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martedì 28 marzo 2023

REGISTRO DI CLASSE: LA DURA LEGGE DEL PROF

È un libro esile Registro di classe: soltanto cento pagine, ma di grande peso morale, perché vi si avvertono le ansie, i timori e le riflessioni dell'autore, ovvero Sandro Onofri, professore d'italiano in un liceo romano di periferia e scrittore di un pugno di romanzi (Luce del Nord, Colpa di nessuno e L'amico di infanzia) e di reportage (Vite di riserva e Magnifiche sorti). Registro di classe era nato come un libro sulla scuola, solo in seguito Onofri si era risolto ad utilizzare la forma del diario e ne aveva iniziato la stesura nel 1998: questo volume raccoglie i testi scritti dall'autore (nato nel 1955) prima della sua prematura scomparsa nel settembre dell'anno successivo. È un diario, a tutti gli effetti, che accorpa le classiche 'schegge' e riflessioni che un insegnante potrebbe scrivere sull'onda di uno spunto indotto dai suoi alunni, dai loro tagli di capelli o dalle mode più in voga nella classe. Onofri si arrovella in continuazione nel tentativo di comprendere i suoi studenti, di lanciare loro appropriati salvagenti culturali: e, come accade anche ai bene intenzionati, a volte è compreso e seguito, altre no. Ma i ragazzi hanno sempre salutari riserve di immaginazione, e in qualche modo alla fine riescono a stupirlo, nonostante assistano freddamente ad una proiezione di Train de vie o si lascino contagiare dall'appiattimento degli show televisivi. Magari entusiasmandosi nella scoperta del Pinocchio di Collodi, molto al di sopra della riduzione disneyana a cartoni animati, oppure apprezzando oltre le più rosee previsioni Se questo è un uomo di Primo Levi e Un borghese piccolo piccolo di Vincenzo Cerami. Dentro Registro di classe c'è un anno di scuola raccontato in tralice: i compiti (ovvero il divertimento) per le vacanze natalizie, i colloqui con i genitori, i temi degli alunni, la gita scolastica, il topico momento del voto sul registro ovvero l'insostenibile circoscrizione dell'intelligenza adolescenziale. È il diario di un insegnante che s'interroga di continuo sul proprio compito di educatore, che si chiede cosa possa mai cambiare anche un solo professore dotato di buona volontà: forse poco, ma significativo e per fortuna questa esperienza Onofri l'ha riversata in Registro di classe.

Sandro Onofri, Registro di classe, Torino, Einaudi, 2000; pp. 103

lunedì 20 dicembre 2021

LA SCUOLA SECONDO PENNAC

Il grande Daniel Pennac, classe 1944, non aveva certo bisogno di questo libro per entrare nei nostri cuori: lo aveva già fatto negli anni Novanta con la strepitosa saga di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e della sua variopinta e sgangherata famiglia, con romanzi esilaranti e straordinari al tempo stesso come Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola e Signor Malaussène, Anche dell’amore di Pennac per la scuola già si sapeva, non solo per il romanzo Signori bambini del 1998, ma anche perché prima di diventare scrittore a tempo pieno l’autore transalpino è stato per anni un professore di francese. Ma Diario di scuola è decisamente un’altra cosa, qualcosa che Pennac non aveva mai azzardato prima:addirittura un romanzo-diario-confessione sulla propria storia di “asino”, ovviamente dal punto di vista scolastico. Ecco, uno dei motivi per cui questo libro dovrebbe diventare un titolo obbligatorio per gli studenti di ogni ordine e grado – anche se lo stesso Pennac si risentirebbe, leggere in merito Come un romanzo, il suo bellissimo saggio sulla lettura… – è perché, pagina dopo pagina, Diario di scuola riesce a trasmettere un’energia ed una motivazione invidiabili: dovrebbe leggerlo ogni ragazzo che si sia sentito stremato dal ritmo didattico della propria classe, incapace di conseguire buoni risultati o schiacciato da critiche troppo ponderose. Pennac comincia ad intrigarci tratteggiando con ironia dolceamara i suoi disastrosi primi passi dietro ad un banco di scuola, fino all’imposizione del collegio da parte dei genitori come ultima carta, una scelta disperata che imbriglierà il giovane ‘somaro’ Pennac allo studio in orari prestabiliti, offrendogli occasionalmente qualche docente col fiuto del salvatore, capace di cominciare a far emergere il futuro insegnante e scrittore di fama. Infine, incredibile a dirsi, Pennac ci racconta di essere arrivato alla laurea nel 1969 per poi dedicarsi all’insegnamento, un evento commentato con toni ironicamente apocalittici dal padre, che disse al figlio ex asino che se c’era voluto la rivoluzione per farlo laureare, come minimo per il dottorato sarebbe servita la terza guerra mondiale. A seguire il Pennac divenuto docente ci racconta anche i suoi sforzi per sottrarre i tanti studenti somari capitati davanti a lui dal loro personale dolore e dalla mancanza di autostima, colorando il tutto con aneddoti vari, bozzetti e battute. La differenza tra un bravo e un cattivo professore, osserva il docente-scrittore transalpino, è che il bravo maestro sa calarsi nella classe, anche se magari la società contemporanea gli ha consegnato una classe di studenti-consumatori, di veri e propri ‘clienti’, ma che l’amore incondizionato può comunque ‘salvare’ (anche se per Pennac il termine non si dovrebbe usare). Da questo punto di vista possono aiutare anche pratiche considerate desuete come lo studio a memoria o il dettato, sempre utilissime, almeno a patto d’essere affiancate da tecniche d’insegnamento efficaci e, possibilmente, divertenti. Un gran bel libro che offre spunti di vero genio dal punto di vista didattico, oltre ad un gran numero di aneddoti imperdibili proposti nello stile affabulatorio di Daniel Pennac, che ci intriga con il lato meno eclatante della sua vita. Assolutamente da non perdere. 

Daniel Pennac, Diario di scuola, Milano, Feltrinelli, 2008; pp. 241


sabato 4 dicembre 2021

PAPPAGALLI VERDI, UNA TESTIMONIANZA DI GINO STRADA

Il sottotitolo di Pappagalli verdi è sibillino, trattandosi di Cronache di un chirurgo di guerra, e sgombra subito il campo da equivoci: i pappagalli verdi del titolo sono infatti sono mine antiuomo di fabbricazione sovietica con una forma aerodinamica che ne rallenta la caduta e ne permette lo spargimento (tramite elicottero, esempio) su un ampio territorio. Hanno una colorazione mimetica (verde) che le rende poco visibili e scoppiano con la pressione di cinque chili (pestandole con un piede, insomma) oppure con le ripetute manipolazioni di un bambino che ci sta giocando, perché purtroppo assomigliano vagamente a un giocattolo. Ce lo spiega l'autore, Gino Strada (1948-2021), ricordando la sua esperienza con i letali pappagalli verdi, una delle principali cause di morte e di mutilazione durante la sua permanenza a Quetta, in Afghanistan. Questo libro è infatti un esercizio di memoria nei molteplici luoghi di guerra del mondo dove Gino Strada, l'indimenticabile fondatore di Emergency, ha prestato la sua opera di chirurgo a favore delle vittime - di solito civili, e molto spesso minori - dei tanti focolai bellici attivi nel pianeta dai primi anni Novanta. In questo libro il dottor Strada ci racconta storie di allucinante crudeltà (talvolta incredibili e spesso davvero dure da accettare), di solito legate alla letale casualità delle mine antiuomo, una crudele tattica di combattimento implacabilmente automatico per far continuare ad libitum i conflitti etnici. Sono flash narrativi che portano il lettore per il mondo, sempre su scenari di guerra, nel Kurdistan iracheno, in Afghanistan, in Ruanda, in Etiopia, in Angola, in Perù, in Bosnia, in Somalia e in Cambogia. E a volte, nonostante Gino Strada affermi di non essere un vero scrittore, sono pagine bellissime, come il capitolo che ci spiega il profilo di un chirurgo di guerra, quello (davvero difficile da sostenere) che racconta realisticamente una ferita da mina antiuomo, quello che fotografa in modo implacabile Halabja, l'Auschwitz dei curdi, e infine lo splendido ritratto della figlia Cecilia in età verde, approdata in Kurdistan per ritrovare il padre e scoprirne la professione. Insomma, un notevole libro di memorie tutto da sfogliare per esplorare il caleidoscopio di umanità che Gino Strada vi ha racchiuso dentro: Pappagalli verdi tratteggia uno spaccato del pianeta che è un vero pugno allo stomaco, cambiandoci per sempre, un ottimo motivo per leggerlo e consigliarne la lettura.

Gino Strada, Pappagalli verdi, Milano, Feltrinelli, 2001; pp. 158

mercoledì 3 marzo 2021

IL DIARIO DI ANNE FRANK

 

La storia è tragicamente nota, purtroppo, nel bene e nel male: Anne Frank ricevette un diario in regalo per il suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno del 1942, e cominciò a scriverci come qualunque ragazzina della sua età scene di ordinaria vita scolastica, infatuazioni sentimentali, libri preferiti, sogni per il futuro. Ma a un certo punto la sua famiglia, di origine ebraica e di Francoforte ma emigrata ad Amsterdam in seguito all’ascesa di Hitler in Germania, dovrà nascondersi negli uffici della ditta del padre, Otto Frank, insieme a un’altra famiglia ebraica per evitare di essere catturata e finire in un campo di concentramento. E così per due anni Anne continuerà a scrivere in cattività le pagine del suo diario, iniziando a rivolgersi a lui chiamandolo Kitty, fingendo che sia il nome di una migliore amica di cui sente la grande mancanza: giorno dopo giorno Anne ci racconta le paure e le speranze, i momenti di angoscia e le esperienze della sua piccola comunità che cerca di resistere in clausura finché non ci sarà più pericolo per loro fuori. Sono particolarmente struggenti le pagine in cui Anne parla del suo desiderio di diventare da grande una scrittrice o una giornalista, criticando le sue composizioni in modo lucidamente implacabile per quanto consapevole di essere dotata di talento . All’inizio del 1944 Anne aveva sentito alla radio il ministro dell’educazione in esilio affermare che tutte le sofferenze vissute dal popolo olandese durante l’occupazione nazista un giorno avrebbero dovuto essere raccolte e pubblicate: così aveva iniziato a ricopiare le lettere della prima stesura del diario correggendole, tagliando le parti meno interessanti, integrando quelle che le parevano meno sviluppate. Il Diario s’interrompe con l’ultima annotazione del 1° agosto 1944: poco dopo i Frank furono catturati dalla Gestapo e deportati nei campi di concentramento nazisti, Anne e la sorella Margot morirono entrambe di tifo a Bergen-Belsen pochi giorni prima della liberazione, come la madre Edith, mentre il padre Otto fu l’unico superstite della Shoah: tornò ad Amsterdam, pubblicò il Diario della figlia minore nel 1947, che divenne in breve un classico della narrativa per ragazzi e del genere autobiografico. L’edizione Einaudi, con prefazione di Eraldo Affinati e con uno scritto di Natalia Ginzburg, propone anche una ricostruzione degli ultimi anni di vita di Anne e della sorella Margot. Si tratta dell’edizione definitiva approvata dall’Anne Frank Fonds. Assolutamente da leggere.

Anne Frank, Diario, Torino, Einaudi, 2014; pp. 359

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...