mercoledì 30 dicembre 2020

GHOST: UNA STORIA DI SPORT & DISAGIO SOCIALE

Per l’anagrafe lui è Castle Cranshaw, anche se preferisce farsi chiamare Ghost: è un ragazzo senza molti punti fermi nella vita, a parte la bustina di semi di zucca che ogni santo giorno compra nel negozio del vecchio Mr. Charles e… correre. Castle ha la consapevolezza di saper correre sul serio da quando una sera suo padre (che amava i semi di zucca come lui) è stato abbrutito senza ritorno dall’alcool ed ha sparato al figlio e alla moglie mentre scappavano di casa, per poi finire dritto in galera senza fiatare. Da quel giorno la vita è stata particolarmente grama per il giovane protagonista, che non riesce mai a tenersi lontano dagli alterchi con chi lo provoca per il suo taglio di capelli strampalato, per i vestiti troppo grandi e poco trendy o per il fatto che abita a Glass Manor, che non è proprio il posto più elegante della città. Tutto cambia quando Ghost scorge un gruppo di ragazzi che si stanno allenando nella pista d’atletica del parco e, senza saper bene neanche lui perché, si ritrova a sfidare il più veloce di loro, finendo peraltro per ‘asfaltarlo’ nonostante sia vestito in modo improponibile per correre (e non abbia mai preso in seria considerazione nessuno sport tranne il basket). Fatto sta che l’impresa colpisce subito l’attenzione dell’allenatore del gruppo, Coach Brody, tassista ed ex medaglia d’oro olimpica che assomiglia in modo inquietante a una tartaruga con un dente scheggiato. Il buon Ghost entra così nella squadra dei Defenders, a patto di tenersi lontano dai guai, ma ben presto scoprirà di non essere particolarmente fortunato su questo fronte. Ghost è un romanzo di formazione di ambito sportivo che prende subito per la prospettiva dal basso del protagonista, che vive in una situazione svantaggiata con una madre sola e senza troppe prospettive, peraltro oppresso da un trauma infantile con cui è dura scendere a patti, però di buon cuore ed anche piuttosto cool, qualità non banali per il quartiere in cui vive e cerca di tirare avanti. A parte la trascinante sequenza di disavventure che Ghost si trova costretto a superare, la storia prende anche per i dettagli di atletica che la contrappuntano e per lo spirito di squadra che la pervade. Senza spoilerare troppo, colpisce anche lo spaccato di interiorità che Jason Reynolds ci regala un attimo prima dei titoli di coda. Da provare.

Jason Reynolds, Ghost, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 191

LA STRAORDINARIA INVENZIONE DI HUGO CABRET

Di questo romanzo hanno scritto che si tratta del “primo libro in cui le parole illustrano le immagini”, ed in effetti questa definizione è decisamente calzante per La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, classe 1966, celebre illustratore per ragazzi che è riuscito a realizzare un’opera che è la perfetta sintesi tra un romanzo di formazione, una graphic novel a carboncino e un atto d’amore per il cinema muto (e la fantasia in genere). È un libro per ragazzi, indubbiamente, ma è confezionato proprio come la narrativa per adulti con la “N” maiuscola: si comincia con una prefazione che incornicia la storia vera e propria, presentataci, con tanto di consigli per una corretta fruizione, da un certo Professor Alcofrisbas, la cui identità scopriremo solo alla fine. Voltata pagina, inizia subito la magia: attraverso una prospettiva ‘telescopica’ arriveremo nella Parigi del 1931, in una stazione, dietro un orologio dal quale un ragazzino sta tenendo d’occhio l’anziano gestore di un chiosco di giocattoli. Hugo è un orfano che ha perso il padre, provetto orologiaio morto a causa di un incendio nel museo in cui lavorava, ed è stato adottato dallo zio alcolizzato che vive nei meandri della stazione, con l’incarico di tenere gli orologi in efficienza. È ormai da tempo però che lo zio non ha più fatto ritorno e Hugo è abbandonato a se stesso, sopravvive con piccoli furti e continua a provvedere agli orologi della stazione per evitare che qualcuno si accorga dell’assenza del suo tutore. L’unica luce nella solitudine del ragazzo è la sola eredità che il padre gli ha lasciato, un vecchio automa a carica che rappresenta uno scrivano ed a cui il padre di Hugo ha continuato a lavorare fino alla tragica notte in cui è morto: il giovane protagonista infatti è sicuro che il genitore sia riuscito a ripararlo e gli abbia affidato il suo ultimo messaggio per lui, così ha cercato di ripararlo seguendo gli appunti paterni e procurandosi i pezzi di ricambio dal chiosco di giocattoli della stazione. Le cose peggiorano quando il vecchio negoziante lo pesca con le pive nel sacco e gli sequestra il taccuino del padre, restandone turbato e ripromettendosi di distruggerlo. Per rientrarne in possesso Hugo cercherà l’appoggio di Isabelle, la figlioccia del negoziante, molto intrigata dal suo nuovo amico e dall’avventura che le si prospetta davanti. Passando attraverso molteplici citazioni letterarie e la fantasmagorica scoperta del cinema – soprattutto le straordinarie invenzioni su celluloide di Georges Méliès, il cineasta che ideò il concetto stesso di effetti speciali –, arriverà anche il tassello narrativo decisivo per mezzo della chiave a forma di cuore che serve ad attivare l’automa di Hugo (e le meraviglie che ne deriveranno). Il tutto per arrivare all’immancabile happy ending che chiuderà la vicenda in modo impeccabilmente circolare. Una gran bella storia, che impone al lettore l’assoluta necessità di scoprire dove lo porteranno i primi passi inquieti del protagonista, attraverso la sua particolare prospettiva del mondo e la sua frenesia per la soluzione dell’ultimo mistero del padre perduto. L'alchimia tra disegni e narrazione è assolutamente funzionale a tratteggiare una storia di formazione davvero coinvolgente. Passate parola. 

Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, Milano, Mondadori, 2007; pp. 544


domenica 27 dicembre 2020

JACK BENNET E LA CHIAVE PER LA FANTASIA

L'autrice di Jack Bennet e la chiave di tutte le cose si chiama Fiore Manni, classe 1988: romana, Fiore è figlia d'arte, dato che sua madre è l'attrice Fiorenza Tessari e suo nonno il noto regista Duccio Tessari, Dopo aver conseguito un diploma in fashion design, la Manni è stata la conduttrice di "Camilla Store", un programma televisivo di successo che le ha aperto le porte nell'editoria con una serie di titoli del brand Camilla Store per De Agostini Editore. Jack Bennet e la chiave di tutte le cose è il suo primo romanzo per ragazzi e vede come protagonista un ragazzino di dieci anni senza troppa fortuna, dato che ha perso suo padre (che gli manca moltissimo) e che neppure sua mamma se la passa troppo bene, al punto che lui è costretto ad accettare un lavoro in una tipografia per darle una mano a tirare avanti, nonostante abbia soltanto dieci anni. Una perfetta situazione dickensiana, insomma, finché un bel giorno, uscendo dal lavoro (che consiste più che altro nel risolvere i problemi d'inceppamento del processo di stampa), il buon Jack, perennemente avvolto nella lunga sciarpa a righe blu regalatagli dal padre, incontra uno strano tizio vestito di viola che dice di chiamarsi il Padre di Tutte le Cose, che gli affida un passepartout dopo aver avuto dal ragazzo una generica disponibilità a dargli una mano. Non è che l'inizio di una svolta fantastica che porterà il nostro piccolo e modesto eroe a spasso per tre mondi alternativi a risolvere in modo sempre spontaneo problemi apparentemente al di fuori della sua portata, sia che finisca in una strana fabbrica di pappagalli tipografi che stampano libri magici praticamente per ogni occasione, sia che si trovi a tu per tu con l'Architetto dei sogni o che sia catapultato su una nave pirata su un oceano di foglie in rotta verso un incredibile tesoro. Ne viene fuori un romanzo fantastico per ragazzi che in modo strano e indecifrabile riesce a raccontare il desiderio di scoperta e di apprendimento insito nel cuore di ogni adolescente, come appunto nell'impagabile Jack Bennet, un piccolo protagonista di buon cuore che desidera più di ogni altra cosa scoprire qualcosa di nuovo e che nel farlo è sempre disposto a dare una mano a chi ne ha bisogno: attraverso i suoi occhi viaggeremo per strani mondi, alla ricerca inconscia di un sogno impossibile, solo per scoprire, forse, che il tesoro più grande per un ragazzino di dieci anni può rivelarsi l'amicizia. Assolutamente intrigante  e ricco di immaginazione: insieme a Jack Bennet non potremo fare a meno di vedere cosa c'è dall'altra parte di ogni porta che conduce a un mondo ignoto, una pagina dopo l'altra fino all'immancabile lieto fine.

Fiore Manni, Jack Bennet e la chiave di tutte le cose, Milano, Rizzoli, 2018; pp. 351


SETTE ABBRACCI E TIENI IL RESTO

Già autore de L'ombelico di Adamo, Stefano Tofani con Sette abbracci e tieni il resto ha scritto un romanzo di formazione per ragazzi di quelli che conquistano fin dalle prime pagine e non ti lasciano più. Il merito in gran parte è del protagonista, un ragazzino di dodici anni che si chiama Ernesto, anche se parecchi lo apostrofano con un soprannome che a lui non piace per niente come Quattrocchi, perché ovviamente porta gli occhiali. Non se la passa granché bene in effetti: zoppica per i postumi di un incidente automobilistico in cui ha perso l'amata nonna, di cui continua a ricordare come un mantra gli insegnamenti di vita, i proverbi e l'affetto. E la sfortuna del ragazzino non è finita qui: Ernesto ha i genitori separati, vive con una madre che spesso rincasa tardi dalle discoteche, e anche il padre non è affatto il massimo. Il protagonista insomma ha un'unica consolazione: sognare di essere considerato un po' da Martina, l'immancabile ragazza più carina della classe che ha ben altri studenti per la testa, purtroppo, ovviamente più grandi di lei. Tutto cambia quando Ernesto viene a conoscenza di un sistema per osservare il suo amore impossibile in modalità discinta, finendo per combinare l'immancabile disastro. D'altra parte non ha neanche un amico in grado di dargli consigli sensati, eccettuando Lucio, che è bloccato su una carrozzina ed ha purtroppo la vocazione del grillo parlante. In un quadro desolante a dir poco però Ernesto intravede l'occasione per coprirsi di gloria e conquistare Martina quando quest'ultima sparisce nel nulla sgomentando l'intero paese. Con un improbabile segugio prestato da un amico albanese di un centro accoglienza, Ernesto cercherà infatti di fare la cosa giusta e ritrovare Martina. Ci riuscirà? E si tratterà davvero di un caso di rapimento come tutti sembrano pensare? La storia al centro di questo delicato romanzo di formazione di Stefano Tofani regala al lettore una realistica ricostruzione della vita di provincia dalla prospettiva di un ragazzino sfortunato che vorrebbe qualcosa di più dalla vita e ragiona a un livello più alto della fauna giovanile che lo circonda e spesso finisce per ferirlo (gratuitamente) a livello emotivo. Da provare, soprattutto per la verve linguistica, che a tratti in effetti stende il lettore.

Stefano Tofani, Sette abbracci e tieni il resto, Milano, Rizzoli, 2019; pp. 222

sabato 26 dicembre 2020

LA BELLA RESISTENZA

Il sottotitolo di questo libro è "L'antifascismo raccontato ai ragazzi" e già costituirebbe un ottimo motivo per consigliarne la lettura. L'autore, Biagio Goldstein Bolocan, classe 1966, laureato in Storia, si occupa della redazione di manuali di Storia per le scuole secondarie di primo e di secondo grado. Nelle prime pagine rivela ai lettori di aver scritto La bella resistenza come debito di gratitudine verso nonna Emma, pessima cuoca ma fervente divulgatrice dei tempi difficilissimi vissuti in gioventù, che hanno innescato nell'autore l'amore per la Storia e lo sdegno per le ingiustizie patite dalla propria famiglia nel periodo del ventennio, in particolare dal 1938, con l'emanazione delle Leggi razziali, dato che la sua era una famiglia di origine ebraica. Il libro di Biagio Goldstein Bolocan si alterna infatti tra le vicende private familiari, spesso intrecciate con la vita culturale di Milano, e una serie di efficacissimi profili dei momenti cruciali tra il 1914 e il 1945, sempre illustrati dagli incisivi disegni di Matteo Berton: la Grande guerra, il primo dopoguerra, l'avvento del fascismo, la dittatura di Benito Mussolini, l'antifascismo, l'apoteosi del fascismo negli anni Trenta,  fascismo e nazismo, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, la resistenza. Per quanto riguarda le storie della grande famiglia Damiani-Bolocan, è decisamente arduo ricordare tutte le figure che si alternano nel periodo ma, dovendo scegliere, è doveroso ricordare almeno l'irresistibile ritratto dell'orientaleggiante nonno Alexandru Bolocan, un ingegnere che ama suonare il violino che a un certo punto è costretto a fuggire in esilio in Svizzera, dove finisce comunque in una sorta di campo di lavoro per ebrei ma si salva dal tifo e dagli stenti proprio grazie alla sua passione, "adottato" da un maestro svizzero amante della buona musica. D'obbligo anche ricordare il senso di giustizia di nonna Emma, che all'indomani del 25 aprile 1945 imbracciando una scopa salva dall'esecuzione da parte dei partigiani il segretario comunale di Mozzate, che comunque non l'aveva mai denunciata pur sapendo che lei e i suoi figli erano ebrei. Da leggere per non dimenticare.

Biagio Goldstein Bolocan, La bella resistenza, Milano, Feltrinelli, 2019; pp. 126

VIOLA NELLA RETE (DEL CYBERBULLISMO)

L'autrice di Viola nella rete si chiama Elisabetta Belotti e, oltre che una scrittrice, è una docente di Lettere che insegna da anni nella scuola secondaria di primo grado, quindi conosce a menadito l'ambientazione del suo romanzo e uno degli ingredienti principali del medesimo, dato che si occupa da tempo di social in relazione agli adolescenti e di cyberbullismo. La storia è narrata in una modalità autobiografica mista, diciamo, in quanto corrisponde alle pagine di diario di due dei protagonisti, Leo e Viola, e ai post di Instagram del terzo personaggio principale, Chiara: gli spunti dei tre ragazzi si alterneranno dandoci l'idea dell'intrecciata vicenda scolastica ordita dall'autrice a nostro uso e consumo. Siamo in una seconda media dei giorni nostri, con le classiche dinamiche relazionali che ci si potrebbe aspettare, nel bene e nel male: Leo è il classico studente potenzialmente brillante ma svogliato che è stato bocciato per farlo maturare ma non sembra aver imparato granché dall'infortunio scolastico; Viola è la new entry della classe, dove tutti gli altri sembrano lontani anni luce da lei, lettrice incallita dal look alternativo e dal carattere ribelle ed anticonvenzionale; Chiara è invece la queen della classe, sempre vestita all'ultimo grido e con un seguito di ancelle adoranti (e tutti i maschi cotti di lei, compreso il buon Leo). Nella perfetta vita di Chiara, che aspira a far suo Federico, lo Strafigo di terza che le piace da morire, l'arrivo di Viola rappresenta uno spiacevole contrattempo e quindi la ragazza passa al contrattacco creando su Facebook un profilo falso della rivale per screditarla in classe e indurla a lasciare la scuola, sempre che Leo, che ha iniziato a collaborare con Viola per un progetto scolastico, non trovi un modo per risolvere l'intricata faccenda, magari evitando di farsi espellere dalla Gazzaniga, la prof di Lettere che dal primo giorno di scuola gli sta sempre col fiato sul collo. Con Viola nella rete la Belotti ha scritto un romanzo breve che affronta in modalità realistiche e intriganti tematiche difficili come il bullismo e il cyberbullismo, riuscendo a catturare in modo incisivo lo slang degli adolescenti dei nostri giorni. La storia prende subito e ricorda altri romanzi per ragazzi dotati di prospettiva multipla come Ciao, tu e Mi ricci. Davvero niente male, insomma, e tra le righe affiora anche un approccio variegato e non banale alla scrittura da parte dei tre protagonisti, che sono diversissimi ma che sono sempre spinti dalla loro prof a raccontarsi anche per imparare ad orientarsi nella giungla social in cui, da bravi nativi digitali, vivono da sempre. 

Elisabetta Belotti, Viola nella rete, Torino, Einaudi, 2020; pp. 122

giovedì 24 dicembre 2020

DOPPIO PASSO

A St. Helens, in Inghilterra, durante i tempi duri della Grande guerra sembra che l'unica occasione di divertimento possibile per i ragazzi locali sia la partita di calcio della domenica pomeriggio tra le squadre dei quartieri, squadre che di solito assortiscono intere nidiate di fratelli, come avviene nella compagine del cortile dei quattro fratelli Kell e dei fratelli Jones (tra l'altro stranamente le famiglie della loro zona sembrano in grado di generare quasi esclusivamente figli maschi). Purtroppo l'ultimo dei fratelli Kerr, Martin, è un vero disastro sotto il versante calcistico, tanto che l'hanno relegato al ruolo di portiere, che tradizionalmente assolve in modo imbarazzante, anche perché ha un vero terrore del pallone da quando ha preso un brutto colpo e da allora chiude gli occhi quando gli avversari calciano per segnare nella sua porta, cosa che avviene ovviamente con disarmante puntualità. All'ennesima figuraccia rimediata in campo sotto gli occhi di un osservatore di una squadra importante, Martin scappa per sfuggire all'ira dei fratelli e finisce per scontrarsi casualmente con un coetaneo che sembra uguale a lui come una goccia d'acqua, se non fosse che al contrario di lui gioca a football in modo eccezionale e ha un piede sinistro che sembra progettato dal dio del calcio in persona. In vista del ritorno dell'osservatore nella prossima partita a Martin viene in mente il trucco dello scambio di persona: tornando sui suoi passi per ritrovare il presunto gemello finirà però per scoprire che è una gemella quella con cui il destino l'ha fatto scontrare. Per noi lettori sarà l'occasione per scoprire la vera storia di una vera leggenda del calcio femminile, ovvero Lilian Parr (detta Lily), classe 1905, una calciatrice mancina che ha appeso le scarpette al classico chiodo solo a 46 anni suonati dopo aver marcato un migliaio di goal in partite ufficiali, roba da far invidia perfino a "O Rey" Pelé o a Cristiano Ronaldo. Una bella storia sportiva raccontata in punta di penna da Alice Keller in Doppio passo, un'intrigante graphic novel illustrata e colorata da Veronica Truttero. Assolutamente da provare.

Alice Keller & Veronica Truttero, Doppio passo, Roma, Sinnos Editrice, 2020; pp. 96

venerdì 18 dicembre 2020

THEODORE BOONE INDAGA...

Nome: Theodore Boone. Età: 13 anni. Professione: studente e consulente legale part time. Figlio d'arte, Theodore Boone (Theo per gli amici) è un ragazzo con idee ben precise sul suo futuro prossimo e venturo: ripercorrere le orme paterne (e anche quelle materne) e diventare un avvocato. Nel frattempo, dato che ancora frequenta le medie, si tiene in esercizio fornendo gratuitamente consulenze legali ai suoi compagni di scuola ed è solito frequentare per diletto il tribunale di Strattenburg, la ridente cittadina dove abita da sempre. Il giovane protagonista usa spostarsi sulla sua inseparabile bicicletta ed è anche un piccolo hacker, abilità molto utile quando ha bisogno di inserirsi in database protetti. Le sue qualità lo rendono ovviamente popolare nella cerchia dei suoi coetanei, soprattutto tra quelli che hanno bisogno delle sue dritte per orientarsi nei divorzi dei genitori, per sopravvivere agli abusi dei compagni o, molto semplicemente, per recuperare l'amato cane finito nei meandri del canile municipale. Con simili interessi personali sembra più che logico che il buon Theo non si lasci sfuggire l'occasione di indagare sul campo quando si accorge che la giustizia sta commettendo un fatale errore nel processo dell'anno, che vede accusato dell'omicidio della moglie un ricco giocatore di golf, Peter Duffy. Il caso sembrerebbe avviato verso un'assoluzione per mancanza di prove ma, manco a dirlo, al nostro giovane avvocato dilettante capiterà tra le mani il classico testimone a sorpresa, che potrebbe anche inchiodare il colpevole (se non fosse che ha qualche problema a presentarsi in tribunale). La giustizia trionferà? Potremo scoprirlo in questo legal thriller per ragazzi firmato dallo stesso scrittore che ha inventato il genere oltre vent'anni fa, ovvero John Grisham, il fortunato autore di bestseller del calibro di Il momento di uccidere, Il socio, Il rapporto Pelican, Il cliente, L'uomo della pioggia e La giuria, tutti puntualmente finiti anche sul grande schermo. La prima indagine di Theodore Boone è un avvincente romanzo per ragazzi che intriga anche per la prospettiva dal basso con cui gli argomenti legali vengono di volta in volta presentati da questa curiosa (ma riuscita) figura di avvocato in erba. Ne vien fuori un atipico romanzo (peraltro seriale) per ragazzi che rischia di piacere forse più ai lettori adulti di Grisham che agli adolescenti dai dodici anni in su ai quali è rivolto. Si può provare. 

John Grisham, La prima indagine di Theodore Boone, Milano, Mondadori, 2011; pp. 238


lunedì 14 dicembre 2020

UN ROMANZO DI BOXE & FORMAZIONE: KAPPA O.

L'eclettico autore toscano di Kappa O. si chiama Dimitri Galli Rohl, classe 1975, e nonostante aspirasse a diventare un cartoonist, un calciatore e un maestro di arti marziali, è invece diventato un regista e attore teatrale, oltre che un pedagogo. Un bel personaggio fin dall'autopresentazione, insomma... E Kappa O. racconta una bella storia, anzi due belle storie che s'intrecciano tra formazione, sport e il sogno di una vita diversa. Il protagonista del romanzo si chiama Mattia Marino e sembra aver davvero avuto dal destino la vita che tutti vorrebbero vivere: la sua famiglia è ricca, lui è bello, intelligente e molto popolare. Il problema è che forse la sua non è la vita che avrebbe voluto vivere, soprattutto il futuro che gli prospetta il padre, noto chirurgo figlio di eminente chirurgo: non gli interessa, come non gli interessa primeggiare né nel nuoto né nella pallanuoto, le discipline sportive in cui chiaramente eccelle e a cui lo hanno avviato i genitori. Insomma, Mattia è un ragazzo con problemi di lusso, per sua ammissione, e la soluzione che ha scelto per superare una delle dirette conseguenze, l'insonnia, è parecchio stravagante: a rischio di spoilerare qualche dettaglio di troppo, diciamo che lo ha portato a trovare un luogo abbastanza inusuale come materasso terapeutico, addirittura uno sfasciacarrozze. E il titolare del posto, quando lo ha sorpreso di notte nella sua proprietà, ha proposto a Mattia un accordo ancora più strano per continuare a riposare tra i rottami, creare un costante bisogno di pezzi di ricambio nei dintorni, diciamo... Sarà in siffatta situazione che il rampollo di casa Marino finirà per scontrarsi con Angelo Masso, ex pugile titolare di una scalcinata palestra di boxe non molto in regola con le normative sanitarie vigenti: ed è qui che Mattia si ritroverà davanti Alì, giovane magrebino con cui ha intrecciato un rapporto per niente cordiale nella piscina in costruzione a casa sua, il prossimo regalo di compleanno dei signori Marino. Da qui inizierà una storia di rivalità sportiva e umana che non potrà che concludersi sul ring, in una sfida che potrebbe decidere il futuro di entrambi. Insomma, una gran bella storia a base di sogni impossibili, destini incrociati, svolte esistenziali e pugilato, uno degli sport che storicamente ha regalato emozioni leggendarie e un buon numero di film indimenticabili, da Toro scatenato a Million dollar baby. Peraltro, pur trattandosi di un romanzo di formazione per ragazzi, Kappa O. miscela due storie in parallelo a gran ritmo, è scritto con uno stile a pronta presa - tra l'altro confezionato con un'impeccabile cornice epistolare - e tiene il lettore incollato alle vicende intrecciate dei due protagonisti fino all'ultima pagina. Imperdibile.

Dimitri Galli Rohl, Kappa O., Torino, Einaudi, 2019; pp. 207

domenica 13 dicembre 2020

JOHN DELLA NOTTE: QUANDO LEGGERE È LIBERTÀ

L'autore di John della Notte è Gary Paulsen, americano di Minneapolis, classe 1939: dopo un'infanzia durissima ha vissuto una vita all'insegna dell'avventura, navigando in lungo e in largo per il Pacifico, allevando cani da slitta in Alaska e vivendo sempre in contatto con la natura, in mezzo al nulla ma sempre in compagnia di animali. I suoi libri - ne ha scritti oltre duecento, tra cui perle come Nelle terre selvagge - sono la diretta conseguenza delle sue esperienze di vita e sono rivolti esplicitamente ai ragazzi, il suo ideale pubblico di riferimento in quanto ancora capaci di perdersi in una storia, a differenza degli adulti, che hanno sempre in testa il prossimo acquisto o le rate di mutuo da pagare, per non parlare del fatto che Paulsen si sente ancora un ragazzo, e quindi trova spontaneo rivolgersi ai 'coetanei'... John della Notte è un piccolo libro ma di quelli veramente capaci di stravolgere i lettori: è ambientato a metà dell'Ottocento in un punto imprecisato del Sud rurale degli Stati Uniti, quando ancora esisteva la schiavitù, in una fattoria di proprietà del cattivissimo Waller, un padrone spietato, malvagio e che per giunta emana uno spiacevole odore, un tipo da cui stare alla larga, insomma. La storia la scopriamo dalla prospettiva dal basso della giovane schiava Sarny, dodici anni, affidata fin da piccola alle cure di Mammy, che si occupa di tutti i bambini ancora fisicamente non in grado di spaccarsi la schiena per ore in mezzo ai campi, bambini cresciuti lontano dalle madri, spesso peraltro vendute e finite altrove. Un giorno diverso dagli altri Waller conduce un nuovo schiavo nella sua proprietà: arriva legato da una corda al cavallo del padrone, nudo come un verme, madido di sudore e coperto da un nugolo di mosche, è John della Notte e, nonostante sia già sfinito dalla fatica, Waller lo spinge di corsa nei campi a lavorare fino al tramonto. La sera stessa Sarny sente le sue prime parole nel buio della baracca dove gli schiavi dormono ammassati: John chiede a qualcuno una presa di tabacco in cambio di tre lettere. Proprio così, tre lettere dell'alfabeto: la A, la B e la C... La capacità di leggere comincia da qui, col rischio costante di farsi tagliare un arto, perché per uno schiavo è assolutamente vietato leggere e scrivere, e l'infrazione è punita con una mutilazione che non si può dimenticare. Le cose stanno così, perché leggere equivale a conoscere ciò che si legge e quindi desiderare quello che non si ha, dato che gli schiavi non hanno niente e sono trattati come oggetti. I padroni ne hanno consapevolezza e quindi vogliono lasciare i loro schiavi nell'ignoranza. Se non ci fossero sognatori come John della Notte, ovviamente, capaci di scappare, raggiungere la libertà e tornare indietro per insegnare a leggere ai compagni di sventura di sempre. Leggere diventa dunque il primo passo per l'emancipazione e la libertà. Un piccolo romanzo davvero bellissimo, spesso quasi sconvolgente nella ricostruzione di una realtà difficile da accettare, a tratti commovente come un pugno liberatorio alla bocca dello stomaco. Dedicata alla memoria di Sally Hemings, una schiava del terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson, John della Notte è un'opera di fantasia che Paulsen ha scritto ispirandosi alle tante memorie degli schiavi che impararono a leggere e lasciarono una traccia delle loro vite sfortunate. Assolutamente... da leggere.

Gary Paulsen, John della Notte, Modena, Equilibri, 2019; pp. 99


venerdì 11 dicembre 2020

L'ULTIMA CACCIA: L'ENNESIMO GIOIELLO DI LANSDALE

La storia che racconta L’ultima caccia parte nel 1933, nel periodo più cupo della Grande Depressione, e la scopriamo attraverso gli occhi di un quindicenne, Richard Dale, che vive con la sua famiglia in una casa persa in mezzo ai boschi del Texas rurale, ama leggere qualunque cosa e, anche se non ne è pienamente cosciente, sogna di fare lo scrittore. L’avventura che segna la fine della sua adolescenza arriva mentre il padre è fuori per affari e la madre è ormai alla fine di una gravidanza: nell’appezzamento che la famiglia di Richard coltiva con grande fatica per tirare avanti con i prodotti della terra in questo momento così difficile arriva un animale quasi leggendario, il vecchio Satana, un cinghiale che fa parlare di sé da anni e sempre in termini fortemente negativi. C’è chi dice che in questa bestia selvaggia ed astutissima alberghi lo spirito di uno sciamano indiano, se non addirittura il diavolo stesso: Richard all’inizio cerca di limitare i danni al campo coltivato dalla famiglia, ma non può tirarsi indietro quando il perfido cinghiale infierisce sul suo fedele cane arrivando anche a minacciare la madre e il fratellino in arrivo. Essendo l’unico uomo di casa disponibile, il ragazzo non può sfuggire alle sue responsabilità e decide di dare la caccia all’infernale cinghiale, rischiando di rimetterci la pelle. L’esperienza, neanche a dirlo, cambierà la sua vita per sempre… Una gran bella storia, per la quale Lansdale ha preso spunto dalle notizie della sua famiglia, che era appunto originaria del Texas (anche suo padre, peraltro, occasionalmente faceva il lottatore). Lo scenario storico della Grande Depressione ricorre anche in altri romanzi di Lansdale come In fondo alla palude (che da L’ultima caccia riprende anche alcuni personaggi che all’autore piacevano troppo), Tramonto e polvere, Cielo di sabbia e Acqua buia. L’ultima caccia è un romanzo di formazione che, a prescindere dall’adrenalina dell’avventura centrale, cattura per la particolarità dell’ambientazione nel mezzo della natura e in un tempo difficile, dove comunque il giovane protagonista riuscirà a vivere una sorta di iniziazione alla vita adulta che al tempo stesso gli farà trovare il suo particolare posto nel mondo, che ha a che fare (neanche a dirlo) con l’arte di raccontare storie. Davvero un piccolo gioiello.

Joe Lansdale, L’ultima caccia, Torino, Einaudi, 2018; pp. 121


venerdì 4 dicembre 2020

TRA LE MURA… LA CLASSE

S’intitola La classe, è un piccolo romanzo autobiografico scritto da François Bégaudeau, un giovane docente di Francese. Partito in sordina con una tiratura iniziale di poche migliaia di copie, il libro di Bégaudeau sorprendentemente è entrato nelle classifiche francesi dei bestseller grazie ad un sotterraneo ma efficacissimo passaparola. Questo curioso successo editoriale è quindi diventato un film di Laurent Cantet, interpretato dallo stesso autore, premiato con la Palma d’Oro all’ultima edizione di Cannes e poi baciato da un grande successo di pubblico nei cinema d’Oltralpe. Tutto ciò, incredibile a dirsi, con un libro che parla di scuola e che fa passare, pagina dopo pagina, ai suoi lettori un intero anno scolastico tra i banchi della classe di Bégaudeau – infatti l’azzeccato titolo originale è Entre les murs, ovvero “tra le mura”, di una classe, appunto –. Chi non ha idea di cosa trovare dentro questo libro potrebbe pensare che esso riveli chissà quale innovativo approccio didattico, oppure un rivoluzionario stile di comunicazione della cultura: al contrario, ne La classe il buon Bégaudeau, che è ovviamente il protagonista del suo libro, ci racconta cosa fa realmente durante le sue ore di lezione, ovvero spiegare ai suoi ragazzi soprattutto la lingua francese – particolarmente grammatica, sintassi e qualche sprazzo di retorica –. L’approccio dell’autore non ha nessun segreto, tranne l’estrema disponibilità nei confronti del variegato gruppo multietnico costituito dai suoi studenti che, esattamente come i loro colleghi italiani, in genere non brillano per motivazione, interesse e comportamenti rispettosi: le lezioni di Bégaudeau spesso infatti prendono spunto direttamente dal vissuto dei suoi ragazzi, dal loro slang, dal loro modo di occupare lo spazio e di vestirsi – e infatti è solito attribuire loro la griffe delle loro felpe o T-shirt –. Questo atteggiamento empatico d’altra parte è sorretto anche da alcuni capisaldi comportamentali che l’autore esige dalla propria classe: gli studenti si rivolgono al Prof dandogli del “lei” in segno di rispetto, non lo contraddicono e sono tenuti a rispettare le sue indicazioni – ma talvolta, come tutte le classi, non lo fanno –. A guardar bene l’andamento delle lezioni, sarebbe quasi eufemistico considerare vincente la formula di Bégaudeau che, alla fine dell’anno scolastico, osserva che il più brillante stimolo culturale sbocciato nella sua classe è dovuto al caso oppure, nella migliore delle ipotesi, è una scelta indipendente di un’allieva in cui non avrebbe mai creduto possibile la nascita di un germoglio simile. Spesso, dalle lezioni in presa diretta (ed assai realistiche) dell’autore si innescano splendidi cortocircuiti didattici che fanno ben sperare, come in questo strepitoso scambio, asciutto ed esilarante: 

"Come si chiama quando si dice il contrario di quello che si pensa facendo capire che si pensa il contrario di quello che si dice?" 

"Prof la sua domanda mi fa venire il mal di testa" 

"Qual è la domanda prof?" 

"Forse ironia?" 

"Be, sì, è esattamente questo. Provate a fare una frase ironica". 

"Lei è bello". 

"Grazie, ma la frase ironica?" 

"Lei è bello". 

"Ok, perfetto, grazie tante". 

Notevole, no? Sembra proprio uno scambio degno di un film di Tarantino tratto da un libro del grande Elmore Leonard che, certo, pur non essendo un insegnante, apprezzerebbe… 

François Bégaudeau, La classe, Torino, Einaudi, 2008 ; pp. 223 

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...