in mare e destinato a morte certa, non da solo per fortuna, dato che Conseil si tuffa per salvarlo e i due poi finiscono su uno strano isolotto metallico dove ritrovano anche Ned Land. Il seguito è noto e ricco di meraviglie, dato che scopriranno che si tratta dell’avveniristico Nautilus del capitano Nemo, un incredibile sommergibile realizzato in un tempo in cui ancora… i sommergibili non erano stati inventati. Sarà l’occasione per scoprire i misteri delle profondità marine in una vera sarabanda di sorprese, ma i nostri eroi riusciranno a riconquistare la libertà? Lo scopriremo in un finale assolutamente non scontato.

Ventimila leghe sotto i mari è un trascinante romanzo d’avventura, ideale per lettori di ogni età da almeno un secolo e mezzo: le molteplici invenzioni narrative della storia ci costringeranno a divorare le pagine fino ad arrivare amaramente all’ultima col desiderio che le avventure non siano finite. E si tratta di avventure davvero prodigiose, spesso legate alla figura problematica, enigmatica ed incredibilmente affascinante del capitano Nemo, un nome ormai entrato stabilmente nell’immaginario collettivo. Scopriremo creature che sfidano l’immaginazione, visiteremo malinconici cimiteri nelle fosse oceaniche, ci sorprenderemo di sviluppi narrativi stracolmi di suspense, il tutto raccontato con un incalzante ritmo narrativo. Assolutamente da non perdere.

Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, Novara, De Agostini, 2006; pp. 221 

sabato 4 dicembre 2021

PAPPAGALLI VERDI, UNA TESTIMONIANZA DI GINO STRADA

Il sottotitolo di Pappagalli verdi è sibillino, trattandosi di Cronache di un chirurgo di guerra, e sgombra subito il campo da equivoci: i pappagalli verdi del titolo sono infatti sono mine antiuomo di fabbricazione sovietica con una forma aerodinamica che ne rallenta la caduta e ne permette lo spargimento (tramite elicottero, esempio) su un ampio territorio. Hanno una colorazione mimetica (verde) che le rende poco visibili e scoppiano con la pressione di cinque chili (pestandole con un piede, insomma) oppure con le ripetute manipolazioni di un bambino che ci sta giocando, perché purtroppo assomigliano vagamente a un giocattolo. Ce lo spiega l'autore, Gino Strada (1948-2021), ricordando la sua esperienza con i letali pappagalli verdi, una delle principali cause di morte e di mutilazione durante la sua permanenza a Quetta, in Afghanistan. Questo libro è infatti un esercizio di memoria nei molteplici luoghi di guerra del mondo dove Gino Strada, l'indimenticabile fondatore di Emergency, ha prestato la sua opera di chirurgo a favore delle vittime - di solito civili, e molto spesso minori - dei tanti focolai bellici attivi nel pianeta dai primi anni Novanta. In questo libro il dottor Strada ci racconta storie di allucinante crudeltà (talvolta incredibili e spesso davvero dure da accettare), di solito legate alla letale casualità delle mine antiuomo, una crudele tattica di combattimento implacabilmente automatico per far continuare ad libitum i conflitti etnici. Sono flash narrativi che portano il lettore per il mondo, sempre su scenari di guerra, nel Kurdistan iracheno, in Afghanistan, in Ruanda, in Etiopia, in Angola, in Perù, in Bosnia, in Somalia e in Cambogia. E a volte, nonostante Gino Strada affermi di non essere un vero scrittore, sono pagine bellissime, come il capitolo che ci spiega il profilo di un chirurgo di guerra, quello (davvero difficile da sostenere) che racconta realisticamente una ferita da mina antiuomo, quello che fotografa in modo implacabile Halabja, l'Auschwitz dei curdi, e infine lo splendido ritratto della figlia Cecilia in età verde, approdata in Kurdistan per ritrovare il padre e scoprirne la professione. Insomma, un notevole libro di memorie tutto da sfogliare per esplorare il caleidoscopio di umanità che Gino Strada vi ha racchiuso dentro: Pappagalli verdi tratteggia uno spaccato del pianeta che è un vero pugno allo stomaco, cambiandoci per sempre, un ottimo motivo per leggerlo e consigliarne la lettura.

Gino Strada, Pappagalli verdi, Milano, Feltrinelli, 2001; pp. 158

domenica 28 novembre 2021

IL MISTERO DEGLI STUDI KELLERMAN, UN GIALLO PER RAGAZZI DI KEN FOLLETT

Gallese originario di Cardiff, classe 1949, Ken Follett dalla fine degli anni Settanta con l’uscita del romanzo di spionaggio La cruna dell’ago figura stabilmente ai vertici delle classifiche internazionali di bestseller, ma quando era un giovane scrittore sconosciuto ha pubblicato sotto pseudonimo un paio di libri di narrativa per ragazzi che poi la Mondadori ha pubblicato sull’onda del successo internazionale dell’autore: si tratta del romanzo di fantascienza Il pianeta dei bruchi e di un giallo come Il mistero degli Studi Kellerman, che anticipa in chiave minore il genere privilegiato e molti dei temi ricorrenti della narrativa di Follett. Il protagonista della storia è Mick Williams, un ragazzino che vive in un quartiere popolare di Londra con la mamma in un bilocale senza troppe pretese e che cerca di dare una mano consegnando i giornali a domicilio con la bicicletta nella zona per un edicolante, il signor Thorpe. Un giorno si ritrova come collega Randall Izard, detto Izzie, che si è trasferito nella scuola che anche Mick frequenta, e ben presto i due diventano amici inseparabili. Le cose si complicano quando Mick legge sul giornale che prossimamente gli Studi Kellerman di via del Canale –un grande teatro di posa chiuso da oltre un anno che si trova davanti a casa sua – diventeranno un albergo di lusso: subito dopo il giovane protagonista apprende dalla mamma che purtroppo tutti i fatiscenti palazzi circostanti saranno demoliti per favorire questo progetto immobiliare, infatti tutte le famiglie in affitto nella zona hanno già ricevuto lo sfratto. Nel frattempo Mick segue con entusiasmo le mirabolanti rapine messe a segno dalla Banda Mascherata, un gruppo di criminali che derubano banche mettendosi in fila travestiti da normali clienti. Tutto cambia quando Izzie rivela a Mick che conosce un passaggio segreto per entrare negli Studi Kellerman di nascosto e i due ragazzi per gioco decidono di dare un’occhiatina, incuriositi dal fatto che, anche se dovrebbero essere deserti, un furgone vi entra con sospetta regolarità. I nostri improvvisati eroi decideranno di investigare con la riposta speranza di evitare alla gente di via del Canale di finire sulla strada ma, ovviamente, si ritroveranno loro stessi in mezzo ai guai... Il mistero degli Studi Kellerman è soltanto un piccolo giallo per ragazzi di un centinaio di pagine e rotti, ma Follett racconta la storia con una gradevole verve e riesce con pochi tratti a disegnare anche una convincente galleria di personaggi di contorno. Da provare.

Ken Follett, Il mistero degli Studi Kellerman, Milano, Mondadori, 2012; pp. 109

sabato 20 novembre 2021

IL PICCOLO REGNO

L’autore del romanzo Il Piccolo Regno è Wu Ming 4 e fa parte del collettivo di narratori denominato Wu Ming (che in cinese mandarino suona "senza nome"), noti per romanzi storici come 54, Manituana e Altai. Si tratta di un romanzo di formazione per ragazzi, in teoria, in realtà è un libro che intrigherà anche i lettori adulti ricordando loro qualche frammento indelebile del loro passaggio dall'infanzia all'adolescenza. La storia non a caso è preceduta da una premessa per la cosiddetta "gente alta", come appunto gli adulti sono chiamati dai giovani protagonisti del romanzo. Prima dell'inizio vero e proprio c'è perfino una sorta di cartina del luogo d'ambientazione della storia, sulla falsa riga della mappa ne L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson – o la mappa della Terra di mezzo ne Il signore degli anelli di John R. Tolkien –. Siamo in Inghilterra, negli anni Trenta: è estate e come sempre la famiglia dei ragazzi al centro della storia ha affittato la solita casa in campagna, lungo un fiume. Si tratta di un gruppo variegato in bilico tra infanzia e adolescenza, ognuno ha un'età diversa ed è dotato di un soprannome "parlante": usualmente si ritrovano in una casa sull'albero che costituisce un simbolico luogo che li divide dalla gente alta, che non può entrarvi in primo luogo per un fatto di misure. Sono figli di una famiglia fabiana, nell'ambito della quale dunque figurano attenzioni "avanzate" verso l'infanzia e dintorni (a partire dall'assenza di punizioni fisiche, assai in voga all'epoca), conoscono un paio di coetanei “diversamente” ostili nei loro confronti e, in seguito a un importante ritrovamento archeologico, finiranno per vivere sulla propria pelle un mistero dalle tinte particolarmente ombrose che li ossessionerà non poco (con l'aggiunta di uno spettro vendicativo e del cane più minaccioso che si possa immaginare). Come se non bastasse, c’è anche un altro inquietante mistero in sottofondo pronto a colpirci nel finale, ma è d’obbligo tacere al riguardo. Ci sono insomma tutti gli ingredienti per perdersi all'interno di questo intrigante mosaico narrativo, ed è il rischio che correranno tutti i lettori, sia che appartengano alla gente bassa che a quella alta, dato che l'autore sa decisamente dosare ad arte la suspense, interrompendo spesso la narrazione nel momento più carico di tensione (oltre che solleticandoci puntualmente con anticipazioni sugli sviluppi narrativi). Lo stile è essenziale ma efficacissimo, tutto giocato sulla prospettiva dal basso del protagonista, peraltro mai nominato anagraficamente, anche se ci diventerà familiare col soprannome di Tasso. Un piccolo gioiello della narrativa per ragazzi. 

Wu Ming 4, Il Piccolo Regno. Una storia d'estate, Milano, Bompiani, 2016; pp. 237 


martedì 16 novembre 2021

IL FIGLIO DEL CIMITERO

Il britannico Neil Gaiman, classe 1960, scrittore, giornalista, sceneggiatore televisivo e radiofonico, si conferma talentuoso autore di narrativa per ragazzi anche con la sua ultima (e già pluripremiata) fatica, Il figlio del cimitero, che condivide l’atmosfera dark del notevole Coraline. Il protagonista della storia si chiama Bod, ed è apparentemente un ragazzo normale, come tutti, che comincia la mattina con la buona colazione che l’amorevole Signora Owens suole preparargli, quindi va a scuola per imparare, ascoltando le interessanti lezioni del suo maestro Silas, per poi rilassarsi nel pomeriggio giocando con Liza, la sua compagna di giochi preferita. Il problema è che, in ossequio al titolo, Bod vive nell’ombrosa cornice di un cimitero, Liza è una strega bambina sepolta in terra sconsacrata, Silas è un fantasma o comunque una presenza inquietante, e la Signora Owens da almeno due secoli ha smesso di respirare per sempre. Il fatto è che quando Bod era un bambino in fasce nella sua casa si è consumato il brutale massacro della sua famiglia, ma lui inconsapevolmente è riuscito a gattonare fino al cimitero sulla collina vicina, dove è stato accolto ed accudito dai morti, che hanno deciso di adottarlo per difenderlo dall’assassino che continua a cercarlo ancora oggi. Da quel momento quel piccolo orfano è diventato Nobody, Bod per gli amici, e ha continuato a vivere al sicuro in mezzo alle tombe, riuscendo a comunicare con gli spiriti dei defunti, sempre al sicuro dietro al cancello del cimitero. Purtroppo Bod è vivo, sta crescendo e comincia ad avvertire l’irresistibile richiamo di quel che si trova dietro quel cancello, dove potrebbe attenderlo l’amicizia con ragazzi ‘normali’ ma anche quello stesso coltello che lo ha privato della famiglia d’origine tanti anni fa. Un romanzo davvero avvincente, felicemente sospeso tra fantasy e horror, in grado di tenere il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina, di emozionarlo a più riprese, di intrigarlo grazie a un irresistibile humour nero e di inquietarlo semplicemente alludendo, col fascino del non detto. Nonostante il suo titolo ombroso, Il figlio del cimitero non ha bisogno di stupire con effetti truculenti, ma ci conquista pagina dopo pagina semplicemente evocando l'orrore con maestria sopraffina. Da non perdere. 

Neil Gaiman, Il figlio del cimitero, Milano, Mondadori, 2010; pp. 344


mercoledì 3 novembre 2021

YODA, LA FORZA, GLI ORIGAMI E LA SOPRAVVIVENZA DELLE SCHIAPPE

 

Cominciamo con quella che alla scuola media McQuarrie è ormai diventata la classica domanda da un milione di dollari: lo Yoda è reale? Sì, in effetti se il nome ha destato in voi l'ovvia reminiscenza dell'indimenticabile piccolo maestro Yedi che in Guerre Stellari insegnava a Luke Skywalker a padroneggiare la Forza (quella con la "F" maiuscola), allora siete proprio sulla buona strada. Il fatto è che in questo libro si racconta di un origami a forma di Yoda, più che altro: gli ha dato forma (di Yoda, appunto) il buon Dwight, lo sfigato per definizione della scuola, che ha cominciato poi a infilarselo sul dito e a farlo parlare con una strana voce che pare scimmiottare quella del "vero" Yoda, anche a livello sintattico, con le inversioni caratteristiche del venerabile ominide verde. Il problema è che il pupazzetto di carta di Dwight sembra per davvero in comunione con la Forza e ben presto rivela le sue mirabolanti capacità, ad esempio salvando un ragazzetto da una figuraccia apocalittica oppure prevedendo una pericolosa verifica a sorpresa. Insomma, lo Yoda di Dwight offre a chiunque ne sia in cerca autentiche perle di saggezza e, quel che è più strano, è evidente che Dwight sia un semplice tramite perché non c'è dubbio alcuno che sia una vera schiappa che non sarebbe mai capace di elaborare autonomamente le geniali intuizioni del portentoso origami. Considerando la stranezza della vicenda, uno dei suoi compagni decide di indagare sulla questione: il frutto è appunto La mia vita con Yoda, un divertente diario corale scritto a più mani in merito alle inspiegabili avventure dello Yoda alla scuola media McQuarrie, un piccolo libro in cui vengono assemblati aneddoti, battute e punti interrogativi nel tentativo di chiarire un mistero apparentemente incomprensibile. Alla fine, per passare dalla teoria alla pratica, il libro di Tom Angleberger regala anche le istruzioni per costruire un origami a forma di Yoda da infilare sul dito per cominciare a diffondere la Forza nel mondo per quanto è possibile a noi lettori. Una vera chicca, in effetti, nonostante l’oggettiva esilità della storia: La mia vita con Yoda è un piccolo romanzo per ragazzi indicato per la fascia preadolescenziale, ma il divertimento è garantito per tutti, probabilmente anche per chi della saga di Star Wars non ha mai sentito parlare... 

Tom Angleberger, La mia vita con Yoda, Milano, Il Castoro, 2010; pp. 150  


venerdì 22 ottobre 2021

L'ARCA PARTE ALLE OTTO!

Chi ha detto che non esistono libri capaci di rileggere la Bibbia ad uso e consumo delle generazioni più giovani? La perfetta dimostrazione del concetto è mirabilmente offerta da L'arca parte alle otto di Hurlich Hub, un piccolo romanzo illustrato per ragazzi che comincia ai tempi dei tempi nell'Antartide, quando un pinguino finisce (non si sa bene quando involontariamente) per schiacciare una farfalla, una presenza effettivamente curiosa in siffatto contesto glaciale. Nasce così un'accesa discussione tra tre inseparabili amici, tutti pinguini, conclusa con l'abbandono del campo da parte del 'colpevole' dell'involontario misfatto. Poi arriva sul posto anche una colomba molto affaccendata, che è venuta a portare la notizia del diluvio universale prossimo venturo e i biglietti per l'arca di Noè (ovvero per la salvezza), la cui partenza è prevista per le otto in punto. Il problema è che i biglietti disponibili sono soltanto due, mentre i pinguini sono tre: per solidarietà i due amici muniti di biglietto decideranno di portarsi il terzo dentro una valigia per non abbandonarlo al suo umido destino. Dentro l'arca ovviamente ne succederanno di tutti i colori: tra rumori strani, imprevisti in serie e succose discussioni su Dio, sulla fede e sul senso della vita, la coppia di pinguini dovrà darsi parecchio da fare per impedire all'indaffaratissima colomba – che continua a dimenticarsi qualcosa di molto importante per tutta la durata del viaggio - di scoprire l'amico clandestino. Quando infine la colomba se ne accorge, il diluvio è ormai finito ed è già ora di approdare a terra per ripartire da zero. Un libello illustrato davvero divertente ed intrigante: si legge in un'ora e poco più, ma è garantito che le elucubrazioni ingenue ma altamente fosforiche di questi pinguini molto speciali sono destinate a frullare a lungo nelle teste dei lettori. Contrappuntano la storia le essenziali e godibili illustrazioni di Jörge Mühle. Consigliato per gli adolescenti ma decisamente adatto anche agli adulti. 

Hurlich Hub - Jörge Mühle, L'arca parte alle otto, Milano, Rizzoli, 2011; pp. 96


mercoledì 20 ottobre 2021

DIARIO DI UNA SCHIAPPA

L'autore di questo originale romanzo in forma di diario contrappuntato da vignette è l'americano Jeff Kinney, classe 1971, scrittore e progettista di giochi online. Questo suo Diario di una schiappa ha avuto un incredibile successo a livello globale, tanto da dare origine a una serie che ha venduto qualcosa come 250 milioni di copie in tutto il mondo (con traduzioni in 65 lingue, latino compreso) e all'immancabile traslazione sul grande schermo nell'omonimo film del 2010, seguito a ruota dall'immancabile sequel. Nonostante il titolo, il giovane protagonista della storia, Greg Heffley, ci tiene a puntualizzare fin dalla prima pagina che non si tratta di un diario "tradizionale" ma di un giornale di bordo: l'idea di tenere un diario in effetti è della mamma di Greg, ma lui non ha assolutamente intenzione di affidare alla carta i suoi sentimenti, invece l'unica ragione per cui ha accettato di scriverlo è che gli sarà utile quando un domani, quando sarà ricco e famoso, non avrà tempo da sprecare rispondendo a domande banali. Le avventure del primo volume della serie raccontano appunto il primo anno di Greg alle medie, dove il nostro eroe cerca di sopravvivere giorno dopo giorno ai mille pericoli dell'ambiente scolastico: Greg è, per sua stessa definizione, una schiappa, e non a caso ogni attività o progetto in cui si trova impegnato finisce molto spesso per rivelarsi un disastro. Greg è una schiappa sia a scuola che in ambito sportivo, e l'unico campo dove sembra avere un discreto talento sono i videogiochi. Le cose per lui non vanno meglio neanche tra le mura di casa, dove vive con una mamma che gli vuole bene ma è piuttosto severa, un buon padre che ha la fissa per trasformarlo in un atleta, un pessimo fratello maggiore patito di heavy metal (Rodrick) e un viziatissimo fratellino che gli fa sempre la spia (Manny). Il migliore amico di Greg è Rowley, un ragazzo molto ingenuo di cui spesso il protagonista si approfitta. Tra il progetto (fallimentare) di una casa fantasma, un tristissimo Halloween, la leggendaria maledizione del formaggio che passa da uno studente all'altro, una recita studentesca che si rivela un tremendo disastro e un Natale senza i regali desiderati, le avventure del buon Greg ci conquisteranno pagina dopo pagina. Un libro all'insegna del disimpegno ma a tratti davvero divertente. 

Jeff Kinney, Diario di una schiappa, Milano, Il Castoro, 2008; pp. 218 


sabato 16 ottobre 2021

MI RICCI! L’AMORE AI TEMPI DEL T9

In effetti, bisogna ammetterlo, non è facile decidere di leggere un libro che ha un titolo assurdo come questo… E poi, esattamente, che significa Mi ricci? Lo si intuisce dal sibillino sottotitolo “L’amore ai tempi del T9”. Per scoprirlo dovremo sfogliare questo piccolo libro illustrato, un racconto sentimentale per ragazzi, volendo azzardare una definizione. Aggiungiamo doverosamente una precisazione: non è solo illustrato, ma ha addirittura le pagine in tricromia. Eh, già, perché la storia è narrata dalla triplice prospettiva di tre ragazzi e ogni volta che entriamo nei pensieri di uno di loro, cambia anche il colore delle pagine. Vi chiederete di che parla… La trama in effetti è tutta un programma: c’è Stefano (studente di seconda media) che ha ricevuto un bigliettino (rosa) col numero di Suzanne (seconda media anche lei) da un’amica comune per darlo a Marco, ragazzo di terza media bello e impossibile che però glielo ha subito restituito, letteralmente nauseato dal colore. A quel punto Stefano (a cui piace Suzanne), ha deciso di caricare il suo cellulare con cinque euro per tentare la fortuna, rinunciando addirittura alla partenza del MotoGP, che sarebbe la sua grande passione sportiva. Il nostro eroe si fa coraggio e manda un sms al suo (per adesso non corrisposto) amore: digita “Mi piaci”, una frase tranquilla, qualcosa di semplice tanto per spezzare il ghiaccio, invece il perfido T9 gli modifica il testo in un incomprensibile “Mi ricci”. Ed è questo l’imbarazzante messaggio che parte dal numero di Stefano diretto a quello di Suzanne. Che fare? Passando da un pasticcio all’altro Stefano cercherà di rimediare alla figuraccia che ha fatto lottando contro il tempo. Purtroppo Marco nel frattempo ha trovato Suzanne fuori di casa sua (non per caso) e l’ha invitata a pescare, sfrecciando in motorino con lei dietro sotto gli occhi allibiti del povero Stefano. Come andrà a finire? Lo scopriremo in questo divertente esempio di narrativa per ragazzi altamente disimpegnata ma molto realistica sul fronte del linguaggio. Ce la racconta il giovane illustratore Alessandro Baronciani, non nuovo a produzioni simili. Un libro esile come un fiocco di neve: bello a vedersi finché non si squaglia tra le dita diventando semplice acqua... Ma vale la pena di leggerlo per un’ora e rotti di adolescenziale disincanto... 

Alessandro Baronciani, Mi ricci! L’amore ai tempi del T9, Milano, Rizzoli, 2010; pp. 97


IL PIANETA DEI BRUCHI... GARANTISCE KEN FOLLETT

L'autore di questo romanzo non ha bisogno di presentazioni, trattandosi di Ken Follett, classe 1949, che in oltre trent'anni ha scritto acclamati bestseller quali La cruna dell'ago, Il codice Rebecca e I pilastri della terra, giusto per citare i più celebri, tutti impeccabili romanzi di spionaggio o gialli a orologeria. Non così Il pianeta dei bruchi, che Follett pubblicò (sotto pseudonimo) nel lontano 1976, il suo unico esempio di romanzo breve per ragazzi insieme a Il mistero degli Studi Kellerman che, però, essendo propriamente un giallo (anche se dalla struttura semplice), presenta vari punti di contatto col resto della produzione “maggiore” dell'autore gallese. Il pianeta dei bruchi invece è uno stranissimo esempio di romanzo di fantascienza per ragazzi e non condivide praticamente niente con le opere più note di Follett, soprattutto a livello stilistico. Non si tratta necessariamente di un difetto, perché la storia al centro di questo romanzo breve, per quanto esile e talvolta di sapore naïve, fila che è una bellezza. Ne sono protagonisti i dinamici gemelli "Fritz" e Helen Price, che stanno passando le vacanze in compagnia di un cugino a cui hanno affibbiato il poco lusinghiero soprannome di Barile per le sue misure generose. La prospettiva dei tre è quella di passare la solita estate noiosa nella pensione di famiglia, ma le cose si vivacizzano assai con l'arrivo a sorpresa di un misterioso parente di cui ignoravano addirittura l'esistenza: si tratta dell'affabile zio Grigorian, che propone loro un'apprezzabile gita nella sua casa nella campagna del Galles. Lo zio ritrovato, però, oltre a degli stranissimi pollici che non sembrano aver nulla di umano, mostrerà di avere ancora più sorprese in serbo per i tre nipoti, rivelandosi ben presto un alieno in missione per conto del governo intergalattico e conducendoli nello spazio sul remoto pianeta dei bruchi per risolvere una questione davvero molto importante. Nonostante l'oggettiva esilità della storia, che sembra quasi una versione spielberghiana di un racconto di Asimov, Il pianeta dei bruchi cattura subito l'attenzione grazie alla simpatia dei protagonisti e la tiene viva fino all'immancabile happy ending. Da provare. 

Ken Follett, Il pianeta dei bruchi, Milano, Mondadori, 2013; pp. 95


venerdì 1 ottobre 2021

CIAO, TU: AMORI E BIGLIETTINI ANONIMI SUI BANCHI DI SCUOLA

Da sempre i famigerati "bigliettini" sono un classico delle aule scolastiche di ogni parte del mondo. Ma è strano che il genere-bigliettino si dilati in un vero e proprio libro, come succede appunto in Ciao, tu, scritto a quattro mani da due specialisti di narrativa per ragazzi come Beatrice Masini e Roberto Piumini. Definirlo romanzo epistolare in effetti sarebbe troppo... diciamo che racconta una tipica storia d'amore tra i banchi di scuola dei giorni nostri, che comincia nello zaino di un ragazzo che si chiama Michele con un biglietto misterioso che inizia così: "Indovinami. Scoprimi. Sappimi". Lo manda Viola, una quindicenne come tante altre che però ha scelto questo modo alternativo per palesarsi con l'oggetto del suo innamoramento, Michele, appunto, che decide di stare al gioco ed inizia a risponderle con lettere nascoste in uno spazio tra la lavagna e il muro. E la cosa va avanti così per settimane, con Michele che, lettera dopo lettera, comincia a farsi un'idea sempre più precisa della sua misteriosa corrispondente, che comincia a chiamare Eulalia o Euly, tanto per darle un nome. Nasce un'affettuosa amicizia fatta di scambi di idee ed emozioni più vere che se Michele e la fantomatica Euly si conoscessero davvero - in effetti si conoscono, ma Michele non sa quale delle sue compagne sia effettivamente la sua amica di penna, o almeno non è sicuro di chi si tratti -. Lo scambio diventerà sempre più stringente e necessario per entrambi i ragazzi, finché un'ingerenza esterna li indurrà a palesare il sentimento che ormai li unisce entrambi, un amore sbocciato e sviluppato attraverso un carteggio epistolare, perché a volte i propri sentimenti è più facile metterli per scritto che dichiararli al diretto interessato. La storia al centro di Ciao, tu sta tutta qui, una storia fresca, spontanea, ricca di brio ma anche piuttosto originale sul versante stilistico. Il grande merito dei due autori consiste proprio nella capacità di rendere sulla pagina scritta i tanti modi di dire dei ragazzi contemporanei in questo atipico romanzo breve. Si può provare: il gradimento per i lettori adolescenti è assicurato - il libro oggettivamente si fa leggere con facilità -, mentre per gli adulti può rivestire maggior interesse dal punto di vista sociologico. 

Beatrice Masini - Roberto Piumini, Ciao, tu, Milano, Rizzoli, 2009; pp. 77

venerdì 24 settembre 2021

LE AVVENTURE DI TOM SAWYER? UN CLASSICO INTRAMONTABILE...

Dopo i primi successi come scrittore, il giovane Mark Twain contava molto sulla pubblicazione de Le avventure di Tom Sawyer, che ebbe invece una tiepida accoglienza di pubblico rispetto alle previsioni. Nella prefazione l’autore spiega il carattere realistico delle avventure narrate nel libro, alcune delle quali furono sue dirette esperienze dell’infanzia passata a Hannibal, cittadina rievocata qui nell’immaginaria St. Petersburg. Sono ispirati alla realtà anche i protagonisti: mentre Huck Finn fu tratteggiato su un ragazzo vero, Tom Sawyer fu il frutto di un genere di architettura letteraria composita, dato che Twain assemblò nel personaggio le caratteristiche di tre diversi ragazzi. Per ammissione dell’autore anche le stravaganti credenze descritte nel libro sono ispirate alla realtà e fermamente credute dai suoi coetanei ai tempi dell’ambientazione della storia, ovvero 30-40 anni prima. Si tratta di un libro dichiaratamente rivolto ai ragazzi, ma l’autore l’ha scritto sperando di ricordare agli adulti del suo tempo i sentimenti, le impressioni, le strane imprese vissute nei loro anni più verdi. Tom Sawyer, il protagonista del romanzo, è un ragazzo assai irrequieto, tremendamente simpatico e di solito anche molto furbo: spesso riesce ad evitare le punizioni comminate dalla vecchia zia Polly (che l’ha adottato con l’impeccabile fratello Sidney, per tutti soltanto Sid) facendola ridere, talvolta invece le trasforma in buoni affari, come quando, dovendo verniciare uno steccato, riesce a convincere i suoi compagni di giochi che non si trattava di una fatica ma di un vero privilegio, usando parole talmente allettanti da indurli a pagarlo per svolgere il lavoro al suo posto. Pur essendo un monello, Tom ha un cuore d’oro e di solito è leale con gli amici, ama essere un bambino ma al tempo stesso desidera crescere, ha l’impulso di fuggire da casa ma poi ne sente una tremenda nostalgia. Ad un certo punto, stufo delle regole e delle punizioni della zia, con gli amici Joe Harper e Huckberry Finn – un ragazzo di strada senza fissa dimora e senza istruzione che diverrà qualche anno dopo protagonista del capolavoro di Mark Twain – decide di fuggire per "diventare" pirati: costruita una zattera, i tre la varano nel Mississippi, raggiungono la vicina isola di Jackson e si divertono un mondo vivendo in piena libertà, poi tornano sui propri passi spinti dalla nostalgia per la gioia dei parenti che li credevano morti. In seguito Tom e Huck assistono all’omicidio dello stimato medico di St. Petersburg, di cui viene accusato ingiustamente Muff Potter, il mite ubriacone locale: pur riluttante per paura della vendetta del vero responsabile, il meticcio Joe l’Indiano, Tom trova il coraggio per testimoniare in tribunale e scagiona l’innocente, diventando una piccola celebrità locale, anche se il colpevole riesce a scappare. In seguito viene scoperto il cadavere del fuggiasco, mentre Tom e Huck scoprono il tesoro di Joe l’Indiano e diventano ricchi, anche se Huck continua a manifestare non poche difficoltà ad inquadrarsi nella vita civile. I trentasette capitoli de Le avventure di Tom Sawyer regalano un nugolo di sorprese narrative e tratteggiano uno spaccato molto realistico degli anni Quaranta dell'Ottocento degli Stati Uniti. Questo romanzo di Mark Twain è consigliabile per i lettori di tutte le età, ma lo troveranno particolarmente intrigante i ragazzi intorno ai dieci anni per la spontaneità con cui tenderanno ad identificarsi con l'irresistibile protagonista. Peraltro i capitoli spesso coincidono con episodi che si possono leggere singolarmente con eguale diletto. Una lettura imprescindibile per ogni adolescente che si rispetti... 

Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, Torino, Einaudi, 2005; pp. 256


martedì 13 luglio 2021

I PESCI NON CHIUDONO GLI OCCHI: ERRI DE LUCA RACCONTA I SUOI DIECI ANNI

Non è la prima volta che Erri De Luca, classe 1950, nella sua lunga e variegata carriera di scrittore a trecentosessanta gradi – narratore, poeta, giornalista e teatrante – gioca la carta del romanzo di formazione, ma I pesci non chiudono gli occhi sotto questo fronte è davvero un diamante grezzo di rara bellezza. De Luca si racconta nell’estate dei suoi dieci anni, in una vacanza al mare (probabilmente a Ischia) insieme alla madre, momentaneamente sola coi figli in quanto il marito se ne è andato a cercare fortuna a New York, dove forse, una volta sistemato, dovrà raggiungerlo il resto della famiglia. Si tratta di un’estate d’attesa, che è un po’ la cifra riposta di questa stagione tradizionalmente di vacanza, in attesa appunto di un nuovo periodo, di un nuovo anno scolastico o di una nuova vita, chissà… L’attesa è più che mai sensibile per il piccolo protagonista, la voce narrante del romanzo, che deve pure darsi da fare a Matematica, in quanto è stato rimandato a settembre alla fine della prima media e deve prendere periodicamente ripetizioni dal maestro dell’isola sul tavolo di un bar: l’affanno principale del ragazzo però non è imputabile alla scuola, ma al suo corpo di adolescente che non cresce al passo con la sua testa di lettore curioso, che sta cominciando a formulare pensieri da adulto in embrione. E fatalmente i pensieri di un adolescente a cui non sembra di crescere di un centimetro finiscono per puntare, quasi inconsapevolmente, su una coetanea, lettrice anche lei, che condivide la stessa spiaggia del protagonista e che non si sottrae quando lui le chiede della comune (ed evidente) passione per la lettura. La nuova amicizia non passa inosservata a tre bulletti di poco più grandi del protagonista, che inizieranno a prenderlo di mira sempre più palesemente anche e soprattutto in reazione alle attenzioni che la ragazzina gli riserva (il cui nome l’autore ha perso per sempre tra i meandri della sua memoria diventando adulto). Il quadro del libro è questo e nel suo breve sviluppo Erri De Luca riuscirà a chiarirci le idee su un pugno di tematiche assai sensibili nell’universo dell’adolescenza e dintorni: la metamorfosi del corpo che cambia (o ingenera ansia perché non cambia), i sentimenti “da adulti” come l’odio, l’amore o il senso di giustizia che iniziano a nascere dentro causando cataclismi emotivi e il sogno di una vita diversa che aleggia all’orizzonte. I pesci non chiudono gli occhi condensa tutto questo in un piccolo libro di poco più di un centinaio di pagine felicemente sospeso a metà tra un romanzo di formazione e un’autobiografia d’autore nell’estate dei suoi dieci anni. Assolutamente da scoprire, come il titolo, di cui capiremo il senso riposto soltanto alla fine.

Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Milano, Feltrinelli, 2011; pp. 115

martedì 29 giugno 2021

NON RESTARE INDIETRO

Carlo Greppi, classe 1982, è uno storico che collabora con Rai Storia, con la Scuola Holden e con il blog "Doppiozero", è inoltre presidente della sezione torinese dell'associazione Deina, con la quale da anni organizza e partecipa ai viaggi della memoria alla scoperta degli ex lager del Terzo Reich. Proprio questa esperienza diretta costituisce il cuore pulsante di questo romanzo per ragazzi, Non restare indietro, in cui l'autore sembra aver voluto condensare le sue esperienze di accompagnatore di studenti nei viaggi della memoria. Il protagonista della storia è un adolescente come tanti altri: si chiama Francesco, ha sedici anni, gioca a calcio, è un ribelle di buon cuore in guerra con i genitori e con la scuola, tanto che per un diverbio con la componente docente ha dovuto cambiarla. Ora è iscritto alla 3C della scuola nuova, con nuovi docenti e con nuovi compagni, e il cappuccio della sua inseparabile felpa per proteggersi dal resto del mondo. Tra parentesi Francesco non ha superato la perdita del suo amico più caro, con cui condivideva la passione per il pallone: cerca di dargli una mano a modo suo l'altro amico del terzetto, che intende diventare un writer e sta appunto tappezzando tutte le mura del quartiere con la K che è il suo tag. La storia prende avvio in un lunedì di gennaio quando la nuova prof di storia spiega cos'è il Giorno della Memoria e presenta alla classe un progetto che tutti gli studenti faranno insieme, un viaggio d'istruzione molto particolare, che li porterà a scoprire il punto più basso toccato dalla razza umana nella sua storia, un viaggio "per non dimenticare" la Shoah, con destinazione Auschwitz. Nella classe di Francesco arrivano così due giovani operatori dell'associazione di volontari che accompagnerà lui e i suoi compagni, prima però dovranno prepararli, aiutandoli a immedesimarsi con le vittime e con i carnefici, per capire quel che è stato: il loro approccio è avvolgente e pratico, e Francesco gradualmente si lascia coinvolgere, anche se non è convinto a fondo del progetto e continua ad avere dubbi in proposito. In continua alternanza tra la più grande tragedia della storia e le emozioni irrisolte (e il suo dolore non metabolizzato) del suo vissuto, il giovane protagonista imparerà a conoscere i suoi nuovi compagni, abbracciando l'idea di mettersi in viaggio e di capirne il senso per davvero. Insomma, ne vien fuori un dinamico romanzo di formazione sull'adolescenza: dalla prospettiva di Francesco vivremo un ventaglio dei tipici turbamenti di un ragazzo dei nostri giorni (soprattutto la mancanza di senso e l'incomprensione con gli adulti) alle prese con un viaggio più grande di lui, che gli servirà per aprire una serie di porte e lasciarsi finalmente alle spalle ciò che non è riuscito finora ad accettare. Da questo punto di vista Non restare indietro ricostruisce anche il microverso tipico di una classe delle superiori, dove non manca il ragazzo con la vocazione del bullo né la prima della classe animata dal desiderio di fare la cosa giusta e così via, compreso Francesco, che è il classico ragazzo con la felpa che vuole volare basso e non farsi notare troppo. La galassia giovanile è ben delineata anche grazie alla ricca colonna sonora che traspare da un capitolo all'altro, alle citazioni cinematografiche (in particolare la celebre scena di Monsieur La Padite in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino) e a vari aneddoti (d'obbligo citare almeno la tabellina dell'undici che Francesco usa per classificare la storia del Novecento). Nonostante le tante sequenze "didattiche" si tratte di un libro scritto con uno stile fresco e accattivante, che conquisterà sia i lettori adulti che gli adolescenti a cui è rivolto.

Carlo Greppi, Non restare indietro, Milano, Feltrinelli, 2016; pp. 223

lunedì 28 giugno 2021

TRE UOMINI IN BARCA (PER NON PARLAR DEL CANE)

Si tratta in assoluto dell’esempio per definizione di romanzo umoristico di marca anglosassone: Tre uomini in barca (per non parlar del cane)  fu pubblicato dal giornalista e scrittore inglese Jerome Klapka Jerome (1859-1927) nel 1889 e divenne a sorpresa un bestseller in patria, ottenendo ben presto un discreto successo anche oltre Manica. In effetti il successo fu imputabile in buona parte anche all’editor che si occupò del libro di Jerome, che in origine sembra fosse nato come una sorta di guida turistica sul Tamigi: in fase di stampa furono però sforbiciate quasi tutte le digressioni storico-culturali, mettendo così in evidenza le numerose ed irresistibili gag del romanzo. Il libro in sé all’autore fu effettivamente ispirato in seguito ad una luna di miele in barca sul Tamigi, ma Jerome decise di raccontare la storia di viaggio di tre amici (tra cui lui stesso e due personaggi ripresi dalla realtà) piuttosto che un romanzo sentimentale: la scelta fu premiata da un imprevedibile successo, dato che il libro solo in Gran Bretagna vendette un milione e mezzo di copie, in molti battezzarono le proprie barche “Tamigi” su diretta ispirazione del romanzo e qualche anno dopo arrivò anche l’immancabile sequel Tre uomini a zonzo. Ma senza indugio ulteriore veniamo alla storia: Tre uomini in barca prende avvio con la decisione di tre amici londinesi di viaggiare su una barca risalendo la corrente del Tamigi. Sono rispettivamente Jerome (che è anche la voce narrante del romanzo), Harris e George, terzetto completato dal vivace cane Montmorency, un fox terrier che amplifica a dismisura il naturale afflato umoristico del gruppo. La decisione di viaggiare è assolutamente attuale: i tre amici si vedono messi male e decidono di fuggire dalla confusione e dalla monotonia di Londra con un bel viaggio fluviale che si prospetta avventuroso e rilassante al tempo stesso. Dei tre Jerome è quello che ha il malanno facile, mentre Harris pensa di far tutto lui e George è pigro oltre misura: in realtà tutti e tre non sembrano in pessime condizioni di salute poiché dimostrano a più riprese un invidiabile appetito. Durante questo esilarante viaggio fluviale lungo le campagne britanniche i nostri eroi vivranno tragicomiche avventure proponendoci un incredibile repertorio di storielle e battute: degna di segnalazione in tal senso è la storia dello zio Podger impegnato ad attaccare un quadro con tutti gli immancabili disastri che ne seguono. Tre uomini in barca fa sorridere in continuazione grazie all’uso delle armi di distrazione di massa dello humour britannico: disavventure in sequenza, nonsense a ripetizione e strepitose divagazioni sul senso della vita. Insomma, un classico dell’umorismo che ancora oggi si fa leggere regalando grande diletto.

Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca, Milano, Feltrinelli, 2013; pp. 190

martedì 22 giugno 2021

LE OTTO MONTAGNE

È diventato già un cult della narrativa italiana contemporanea Le otto montagne dell’autore milanese Paolo Cognetti, classe 1978, che con questo romanzo ha vinto il premio Strega nel 2017. Si tratta di un romanzo di formazione articolato in tre parti, intitolate rispettivamente Montagna d’infanzia, La casa della riconciliazione e L’inverno di un amico. La storia è raccontata in un’avvolgente prima persona dal protagonista, Pietro, un ragazzo di città figlio di un taciturno chimico e di un’operatrice sanitaria, entrambi provenienti dal Veneto ed entrambi appassionati alpinisti. La comune passione per la montagna è appunto la scintilla che ha fatto scoccare l’amore tra i genitori di Pietro, che si sono addirittura sposati in una chiesetta ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo e hanno passato la prima notte di nozze in un rifugio montano. Trasferitisi a Milano, i due durante le ferie estive si spostano puntualmente a Grana, un minuscolo paese valdostano alle pendici del Monte Rosa dove Pietro fin da bambino ha conosciuto Bruno, un coetaneo che, diversamente da lui, d’estate non è vacanza ma deve occuparsi delle bestie di famiglia, dato che i genitori sono allevatori. I due divengono ben presto inseparabili amici… stagionali, ma l’adolescenza li separa: nonostante la madre di Pietro cerchi di aiutare Bruno negli studi, il ragazzo è costretto dalla famiglia ad abbandonare la scuola una volta raggiunta l’età dell’obbligo scolastico. Bruno inizierà a lavorare prima come allevatore, quindi come muratore, mentre Pietro continuerà gli studi a Milano per poi trasferirsi a Torino iniziando a lavorare come documentarista, anche per il rapporto conflittuale col padre. L’amore per la montagna in effetti sembra l’unico insegnamento che il padre ha lasciato a Bruno, col suo modo tormentato di ascendere verso le cime attraverso l’itinerario più scosceso e a passo veloce, per poi esaurire il desiderio di conquistare la cima un secondo dopo esserci arrivato. Alla morte del padre, Pietro, che ha ricevuto in eredità una baita diroccata, ritroverà l’amico di un tempo per ricostruire insieme l’edificio, vivendo un’estate di svolta esistenziale che darà due direzioni precise alle loro vite. Le otto montagne è uno struggente romanzo di formazione che vive sul Leitmotiv della montagna a cui tutti i personaggi finiscono sempre per tornare e che costituisce il crocevia simbolico di tutte le storie umane che Cognetti ha condensato nel suo libro. Oltre alla montagna il romanzo squaderna una manciata di tematiche indimenticabili: la nostalgia della terra natia, la magia dell’infanzia, il rapporto talvolta problematico tra padre e figlio e l’amicizia virile. È uno di quei libri in cui è bello perdersi e in grado di cambiare la percezione esistenziale del lettore.

Paolo Cognetti, Le otto montagne, Torino, Einaudi, 2016; pp. 203

mercoledì 16 giugno 2021

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO

 

Il capolavoro indiscusso di Italo Calvino è la visionaria e grottesca trilogia romanzesca intitolata I nostri antenati - comprendente rispettivamente Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente - ma è in un genere completamente diverso che l’autore ligure ha esordito come narratore con Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo breve di chiaro impianto neorealista che ha aperto la cosiddetta narrativa di Resistenza. Nella sua opera prima Calvino ha riversato – espropriandosene, per certi versi – buona parte del proprio bagaglio personale di ricordi giovanili, quelli ‘ingombranti’ almeno, accumulati nel suo periodo di militanza attiva nei ranghi della Resistenza partigiana. Il romanzo, ambientato tra una cittadina ligure tra la riviera di Ponente e le montagne dell’entroterra, fu scritto nell’immediato Dopoguerra e pubblicato nel 1947 con una prefazione di Cesare Pavese. Protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno è un bambino, Pin, che ha perso i genitori e vive con la sorella (una giovane prostituta) in un clima di privazioni e confusione, nel periodo della Resistenza, appunto. Avendo trovato una pistola lasciata distrattamente in casa sua da un soldato nazista dopo un occasionale incontro mercenario con la sorella, Pin decide di nascondere l’arma in un sentiero sperduto, per lui quasi magico, l’unico al mondo (a suo parere) dove i ragni facciano il nido. Pin entra poi in un contraddittorio gruppo di partigiani, ognuno con la sua storia ed un indistinto (e personale) ideale di Resistenza da seguire. Quando il drappello si sfascia, Pin resta con un partigiano, il Cugino, avviandosi, in uno splendido finale interrotto, verso la notte illuminata da lucciole, nella campagna, senza meta, l’uomo e il bambino mano nella mano: intorno a loro una guerra civile, anch’essa contraddittoria, sfumata, comprensibile a pochi. Il sentiero dei nidi di ragno è un romanzo di formazione che racconta uno strano percorso di iniziazione alla vita, caratterizzato da un realismo di base cui s’intrecciano in sottofondo i fili del meraviglioso, del fantastico e del fiabesco, una peculiarità stilistica che diventerà il tratto distintivo dello scrittore ligure negli anni della maturità. Il romanzo si fa leggere e cattura subito il lettore per la particolare prospettiva dal basso scelta da Calvino per raccontare la storia.

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Garzanti, 1991; pp. 199   


mercoledì 9 giugno 2021

EHI, PROF! QUANDO MCCOURT SALE IN CATTEDRA…

Lui è Frank McCourt (1930-2009), newyorchese di nascita, irlandese di ritorno e di nuovo migrante nella Grande Mela, dove è sbarcato in cerca di fortuna ed ha passato tutta la vita da docente delle superiori, finché da pensionato si è ritrovato a diventare un incredibile caso letterario internazionale con il bestseller autobiografico Le ceneri di Angela, premiato col Pulitzer nel 1997 e poi diventato un film di Alan Parker. Dopo l’immancabile sequel Che paese, l’America! è poi arrivato Ehi, prof!, altro memoriale centrato in particolare sul Frank McCourt dietro la cattedra, un romanzo autobiografico di ambientazione scolastica, insomma. La storia prende avvio nel marzo 1958 quando il protagonista è in trepidante attesa dei suoi studenti in un’aula vuota dell’Istituto Tecnico e Professionale McKee, distretto di Staten Island, New York. Lui, insegnante alle prime armi, sta giocherellando nervosamente con gli oggetti scalcinati dell’arredo scolastico, e fin dalle prime battute ci fa capire che ci troveremo spesso a girovagare per i suoi pensieri con quello stile sarcastico, disincantato e irresistibile che ormai è diventato il suo marchio di fabbrica: infatti ci dice fin dall’inizio che il primo giorno ha rischiato il posto per aver mangiato il panino a un alunno e il secondo giorno, non contento, di averci riprovato facendo un’ambigua allusione sulla confidenza ‘relazionale’ che gli irlandesi avrebbero con gli ovini. Dalla prima pagina in poi è un ininterrotto diario di giorni e giorni di scuola, di centinaia (anzi di migliaia) di alunni spesso senza prospettive ma con un bagaglio di umanità da vendere che si alternano sui banchi di scuola davanti al nostro eroe, sempre più sfinito, sempre più assordato dal brusio di sottofondo della classe durante le sue lezioni ma sempre con la voglia di trovare il modo di insegnare qualcosa ai suoi ragazzi, non necessariamente quello più convenzionale possibile. E poi ci sono divagazioni imperdibili sulle amenità scolastiche per definizione, come l'irresistibile excursus sulle giustificazioni più fantasiose raccolte negli anni dai suoi studenti. Alla fine, dopo trent’anni di lezioni tra scuole tecniche (e non) ubicate tra Staten Island, Brooklyn e Manhattan, Frank McCourt si dichiara stupito di aver resistito tutto quel tempo, anche se da una pagina all’altra, si fa presto a capire il perché: ha raccontato un sacco di aneddoti personali, si è fatto continui esami di coscienza per capire dove sbagliava e aggiustare il tiro, ha sempre provato a fare quella che gli sembrava la cosa giusta, insomma, è stato umano fino allo squillo dell’ultima campanella della sua carriera. La prima, che poi ha usato per raccontare la seconda da scrittore, soprattutto in questo libro. Leggendo Ehi, prof! sembra di vedere all’opera una versione normale del John Keating del mitico L’attimo fuggente, meno fantasioso e memorabile ma non meno sognatore, perché il bello di un prof di buona volontà è non smettere mai di provarci fino all'ultimo secondo dell'ultima ora di lezione. Assolutamente da leggere nonché auspicabile come lettura obbligatoria per qualunque docente contemporaneo.

Frank McCourt, Ehi, prof!, Milano, Adelphi, 2006; pp. 309

domenica 30 maggio 2021

ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS, UN CLASSICO DEL GIALLO

Senza dubbio Assassinio sull’Orient Express insieme a Dieci piccoli indiani è uno dei gialli a orologeria che hanno fatto la fortuna della signora del brivido, Agatha Christie (1890-1976), celebre scrittrice e drammaturga britannica diventata un vero e proprio mito letterario grazie a due personaggi seriali del calibro di Miss Marple e del detective Hercule Poirot. Assassinio sull’Orient Express prende avvio alle cinque del mattino nella stazione di Aleppo, in Siria, dove il noto investigatore belga ha appena risolto un caso importante su richiesta del governo francese: Poirot è diretto verso Istanbul, dove ha intenzione di passare qualche giorno da turista – tra parentesi la Christie scrisse il romanzo proprio qui, nella stanza 441 dell’Hotel Pera Palais – ma un telegramma lo costringe a ripartire subito alla volta di Londra. Il detective cerca di prenotare un posto su un vagone letto dell’Orient Express, ma nonostante nella stagione invernale i viaggiatori siano sempre pochi, scopre che stranamente non ci sono posti disponibili, riuscendo comunque a trovarne uno grazie all’amico Monsieur Bouc, direttore della compagnia ferroviaria. Nel vagone ristorante il protagonista conosce un ricco imprenditore americano, Ratchett, che tenta di ingaggiarlo perché teme d’essere ucciso, ma Poirot rifiuta perché a pelle non gli va a genio. La notte successiva il treno resta bloccato da una tormenta di neve e l’indomani viene scoperto proprio il cadavere di Ratchett, assassinato con dodici pugnalate. Poirot, su richiesta dell’amico Bouc, accetta di indagare: prima perquisisce lo scompartimento della vittima trovando una serie di indizi apparentemente insignificanti, quindi inizia ad interrogare tutti i sospettati che viaggiano sull’Orient Express. Da qui Poirot comincerà a dipanare una complessa matassa di interconnessioni umane per arrivare all’immancabile soluzione dell’intricatissimo caso, peraltro ispirato alla tragica vicenda di cronaca nera che colpì il celebre aviatore americano Charles Lindbergh all’inizio degli anni Trenta. Assassinio sull’Orient Express è un implacabile meccanismo narrativo in cui la Christie ha sublimato tutte le convenzioni del genere giallo: un ambiente chiuso come un leggendario treno bloccato dalla neve in mezzo al nulla, un crimine apparentemente insolubile, una serie di indizi che non sembrano portare da nessuna parte, un gruppo di sospettati a prima vista senza niente in comune. Voilà, il delitto è servito, e il lettore sfidato ad aguzzare l’ingegno per risolvere il mistero o scoprirlo pagina dopo pagina in un crescendo di suspense. Un grande classico.

Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express, Milano, Mondadori, 1987; pp. 191

martedì 25 maggio 2021

IL FURIOSO ARIOSTESCO RACCONTATO DA CALVINO

Questo volume costituisce l’incontro tra uno degli scrittori più sperimentali della letteratura italiana del Novecento, Italo Calvino (1923-1985), e il più celebre degli autori di poemi cavallereschi tra Quattrocento e Cinquecento, Ludovico Ariosto. Il motivo di questo strano incontro è prima di tutto la predilezione dimostrata da Calvino per l’Orlando Furioso, che l’autore della trilogia de I nostri antenati, da sempre considera il suo poema, uno dei suoi libri d’elezione. Il problema è che spesso il capolavoro ariostesco è considerato dai potenziali lettori un libro difficile da leggere, come d’altra parte la maggioranza dei classici più antichi della letteratura italiana: l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino è il tentativo di rendere meno impegnativo e più immediato l’incontro di un lettore con il poema ariostesco, che ha molteplici dinamiche da considerare, tra le quali una tradizione assai stratificata (e articolata tra più nazioni), molteplici intrecci di personaggi e di avventure ed infine un linguaggio poetico mirabilmente codificato in ottava rima. Così, dato che la strada dei riassunti scolastici non si è mai rivelata funzionale al godimento di un poema come il Furioso, Calvino ha adottato una strategia ibrida, individuando ventidue episodi fondamentali del libro dell’Ariosto e quindi proponendone le ottave più memorabili intervallate da inserti in prosa in cui sintetizza, contrappunta e chiarisce per noi lettori le parti più ardue dell’episodio narrato. Sembrerà strano, ma il tentativo di Calvino funziona, in quanto l’autore di Marcovaldo non vuole sostituire il testo di Ariosto ma proporne una guida alla lettura, offrendoci così una serie di itinerari “facilitati” e dotati di commenti che ne facilitano la fruizione e la comprensione. Ovviamente si perde un po’ il senso riposto del capolavoro ariostesco, quell’entrelacement che conduce il lettore lungo un continuo zigzagare tra mille avventure che arrivano ogni volta al punto culminante per passare a qualcos’altro (e così via), ma cattura decisamente lo spirito del Furioso e può costituire un buon viatico per la lettura diretta dell’opera (che forse era proprio il fine ultimo che Calvino si era fissato). Assolutamente da provare.

Italo Calvino, Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1970; pp 286

domenica 23 maggio 2021

TRASH, UN GIALLO D’INCHIESTA NATO DALLA SPAZZATURA

Andy Mulligan, classe 1966, originario di Londra, dopo la laurea a Oxford ha fatto il direttore teatrale per dieci anni, poi ha insegnato Inglese e Drammaturgia alternandosi tra l’India, le Filippine e il Brasile, quindi ha esordito come autore di narrativa per ragazzi, centrando il successo internazionale proprio con Trash nel 2010, un romanzo che poi nel 2014 è stato traslato sul grande schermo da Stephen Daldry, il regista di Billy Elliot. La storia al centro di Trash prende avvio in India, a Behala, un sobborgo di Calcutta, e vede protagonisti tre ragazzini di quattordici anni, Raphael, Gardo e Ratto, che sopravvivono rovistando tra i rifiuti della vasta discarica locale, per poi smistarli e venderli a peso. Ovviamente hanno a che fare soprattutto con l’immondizia prodotta dagli abitanti della baraccopoli circostante, quindi in parecchi dei sacchetti che i tre squarciano con i loro rampini si trova quasi sempre quella che loro chiamano stuppa, ovvero escrementi umani, perché negli slums suburbani l’acqua corrente e i servizi igienici sono un optional rarissimo degli alloggi di fortuna in cui vivono gli esponenti più poveri e sfortunati della razza umana, che fanno i propri bisogni dove capita e li raccolgono con carta di giornale (o quello che c’è) per poi gettarli via con la spazzatura. Un bel giorno, però, mentre Raphael sta girovagando a piedi nudi con Gardo per la discarica, al ragazzo capita una bella sorpresa: un borsello con dentro un sacco di soldi, documenti, una mappa e una chiave di piccole proporzioni (senza indizi su cosa esattamente possa aprire). Non c’è neanche il tempo di gioire della fortuna insperata che si fanno avanti con grande energia i poliziotti, che sembrano davvero pronti a tutto per recuperare l’oggetto: dopo lo sconforto iniziale, i due ragazzi decidono di coinvolgere anche Ratto per scoprire cosa bolle in pentola, visto che sembra molto importante per la polizia. Così, con calma e metodo, i tre cominciano a indagare per trovare la serratura della chiave misteriosa, imbattendosi in un codice cifrato complicatissimo e ritrovandosi dentro una brutta storia di malapolitica che in tanti vorrebbero tenere segreta. Trash si sviluppa come un gradevole cocktail tra un romanzo d’avventura e un anomalo giallo d’inchiesta raccontato da una spiazzante prospettiva multipla che ogni volta costringe il lettore a mettersi nei panni di un personaggio diverso - Raphael, Gardo e Ratto, ovviamente, ma anche il missionario Padre Juilliard e l’assistente Olivia Weston –. Insomma, una storia intricata ma anche avvincente e con l’immancabile happy ending in agguato. Assolutamente da provare.

Andy Mulligan, Trash, Milano, Rizzoli, 2014; pp. 277 

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...