Ray
Bradbury (1920-2012) è stato uno dei più grandi scrittori di fantascienza della
sua generazione e uno dei più ispirati autori contemporanei della sua epoca,
soprattutto grazie a due capolavori romanzeschi come Cronache marziane e Fahrenheit
451, ma anche per le tante raccolte di racconti, alcune davvero
straordinarie (come Il grande mondo
laggiù, tanto per dirne una). A differenza dal romanzo d’esordio, più
‘classico’ dal punto di vista tematico (trattando della colonizzazione del
pianeta rosso), Fahrenheit 451 è
quello che oggi, memori del successo delle saghe di Hunger Games e Divergent,
definiremmo un romanzo distopico, dato che nella storia colpisce soprattutto
l’ambientazione futura, in un domani in cui qualcosa è cambiato rispetto al
presente – ovviamente dovremmo rapportarci al presente dell’autore, all’inizio
degli anni Cinquanta del Novecento, ma il paragone tutto sommato regge
abbastanza anche in rapporto al presente dei giorni nostri –. Siamo in un
futuro prossimo e venturo in cui i pompieri appartengono alla cosiddetta “milizia
del fioco” e, anziché spengere incendi, si occupano di appiccare roghi nelle
case di coloro che possiedono libri, oggetti assolutamente proibiti dalla legge.
Il protagonista, Guy Montag, è appunto un pompiere ed esercita la sua
professione con zelo e convinzione, non riuscendo assolutamente a comprendere
le ragioni dei cittadini che infrangono la legge decidendo consapevolmente di
possedere dei libri. Le certezze esistenziali di Montag cominciano però a
vacillare quando un’anziana signora decide di morire nel rogo della propria
abitazione piuttosto che separarsi dai propri libri: in seguito il protagonista
porta a casa dei volumi e comincia a leggerli, iniziando a dubitare della
propria missione. Nel frattempo sua moglie – completamente assuefatta, come
tanti cittadini del futuro, ai programmi televisivi che interagiscono addirittura
con gli spettatori – si accorge dei comportamenti del marito e lo denuncia alle
autorità, innescando una serie di eventi che faranno di Montag un fuggiasco
assegnato come bersaglio a un letale segugio meccanico. Nel finale visionario
che incombe sulla storia Montag è destinato a scoprire l’esistenza di un gruppo
clandestino di umani che cercano di far sopravvivere i libri oltre il
ricettacolo cartaceo con cui storicamente le storie si sono trasmesse nei
secoli sia copiate a mano sia stampate. Fahrenheit
451 è un’appassionata apologia del libro come oggetto simbolicamente
destinato a salvare il libero pensiero, che nella società futura è avversato
per facilitare il controllo sociale, mentre il mezzo televisivo è diffuso ad libitum per favorire una
tranquillizzante narcosi della coscienza. Senza dubbio nell’immaginario di
Bradbury durante l’elaborazione del romanzo si fece sentire il ricordo
angosciante dei roghi di libri perpetrati dal regime nazista negli anni Trenta,
ma anche il clima di caccia alle streghe alimentato dal senatore McCarthy nei
primi anni Cinquanta negli Stati Uniti durante la Guerra Fredda, con l’ossessione
costante dei complotti comunisti e la minaccia incombente di un conflitto
atomico (che aleggia anche sul finale del romanzo). Col titolo Fahrenheit 451, così evocativo e
particolare, sembra che l’autore volesse indicare la temperatura di accensione
della carta alla pressione di un’atmosfera, anche se nel libro l’unico
riferimento diretto è la cifra 451 sull’elmetto di Montag. Fahrenheit 451 ebbe un’immediata e vasta fortuna, tanto che nel
1966 fu traslato sul grande schermo nell’omonimo film di François Truffaut.
Insomma, un apocalittico canto d’amore sui libri e un romanzo assolutamente da
leggere.
Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Milano, Mondadori, 2018; pp. 207