giovedì 29 dicembre 2022

LE STORIE DA NON CREDERE DI ZUCCONI

L’autore di questa saporita e deliziosa raccolta di racconti è uno dei migliori giornalisti italiani dell’ultimo mezzo secolo, Vittorio Zucconi (1944-2019), per lunghi anni inviato de “La Stampa” e di “Repubblica” in mezzo mondo, nonché autore di vari libri tra cui Stranieri come noi. Non è quindi un caso che anche Storie da non credere sia stato scritto nel 2000 negli Stati Uniti, dove Zucconi ha vissuto gran parte della sua vita e dove si è spento di recente. Come lo stesso autore spiega nella premessa alla raccolta, uno scrittore è un giardiniere in grado di far germogliare storie da ogni occasione, dato che i semi delle storie si possono trovare ovunque intorno a noi, figuriamoci in America, che per certi versi è la nazione fondatrice delle leggende metropolitane… Complessivamente Storie da non credere assortisce quarantotto racconti articolati in tre sezioni che già dai titoli sono tutto un programma: gente strana, i casi della vita e sorprese finali. E in effetti sono tutti casi strani quelli raccolti e raccontati da Zucconi, sempre sul filo di un irresistibile humour, perché talvolta queste storie strappano davvero un sorriso e tengono il lettore col fiato in sospeso fino all’ultima riga, dato che spesso si chiudono con l’artificio narrativo prediletto del grande nume della fantascienza breve, Fredric Brown, ovvero il finale a sorpresa. Il bello però è che queste storie incredibili sono tutte vere e si potrebbero trovare in qualunque giornale alla voce “curiosità”. Si comincia con la strana vicenda di Ruth Hana e della sua generosa eredità in… alluminio per chiudere con il coraggioso salvataggio infantile ad opera di una siamese di cui scopriremo la vera natura solo in extremis. In mezzo troveremo casi umani troppo incredibili per essere veri ma di fatto accaduti nella realtà: la rapina galeotta al Bancomat con finale ai fiori d’arancio, la detenuta che scoprì di cucinare uno struggente chili con carne, l’ultraventennale ricerca della giusta qualità di mele per replicare la torta della nonna, la leggendaria torta del… ladro e ci fermiamo per evitare di spoilerare troppo. Una miriade di storie che Zucconi ci racconta spesso sul filo di un irresistibile humour, in certi casi anche con una puntina di macabro ma sempre trattenuto. Un libro di racconti tutti assolutamente da scoprire (e il bello, va ricordato, è che sono anche tutti veri): il divertimento è assicurato, insomma.

Vittorio Zucconi, Storie da non credere, Torino, Einaudi, 2001; pp. 222

giovedì 22 dicembre 2022

UN ROMANZO PER RAGAZZI… DADIECI

Diciamo subito che Dadieci è un romanzo per ragazzi che coniuga sport, formazione e buoni sentimenti. L’autrice, Saschia Masini, è fiorentina ed ha tratteggiato un’ambientazione decisamente caratteristica per la storia, che presenta personaggi ben delineati e difficili da dimenticare, oltre a un ritmo davvero pimpante che costringerà il lettore agli straordinari per arrivare ai titoli di coda. Il protagonista è un tredicenne con la passione del pallone che risponde al nome (piuttosto raro, in effetti) di Ardito: neanche a dirlo, il suo sogno è quello di sfondare nel calcio e finire su una figurina Panini ma purtroppo si trova bloccato da una perentoria punizione affibbiatagli dai genitori paleontologi dopo un brutto guaio causato alle vetrate scolastiche… Il povero Ardito dovrà astenersi da allenamenti e partite fino al ritorno dei genitori da una spedizione di ricerca nell’America Latina: l’unico modo per essere perdonato è una missione sulla carta impossibile, dato che consiste nello scrivere un tema su un nonno e meritare un “Dadieci”, la massima valutazione del Prof. Raimondo, docente di Italiano che peraltro non ha mai assegnato un voto simile nella classe di Ardito. La missione è doppiamente impossibile perché richiederebbe, per avere un minimo di speranza di riuscita, un nonno mediamente interessante, mentre l’unico che Ardito ha a disposizione, nonno Marzio, è bloccato da una vita su una carrozzina o a letto, mangia con difficoltà e blatera frasi  col contagocce e in apparenza prive di senso compiuto. Un compito ingrato, insomma, complicato anche dal fatto che il sostituto di Ardito nella squadra del Rapid Ripoli di Bagno a Ripoli, sembra capace di non far avvertire ai compagni la sua assenza. Ma il nostro eroe, spinto anche da sentimenti che non avrebbe creduto possibile provare, scoprirà che nonno Marzio nasconde dentro di sé una storia molto più complessa di quanto il nipote avrebbe mai potuto immaginare, da un’insospettabile passione calcistica a un misterioso (e fantomatico) brillante che forse non è nemmeno mai esistito. Risalendo la corrente del tempo all’incontrario va da sé che il ragazzo troverà più del previsto e forse, oltre a un tema potenzialmente “Dadieci”, anche qualcosa in grado di dare un senso alla sua vita, chissà… Il finale, quando arriva, risulta sorprendente e forse anche un po' buonista ma è anche l’unico possibile. Dadieci racconta una bella storia di formazione arricchita da un sottofondo di realismo e di valori umani, contrappuntata da un buon numero di siparietti divertenti e talvolta irresistibili: il fil rouge costante, neanche a dirlo, è il calcio, ma quello vero e sincero dei campi di provincia, non quello all’insegna dell’apparenza a tutti i costi che al giorno d’oggi regna sovrano in televisione. Assolutamente da provare e adatto a lettori di tutte le età.

Saschia Masini, Dadieci, Casal Monferrato, Piemme, 2020; pp. 287

mercoledì 21 dicembre 2022

RACCONTI DI NATALE: (QUASI) TUTTI PIÙ BUONI... E ALCUNI ANCHE PIÙ STRANI

Stando a questa godibile raccolta dell’Einaudi curata da Nico Orengo il racconto di Natale è un genere a sé almeno dalla nascita di Gesù Cristo, ovvero dal primo Natale della storia, narrato nei Vangeli sia nella versione secondo Luca che in quella secondo Matteo (entrambe peraltro presenti nella sezione d’apertura di questo volume). Il racconto di Natale fa pensare in primo luogo all’atmosfera così unica e caratteristica che prepara ogni anno l’arrivo del 25 dicembre, la ricorrenza religiosa per eccellenza, davvero ricchissima sul versante simbolico: dall’attesa della festa alla sorpresa del dono, dalla meraviglia dell’albero decorato e luminescente al profluvio di amore e buoni sentimenti, dal banchetto tutti insieme alla magia insita nella notte di Natale. Insomma, ai tipici ingredienti del Canto di Natale di Charles Dickens, per intenderci, che infatti non è incluso nella raccolta… In particolare Racconti di Natale assortisce complessivamente ben trentanove storie a tema suddivise in sei sezioni. La prima narra appunto gli inizi del genere e presenta racconti… diversamente antichi della natività, dalle versioni evangeliche sopra citate fino a quelle di Jacopo da Varazze e di Giovanni da Hildeshem. La seconda è dedicata allo spirito del Natale e rappresenta il vero cuore simbolico del libro: si comincia col delizioso Il dono dei magi del grande O. Henry per arrivare al più strepitoso racconto natalizio di sempre, ovvero Il racconto di Natale di Auggie Wren che Paul Auster scrisse per la sceneggiatura del film Smoke, diretto da Wayne Wang, e in mezzo figurano delizie meno note come Il dono di Ray Bradbury (un bell’esempio di fantascienza natalizia) e il malinconico Un Natale di Truman Capote. La terza sezione verte invece sugli spiriti di Natale: si apre con La favola di Natale di Giovannino Guareschi e si chiude con Markheim di Robert Louis Stevenson, con un Buzzati dickensiano e un inquietante E.T.A. Hoffman nel mezzo. La sezione seguente s’intitola “Bad Christmas” e presenta prospettive contrastanti al classico buonismo natalizio, come il sorprendente La stella di Arthur C. Clarke (allarmante rilettura distopica della cometa che accompagnò la venuta del Redentore) e il giallo a orologeria de L’avventura del carbonchio azzurro di Arthur Conan Doyle con protagonista Sherlock Holmes. Completamente diverso il sapore della penultima sezione (“Sad Christmas”), in cui spicca il triste ritratto del partigiano sopravvissuto de Il Natale del 1945 di Mario Rigoni Stern. “Lieto finale” è la sezione di chiusura, avviata da I figli di Babbo Natale, catastrofico ma divertente racconto tratto da Marcovaldo di Italo Calvino. Insomma, il libro ideale per una full immersion nello spirito natalizio da ogni possibile prospettiva.

AA.VV., Racconti di Natale, a cura di Nico Orengo, Torino, Einaudi, 2005; pp. 424

martedì 20 dicembre 2022

IL TRATTAMENTO RIDARELLI

Ormai è diventato un classico della narrativa per ragazzi, praticamente perfetto per tutti i ragazzi che nel libro vedono un oggetto minaccioso da scardinare pagina dopo pagina. Al contrario questo divertentissimo romanzo illustrato per ragazzi - di natura prettamente comica e dal ritmo assai pimpante - propone una vicenda tanto esile quanto ricca di suspense che costringerà chiunque vi si sia avventurato ad arrivare all'ultima pagina nel più breve tempo possibile. Il trattamento Ridarelli è uno dei titoli più noti dello scrittore irlandese Roddy Doyle - classe 1958, già autore di The Commitments  (da cui Alan Parker ha tratto l'omonimo film musicale) e Paddy Clarke ah ah ah! - e costituisce la prima parte di una saga che prosegue con Le avventure nel frattempo e Rover salva il Natale. E dunque scopriamola: ne è protagonista l’irresistibile signor Mack, un ottimo padre di famiglia che di professione fa l’assaggiatore di biscotti in una fabbrica di biscotti che produce ben 365 varietà dolciarie. Il signor Mack ogni giorno dell’anno assaggia un prodotto diverso, tranne quello in cui è costretto a ‘saggiare’ le proprietà dei cracker, che non gli piacciono granché, mentre è un accanito sostenitore del biscotto alla marmellata di fichi, senza ombra di dubbio il suo preferito. Il trattamento Ridarelli prende avvio per l’appunto nel giorno lieto in cui il protagonista ha davanti l'ottima prospettiva di dedicarsi al suo biscotto prediletto, ma qualcosa potrebbe andare storto, dato che, proprio dietro l’angolo, lo attende una montagna fumante di materia poco nobile. Sì, avete capito bene: trattasi di escrementi canini prodotti nientemeno che da Rover, il quadrupede di casa Mack. Chi li ha posti proprio sul percorso del signor Mack, vi chiederete? Sono state delle strane creature che rispondono al nome di Ridarelli, esseri bizzarri che hanno fatto della giustizia filiale una vera e propria ragione di vita: è per questo che, per punire i genitori che hanno trattato male ingiustamente i rispettivi pargoli, i Ridarelli acquistano da Rover, un vero esperto del settore, gli escrementi che porranno lungo la strada dei ‘cattivi’ genitori per punirli delle loro malefatte. Sembrerebbe poco per realizzarne un romanzo, ma il fatto è che Roddy Doyle dilata oltre misura il momento che attende l’inopportuna imbrattatura della scarpa del signor Mack e la corsa disperata contro il tempo per impedire questa ingiustizia. Il tono è ovviamente comico, come abbiamo precisato in apertura, e contrappuntato da intriganti illustrazioni dei dettagli più curiosi. Menzione di merito per la modalità decisamente originale con cui vengono presentati i vari capitoli con tanto di sottotitoli. Un libro indubbiamente divertente e dotato a suo modo di un’insostenibile suspense: seguiremo il percorso (assai dilatato nel tempo) del signor Mack e tutto quello che sta succedendo a sua insaputa per impedire l’ingiustizia che lo attende. Il tono è leggero ma al tempo stesso davvero efficace e divertirà non solo i palati più verdi ma anche quelli dei lettori adulti. Decisamente consigliato per tutti coloro che cercano un libro capace di offrire una sana distrazione ludica… 

Roddy Doyle, Il trattamento Ridarelli, Milano, Salani, 2009; pp. 108


giovedì 17 novembre 2022

STARGIRL: L'ADOLESCENZA, L'AMORE... E JERRY SPINELLI

S’intitola semplicemente Stargirl ed è uno dei romanzi per ragazzi più apprezzati di un vero maestro del genere, lo scrittore americano Jerry Spinelli, classe 1941, autore anche di Crash, La schiappa e Misha corre. Si tratta propriamente di un romanzo di formazione raccontato dalla prospettiva di Leo Borlock, un ragazzo di Mica, Arizona, che ha una strana passione per le cravatte con i porcospini: è lui che ci racconta la storia in prima persona ed è lui che, quasi senza accorgersene, s’innamora a prima vista di Stargirl Caraway. Tra l’altro non sarebbe nemmeno scontato, perché Stargirl, che ha questo strano nome perché ha deciso di farsi chiamare così, è una tipa non particolarmente attraente ma decisamente strana, tanto da risultare un’eccentrica al cubo in una località tranquilla ma tremendamente conformista come Mica, Arizona, dove tutti i ragazzi si vestono allo stesso modo, parlano degli stessi argomenti, pensano nella stessa identica maniera. Stargirl invece è tutto meno che convenzionale e scontata: si veste con un abbigliamento tra il vintage e l’improbabile, gira per la scuola con un ukulele sulle spalle, come animaletto domestico ha un piccolo roditore (un topolino, insomma) e lo nasconde nello zaino che, neanche a dirlo, è completamente diverso da tutti gli altri zaini dei ragazzi locali. Inoltre Stargirl ben presto inizia una routine curiosa quanto famigerata alla mensa scolastica del suo liceo: dopo aver pranzato, infatti, prende a girovagare per i tavoli fino a trovare uno studente che compie gli anni quel giorno e, immancabilmente, si mette a cantargli buon compleanno accompagnandosi con l’ukulele. In breve la ragazza col suo comportamento istrionico e sopra le righe contagia la scuola in positivo, catturando l’attenzione dei suoi coetanei e, in certo senso, risvegliandoli dal conformistico torpore in cui vegetavano. Lo comprende ben presto anche Leo Borlock, che fa il regista per il programma televisivo “Sedie roventi” insieme al suo amico Kevin (che lo presenta): i due individuano in Stargirl una ‘vittima’ perfetta per mandare alle stelle l’audience del loro show. Da qui in poi le cose sono destinate a complicarsi quando sboccia qualcosa di tenero tra Leo e Stargirl: per una circostanza imprevedibile infatti i ragazzi locali, che prima l’avevano adottata, iniziano a prendere le distanze rispetto all’eccentrica ragazza e di conseguenza anche Leo comincia a sentirsi isolato. Che succederà? Lo scopriremo ovviamente in un pirotecnico finale dove Stargirl lascerà senza fiato una scuola intera alla festa danzante di fine anno, prima di uscire di scena per sempre come un cavaliere solitario… Una gran bella storia, insomma, capace di sviscerare in profondità le relazioni tra adolescenti e il contrasto che nasce quando una personalità emerge dalla massa come una gemma luccicante in mezzo a un mucchio di pietre opache delle stesso colore. Lo sviluppo conclusivo della storia raccontata in Stargirl sviscera la difficoltà della protagonista ad ‘inquadrarsi’ nel resto del gruppo per amore di Leo, che mal sopporta le conseguenze che l’isolamento sociale della ragazza potrebbe portare anche nella sua vita, e nonostante il fatto che Stargirl sia destinata a rimanere indelebilmente impressa nel suo cuore. Il romanzo è già stato efficacemente traslato sul grande schermo ed ha innescato anche l’immancabile sequel, intitolato Per sempre Stargirl. Per un salutare tuffo nell'adolescenza di un personaggio davvero difficile da dimenticare.

Jerry Spinelli, Stargirl, Milano, Mondadori, 2004; pp. 170 

DODICI RACCONTI RAMINGHI: GARANTISCE GABO...

Si tratta di una raccolta di racconti dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez (1927-2014), premio Nobel per la Letteratura 1982, già autore di Cent’anni di solitudine, Cronaca di una morte annunciata e L’amore ai tempi del colera. Giornalista e sceneggiatore, il grande Gabo ha sempre avuto una predilezione per la narrativa breve e questi Dodici racconti raminghi ne sono la testimonianza perfetta: come spiega nell’introduzione alla raccolta, i soggetti di questi dodici racconti hanno avuto una gestazione ultradecennale, hanno rischiato di finire perduti, sono stati faticosamente ricostruiti, finalmente sono sbocciati in racconti, sottoposti ad una spietata revisione che ne ha lasciati in piedi soltanto dodici, e decisamente raminghi, considerando l’accidentata odissea che hanno dovuto attraversare prima di diventare un libro. Gli elementi comuni ai dodici racconti superstiti sono quelli che ci si potrebbe attendere da García Márquez: molti rientrano a buon diritto nel realismo magico che ha fatto la fortuna dello scrittore originario di Aracataca, vari mostrano una spiccata prospettiva autobiografica (essendo nati nel corso delle molteplici residenze che Gabo ha cambiato per il mondo) e sono narrati in prima persona, parecchi vedono protagonisti personaggi che riescono a risultare indimenticabili nella manciata di pagine necessarie a raccontare una storia. Si comincia con il malinconico ritratto di un presidente latinoamericano in esilio di Buon viaggio, signor presidente e si conclude con la lancinante e tristissima luna di miele del conclusivo La traccia del tuo sangue nella neve. Nel mezzo ai due estremi l’autore ci presenta molteplici e diversissimi ritratti, alcuni immaginati, altri ricostruiti minuziosamente: dal suo viaggio contemplativo in quota al fianco di una bellissima compagna di viaggio tra le braccia di Morfeo ne L’aereo della bella addormentata al fatto di cronaca raccontato dopo un anomalo incidente automobilistico che ha visto vittima una signora che di professione sognava il futuro in Mi offro per sognare, dall’allucinante destino di una donna internata per caso in un improbabile manicomio nel racconto “Sono venuta solo per telefonare” all’atipico horror a sorpresa in un castello aretino con fantasma di Spaventi di agosto. Assolutamente da provare.

Gabriel García Márquez, Dodici racconti raminghi, Milano, Mondadori, 1994; pp. 203

giovedì 3 novembre 2022

SUPER SIZE ME: IL LIBRO

All’indomani dell’uscita nei cinema del suo fortunato documentario Super Size Me, premiato nella relativa categoria al Sundance Festival del 2004,  il regista americano Morgan Spurlock, classe 1970, pubblicò anche Non mangiate questo libro, che approfondisce e documenta il notevole lavoro di ricerca che poi è finito soltanto parzialmente nel film. Lo stile del libro è in perfetto accordo con quello del documentario: l’autore ha scritto un saggio assolutamente coinvolgente e divertente da leggere, davvero in linea con il brio registico che caratterizza Super Size, che ha una struttura diaristica di base – un pazzesco ed estremo esperimento alimentare a cui lo stesso regista si sottopone per trenta giorni mangiando solo cibi della catena McDonald’s a colazione, pranzo e cena per registrarne gli effetti sull’organismo umano sotto il controllo di un’équipe medica – in cui alle classiche interviste e sequenze narrative s’intarsiano parti animate e brani rock che rendono il documentario molto accattivante da vedere. Non mangiate questo libro prende avvio sfruttando il divieto del titolo per arrivare a riflettere sul concetto di ‘etichetta d’avvertenza’, nata negli Stati Uniti per difendere dalle cause legali dei clienti danneggiati tutte le aziende produttrici: Spurlock ribadisce infatti che il suo libro è solo per uso esterno, o al limite potrebbe essere considerato cibo per la mente… Tutto è cambiato quando, dopo decenni di pubblicità (peraltro ingannevole) finanziata dalle multinazionali del tabacco che hanno spinto soprattutto i giovani ad iniziare a fumare precocemente mostrando il vizio del fumo come una tendenza cool, a fine anni Novanta hanno preso avvio le prime cause risarcitorie collettive (o class-actions che dir si voglia) contro i principali produttori di sigarette da parte di alcuni stati per arginare le crescenti spese sanitarie per i danni causati dal fumo (che hanno iniziato a comparire sui pacchetti di sigarette). Secondo Spurlock sarebbe un atteggiamento emblematico del modello consumistico americano attuato anche da altre tipologie di industrie, come quelle automobilistiche o quelle alimentari, che hanno speso miliardi di dollari per convincere gli americani di aver bisogno di macchine per andare ovunque e di sempre più cibo, senza peraltro ottenere mai la felicità, perché consumare porta soltanto a consumare ancora di più. Lo spunto per Super Size Me – titolo mutuato dal menu XL venduto all’epoca da McDonald’s e poi soppresso dopo il successo del film – è nato appunto dalla causa intentata alla catena della grande M da due fedelissime clienti adolescenti gravemente obese: il giudice non si pronunciò però a loro favore adducendo la motivazione che si sarebbe dovuto dimostrare che la loro obesità sarebbe stata causata da una dieta esclusivamente di prodotti venduti da McDonald’s. L’esperimento estremo di Spurlock nasce da qui, per registrare i danni provocati sul suo organismo da trenta giorni di bagordi alimentari a base di Big Mac, patatine fritte, Coca Cola e affini. Risultato: undici chili e mezzo (soprattutto di massa grassa) in più e valori del sangue completamente sballati. La dipendenza da fast food è un problema difficile da risolvere anche perché i ragazzi americani fanno poca attività fisica e mangiano male (di solito, almeno) anche nelle mense scolastiche: da adulti questo modello sballato spesso degenera nell’obesità e in altre patologie. Catene di ristoranti come McDonald’s, Burger King e Taco Bell amplificano il problema per la qualità discutibile dei prodotti e per l’efficacissima pubblicità capace di catturare l’attenzione dei clienti fin da piccoli (basti pensare agli irresistibili gadget degli Happy Meal per bambini). Che fare dunque? Secondo Morgan Spurlock siamo ciò che mangiamo e, se mangiamo pessimo cibo, non avremo una buona salute. Dovremo dunque impegnarci ad essere genitori modello anche in ambito alimentare con le nuove generazioni, attenderci che anche gli insegnanti facciano lo stesso e… votare con le nostre forchette, puntando sui politici che sostengono un modello di alimentazione corretta ed equilibrata. Non mangiate questo libro è un saggio corposo ma agile che sviscera in profondità il modello alimentare dei fast food e dintorni, indicandoci la via da seguire per evitare la dipendenza dal cibo spazzatura: un pugno allo stomaco (ricco d’ironia) contro l’industria del cibo.

Morgan Spurlock, Non mangiate questo libro, Roma, Fandango Libri, 2005; pp. 341

mercoledì 2 novembre 2022

ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE: RITA LEVI MONTALCINI SI RACCONTA…

La scienziata torinese Rita Levi Montalcini (1909-2012) salì agli onori della cronaca internazionale  grazie alla scoperta del Nerve Growth Factor (NGF), ovvero in virtù degli studi che le consentirono di vincere il premio Nobel per la Medicina nel 1986. L’Elogio dell’imperfezione è la sua autobiografia, che la Montalcini pubblicò giusto l’anno successivo. In questo libro l’autrice racconta le tappe più significative della sua vita e il suo approccio alla ricerca scientifica, tratteggiato come un cammino esistenziale in cui è necessario riconoscere i propri errori, imparare a conviverci e magari superarli trovando una soluzione per arrivare all’obiettivo finale. In tal senso il cammino di un ricercatore onesto e determinato spesso è destinato all’imperfezione, a cui quindi Rita Levi Montalcini intende rivolgere un elogio col suo libro. Si tratta di un’autobiografia convenzionale, comunque, quindi l’autrice parte affrescando la sua città d’origine, la Torino d’inizio Novecento, racconta la sua famiglia, i suoi interessi e ovviamente il momento topico in cui, in seguito alla malattia di una persona vicina alla famiglia, prese la decisione di studiare medicina nonostante avesse frequentato il liceo femminile, che non consentiva di proseguire gli studi universitari: così, dopo aver superato l’opposizione del padre, affettuoso ma autoritario, Rita Levi Montalcini insieme a un’amica prese la decisione di prepararsi autonomamente per superare l’esame di ammissione all’università. Poi, pagina dopo pagina, Elogio dell’imperfezione ci porta lungo le varie fermate esistenziali dell’autrice: gli studi universitari, la morte del padre, le difficoltà causate dalle leggi razziali, il trasferimento negli Stati Uniti, a Saint Louis, il ritorno in Italia anni dopo per ricongiungersi con la famiglia. Il libro si conclude con una sorta di lettera rivolta a Primo Levi per il messaggio che lo scrittore aveva consegnato ai suoi lettori ritrovando la luce dell’Ulisse dantesco nell’inferno di Auschwitz. È davvero un bel viaggio autobiografico, insomma, quello raccontato nell’Elogio dell’imperfezione: con la sua prosa essenziale ed elegante al contempo Rita Levi Montalcini ricorda le sue scelte, gli studi, la sua famiglia, i luoghi della sua vita, la ricerca scientifica. Assolutamente da leggere.

Rita Levi Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Milano, Garzanti, 1988; pp. 232

mercoledì 19 ottobre 2022

STEVENSON, UNA MAPPA E... QUINDICI UOMINI SULLA CASSA DEL MORTO!

Nonostante L’isola del tesoro sia stato spesso apparentato alla narrativa per ragazzi tout court, il romanzo di Robert Louis Stevenson (1858-94) regge da vero classico qual è alla prova del tempo grazie agli ottimi ingredienti miscelati nell’impeccabile ricetta letteraria: un protagonista sveglio ed adolescente come Jim Hawkins, un ambiguo villain del calibro di Long John Silver, una vera goletta settecentesca come la Hispaniola, un pugno di vecchi bucanieri, un'autentica mappa del demoniaco capitano Flint, una misteriosa isola del tesoro da trovare (e magari dove perdersi). Dal futuro autore de Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde un grande classico che, parafrasando Calvino, non finisce mai di dire quel che ha da dire, intrigante per lettori di tutte le età, fruibile a svariati livelli ma, dato che Stevenson lo dedicò al figliastro Lloyd Osbourne nel 1882, vale indicarne il taglio pedagogico: una caccia al tesoro che equivale, per il giovane protagonista, ad un itinerario d’ingresso nella maturità, alla scoperta della spietatezza che domina incontrastata i rapporti umani nel mondo, spesso regolati da un’etica di marca economica. Eppure è con gioia e trepidazione che il giovane Hawkins parte alla volta del tesoro nascosto in un’isola dei mari del Sud “su una goletta, con un nostromo che avrebbe suonato il fischietto, e marinai dal codino incatramato che avrebbero cantato: sul mare, verso un’isola sconosciuta, alla ricerca di tesori nascosti!”. L’isola del tesoro prende avvio quando Jim trova nel baule di Billy Bones, vecchio lupo di mare morto ammazzato nella sua locanda, l’Admiral Benbow, una mappa per una fantomatica isola del tesoro e la consegna al dottor Livesey ed all’aristocratico Trelawney, che in breve organizzano la spedizione di ricerca. Il richiamo dell’oro di John Flint, pirata d’inaudita ferocia, dividerà immediatamente l’equipaggio approdato alla malsana isola tropicale: da una parte Jim, Trelawney, Livesey, il capitano Smollett e pochi altri buoni, dall’altra il resto della ciurma, un tempo agli ordini di Flint in persona, capeggiati dal suadente Long John Silver che, nonostante abbia una gamba di legno, si rivelerà il più furbo e spietato di tutti. Alla fine, con non poche difficoltà e grazie all’aiuto dello strano Ben Gunn (ex bucaniere abbandonato nell’isola tre anni prima), i buoni avranno la meglio, ma Jim Hawkins resterà turbato per sempre dal tributo di sangue gravante sullo straordinario tesoro. Indicato dai nove anni in poi, come suggeriscono i curatori dell'edizione Einaudi, che è l'età più adatta per perdersi in questa straordinaria avventura di crescita con occhi (empatici) da adolescente, ancor più godibile in un'edizione illustrata come questa. In realtà il classico stevensoniano regge a meraviglia all'usura del tempo, dunque ne consigliamo vivamente la scoperta (o la riscoperta) anche ai lettori più maturi, anche a chi l'ha letto in tempi più verdi: una vera garanzia per tornare all'adolescenza con un biglietto di andata e ritorno... 

Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, Torino, Einaudi, 2010; pp. 330

sabato 15 ottobre 2022

LE NOVELLE RUSTICANE DI GIOVANNI VERGA

L’autore siciliano Giovanni Verga (1840-1922) pubblicò la raccolta delle Novelle rusticane nel 1883, nel punto culminante della sua produzione narrativa, tra l’uscita dei suoi capolavori romanzeschi, I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo, editi rispettivamente nel 1881 e nel 1889. Le Novelle rusticane insieme alla precedente raccolta di novelle intitolata Vita dei campi costituiscono una sorta di galleria tematica di elementi del Verismo destinati a trovare una più ampia trattazione nelle ambientazioni dei romanzi maggiori. Rispetto a Vita dei campi nelle storie raccontate nelle Novelle rusticane affiora maggiormente il pessimismo di Verga, che occulta la propria voce narrando storie di ordinaria umanità dei più bassi ceti sociali del Meridione, ambientandole spesso nel periodo dell’impresa dei Mille di Garibaldi, che negli intenti avrebbe dovuto portare un po’ di giustizia sociale ma che poi ha finito per tradire le aspettative del popolo, di cui Verga tratteggia l’amara disillusione. Le Novelle rusticane assortiscono complessivamente dodici novelle, ovvero Il ReverendoCos’è il reDon Licciu PapaIl MisteroGli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. GiuseppePane neroI galantuominiLibertàDi là dal mare. Dieci delle novelle erano inedite al momento della pubblicazione, mentre due erano state già pubblicate su riviste: La roba era infatti uscita sulla “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti” del 26 dicembre 1880 e Libertà nella “Domenica letteraria” del 12 marzo 1882. Le due novelle costituiscono senza dubbio i due vertici artistici della raccolta. Nella prima Verga dà forma e sostanza a Mazzarò, singolare esempio di contadino arricchito ed abbrutito dall’ossessione per la cosiddetta “roba”, ovvero per le ricchezze accumulate a dismisura che non sopporta di dover abbandonare, ormai essendo vecchio e destinato a morire: si tratta di un personaggio con notevoli punti in contatto col protagonista di Mastro-don Gesualdo, che vive un’arrampicata sociale culminata nella ricchezza ma che non porta felicità alla sua esistenza. La seconda novella, Libertà, è ispirata a un fatto storico avvenuto a Bronte nell’agosto del 1860, durante l’impresa dei Mille, quando i contadini si rivoltarono contro i notabili locali, contando sul fatto che le proprietà terriere dei nobili sarebbero state ridistribuite al popolo, mentre invece Garibaldi inviò sul posto il fidato Nino Bixio per punire i responsabili dei crimini commessi e ristabilire l’ordine. La novella non cita luoghi e nomi, ma il riferimento alla strage è evidente e la rivolta popolare è tratteggiata come una fiumana inarrestabile, attraverso voci corali che contrappuntano le violenze narrate a tinte forti. Questa raccolta rappresenta un viadotto ideale per entrare nel complesso mondo narrativo di Verga.

Giovanni Verga, Novelle rusticane, Napoli, Medusa, 2007; pp. 167

lunedì 10 ottobre 2022

MUSCHIO: UN'AVVENTURA A QUATTRO ZAMPE IN TEMPO DI GUERRA

L'eclettico autore di Muschio si chiama David Cirici, nato a Barcellona nel 1954, ed ha svolto un sacco di professioni nella vita: docente di lingua e letteratura, pubblicitario, sceneggiatore per la radio e per la televisione. Muschio è un folgorante racconto degli orrori della guerra visti attraverso gli occhi di un cane nero di pelo riccio che si chiama, appunto, Muschio. Essendo un cane, il nostro protagonista, che è dotato di un fiuto eccezionale con cui è solito leggere il mondo e archiviare i suoi ricordi, non è in grado di comprendere qualcosa di complesso (e, sostanzialmente, incomprensibile) come la guerra. Prima era un 'normale' cane da compagnia e amava i due bambini della famiglia che l'aveva adottato, insieme ai quali adorava giocare tutti i santi giorni, ma purtroppo a un certo punto una bomba è arrivata a distruggergli il suo mondo perfetto in un attimo. Lui  però riesce a ricordare i suoi due padroncini ancora oggi grazie ai loro odori unici ed irripetibili, oltre a quella deliziosa sensazione di solletico che accompagnava i loro momenti di gioco insieme a lui. Ogni tanto, infatti, girovagando per le rovine della città, quell'odore ricompare a sprazzi, ma per il nostro eroe a quattro zampe poi risulta sempre impossibile ritrovarne la fonte, purtroppo, anche se lui senza dubbio non smetterà di provarci. Una pagina dopo l'altra ricostruiremo la storia di Muschio e le sue infinite avventure, che lo porteranno in situazioni difficili o a contatto con persone orribili, spesso abbrutite dalla guerra: il nostro eroe troverà un variopinto gruppo di compagni di viaggio, finirà dietro le sbarre, diventerà un implacabile  guardiano di vittime, combatterà con bestie feroci e avrà a che fare con esseri umane anche più mostruosi. Il tutto sorretto dall'incrollabile speranza di riuscire un giorno a ritrovare i bambini che ha perduto e che continuano a dare un senso alla sua vita grazie all'incancellabile ricordo olfattivo che Muschio conserva di loro. Corredano questa bella storia per ragazzi, che nel 2013 ha vinto il prestigioso Premio Edebé de Literatura Infantil, le incisive illustrazioni di Federico Appel. Si tratta di un romanzo semplice ma davvero incisivo, che cattura progressivamente con l'originalità della prospettiva dal basso di un cane di buona volontà costretto a ritrovare il suo perduto posto nel mondo in tempo di guerra. Da provare.

David Cirici, Muschio, Milano, Il Castoro, 2015; pp. 117

domenica 9 ottobre 2022

IL SOGNO DEGLI ANDROIDI E IL CUPO FUTURO DI PHILIP K. DICK

Il romanzo in assoluto più noto della sterminata produzione dello scrittore americano Philip K. Dick (1928-1982) risale al 1968 e s’intitola Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ma in Italia il libro è stato pubblicato anche col titolo Il cacciatore di androidi e ovviamente Blade Runner, mutuando l’omonimo film di Ridley Scott del 1982 con Harrison Ford, Rutger Hauer e Sean Young, indiscusso cult movie del cinema fantascientifico. La storia è ambientata nell’oscuro scenario post-apocalittico della San Francisco del 1992, in un mondo in decadenza da cui l’umanità ha cercato di scappare emigrando nelle colonie extramondo. Sulla Terra le specie animali sono praticamente tutte estinte e quindi in molti cercano di acquistare copie di animali prodotte in laboratorio o i meno pregiati simulacri robotici, esattamente come la pecora elettrica (peraltro mal funzionante) del protagonista della storia, Rick Deckard, di professione cacciatore di taglie di androidi sfuggiti al controllo degli umani e dunque da ‘ritirare’ ovvero da eliminare. Il buon Deckard vive con la moglie Iran e si sente frustrato per non essere riuscito ancora ad acquistare un animale domestico vivente: anche per questo, oltre che per sfuggire alla noia, accetta di concludere un incarico lasciato a metà dall’anziano cacciatore di taglie Dave Holden, rimasto ferito dopo aver ucciso due degli otto androidi modello Nexus 6 fuggiti dalla colonia extramondo di Marte. Subito Deckard con la sua aeromobile si reca a Seattle ai laboratori della Rosen Industries, dove sono stati prodotti gli androidi fuggitivi: qui incontra Rachael Rosen, nipote di Eldon Rosen, il proprietario dell’azienda, e, dopo averla sottoposta al test Voight-Kampff, scopre che la donna è una replicante. Successivamente Deckard finisce sulle tracce di una cantante lirica androide ma, mentre sta cercando di sottoporla al test per avere conferma della sua natura,  lei chiama la polizia:  il protagonista si ritrova così in una centrale che sembra essere un covo di replicanti e riesce ad uscirne solo grazie all’aiuto di un collega. Nel frattempo gli androidi Nexus 6 superstiti si rifugiano nel palazzo dove vive lo “speciale” Isidore, un uomo solitario dal basso quoziente intellettivo (forse a causa delle piogge radiattive): è qui che cercheranno di organizzarsi in vista dell’immancabile resa dei conti con il cacciatore di androidi. Romanzo distopico per eccellenza, Blade Runner tratteggia il cupo quadro di un drammatico futuro incombente su un’umanità capace di creare copie replicanti di se stessa e della vita animale ormai scomparsa dal pianeta Terra ma che i superstiti avvertono come un imprescindibile status symbol esistenziale. È un futuro oscuro, opprimente e senza speranza quello immaginato da Philip K. Dick: nelle case di tutti ci sono dispositivi che regolano l’umore – quasi a figurare una necessità di serenità interiore almeno illusoria –, gli onnipresenti programmi televisivi contrappuntano la narrazione ed è arduo talvolta riconoscere gli androidi, creature senzienti ma prive di empatia, dagli umani più spietati. Insomma, Deckard cacciando i replicanti scruta nel torbido e intravede schegge di se stesso, finendo per dubitare delle sue capacità e presagendo l’impossibilità di continuare la sua professione. Dal libro di Dick il grande Ridley Scott ha ottenuto un film che riesce ad immaginare con profondo impatto visivo l’ambientazione del romanzo (spostata nella Los Angeles del 2019), pur stravolgendone la storia: Deckard diventa un futuribile detective solitario che Chandler avrebbe apprezzato, Rachael viene riletta come una replicante di nuova generazione che ignora la propria natura, i replicanti in fuga sono androidi che stanno per esaurire il loro tempo di vita e cercano disperatamente di prolungare la loro esistenza a tempo determinato. Tutto per arrivare al clou drammatico del sorprendente confronto finale tra il protagonista e l’unico antagonista ancora vivo ma condannato comunque a sparire come lacrime nella pioggia…

Philip K. Dick, Blade Runner, Roma, Fanucci, 1996; pp. 254

lunedì 26 settembre 2022

JOANIE IL MASCHIACCIO... JOHN PER GLI AMICI

Autrice americana specializzata in narrativa per ragazzi, Francess Lantz ha esordito nel lontano 1982 e da allora non ha smesso di entusiasmare il suo giovane pubblico con decine e decine di libri, sempre di grande successo. La storia al centro di Joanie il maschiaccio è semplice quanto efficace: ne è protagonista Joan Frankenhauser, Joanie per gli amici, che per la verità vorrebbe soltanto giocare a football (come sono liberi di fare i maschi) e non apprezza le sue coetanee che come massima aspirazione vorrebbero soltanto diventare cheerleaders della squadra della scuola. Il problema è che ben presto Joanie, che tra l'altro non è neppure granché integrata nel suo istituto scolastico, dovrà trasferirsi a Yardville, in Pennsylvania, perché il padre ha accettato un incarico da medico lì, dato che l'ospedale di Boston dove lavora sta chiudendo. E così la famiglia Frankenhauser - di cui fanno parte i fratelli maggiori di Joanie e la madre, che insegna economia domestica alle superiori, oltre al cane Amigo - si trasferisce nella nuova realtà, ma per la giovane protagonista c'è una sorprendente possibilità in agguato: quando la professoressa Anstine fa l'appello nella nuova classe, capita infatti che un errore di trascrizione trasformi la nostra eroina in John Frankenhauser (anziché Joan) senza che lei dica una sola parola in merito per non perdersi la possibilità di scoprire come sarebbe la sua vita da maschio. Il che accadrà a seguire secondo i desideri più inconfessabili di Joanie/John, come emettere flatulenze rumorose dalla bocca, vestirsi unisex, giocare a football per davvero (e non nella versione da ragazze), raccontarsi barzellette imbarazzanti come fanno i maschi. E inoltre la nostra protagonista sotto mentite spoglie finalmente potrà scrivere le sue avventure di SuperKid, già censurate dalla precedente prof perché considerate troppo "maschili" e violente, anzi, condivise le medesime col gruppo dei maschi da cui è stata accettata, Joanie/John vedrà perfino nascere nella realtà la lega dei SuperAmici che ha inventato con la sua fantasia. Peccato che poi la vita (anche quella maschile) si riveli più complicata e problematica di quanto si potrebbe pensare sulla carta... Un dignitosissimo romanzo per la prima adolescenza, davvero ideale per mettere in luce con brio ed efficacia tutti gli stereotipi di genere che a quell'età si cominciano a formare tra ragazzi e ragazze, in modo tale che siano preparati a riconoscerli (e possibilmente ad evitarli). La dinamica narrativa alterna peraltro alle vicende della protagonista la storia nella storia che lei stessa ha inventato con le avventure di SuperKid, che sono un modo per rileggere tramite il filtro supereroistico le sue paure e le sue idiosincrasie. Da provare. 

Francess Lantz, Joanie il maschiaccio, Firenze-Milano, Giunti, 2008; pp. 189 


domenica 18 settembre 2022

BOOM! ...DIRETTAMENTE DAL PIANETA PLONK

Il titolo per esteso di questo romanzo dello scrittore britannico Mark Haddon, classe 1962, è Boom! ovvero La strana avventura sul pianeta Plonk. Non si tratta propriamente dell'ultima fatica letteraria dell'autore de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ma di un'opera di riscrittura integrale di un romanzo già uscito con scarsissimo successo (e con un titolo molto più improbabile) all'inizio degli anni Novanta, prima che Haddon diventasse un nome famoso a livello internazionale (peraltro specializzato nella narrativa per ragazzi) e cominciasse a scrivere per la televisione e per la radio. Come si intuisce dal sottotitolo, la storia al centro di Boom! è felicemente sospesa a metà tra avventura e fantascienza, con una puntina di umorismo in sottofondo, dato che Plonk, come affermerà Jim, il giovane protagonista, quando avrà la sventura di trovarcisi, è davvero il nome più ridicolo che si possa dare a un pianeta. Tutto comincia quando Jim, che come studente non è granché brillante, apprende dalla sorella Becky – che forse ci mette anche un po’ del suo in sovrappiù, tanto per stressarlo – che i suoi insegnanti stanno pensando di mandarlo a un istituto per ragazzi ritardati. La ferale notizia getta il ragazzo nello sconforto, ma non c’è problema, perché Charlie, il suo miglior amico, escogita prontamente la soluzione perfetta: basterà mimetizzare un walkie-talkie nella sala docenti per spiare tutto quello che i prof dicono di Jim e poi elaborare un piano. Il problema è che, finita la riunione, gli ultimi due insegnanti rimasti nella stanza, Mr. Kidd e Mrs. Pearce, si mettono a parlare tra loro in una lingua davvero strana, per non dire aliena. Il mistero accende la curiosità di Jim e Charlie, che cominciano ad indagare senza andare troppo per il sottile, attirando così l’attenzione dei sospettati ed innescandone la reazione: Charlie scompare nel nulla e Jim rischia di essere rapito a sua volta e si dà alla fuga con la sorella in sella alla moto del ragazzo di lei. Sulle tracce dell’amico perduto i due approdano in una landa perduta della Scozia: è qui che Jim viene teletrasportato in un pianeta a settantamila anni luce dalla Terra, il misterioso Plonk, dove ritroverà Charlie e dovrà escogitare in fretta un piano plausibile per salvare il suo mondo dagli alieni più assurdi che siano mai stati immaginati. Un romanzo per ragazzi che intriga e diverte fino all’ultima pagina con un'originale miscela di romanzo comico, d'avventura, horror e di fantascienza, tutto shakerato insieme in una storia ricca di colpi di scena e di mirabolanti trovate narrative. E la cosa veramente curiosa è che, a patto di lasciarsi andare un po', Boom! si rivela irresistibile anche per un pubblico adulto... Provare per credere. 

Mark Haddon, Boom!, Torino, Einaudi, 2009; pp. 155

sabato 9 luglio 2022

THE BIG SWIM: COME SOPRAVVIVERE A UN CAMPO ESTIVO

Lo scrittore canadese Cary Fagan, già autore di La strana collezione di Mr. Karp,  con The Big Swim. La grande prova ha costruito un racconto lungo (o romanzo breve che dir si voglia) sulla più classica esperienza che un ragazzo possa vivere durante l'estate, partecipando insieme a tanti coetanei a un campo estivo. L'incipit della storia ci porta nella testa di Ethan , uno dei tanti ragazzi che passerà l'estate al Campo Betulla: siamo nel suo bungalow, insieme ai suoi compagni, che stanno parlando di un tipo che trascorrerà le vacanze estive con loro e sul quale circolano troppe voci e tutte pessime, insomma, è uno di cui si parla tantissimo e malissimo, uno che ha una fama davvero troppo brutta per essere vera. Subito dopo avremo modo di scoprire meglio le prospettive del nostro protagonista, Ethan, con la sua personalissima scala dei valori: "I miei obiettivi per il campo estivo erano modesti. Primo, sopravvivere. Secondo, non farmi odiare. Terzo, non essere il peggiore in tutte le attività". Ethan, che ha avuto dai suoi compagni un soprannome poco lusinghiero come Pinky, è consapevole di avere una serie di problemini (tra cui l'indole ansiosa) che in teoria potrebbero fargli passare un'estate terribile, dunque la sua storia consisterà fondamentalmente nel limitare i danni il più possibile. In realtà l'estate al Campo Betulla per Ethan sarà l'occasione di crescere, anche grazie alla conoscenza di un tipo come Zach, preceduto da un alone quasi leggendario di ribelle e di anticonformista (sì, proprio quello di cui parlavano tutti in modo inquietante in apertura). E sullo sfondo aleggia anche la grande nuotata del titolo, una sorta di spartiacque simbolico tra l'infanzia e l'adolescenza. Niente male nel complesso: un romanzo per ragazzi ricco di sostanza e decisamente scorrevole, anche grazie ai caratteri ad alta leggibilità. Una lettura avventurosa decisamente ideale per tutti gli adolescenti che amano le sfide con cui mettersi alla prova. 

Cary Fagan, The Big Swim. La grande prova, Cremona, Biancoenero, Roma, 2016; pp. 95


giovedì 16 giugno 2022

GENTE DI DUBLINO: I RACCONTI DUBLINESI DI JOYCE

Gente di Dublino è una raccolta di racconti che James Joyce riuscì a pubblicare – con non poche difficoltà e dopo numerosi rifiuti – soltanto nel 1914, ma questo libro conobbe subito un grande successo e fu considerato unanimemente dalla critica uno dei capolavori assoluti della letteratura europea contemporanea. In ossequio al titolo la raccolta assortisce complessivamente quindici racconti ambientati a Dublino che l’autore irlandese scrisse tra il 1904 e il 1907, l’anno in cui Joyce terminò l’ultimo della serie, I morti, che peraltro è il più noto del libro ed è la fonte narrativa dell’omonimo film di John Huston (l'ultimo diretto nella sua lunga carriera. La raccolta cattura momenti emblematici delle vite ordinarie di vari personaggi che vivono a Dublino e dintorni raccontandone le storie quotidiane. Nel complesso Joyce fotografa la sua città natale enfatizzandone due tematiche principali: la soffocante (e diffusa) atmosfera di paralisi morale e la propensione generalizzata alla fuga, un'esigenza che lo stesso autore a un certo punto metterà in atto trasferendosi altrove. I racconti di Gente di Dublino sono narrati in modalità ancora tradizionali (Joyce non aveva ancora realizzato l’approccio sperimentale del suo capolavoro, Ulisse) e sono articolati in quattro sezioni che rappresentano altrettante fase esistenziali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la vita pubblica. Nel suo insieme il libro evidenzia l’immobilità morale di molti personaggi di Dublino, che amano la loro terra  e magari ignorano che dovrebbero andarsene, che ci provano senza poi averne la forza, che non sanno come essere felici e talvolta (abbastanza spesso, in effetti) cercano un conforto illusorio nell’alcool. Joyce molto spesso ci fa stare dentro la testa dei protagonisti dei racconti grazie alla tecnica del discorso indiretto libero, e a volte ci mette con loro in una condizione altamente simbolica facendoci vivere insieme a loro un’epifania, uno di quegli momenti rivelatori di un’intera vita. E poi dentro il libro c’è Dublino, ovviamente, lo scenario costante delle storie, con i suoi luoghi d’interesse come Grafton Street o il Trinity College. Le storie che più lasciano il segno a mio modesto avviso sono Eveline, in cui una ragazza riflette sulla prossima partenza per i mari del Sud per vivere una nuova vita col fidanzato marinaio in Argentina (ma poi all’ultimo non ha la forza per abbandonare la città natale) e I morti, il lungo racconto conclusivo che narra di una grande festa e del successivo ritorno nella loro camera d’albergo di Gabriel e Gretta, e dell’epifania evocata in lei dai versi di una canzone capace di ricordare alla donna il suo primo amore di Gallway, un ragazzo fragile che probabilmente si uccise pur di rivederla un’ultima volta. Davvero una gemma luminosa a chiusura di una raccolta assolutamente da scoprire.
James Joyce, Gente di Dublino, Milano, Garzanti, 2008; pp. 213

martedì 7 giugno 2022

LA STORIA INFINITA, UN GRANDE CLASSICO FANTASY

Pochi romanzi contemporanei per ragazzi hanno raggiunto lo status di classico in breve tempo come La storia infinita di Michael Ende, classe 1929, regista teatrale tedesco con la passione per la scrittura, già autore di Momo e La terribile banda dei “Tredici” Pirati. La storia infinita ha conosciuto un crescente successo fin dall’uscita in libreria, nel 1979, amplificato peraltro dalla traslazione del romanzo nell’omonimo film di Wolfgang Petersen del 1984. Il romanzo in sé appartiene al genere fantasy, ma è dotato di una particolarità intertestuale che lo rende a suo modo unico: racconta una storia nella storia e in più a un certo punto i protagonisti dei due mondi narrativi entreranno fatalmente in contatto. Il protagonista del romanzo ha dieci anni e si chiama Bastiano Baldassarre Bucci, ed è quello che si definirebbe uno sfigato: sovrappeso, senza talenti particolari (tranne la passione per la lettura), orfano di madre (e con un padre comprensibilmente depresso), Bastiano sembra la vittima perfetta dei bulli di turno. Ed è proprio scappando da qualcuno che ce l’ha con lui che finisce dentro una libreria antiquaria, al cospetto di un libraio antipatico che ha tra le mani un libro il cui titolo attira immediatamente l’attenzione di Bastiano: La storia infinita. Sfruttando un momento di distrazione del librario, il protagonista afferra il libro e scappa dal negozio. Arriva a scuola, ma ha fatto tardi, così si sistema nella soffitta dell’edificio, buia, polverosa e piena di cianfrusaglie. Da uno spiraglio di luce inizia a leggere il libro e si perde in una fantastica storia: siamo a Fantàsia, un regno governato dall’Infanta Imperatrice, in cui però si sta diffondendo uno strano male, il Nulla, che sta fagocitando sempre più territori e che nessuno riesce a contrastare. Anche l’Infanta Imperatrice è afflitta da una malattia sconosciuta per cui sembra non esserci cura, così incarica Atreiu, un ragazzo dei Pelleverde del Mare Erboso, di trovare una cura per lei e per il regno. Per riuscire nella missione Atreiu riceve l’Auryn, un potente talismano che lo proteggerà da ogni, e poco dopo si imbatte nel Drago della Fortuna Fùcur, che diventerà un inseparabile compagno d’avventure. La storia è questa, ed è persino divisa cromaticamente, dato che gli eventi nella realtà di Bastiano sono stampati con inchiostro rosso scuro, mentre quanto succede a Fantàsia è stampato in verde. Ovviamente ad un certo punto sarà il protagonista umano ad approdare nel regno incantato per mettere a posto le cose. La storia infinita in ossequio al suo titolo si presenta come un libro multiforme, un po’ romanzo metatestuale, un po’ libro d’avventura, un po’ romanzo di formazione, e in ogni riga sembra letteralmente affiorare un atto d’amore alla potenza creatrice della fantasia. In effetti Michael Ende è riuscito nella sfida di raccontare una storia apparentemente ricolma di tante storie che prendono origine da essa stessa, e in più offre al lettore l’occasione di identificarsi con lo sfortunato protagonista, anche lui amante dei libri e delle storie in genere, e provare con lui l’ebbrezza di diventare un vero eroe. Un grande classico fantasy.

Michael Ende, La storia infinita, Milano, Corbaccio, 2009; pp. 446


 

venerdì 20 maggio 2022

OMERO, ILIADE: LA CADUTA DI TROIA SECONDO BARICCO

Romanziere, saggista, drammaturgo, ma fondamentalmente un narratore puro di storie: questa pare essere la vocazione privilegiata di Alessandro Baricco, nato a Torino nel 1958, dove ha fondato la scuola di scrittura creativa Holden. E come resistere alla sfida per definizione per un narratore puro, ovvero raccontare oralmente la storia più antica di tutte, quella narrata da Omero nell’Iliade? Mosso appunto dall’idea di adattarne il testo per una lettura pubblica Baricco ha riletto l’opera nella traduzione di Maria Grazia Ciani, riscrivendone il materiale narrativo e montandolo dalla prospettiva di ventuno voci narranti, l’ultima delle quali appartiene all’aedo Demòdoco, che racconta la fine di Troia sulla base dell’Odissea ed altre fonti. Ventuno voci narranti per creare un tramite meno distaccato della terza persona come trait d’union tra la storia – o meglio tra i tanti mitici episodi che compongono la grande storia dell’Iliade – e il punto di vista del lettore/ascoltatore. Ecco così che nell’opera di secondo grado Omero, Iliade rivivono gli dei (che rimangono però più sullo sfondo della narrazione rispetto alla fonte letteraria vera e propria), gli uomini e gli eroi ormai entrati nella sfera del mito, cristallizzati nell’epilogo della decennale guerra di Troia, un’eterna storia di vendetta, ambizione, pietà, valore, astuzia, violenza. E una storia di guerra – e dunque sempre attuale nei drastici tempi che corrono – quando la guerra però si poteva ancora concepire come un’avventura estrema, dotata di un’infernale bellezza che la rende un’avventura ancora avvincente a secoli di distanza dalla sua composizione: “Quel che forse suggerisce l’Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare quella bellezza: come se non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta” scrive Baricco nella postilla finale “è una dannosa menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno: ma bello. Da sempre gli uomini ci si buttano come falene attratte dalla luce mortale del fuoco. Non c’è paura, o orrore di sé, che sia riuscito a tenerli lontani dalle fiamme: perché in esse sempre hanno trovato l’unico riscatto possibile dalla penombra della vita. Per questo, oggi, il compito di un vero pacifismo” conclude Baricco “dovrebbe essere non tanto demonizzare all’eccesso la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che la guerra da sempre ci offre”. Strappi di sintesi della trama ovviamente ce ne sono – e sono voluti, per agevolarne una lettura ad alta voce tra un’ora e mezza e due ore – ma il fascino della storia è rimasto integro, semmai grazie al talento di Baricco la storia ha guadagnato in efficacia e fantasia: rispetto all’Iliade originale compaiono infatti anche brani evidenziati con caratteri in corsivo inventati di sana pianta per aumentare il livello di definizione di una trama che non smette di incantare lettori da tre millenni in qua. Un libro ideale per addentrarsi nelle meraviglie narrative del capolavoro all’origine della cultura occidentale.

Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Milano, Mondadori, 2004; pp. 165

ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Una delle raccolte di poesia più iconiche di sempre è senza dubbio l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1868-1950), che l'autore americano pubblicò a puntate sul "Mirror" di Saint Louis tra il 1914 e il 1915 e poi nella versione definitiva in volume l'anno successivo. Il volume assortisce poesie in versi liberi che raccontano le vite degli abitanti del paese immaginario di Spoon River - che nella realtà deriva dal nome dell'omonimo fiume che scorre nei pressi di Lewistown, la città di residenza dell'autore - e sepolti nel fantomatico cimitero locale: in pratica il libro contiene una serie di epitaffi che raccontano altrettante vite dei defunti che riposano nel cimitero di Spoon River. La versione definitiva del 1916 raccoglie 243 epigrafi più la poesia incipitaria, intitolata La Collina. Masters aveva già l'idea di raccontare i luoghi della sua vita tramite le voci di persone realmente esistite, ma lo spunto per narrarle tramite epitaffi di personaggi già defunti - e dunque, ovviamente, sinceri e obiettivi verso le proprie esistenze ormai concluse - probabilmente gli venne in mente dalla lettura dell'Antologia Palatina, appunto una racconta di epigrammi ed epitaffi greci. Il risultato è una galleria di varia umanità che colpisce allo stomaco il lettore e ne stuzzica l'immaginario con una serie di ritratti ricchi di rivelazioni fulminanti e spesso in grado di fotografare con pochi tratti l'anima di un uomo. Nonostante Masters si fosse posto lo scrupolo di cambiare i nomi, siccome tutte le storie del suo libro erano assolutamente vere e tratte dalle piccole realtà di Petersburg e Lewistown, successe che gli abitanti di queste comunità, in grado di cogliere le "fonti" umane del libro, bandirono il poeta a vita. Alcuni personaggi della raccolta sono in effetti davvero autentici, come il dottor Siegfried Iseman, che tradì il giuramento d'Ippocrate e finì dietro le sbarre fabbricando un elisir di lunga vita, o George Gray, che ha una barca con vele ammainate scolpita sulla lapide perché per timore finì per vivere una vita immobile, o Francis Turner, morto ragazzo baciando la sua Mary "con l'anima sulle labbra", o il giudice Selah Lively, schernito tutta la vita per la sua bassa statura e vendicativo una volta divenuto giudice della vita del prossimo, o lo sfortunato Walter Simmons, atteso da un destino luminoso che mai arrivò per mancanza di genio, o l'ottico Dippold, che aveva sempre una lente giusta per tutti. L'immediato successo delle prime poesie sconvolse letteralmente la vita di Edgar Lee Masters, che iniziò a comporre la sua grande galleria poetica a ritmo continuo e alla fine decise di abbandonare la legge per diventare scrittore a tempo pieno, anche se le sue opere successive non ebbero la stessa fortuna, ben presto i proventi editoriali dell'Antologia cominciarono a sfumare e l'autore visse la vecchiaia in condizioni economiche sempre più difficili. Il capolavoro di Edgar Lee Masters conobbe ben presto un grande successo anche nel vecchio continente e in Italia corre l'obbligo di citare almeno l'omaggio che  fu tributato al libro da un grande cantautore come Fabrizio De André, che ne fu ispirato per l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo del 1971. Insomma, una raccolta poetica in cui ci si perde subito e che non si dimentica più...

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 1971; pp. 257 


mercoledì 18 maggio 2022

STORIA DI UNA LUMACA CHE SCOPRÌ L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA

L’autore cileno Luis Sepúlveda (1949-2020) aveva raggiunto qualche anno fa il successo internazionale con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, un romanzo per ragazzi a tinte fiabesche che è anche diventato un fortunato film d’animazione di Enzo D’Alò. Anche nella Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza lo scrittore sudamericano ha creato un’analoga commistione tra fiaba e romanzo, presentandoci una lumaca diversa da tutte le altre compagne che vivono nel Paese del Dente di Leone, all’ombra di una frondosa pianta di alicanto. La storia è la promessa, mantenuta ad anni di distanza, della domanda fatta da un nipote di Sepúlveda quando era bambino, la classica domanda infantile che potrebbe nascondere un mondo: perché le lumache sono così lente? Già… sembra banale, dato che siamo abituati a vederle muoversi così piano, ma perché? Lo scrittore sudamericano in quel momento non aveva una buona risposta, ma si è ricordato della domanda, che gli ha appunto fornito lo spunto per questo romanzo breve per ragazzi, che risponde con la fantasia all’acuto quesito del bambino di un tempo. Ma veniamo senza altri indugi alla storia, che prende avvio nel prato conosciuto dalle molte lumache che vi abitano da sempre appunto come il Paese del Dente di Leone. Le lumache vivono placidamente in questo luogo ameno chiamandosi l’una con l’altra in modo generico, ma tra loro c’è una giovane ribelle che vorrebbe avere un nome e sapere la ragione della lentezza che caratterizza la sua specie. Purtroppo nessuna delle sue compagne riuscirà a darle delle risposte, quindi partirà per trovarne iniziando un viaggio lungo e lentissimo in cui incontrerà vari personaggi, come un gufo malinconico e una saggia tartaruga, acquisterà un nome strada facendo, scoprirà un tremendo pericolo che incombe sul suo popolo, che dovrà cercare di salvare nonostante la sfiducia generale nei suoi confronti. Tutto qui, narrato in modo semplice e incisivo. Ne vien fuori una gran bella storia, delicata e leggera come una goccia di rugiada che scivola giù per uno stelo d’erba: ideale per un pubblico infantile ma gradevole anche per adulti di buoni sentimenti. La nostra impagabile lumaca protagonista è un’ottima metafora anche per la vita contemporanea nella sua ostinata e consapevole ricerca di un’identità precisa, di un segnale anagrafico che la separi dalla massa indistinta in cui di solito tende a mimetizzarsi la razza umana nel suo complesso. E la ricerca di una risposta alla lentezza insita nel suo modo di essere è un’altra bella metafora del cammino di ricerca di se stessi che contraddistingue l’evoluzione dell’adolescenza. Due riuscite metafore implicite, insomma, che costituiscono due ottimi motivi, senza considerare il sempre intrigante stile sepulvediano, semplice ed affabulatorio, per azzardare la lettura di Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza.

Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Parma, Guanda, 2013; pp. 97 

lunedì 16 maggio 2022

READY PLAYER ONE: PRONTI A GIOCARE?

Ci sono i romanzi distopici che aprono la porta a universi d’immaginazione in sé conclusi e portano il lettore in un futuro alternativo senza colpo ferire, trasportandolo letteralmente altrove e Ready Player One di Ernest Cline appartiene decisamente a questa categoria, degno erede di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il classico per antonomasia del genere. Siamo in un futuro prossimo e venturo che si può sintetizzare in una sola parola: inquietante. Nel 2045 la Terra è sovrappopolata e in piena decadenza, anche nelle nazioni più sviluppate tecnologicamente: le città sono stracolme ed oppresse dalla mancanza di fonti energetiche, i poveri del futuro vivono in piccole unità abitative impilate in strutture d’acciaio in periferie da incubo, quasi baraccopoli di lamiere sviluppate in verticale su tralicci che sfidano la forza di gravità. È un mondo quasi senza speranza e in cui l’umanità è riuscita a sopravvivere soltanto rifugiandosi in un mondo virtuale che si chiama Oasis, cui si accede con speciali occhiali sinaptici con riconoscimento retinico: questo straordinario paradiso di pixel e codici aperto a tutti e senza costi di abbonamento è stato inventato da un leggendario programmatore, James Halliday, il fondatore della Gregarious Games, un multimiliardario che, dopo aver scoperto di aver poco ancora da vivere, ha lasciato la sua immensa fortuna e il controllo della sua azienda a chi riuscirà ad impossessarsi di un easter egg oltrepassando tre porte che si aprono con tre chiavi nascoste chissà dove nei meandri di Oasis. Purtroppo questo straordinario annuncio risale a cinque anni fa e nessuno da allora ha fatto il minimo progresso riuscendo ad entrare nel segnapunti di Oasis: da una parte lo cercano i cosiddetti gunter (contrazione di egg’s hunter) dall’altra la spietata multinazionale IOI, che intende impossessarsi di Oasis per imporre canoni d’abbonamenti ed arricchirsi a dismisura con la pubblicità che Halliday ha sempre estromesso dalla sua creazione. Protagonista della storia è appunto un gunter senza arte né parte che vive nelle cosiddette “cataste” di Oklahoma City (sterminati quartieri periferici di roulotte impilate) e risponde al nome di Wade Watts, grande appassionato della cultura pop degli anni Ottanta (venerata da Halliday), noto su Oasis come Parzival, il suo avatar. In cerca di un’idea per trovare la prima chiave insieme al suo miglior amico Each, il nostro eroe incontrerà la valente Art3mis, gunter di grande potenza e fama, e sarà proprio lui ad attirare l’attenzione della IOI guidata dal perfido Nolan Sorrento, un capo disposto a infrangere ogni regola e perfino a uccidere pur di impossessarsi dell’easter egg di Halliday. Ben presto il giovane protagonista scoprirà a caro prezzo l’assoluta mancanza di scrupolo della spietata multinazionale e deciderà di far causa comune con Each, Art3mis e i due gunter nipponici Daito e Shoto per vincere la “partita” e magari fare la cosa giusta: gli darà una mano dietro le quinte il vecchio Ogden Morrow, ex socio nonché miglior amico di Halliday. Che dire? Ready Player One è davvero quello che si può immaginare dalle linee narrative della trama, ovvero una caccia al tesoro ambientata in un’isola virtuale vasta quanto un universo e ricca di riferimenti soprattutto alla cultura popolare degli anni Ottanta nel senso più allargato che si possa concepire: videogames a profusione, giochi di ruolo come Dungeons and Dragons, film d’azione per ragazzi, serie televisive, cartoons giapponesi e così via. E il bello è che i mondi di Oasis sono pure tematici, quindi ognuno presenta un irresistibile spaccato della sterminata immaginazione di Halliday, nume tutelare della caccia planetaria che lui stesso ha innescato col suo avatar Anorak. Alla fine il romanzo regala un confronto epico tra buoni e cattivi prima di farci scoprire perfino il manzoniano “sugo” della storia… Una piccola meraviglia a orologeria perfettamente congegnata per intrappolare le nuove generazioni e quelle dei bei tempi andati.

Ernest Cline, Ready Player One, Milano, DeA, 2018; pp. 441

venerdì 6 maggio 2022

IL LADRO DI MERENDINE DI ANDREA CAMILLERI

Si tratta del terzo giallo che Andrea Camilleri (1925-2019), regista e sceneggiatore siciliano, ha dedicato al fortunato personaggio di Salvo Montalbano, il sagace commissario di Vigàta, cittadina siciliana immaginaria ma caratteristica a tal punto quasi da superare la realtà. Il ladro di merendine inizia mostrandoci gli sforzi ciclopici del protagonista per evitare lo spettro di un avanzamento gerarchico che gli imporrebbe di trasferirsi altrove, rinunciare all'amato modus vivendi, oltre che ai capricci investigativi che solo Vigàta ed i suoi fedeli collaboratori da sempre possono consentirgli. L'indagine vera e propria stavolta è duplice ed incentrata sulla connessione che Montalbano intravede tra l'omicidio di un pescatore tunisino imbarcato in un peschereccio siciliano finito in acque internazionali (e mitragliato da una motovedetta tunisina) e quello di Aurelio Lapecora, un commerciante di Vigàta che è stato accoltellato nell'ascensore di casa: riguardo al secondo omicidio, in particolare, i sospetti cadono ben presto sulla vedova, che forse il marito tradiva con una bellissima tunisina che si occupava delle pulizie domestiche. L'insperato collegamento tra i due omicidi spunta fuori in carne e ossa in un bambino che ruba le merendine a scuola e sembra nascondersi da un segreto terribile. Ne Il ladro di merendine a questo punto acquista spessore soprattutto la figura di Livia da Boccadasse, Genova, l'eterna fidanzata ligure di Montalbano che qui intravede un possibile futuro di madre (e moglie): si tratta però di un futuro che il buon commissario cercherà di ritardare al pari della promozione incombente. Il romanzo è ovviamente scritto nell'originale pastiche di italiano e dialetto siciliano che è diventato il marchio caratteristico della narrativa di Camilleri e, oltre al tradizionale avvincente intreccio poliziesco della serie dedicata a Montalbano, presenta uno spaccato sociale narrato in modo efficace e mai banale. Davvero un romanzo avvincente e notevole.

Andrea Camilleri, Il ladro di merendine, Palermo, Sellerio, 1996; pp. 250

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