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venerdì 29 gennaio 2021

SE QUESTO È UN UOMO...

Il classico italiano per eccellenza della vasta letteratura relativa ai campi di sterminio nazisti attivi durante il secondo conflitto mondiale è senza alcuna ombra di dubbio Se questo è un uomo di Primo Levi (1919-1987), uscito senza clamori per la prima volta nel 1947, accolto nella collana einaudiana “Saggi” nel 1958 e da quel momento continuamente ristampato e tradotto con successo in tutto il mondo. Il libro dello scrittore torinese – autore peraltro de I sommersi e i salvati, La tregua e dell’antologia I racconti – è un romanzo autobiografico, una sorta di narrazione-testimonianza sulla drammatica realtà dei lager raccontata dalla prospettiva di una delle vittime, ovvero lo stesso Levi, uno dei pochi Ebrei che riuscirono a scampare al loro ineluttabile destino di morte. Nella presentazione l’autore torinese spiega che la genesi di Se questo è un uomo non va ricercata nell’esigenza di «formulare nuovi capi d’accusa» ai danni dei persecutori nazisti, quanto invece con la volontà di «fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano» ed in particolare per soddisfare la necessità di raccontare agli altri un’esperienza straordinaria nel suo essere estrema, feroce e brutale, dunque da ricordare per sempre ad eterno monito di cosa gli esseri umani sono stati in grado di fare, spesso consapevolmente, ai propri simili. Levi comincia a raccontarci la sua discesa agli inferi dall’inizio, spiegandoci le modalità della sua cattura e la partenza su un treno per il trasporto di bestiame con destinazione Auschwitz. Nel secondo capitolo, intitolato “Sul fondo”, l’autore ci racconta il suo approdo nell’abisso del campo di concentramento e la scoperta del micidiale meccanismo che cancellerà la sua identità e calpesterà la sua dignità di essere umano, riducendolo nel breve volgere di poche ore soltanto ad un numero: «ho imparato che io sono uno Häftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro». È soltanto mostrando il proprio numero che si ha diritto al pane ed alla zuppa che consentono di sopravvivere nell’allucinante successione di lavori forzati svolti nelle condizioni più impossibili, cercando ogni volta di restare fuori dall'immancabile selezione delle prossime vittime. Se questo è un uomo si rivela incisivo soprattutto nella ricostruzione del disumano ritmo che regolava le esistenze delle vittime predestinate dei lager: «uscire rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire». Senza nessuna speranza di uscire, cercando semplicemente di resistere il più a lungo possibile, in una galleria di varia umanità che si divide in due categorie, i sommersi ed i salvati, coloro che respirano per forza d’inerzia, ormai completamente cancellati come uomini, e coloro invece che paiono quasi emblematicamente programmati a livello genetico per arrivare al momento della liberazione, che le vittime ad un certo punto sembrano avvertire come imminente ma che sembra non giungere mai. Da segnalare la bellissima poesia che anticipa il libro (nota generalmente come Shema, termine ebraico che significa "ascolta") prescrivendo ai lettori una riflessione sul valore della memoria dell'allucinante vicenda della Shoah. Completano il volume uno scritto di Cesare Segre ed un’incisiva appendice con le risposte dell’autore alle domande ricorrenti cui si è ritrovato a rispondere nei numerosi incontri con gli studenti. Da leggere per non dimenticare… 

Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2008; pp. 213

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