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mercoledì 30 dicembre 2020

LA STRAORDINARIA INVENZIONE DI HUGO CABRET

Di questo romanzo hanno scritto che si tratta del “primo libro in cui le parole illustrano le immagini”, ed in effetti questa definizione è decisamente calzante per La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, classe 1966, celebre illustratore per ragazzi che è riuscito a realizzare un’opera che è la perfetta sintesi tra un romanzo di formazione, una graphic novel a carboncino e un atto d’amore per il cinema muto (e la fantasia in genere). È un libro per ragazzi, indubbiamente, ma è confezionato proprio come la narrativa per adulti con la “N” maiuscola: si comincia con una prefazione che incornicia la storia vera e propria, presentataci, con tanto di consigli per una corretta fruizione, da un certo Professor Alcofrisbas, la cui identità scopriremo solo alla fine. Voltata pagina, inizia subito la magia: attraverso una prospettiva ‘telescopica’ arriveremo nella Parigi del 1931, in una stazione, dietro un orologio dal quale un ragazzino sta tenendo d’occhio l’anziano gestore di un chiosco di giocattoli. Hugo è un orfano che ha perso il padre, provetto orologiaio morto a causa di un incendio nel museo in cui lavorava, ed è stato adottato dallo zio alcolizzato che vive nei meandri della stazione, con l’incarico di tenere gli orologi in efficienza. È ormai da tempo però che lo zio non ha più fatto ritorno e Hugo è abbandonato a se stesso, sopravvive con piccoli furti e continua a provvedere agli orologi della stazione per evitare che qualcuno si accorga dell’assenza del suo tutore. L’unica luce nella solitudine del ragazzo è la sola eredità che il padre gli ha lasciato, un vecchio automa a carica che rappresenta uno scrivano ed a cui il padre di Hugo ha continuato a lavorare fino alla tragica notte in cui è morto: il giovane protagonista infatti è sicuro che il genitore sia riuscito a ripararlo e gli abbia affidato il suo ultimo messaggio per lui, così ha cercato di ripararlo seguendo gli appunti paterni e procurandosi i pezzi di ricambio dal chiosco di giocattoli della stazione. Le cose peggiorano quando il vecchio negoziante lo pesca con le pive nel sacco e gli sequestra il taccuino del padre, restandone turbato e ripromettendosi di distruggerlo. Per rientrarne in possesso Hugo cercherà l’appoggio di Isabelle, la figlioccia del negoziante, molto intrigata dal suo nuovo amico e dall’avventura che le si prospetta davanti. Passando attraverso molteplici citazioni letterarie e la fantasmagorica scoperta del cinema – soprattutto le straordinarie invenzioni su celluloide di Georges Méliès, il cineasta che ideò il concetto stesso di effetti speciali –, arriverà anche il tassello narrativo decisivo per mezzo della chiave a forma di cuore che serve ad attivare l’automa di Hugo (e le meraviglie che ne deriveranno). Il tutto per arrivare all’immancabile happy ending che chiuderà la vicenda in modo impeccabilmente circolare. Una gran bella storia, che impone al lettore l’assoluta necessità di scoprire dove lo porteranno i primi passi inquieti del protagonista, attraverso la sua particolare prospettiva del mondo e la sua frenesia per la soluzione dell’ultimo mistero del padre perduto. L'alchimia tra disegni e narrazione è assolutamente funzionale a tratteggiare una storia di formazione davvero coinvolgente. Passate parola. 

Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, Milano, Mondadori, 2007; pp. 544


sabato 7 novembre 2020

LA STANZA DELLE MERAVIGLIE

Iniziamo puntualizzando che si tratta di un'opera del talentuoso Brian Selznick, l’autore di uno dei libri più belli dell’ultimo decennio, un romanzo grafico intitolato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, da cui il grande Martin Scorsese ha tratto una notevole versione cinematografica in 3D che ha entusiasmato gli spettatori di tutto il mondo e di ogni età, precisazione d’obbligo dato che la fonte letteraria in teoria potrebbe essere considerata un cosiddetto romanzo per ragazzi. La ricchezza narrativa delle avventure di Hugo Cabret traeva linfa vitale dal cinema dei tempi andati nel cruciale passaggio dal muto al sonoro, un mondo che il giovane autore del New Jersey, classe 1966, respira dalla culla, trattandosi del nipote di David O. Selznick, il leggendario produttore di Via col vento e di tanti altri capolavori della Hollywood dei tempi andati. Anche con La stanza delle meraviglie il gioco si ripete e il lettore potrà lasciarsi rapire dalla magica alchimia tra parole e splendide immagini a carboncino attraverso le quali si alternano le storie del libro. Già, perché a differenza del romanzo precedente, che nascondeva una storia nella storia, stavolta le storie sono due e scorrono parallele, affidate a protagonisti divisi da un arco temporale di ben cinquant’anni: una raccontata soltanto tramite disegni in bianco e nero, l’altra attraverso le parole, storie ovviamente destinate ad incrociarsi, prima o poi, chissà come. Ne sono protagonisti due ragazzi in cerca del proprio passato e di un posto nel mondo, un equilibrio difficile da trovare soprattutto perché entrambi sono in qualche modo sconnessi rispetto agli altri. Ben è un ragazzo che ama collezionare oggetti strani: ha perso la madre di recente e vive con gli zii a Lake Gunflint, Minnesota, nel 1977. Ben è sordo da un orecchio e non sa niente del padre, che non ha mai incontrato, ma trova una tessera del puzzle del suo ignoto passato nella casa materna in cui non è più entrato dalla tragedia: dentro un libriccino intitolato... La stanza delle meraviglie c’è infatti il segnalibro di una libreria a firma di un tale Danny che potrebbe essere proprio il padre sconosciuto, ma incombe una ‘fulminea’ interruzione che renderà assai più ardua la ricerca di Ben. Rose invece è una ragazzina sordomuta che vive sola col padre in una casa di Hoboken, New Jersey, nel 1927. Rose colleziona in modo quasi maniacale foto e articoli di giornale dedicati a Lilian Mayhew, una celebre attrice del cinema muto che, a quanto pare, vorrebbe assolutamente raggiungere. Entrambi si mettono in fuga in direzione di New York a mezzo secolo di distanza per ritrovare le proprie radici e magari un posto nel mondo. Il fil rouge che lega Ben a Rose chiaramente più avanti arriverà a sorprenderci, anche se in modalità meno fantastiche (ma umanamente struggenti) di quanto sarebbe lecito attendersi. Un lirico happy ending incombe infatti sulla doppia vicenda ma prima Selznick ci farà scoprire il senso dell’arte, il concetto di museo e il segreto dell’amicizia, magari nei meandri del Museo di Storia Naturale della Grande Mela, o forse in una sorprendente meraviglia newyorchese costruita con amore per una vita intera al Queens Museum of Art, perché no? Il dono più stupefacente del romanzo è però l’insostenibile leggerezza con cui Selznick riesce a tratteggiare con una sensibilità davvero unica le storie di due personaggi che hanno difficoltà a padroneggiare le parole e districarsi tra i suoni che caratterizzano il mondo cosiddetto “normale”, riuscendo a parlare con rara delicatezza di un tema difficile come la disabilità. Insomma, La stanza delle meraviglie cattura dalla prima pagina e non ti lascia più, semmai ha il solo difetto di durare troppo poco. Imperdibile. 

Brian Selznick, La stanza delle meraviglie, Milano, Mondadori, 2012; pp. 656 

 

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...