Visualizzazione post con etichetta natura. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta natura. Mostra tutti i post

mercoledì 23 marzo 2022

NELLE TERRE SELVAGGE: LA NATURA SECONDO GARY PAULSEN

Senza dubbio lo scrittore americano Gary Paulsen (1939-2021) è stato uno dei più significativi autori di narrativa per ragazzi degli ultimi decenni grazie a una produzione che assortisce oltre un centinaio di titoli (alcuni rivolti anche a lettori adulti) che gli sono valsi per tre volte l’assegnazione del Newbery Honor Award, come nel caso di Nelle terre selvagge del 1987, uno dei romanzi più noti della sua straordinaria carriera. Considerando la vita avventurosa e vagabonda che Paulsen ha condotto barcamenandosi tra l’Alaska, il Nuovo Messico e il Minnesota, non c’è da stupirsi che questo romanzo abbia una grande forza d’impatto e riesca a proiettare il lettore in mezzo a una natura incontaminata e selvaggia, a combattere con lui per sopravvivere giorno per giorno, superando una difficoltà dopo l’altra: una situazione alla Into the wild, insomma... La storia prende avvio con l’adolescente Brian Robeson in volo su un Cessna 406, un piccolo aereo ad elica da turismo: il ragazzo è partito da New York diretto in un giacimento in Canada, dove finiscono i boschi e comincia la tundra, per raggiungere il padre, che negli ultimi tempi si è separato (e traumaticamente) dalla madre. Con sé Brian porta l’ascia che quest’ultima gli ha regalato pensando che potesse tornare utile al figlio durante questa vacanza col padre, ma tutto cambia quando nelle prime pagine il pilota è colpito da un infarto e muore lasciando Brian su un aereo destinato – come tutto sembrerebbe suggerire – a un inevitabile disastro. Il ragazzo, però, a cui il pilota nella prima parte di volo aveva fatto provare i comandi del velivolo, in qualche modo riesce ad indirizzare il piccolo aereo in uno specchio d’acqua, riuscendo ad uscire dalla carlinga prima che si inabissi e salvandosi per il rotto della cuffia. Il punto è che l’aereo non è più visibile e Brian è perso nel mezzo del nulla, in preda a una natura piena di pericoli e senza grosse idee su come cavarsela. La prima sensazione che Brian prova dopo essersi messo in salvo nella terraferma ed essere crollato è una sete assoluta e senza fine al risveglio e, poco dopo, una fame implacabile. E poco dopo arriva a ruota anche la domanda destinata a tormentare le giornate del protagonista: quando arriveranno i soccorsi? Lo scopriremo nel resto del romanzo insieme a tutto ciò che ignoravamo la natura nascondesse: il caldo, la difficoltà a procacciarsi cibo, gli insetti, gli animali… Brian resiste in condizioni estreme cercando di usare quel poco che ha a disposizione e tutte le opportunità di cui la sorte gli consente di avvalersi: cerca soprattutto di mettere a frutto i consigli motivanti del suo professore di lettere, che gli ha insegnato che ognuno di noi ha se stesso e tutte le proprie capacità a disposizione. E anche Brian scoprirà di avere in serbo qualcosa che neppure immaginava e gli consentirà di tirare avanti nell’ambiente avverso in cui è precipitato molto di più di quanto si sarebbe mai aspettato. Il romanzo Paulsen ce lo racconta con un realismo che farebbe invidia a Mark Twain, fotografando le foreste canadesi con una capacità di dettaglio davvero notevole. Al resto provvede un intreccio in grado di tenere sempre il lettore sulla corda fino all’ultima pagina. Nelle terre selvagge racconta una grande storia sospesa a metà tra il romanzo avventuroso e quello di formazione: alla fine ci lascia con la sensazione di aver assistito ad un incredibile percorso di crescita nell’autonomia di un adolescente come tanti che impara a far affidamento soltanto su se stesso (con un po’ di fortuna). Un libro assolutamente da non perdere.

Gary Paulsen, Nelle terre selvagge, Milano, Pickwick, 2016; pp. 217

mercoledì 4 novembre 2020

L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

Si tratta di un fortunato racconto di taglio allegorico dell'autore francese Jean Giono, edito nel 1953, tradotto in tutto il mondo e diventato l'omonimo film di Frédéric Back, premiato tra l'altro con l'Oscar come miglior cortometraggio d'animazione. La storia si apre nel 1910 mostrandoci il narratore da giovane che sta passeggiando per una desolata vallata, ai piedi delle Alpi provenzali: l'escursione diventa problematica per la difficoltà a trovare acqua, dato che nella zona c'è solo un piccolo villaggio abbandonato e diroccato, e con una fontana ormai secca. Scrutando il panorama, però, il protagonista avvista la sagoma lontana di un pastore circondato dal suo gregge di pecore: così raggiunge l'uomo, che gli offre l'acqua della sua borraccia e gli offre ospitalità per la notte. Nella dignitosa casa del suo ospite di poche parole, il narratore ne scopre la storia: si chiama Elzéard Bouffier, è vedovo, ha cinquantacinque anni e ogni giorno pianta cento ghiande per migliorare il luogo dove vive facendovi crescere una foresta. Dopo aver perso la moglie, si è ritirato in questo luogo desolato e negli ultimi tre anni ha piantato centomila ghiande (e si aspetta che ne crescano almeno diecimila querce). Il narratore riparte e torna in quei luoghi dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale: il panorama è cambiato, dato che adesso c'è un'enorme foresta, non solo di querce ma anche di faggi e betulle, e l'acqua ha ricominciato a scorrere nei ruscelli secchi. L'ospite silenzioso di dieci anni prima è diventato apicoltore ma continua a piantare alberi con la stessa determinazione di prima. La foresta viene messa sotto protezione dallo stato e i dintorni cominciano a essere ripopolati da coppie giovani in cerca di fortuna. E l'uomo che aveva la missione di piantare gli alberi in modo generoso e disinteressato? Ne scopriremo il destino alla fine, ovviamente... Gran bella storia, talmente bella che Jean Giono, che ne andava fiero nonostante l'immensa fortuna del racconto in tutto il mondo non gli avesse fatto guadagnare denaro (alcune edizioni sono state perfino distribuite gratuitamente), destò scalpore rivelando che questa straordinaria figura di pastore ecologico era un personaggio assolutamente inventato. La prospettiva aneddotica cattura fin dalle prime pagine con la forza del realismo della vicenda e del significato simbolico di un gesto d'amore ripetuto nel tempo per cambiare un territorio che l'incuria umana ha reso arido e inospitale. Difficile pensare a una storia che abbia una valenza educativa maggiore di questo splendido, essenziale racconto.

Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, Milano, Salani, 2011; pp. 51


mercoledì 14 ottobre 2020

SCOPRENDO IL MONDO... A PIEDI

Sì, in effetti un libro come questo risulterà “strano” per la maggior parte dei lettori, soprattutto dei lettori giovani o giovanissimi i quali, stando a recenti indagini statistiche, fanno sempre meno attività fisica. Si tratta di un libro scritto da un “camminatore” d’eccezione, Paolo Rumiz, classe 1947, giornalista de “La Repubblica” e de “Il Piccolo”: è una sorta di diario di bordo del viaggio a piedi da Trieste a Promontore, sulla punta all’estremo Sud della penisola dell’Istria. A piedi è scansionato in sette capitoli per i relativi sette giorni di viaggio percorsi da Rumiz quasi rigorosamente a piedi, tranne un tratto iniziale in autobus. È un viaggio in solitario e aperto ad imprevisti molteplici, che forse costituiscono il vero centro d’interesse del viaggio stesso, che altrimenti consisterebbe, nell’accezione più tristemente diffusa al giorno d’oggi, nel recarsi da un posto all’altro nel modo più asettico ed indolore possibile. Al contrario A piedi dimostra con grande dinamismo ed indubbia facilità che, anche nel terzo millennio, il succo del viaggio consiste nel conoscere gente nuova, nel vivere avventure (talvolta anche a correre pericoli), nel godersi la fatica di andare da un posto all’altro avendo il tempo di guardare cosa c’è ai bordi della strada, che potrebbe essere un sentiero in mezzo al bosco o attraverso un campo incolto. Camminando a piedi, precisa spesso Rumiz, è necessario portarsi nello zaino una quantità adeguata di acqua, the o succo di frutta, perché camminando d’estate si suda molto, è consigliabile indossare un paio di scarpe ben “rodate”, in modo da preservare i piedi, che sono lo strumento primario per compiere il viaggio, è bene portarsi dietro il siero antivipera in caso di incontri indesiderati ed anche avere un numero adeguato di aneddoti da ricordare, dato che chi cammina da solo finirà immancabilmente per parlare con se stesso. E da Trieste a Promontore, passando per Gracischie, Montona, Antignana, Canfanaro, Valle e Fasana, di storie varie, attrattive naturali e storico-artistiche ne scopriremo più d’una seguendo il buon Rumiz: squarci sulla guerra dell’ex Jugoslavia, i confini degli stati da attraversare, gli animali selvatici delle zone circostanti, l’orientamento con le stelle, le birre dei viaggi dei tempi che furono ed infine persone, cibi, bevande e usanze dei paesi dove sostare da una tappa all’altra, che molte sorprese le riservano sempre. Assolutamente da provare e (perché no?) magari da mettere in pratica. Corredano il tutto le illustrazioni di Alessandro Baronciani. 

Paolo Rumiz, A piedi, Milano, Feltrinelli, 2013; pp. 125 


OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...