Senza dubbio lo scrittore americano Gary Paulsen (1939-2021) è
stato uno dei più significativi autori di narrativa per ragazzi degli ultimi
decenni grazie a una produzione che assortisce oltre un centinaio di titoli
(alcuni rivolti anche a lettori adulti) che gli sono valsi per tre volte
l’assegnazione del Newbery Honor Award, come nel caso di Nelle terre selvagge del 1987, uno dei romanzi più noti della sua straordinaria
carriera. Considerando la vita avventurosa e vagabonda che Paulsen ha condotto
barcamenandosi tra l’Alaska, il Nuovo Messico e il Minnesota, non c’è da
stupirsi che questo romanzo abbia una grande forza d’impatto e riesca a
proiettare il lettore in mezzo a una natura incontaminata e selvaggia, a
combattere con lui per sopravvivere giorno per giorno, superando una difficoltà
dopo l’altra: una situazione alla Into
the wild, insomma... La storia prende avvio con l’adolescente Brian Robeson
in volo su un Cessna 406, un piccolo aereo ad elica da turismo: il ragazzo è
partito da New York diretto in un giacimento in Canada, dove finiscono i boschi
e comincia la tundra, per raggiungere il padre, che negli ultimi tempi si è
separato (e traumaticamente) dalla madre. Con sé Brian porta l’ascia che
quest’ultima gli ha regalato pensando che potesse tornare utile al figlio
durante questa vacanza col padre, ma tutto cambia quando nelle prime pagine il
pilota è colpito da un infarto e muore lasciando Brian su un aereo destinato –
come tutto sembrerebbe suggerire – a un inevitabile disastro. Il ragazzo, però,
a cui il pilota nella prima parte di volo aveva fatto provare i comandi del
velivolo, in qualche modo riesce ad indirizzare il piccolo aereo in uno
specchio d’acqua, riuscendo ad uscire dalla carlinga prima che si inabissi e
salvandosi per il rotto della cuffia. Il punto è che l’aereo non è più visibile
e Brian è perso nel mezzo del nulla, in preda a una natura piena di pericoli e
senza grosse idee su come cavarsela. La prima sensazione che Brian prova dopo
essersi messo in salvo nella terraferma ed essere crollato è una sete assoluta
e senza fine al risveglio e, poco dopo, una fame implacabile. E poco dopo
arriva a ruota anche la domanda destinata a tormentare le giornate del
protagonista: quando arriveranno i soccorsi? Lo scopriremo nel resto del
romanzo insieme a tutto ciò che ignoravamo la natura nascondesse: il caldo, la
difficoltà a procacciarsi cibo, gli insetti, gli animali… Brian resiste in
condizioni estreme cercando di usare quel poco che ha a disposizione e tutte le
opportunità di cui la sorte gli consente di avvalersi: cerca soprattutto di
mettere a frutto i consigli motivanti del suo professore di lettere, che gli ha
insegnato che ognuno di noi ha se stesso e tutte le proprie capacità a
disposizione. E anche Brian scoprirà di avere in serbo qualcosa che neppure
immaginava e gli consentirà di tirare avanti nell’ambiente avverso in cui è
precipitato molto di più di quanto si sarebbe mai aspettato. Il romanzo Paulsen
ce lo racconta con un realismo che farebbe invidia a Mark Twain, fotografando
le foreste canadesi con una capacità di dettaglio davvero notevole. Al resto
provvede un intreccio in grado di tenere sempre il lettore sulla corda fino all’ultima
pagina. Nelle terre selvagge
racconta una grande storia sospesa a metà tra il romanzo avventuroso e quello di formazione: alla fine ci
lascia con la sensazione di aver assistito ad un incredibile percorso di
crescita nell’autonomia di un adolescente come tanti che impara a far
affidamento soltanto su se stesso (con un po’ di fortuna). Un libro assolutamente
da non perdere.
Gary
Paulsen, Nelle terre selvagge,
Milano, Pickwick, 2016; pp. 217