mercoledì 30 dicembre 2020

GHOST: UNA STORIA DI SPORT & DISAGIO SOCIALE

Per l’anagrafe lui è Castle Cranshaw, anche se preferisce farsi chiamare Ghost: è un ragazzo senza molti punti fermi nella vita, a parte la bustina di semi di zucca che ogni santo giorno compra nel negozio del vecchio Mr. Charles e… correre. Castle ha la consapevolezza di saper correre sul serio da quando una sera suo padre (che amava i semi di zucca come lui) è stato abbrutito senza ritorno dall’alcool ed ha sparato al figlio e alla moglie mentre scappavano di casa, per poi finire dritto in galera senza fiatare. Da quel giorno la vita è stata particolarmente grama per il giovane protagonista, che non riesce mai a tenersi lontano dagli alterchi con chi lo provoca per il suo taglio di capelli strampalato, per i vestiti troppo grandi e poco trendy o per il fatto che abita a Glass Manor, che non è proprio il posto più elegante della città. Tutto cambia quando Ghost scorge un gruppo di ragazzi che si stanno allenando nella pista d’atletica del parco e, senza saper bene neanche lui perché, si ritrova a sfidare il più veloce di loro, finendo peraltro per ‘asfaltarlo’ nonostante sia vestito in modo improponibile per correre (e non abbia mai preso in seria considerazione nessuno sport tranne il basket). Fatto sta che l’impresa colpisce subito l’attenzione dell’allenatore del gruppo, Coach Brody, tassista ed ex medaglia d’oro olimpica che assomiglia in modo inquietante a una tartaruga con un dente scheggiato. Il buon Ghost entra così nella squadra dei Defenders, a patto di tenersi lontano dai guai, ma ben presto scoprirà di non essere particolarmente fortunato su questo fronte. Ghost è un romanzo di formazione di ambito sportivo che prende subito per la prospettiva dal basso del protagonista, che vive in una situazione svantaggiata con una madre sola e senza troppe prospettive, peraltro oppresso da un trauma infantile con cui è dura scendere a patti, però di buon cuore ed anche piuttosto cool, qualità non banali per il quartiere in cui vive e cerca di tirare avanti. A parte la trascinante sequenza di disavventure che Ghost si trova costretto a superare, la storia prende anche per i dettagli di atletica che la contrappuntano e per lo spirito di squadra che la pervade. Senza spoilerare troppo, colpisce anche lo spaccato di interiorità che Jason Reynolds ci regala un attimo prima dei titoli di coda. Da provare.

Jason Reynolds, Ghost, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 191

LA STRAORDINARIA INVENZIONE DI HUGO CABRET

Di questo romanzo hanno scritto che si tratta del “primo libro in cui le parole illustrano le immagini”, ed in effetti questa definizione è decisamente calzante per La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, classe 1966, celebre illustratore per ragazzi che è riuscito a realizzare un’opera che è la perfetta sintesi tra un romanzo di formazione, una graphic novel a carboncino e un atto d’amore per il cinema muto (e la fantasia in genere). È un libro per ragazzi, indubbiamente, ma è confezionato proprio come la narrativa per adulti con la “N” maiuscola: si comincia con una prefazione che incornicia la storia vera e propria, presentataci, con tanto di consigli per una corretta fruizione, da un certo Professor Alcofrisbas, la cui identità scopriremo solo alla fine. Voltata pagina, inizia subito la magia: attraverso una prospettiva ‘telescopica’ arriveremo nella Parigi del 1931, in una stazione, dietro un orologio dal quale un ragazzino sta tenendo d’occhio l’anziano gestore di un chiosco di giocattoli. Hugo è un orfano che ha perso il padre, provetto orologiaio morto a causa di un incendio nel museo in cui lavorava, ed è stato adottato dallo zio alcolizzato che vive nei meandri della stazione, con l’incarico di tenere gli orologi in efficienza. È ormai da tempo però che lo zio non ha più fatto ritorno e Hugo è abbandonato a se stesso, sopravvive con piccoli furti e continua a provvedere agli orologi della stazione per evitare che qualcuno si accorga dell’assenza del suo tutore. L’unica luce nella solitudine del ragazzo è la sola eredità che il padre gli ha lasciato, un vecchio automa a carica che rappresenta uno scrivano ed a cui il padre di Hugo ha continuato a lavorare fino alla tragica notte in cui è morto: il giovane protagonista infatti è sicuro che il genitore sia riuscito a ripararlo e gli abbia affidato il suo ultimo messaggio per lui, così ha cercato di ripararlo seguendo gli appunti paterni e procurandosi i pezzi di ricambio dal chiosco di giocattoli della stazione. Le cose peggiorano quando il vecchio negoziante lo pesca con le pive nel sacco e gli sequestra il taccuino del padre, restandone turbato e ripromettendosi di distruggerlo. Per rientrarne in possesso Hugo cercherà l’appoggio di Isabelle, la figlioccia del negoziante, molto intrigata dal suo nuovo amico e dall’avventura che le si prospetta davanti. Passando attraverso molteplici citazioni letterarie e la fantasmagorica scoperta del cinema – soprattutto le straordinarie invenzioni su celluloide di Georges Méliès, il cineasta che ideò il concetto stesso di effetti speciali –, arriverà anche il tassello narrativo decisivo per mezzo della chiave a forma di cuore che serve ad attivare l’automa di Hugo (e le meraviglie che ne deriveranno). Il tutto per arrivare all’immancabile happy ending che chiuderà la vicenda in modo impeccabilmente circolare. Una gran bella storia, che impone al lettore l’assoluta necessità di scoprire dove lo porteranno i primi passi inquieti del protagonista, attraverso la sua particolare prospettiva del mondo e la sua frenesia per la soluzione dell’ultimo mistero del padre perduto. L'alchimia tra disegni e narrazione è assolutamente funzionale a tratteggiare una storia di formazione davvero coinvolgente. Passate parola. 

Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, Milano, Mondadori, 2007; pp. 544


domenica 27 dicembre 2020

JACK BENNET E LA CHIAVE PER LA FANTASIA

L'autrice di Jack Bennet e la chiave di tutte le cose si chiama Fiore Manni, classe 1988: romana, Fiore è figlia d'arte, dato che sua madre è l'attrice Fiorenza Tessari e suo nonno il noto regista Duccio Tessari, Dopo aver conseguito un diploma in fashion design, la Manni è stata la conduttrice di "Camilla Store", un programma televisivo di successo che le ha aperto le porte nell'editoria con una serie di titoli del brand Camilla Store per De Agostini Editore. Jack Bennet e la chiave di tutte le cose è il suo primo romanzo per ragazzi e vede come protagonista un ragazzino di dieci anni senza troppa fortuna, dato che ha perso suo padre (che gli manca moltissimo) e che neppure sua mamma se la passa troppo bene, al punto che lui è costretto ad accettare un lavoro in una tipografia per darle una mano a tirare avanti, nonostante abbia soltanto dieci anni. Una perfetta situazione dickensiana, insomma, finché un bel giorno, uscendo dal lavoro (che consiste più che altro nel risolvere i problemi d'inceppamento del processo di stampa), il buon Jack, perennemente avvolto nella lunga sciarpa a righe blu regalatagli dal padre, incontra uno strano tizio vestito di viola che dice di chiamarsi il Padre di Tutte le Cose, che gli affida un passepartout dopo aver avuto dal ragazzo una generica disponibilità a dargli una mano. Non è che l'inizio di una svolta fantastica che porterà il nostro piccolo e modesto eroe a spasso per tre mondi alternativi a risolvere in modo sempre spontaneo problemi apparentemente al di fuori della sua portata, sia che finisca in una strana fabbrica di pappagalli tipografi che stampano libri magici praticamente per ogni occasione, sia che si trovi a tu per tu con l'Architetto dei sogni o che sia catapultato su una nave pirata su un oceano di foglie in rotta verso un incredibile tesoro. Ne viene fuori un romanzo fantastico per ragazzi che in modo strano e indecifrabile riesce a raccontare il desiderio di scoperta e di apprendimento insito nel cuore di ogni adolescente, come appunto nell'impagabile Jack Bennet, un piccolo protagonista di buon cuore che desidera più di ogni altra cosa scoprire qualcosa di nuovo e che nel farlo è sempre disposto a dare una mano a chi ne ha bisogno: attraverso i suoi occhi viaggeremo per strani mondi, alla ricerca inconscia di un sogno impossibile, solo per scoprire, forse, che il tesoro più grande per un ragazzino di dieci anni può rivelarsi l'amicizia. Assolutamente intrigante  e ricco di immaginazione: insieme a Jack Bennet non potremo fare a meno di vedere cosa c'è dall'altra parte di ogni porta che conduce a un mondo ignoto, una pagina dopo l'altra fino all'immancabile lieto fine.

Fiore Manni, Jack Bennet e la chiave di tutte le cose, Milano, Rizzoli, 2018; pp. 351


SETTE ABBRACCI E TIENI IL RESTO

Già autore de L'ombelico di Adamo, Stefano Tofani con Sette abbracci e tieni il resto ha scritto un romanzo di formazione per ragazzi di quelli che conquistano fin dalle prime pagine e non ti lasciano più. Il merito in gran parte è del protagonista, un ragazzino di dodici anni che si chiama Ernesto, anche se parecchi lo apostrofano con un soprannome che a lui non piace per niente come Quattrocchi, perché ovviamente porta gli occhiali. Non se la passa granché bene in effetti: zoppica per i postumi di un incidente automobilistico in cui ha perso l'amata nonna, di cui continua a ricordare come un mantra gli insegnamenti di vita, i proverbi e l'affetto. E la sfortuna del ragazzino non è finita qui: Ernesto ha i genitori separati, vive con una madre che spesso rincasa tardi dalle discoteche, e anche il padre non è affatto il massimo. Il protagonista insomma ha un'unica consolazione: sognare di essere considerato un po' da Martina, l'immancabile ragazza più carina della classe che ha ben altri studenti per la testa, purtroppo, ovviamente più grandi di lei. Tutto cambia quando Ernesto viene a conoscenza di un sistema per osservare il suo amore impossibile in modalità discinta, finendo per combinare l'immancabile disastro. D'altra parte non ha neanche un amico in grado di dargli consigli sensati, eccettuando Lucio, che è bloccato su una carrozzina ed ha purtroppo la vocazione del grillo parlante. In un quadro desolante a dir poco però Ernesto intravede l'occasione per coprirsi di gloria e conquistare Martina quando quest'ultima sparisce nel nulla sgomentando l'intero paese. Con un improbabile segugio prestato da un amico albanese di un centro accoglienza, Ernesto cercherà infatti di fare la cosa giusta e ritrovare Martina. Ci riuscirà? E si tratterà davvero di un caso di rapimento come tutti sembrano pensare? La storia al centro di questo delicato romanzo di formazione di Stefano Tofani regala al lettore una realistica ricostruzione della vita di provincia dalla prospettiva di un ragazzino sfortunato che vorrebbe qualcosa di più dalla vita e ragiona a un livello più alto della fauna giovanile che lo circonda e spesso finisce per ferirlo (gratuitamente) a livello emotivo. Da provare, soprattutto per la verve linguistica, che a tratti in effetti stende il lettore.

Stefano Tofani, Sette abbracci e tieni il resto, Milano, Rizzoli, 2019; pp. 222

sabato 26 dicembre 2020

LA BELLA RESISTENZA

Il sottotitolo di questo libro è "L'antifascismo raccontato ai ragazzi" e già costituirebbe un ottimo motivo per consigliarne la lettura. L'autore, Biagio Goldstein Bolocan, classe 1966, laureato in Storia, si occupa della redazione di manuali di Storia per le scuole secondarie di primo e di secondo grado. Nelle prime pagine rivela ai lettori di aver scritto La bella resistenza come debito di gratitudine verso nonna Emma, pessima cuoca ma fervente divulgatrice dei tempi difficilissimi vissuti in gioventù, che hanno innescato nell'autore l'amore per la Storia e lo sdegno per le ingiustizie patite dalla propria famiglia nel periodo del ventennio, in particolare dal 1938, con l'emanazione delle Leggi razziali, dato che la sua era una famiglia di origine ebraica. Il libro di Biagio Goldstein Bolocan si alterna infatti tra le vicende private familiari, spesso intrecciate con la vita culturale di Milano, e una serie di efficacissimi profili dei momenti cruciali tra il 1914 e il 1945, sempre illustrati dagli incisivi disegni di Matteo Berton: la Grande guerra, il primo dopoguerra, l'avvento del fascismo, la dittatura di Benito Mussolini, l'antifascismo, l'apoteosi del fascismo negli anni Trenta,  fascismo e nazismo, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, la resistenza. Per quanto riguarda le storie della grande famiglia Damiani-Bolocan, è decisamente arduo ricordare tutte le figure che si alternano nel periodo ma, dovendo scegliere, è doveroso ricordare almeno l'irresistibile ritratto dell'orientaleggiante nonno Alexandru Bolocan, un ingegnere che ama suonare il violino che a un certo punto è costretto a fuggire in esilio in Svizzera, dove finisce comunque in una sorta di campo di lavoro per ebrei ma si salva dal tifo e dagli stenti proprio grazie alla sua passione, "adottato" da un maestro svizzero amante della buona musica. D'obbligo anche ricordare il senso di giustizia di nonna Emma, che all'indomani del 25 aprile 1945 imbracciando una scopa salva dall'esecuzione da parte dei partigiani il segretario comunale di Mozzate, che comunque non l'aveva mai denunciata pur sapendo che lei e i suoi figli erano ebrei. Da leggere per non dimenticare.

Biagio Goldstein Bolocan, La bella resistenza, Milano, Feltrinelli, 2019; pp. 126

VIOLA NELLA RETE (DEL CYBERBULLISMO)

L'autrice di Viola nella rete si chiama Elisabetta Belotti e, oltre che una scrittrice, è una docente di Lettere che insegna da anni nella scuola secondaria di primo grado, quindi conosce a menadito l'ambientazione del suo romanzo e uno degli ingredienti principali del medesimo, dato che si occupa da tempo di social in relazione agli adolescenti e di cyberbullismo. La storia è narrata in una modalità autobiografica mista, diciamo, in quanto corrisponde alle pagine di diario di due dei protagonisti, Leo e Viola, e ai post di Instagram del terzo personaggio principale, Chiara: gli spunti dei tre ragazzi si alterneranno dandoci l'idea dell'intrecciata vicenda scolastica ordita dall'autrice a nostro uso e consumo. Siamo in una seconda media dei giorni nostri, con le classiche dinamiche relazionali che ci si potrebbe aspettare, nel bene e nel male: Leo è il classico studente potenzialmente brillante ma svogliato che è stato bocciato per farlo maturare ma non sembra aver imparato granché dall'infortunio scolastico; Viola è la new entry della classe, dove tutti gli altri sembrano lontani anni luce da lei, lettrice incallita dal look alternativo e dal carattere ribelle ed anticonvenzionale; Chiara è invece la queen della classe, sempre vestita all'ultimo grido e con un seguito di ancelle adoranti (e tutti i maschi cotti di lei, compreso il buon Leo). Nella perfetta vita di Chiara, che aspira a far suo Federico, lo Strafigo di terza che le piace da morire, l'arrivo di Viola rappresenta uno spiacevole contrattempo e quindi la ragazza passa al contrattacco creando su Facebook un profilo falso della rivale per screditarla in classe e indurla a lasciare la scuola, sempre che Leo, che ha iniziato a collaborare con Viola per un progetto scolastico, non trovi un modo per risolvere l'intricata faccenda, magari evitando di farsi espellere dalla Gazzaniga, la prof di Lettere che dal primo giorno di scuola gli sta sempre col fiato sul collo. Con Viola nella rete la Belotti ha scritto un romanzo breve che affronta in modalità realistiche e intriganti tematiche difficili come il bullismo e il cyberbullismo, riuscendo a catturare in modo incisivo lo slang degli adolescenti dei nostri giorni. La storia prende subito e ricorda altri romanzi per ragazzi dotati di prospettiva multipla come Ciao, tu e Mi ricci. Davvero niente male, insomma, e tra le righe affiora anche un approccio variegato e non banale alla scrittura da parte dei tre protagonisti, che sono diversissimi ma che sono sempre spinti dalla loro prof a raccontarsi anche per imparare ad orientarsi nella giungla social in cui, da bravi nativi digitali, vivono da sempre. 

Elisabetta Belotti, Viola nella rete, Torino, Einaudi, 2020; pp. 122

giovedì 24 dicembre 2020

DOPPIO PASSO

A St. Helens, in Inghilterra, durante i tempi duri della Grande guerra sembra che l'unica occasione di divertimento possibile per i ragazzi locali sia la partita di calcio della domenica pomeriggio tra le squadre dei quartieri, squadre che di solito assortiscono intere nidiate di fratelli, come avviene nella compagine del cortile dei quattro fratelli Kell e dei fratelli Jones (tra l'altro stranamente le famiglie della loro zona sembrano in grado di generare quasi esclusivamente figli maschi). Purtroppo l'ultimo dei fratelli Kerr, Martin, è un vero disastro sotto il versante calcistico, tanto che l'hanno relegato al ruolo di portiere, che tradizionalmente assolve in modo imbarazzante, anche perché ha un vero terrore del pallone da quando ha preso un brutto colpo e da allora chiude gli occhi quando gli avversari calciano per segnare nella sua porta, cosa che avviene ovviamente con disarmante puntualità. All'ennesima figuraccia rimediata in campo sotto gli occhi di un osservatore di una squadra importante, Martin scappa per sfuggire all'ira dei fratelli e finisce per scontrarsi casualmente con un coetaneo che sembra uguale a lui come una goccia d'acqua, se non fosse che al contrario di lui gioca a football in modo eccezionale e ha un piede sinistro che sembra progettato dal dio del calcio in persona. In vista del ritorno dell'osservatore nella prossima partita a Martin viene in mente il trucco dello scambio di persona: tornando sui suoi passi per ritrovare il presunto gemello finirà però per scoprire che è una gemella quella con cui il destino l'ha fatto scontrare. Per noi lettori sarà l'occasione per scoprire la vera storia di una vera leggenda del calcio femminile, ovvero Lilian Parr (detta Lily), classe 1905, una calciatrice mancina che ha appeso le scarpette al classico chiodo solo a 46 anni suonati dopo aver marcato un migliaio di goal in partite ufficiali, roba da far invidia perfino a "O Rey" Pelé o a Cristiano Ronaldo. Una bella storia sportiva raccontata in punta di penna da Alice Keller in Doppio passo, un'intrigante graphic novel illustrata e colorata da Veronica Truttero. Assolutamente da provare.

Alice Keller & Veronica Truttero, Doppio passo, Roma, Sinnos Editrice, 2020; pp. 96

venerdì 18 dicembre 2020

THEODORE BOONE INDAGA...

Nome: Theodore Boone. Età: 13 anni. Professione: studente e consulente legale part time. Figlio d'arte, Theodore Boone (Theo per gli amici) è un ragazzo con idee ben precise sul suo futuro prossimo e venturo: ripercorrere le orme paterne (e anche quelle materne) e diventare un avvocato. Nel frattempo, dato che ancora frequenta le medie, si tiene in esercizio fornendo gratuitamente consulenze legali ai suoi compagni di scuola ed è solito frequentare per diletto il tribunale di Strattenburg, la ridente cittadina dove abita da sempre. Il giovane protagonista usa spostarsi sulla sua inseparabile bicicletta ed è anche un piccolo hacker, abilità molto utile quando ha bisogno di inserirsi in database protetti. Le sue qualità lo rendono ovviamente popolare nella cerchia dei suoi coetanei, soprattutto tra quelli che hanno bisogno delle sue dritte per orientarsi nei divorzi dei genitori, per sopravvivere agli abusi dei compagni o, molto semplicemente, per recuperare l'amato cane finito nei meandri del canile municipale. Con simili interessi personali sembra più che logico che il buon Theo non si lasci sfuggire l'occasione di indagare sul campo quando si accorge che la giustizia sta commettendo un fatale errore nel processo dell'anno, che vede accusato dell'omicidio della moglie un ricco giocatore di golf, Peter Duffy. Il caso sembrerebbe avviato verso un'assoluzione per mancanza di prove ma, manco a dirlo, al nostro giovane avvocato dilettante capiterà tra le mani il classico testimone a sorpresa, che potrebbe anche inchiodare il colpevole (se non fosse che ha qualche problema a presentarsi in tribunale). La giustizia trionferà? Potremo scoprirlo in questo legal thriller per ragazzi firmato dallo stesso scrittore che ha inventato il genere oltre vent'anni fa, ovvero John Grisham, il fortunato autore di bestseller del calibro di Il momento di uccidere, Il socio, Il rapporto Pelican, Il cliente, L'uomo della pioggia e La giuria, tutti puntualmente finiti anche sul grande schermo. La prima indagine di Theodore Boone è un avvincente romanzo per ragazzi che intriga anche per la prospettiva dal basso con cui gli argomenti legali vengono di volta in volta presentati da questa curiosa (ma riuscita) figura di avvocato in erba. Ne vien fuori un atipico romanzo (peraltro seriale) per ragazzi che rischia di piacere forse più ai lettori adulti di Grisham che agli adolescenti dai dodici anni in su ai quali è rivolto. Si può provare. 

John Grisham, La prima indagine di Theodore Boone, Milano, Mondadori, 2011; pp. 238


lunedì 14 dicembre 2020

UN ROMANZO DI BOXE & FORMAZIONE: KAPPA O.

L'eclettico autore toscano di Kappa O. si chiama Dimitri Galli Rohl, classe 1975, e nonostante aspirasse a diventare un cartoonist, un calciatore e un maestro di arti marziali, è invece diventato un regista e attore teatrale, oltre che un pedagogo. Un bel personaggio fin dall'autopresentazione, insomma... E Kappa O. racconta una bella storia, anzi due belle storie che s'intrecciano tra formazione, sport e il sogno di una vita diversa. Il protagonista del romanzo si chiama Mattia Marino e sembra aver davvero avuto dal destino la vita che tutti vorrebbero vivere: la sua famiglia è ricca, lui è bello, intelligente e molto popolare. Il problema è che forse la sua non è la vita che avrebbe voluto vivere, soprattutto il futuro che gli prospetta il padre, noto chirurgo figlio di eminente chirurgo: non gli interessa, come non gli interessa primeggiare né nel nuoto né nella pallanuoto, le discipline sportive in cui chiaramente eccelle e a cui lo hanno avviato i genitori. Insomma, Mattia è un ragazzo con problemi di lusso, per sua ammissione, e la soluzione che ha scelto per superare una delle dirette conseguenze, l'insonnia, è parecchio stravagante: a rischio di spoilerare qualche dettaglio di troppo, diciamo che lo ha portato a trovare un luogo abbastanza inusuale come materasso terapeutico, addirittura uno sfasciacarrozze. E il titolare del posto, quando lo ha sorpreso di notte nella sua proprietà, ha proposto a Mattia un accordo ancora più strano per continuare a riposare tra i rottami, creare un costante bisogno di pezzi di ricambio nei dintorni, diciamo... Sarà in siffatta situazione che il rampollo di casa Marino finirà per scontrarsi con Angelo Masso, ex pugile titolare di una scalcinata palestra di boxe non molto in regola con le normative sanitarie vigenti: ed è qui che Mattia si ritroverà davanti Alì, giovane magrebino con cui ha intrecciato un rapporto per niente cordiale nella piscina in costruzione a casa sua, il prossimo regalo di compleanno dei signori Marino. Da qui inizierà una storia di rivalità sportiva e umana che non potrà che concludersi sul ring, in una sfida che potrebbe decidere il futuro di entrambi. Insomma, una gran bella storia a base di sogni impossibili, destini incrociati, svolte esistenziali e pugilato, uno degli sport che storicamente ha regalato emozioni leggendarie e un buon numero di film indimenticabili, da Toro scatenato a Million dollar baby. Peraltro, pur trattandosi di un romanzo di formazione per ragazzi, Kappa O. miscela due storie in parallelo a gran ritmo, è scritto con uno stile a pronta presa - tra l'altro confezionato con un'impeccabile cornice epistolare - e tiene il lettore incollato alle vicende intrecciate dei due protagonisti fino all'ultima pagina. Imperdibile.

Dimitri Galli Rohl, Kappa O., Torino, Einaudi, 2019; pp. 207

domenica 13 dicembre 2020

JOHN DELLA NOTTE: QUANDO LEGGERE È LIBERTÀ

L'autore di John della Notte è Gary Paulsen, americano di Minneapolis, classe 1939: dopo un'infanzia durissima ha vissuto una vita all'insegna dell'avventura, navigando in lungo e in largo per il Pacifico, allevando cani da slitta in Alaska e vivendo sempre in contatto con la natura, in mezzo al nulla ma sempre in compagnia di animali. I suoi libri - ne ha scritti oltre duecento, tra cui perle come Nelle terre selvagge - sono la diretta conseguenza delle sue esperienze di vita e sono rivolti esplicitamente ai ragazzi, il suo ideale pubblico di riferimento in quanto ancora capaci di perdersi in una storia, a differenza degli adulti, che hanno sempre in testa il prossimo acquisto o le rate di mutuo da pagare, per non parlare del fatto che Paulsen si sente ancora un ragazzo, e quindi trova spontaneo rivolgersi ai 'coetanei'... John della Notte è un piccolo libro ma di quelli veramente capaci di stravolgere i lettori: è ambientato a metà dell'Ottocento in un punto imprecisato del Sud rurale degli Stati Uniti, quando ancora esisteva la schiavitù, in una fattoria di proprietà del cattivissimo Waller, un padrone spietato, malvagio e che per giunta emana uno spiacevole odore, un tipo da cui stare alla larga, insomma. La storia la scopriamo dalla prospettiva dal basso della giovane schiava Sarny, dodici anni, affidata fin da piccola alle cure di Mammy, che si occupa di tutti i bambini ancora fisicamente non in grado di spaccarsi la schiena per ore in mezzo ai campi, bambini cresciuti lontano dalle madri, spesso peraltro vendute e finite altrove. Un giorno diverso dagli altri Waller conduce un nuovo schiavo nella sua proprietà: arriva legato da una corda al cavallo del padrone, nudo come un verme, madido di sudore e coperto da un nugolo di mosche, è John della Notte e, nonostante sia già sfinito dalla fatica, Waller lo spinge di corsa nei campi a lavorare fino al tramonto. La sera stessa Sarny sente le sue prime parole nel buio della baracca dove gli schiavi dormono ammassati: John chiede a qualcuno una presa di tabacco in cambio di tre lettere. Proprio così, tre lettere dell'alfabeto: la A, la B e la C... La capacità di leggere comincia da qui, col rischio costante di farsi tagliare un arto, perché per uno schiavo è assolutamente vietato leggere e scrivere, e l'infrazione è punita con una mutilazione che non si può dimenticare. Le cose stanno così, perché leggere equivale a conoscere ciò che si legge e quindi desiderare quello che non si ha, dato che gli schiavi non hanno niente e sono trattati come oggetti. I padroni ne hanno consapevolezza e quindi vogliono lasciare i loro schiavi nell'ignoranza. Se non ci fossero sognatori come John della Notte, ovviamente, capaci di scappare, raggiungere la libertà e tornare indietro per insegnare a leggere ai compagni di sventura di sempre. Leggere diventa dunque il primo passo per l'emancipazione e la libertà. Un piccolo romanzo davvero bellissimo, spesso quasi sconvolgente nella ricostruzione di una realtà difficile da accettare, a tratti commovente come un pugno liberatorio alla bocca dello stomaco. Dedicata alla memoria di Sally Hemings, una schiava del terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson, John della Notte è un'opera di fantasia che Paulsen ha scritto ispirandosi alle tante memorie degli schiavi che impararono a leggere e lasciarono una traccia delle loro vite sfortunate. Assolutamente... da leggere.

Gary Paulsen, John della Notte, Modena, Equilibri, 2019; pp. 99


venerdì 11 dicembre 2020

L'ULTIMA CACCIA: L'ENNESIMO GIOIELLO DI LANSDALE

La storia che racconta L’ultima caccia parte nel 1933, nel periodo più cupo della Grande Depressione, e la scopriamo attraverso gli occhi di un quindicenne, Richard Dale, che vive con la sua famiglia in una casa persa in mezzo ai boschi del Texas rurale, ama leggere qualunque cosa e, anche se non ne è pienamente cosciente, sogna di fare lo scrittore. L’avventura che segna la fine della sua adolescenza arriva mentre il padre è fuori per affari e la madre è ormai alla fine di una gravidanza: nell’appezzamento che la famiglia di Richard coltiva con grande fatica per tirare avanti con i prodotti della terra in questo momento così difficile arriva un animale quasi leggendario, il vecchio Satana, un cinghiale che fa parlare di sé da anni e sempre in termini fortemente negativi. C’è chi dice che in questa bestia selvaggia ed astutissima alberghi lo spirito di uno sciamano indiano, se non addirittura il diavolo stesso: Richard all’inizio cerca di limitare i danni al campo coltivato dalla famiglia, ma non può tirarsi indietro quando il perfido cinghiale infierisce sul suo fedele cane arrivando anche a minacciare la madre e il fratellino in arrivo. Essendo l’unico uomo di casa disponibile, il ragazzo non può sfuggire alle sue responsabilità e decide di dare la caccia all’infernale cinghiale, rischiando di rimetterci la pelle. L’esperienza, neanche a dirlo, cambierà la sua vita per sempre… Una gran bella storia, per la quale Lansdale ha preso spunto dalle notizie della sua famiglia, che era appunto originaria del Texas (anche suo padre, peraltro, occasionalmente faceva il lottatore). Lo scenario storico della Grande Depressione ricorre anche in altri romanzi di Lansdale come In fondo alla palude (che da L’ultima caccia riprende anche alcuni personaggi che all’autore piacevano troppo), Tramonto e polvere, Cielo di sabbia e Acqua buia. L’ultima caccia è un romanzo di formazione che, a prescindere dall’adrenalina dell’avventura centrale, cattura per la particolarità dell’ambientazione nel mezzo della natura e in un tempo difficile, dove comunque il giovane protagonista riuscirà a vivere una sorta di iniziazione alla vita adulta che al tempo stesso gli farà trovare il suo particolare posto nel mondo, che ha a che fare (neanche a dirlo) con l’arte di raccontare storie. Davvero un piccolo gioiello.

Joe Lansdale, L’ultima caccia, Torino, Einaudi, 2018; pp. 121


venerdì 4 dicembre 2020

TRA LE MURA… LA CLASSE

S’intitola La classe, è un piccolo romanzo autobiografico scritto da François Bégaudeau, un giovane docente di Francese. Partito in sordina con una tiratura iniziale di poche migliaia di copie, il libro di Bégaudeau sorprendentemente è entrato nelle classifiche francesi dei bestseller grazie ad un sotterraneo ma efficacissimo passaparola. Questo curioso successo editoriale è quindi diventato un film di Laurent Cantet, interpretato dallo stesso autore, premiato con la Palma d’Oro all’ultima edizione di Cannes e poi baciato da un grande successo di pubblico nei cinema d’Oltralpe. Tutto ciò, incredibile a dirsi, con un libro che parla di scuola e che fa passare, pagina dopo pagina, ai suoi lettori un intero anno scolastico tra i banchi della classe di Bégaudeau – infatti l’azzeccato titolo originale è Entre les murs, ovvero “tra le mura”, di una classe, appunto –. Chi non ha idea di cosa trovare dentro questo libro potrebbe pensare che esso riveli chissà quale innovativo approccio didattico, oppure un rivoluzionario stile di comunicazione della cultura: al contrario, ne La classe il buon Bégaudeau, che è ovviamente il protagonista del suo libro, ci racconta cosa fa realmente durante le sue ore di lezione, ovvero spiegare ai suoi ragazzi soprattutto la lingua francese – particolarmente grammatica, sintassi e qualche sprazzo di retorica –. L’approccio dell’autore non ha nessun segreto, tranne l’estrema disponibilità nei confronti del variegato gruppo multietnico costituito dai suoi studenti che, esattamente come i loro colleghi italiani, in genere non brillano per motivazione, interesse e comportamenti rispettosi: le lezioni di Bégaudeau spesso infatti prendono spunto direttamente dal vissuto dei suoi ragazzi, dal loro slang, dal loro modo di occupare lo spazio e di vestirsi – e infatti è solito attribuire loro la griffe delle loro felpe o T-shirt –. Questo atteggiamento empatico d’altra parte è sorretto anche da alcuni capisaldi comportamentali che l’autore esige dalla propria classe: gli studenti si rivolgono al Prof dandogli del “lei” in segno di rispetto, non lo contraddicono e sono tenuti a rispettare le sue indicazioni – ma talvolta, come tutte le classi, non lo fanno –. A guardar bene l’andamento delle lezioni, sarebbe quasi eufemistico considerare vincente la formula di Bégaudeau che, alla fine dell’anno scolastico, osserva che il più brillante stimolo culturale sbocciato nella sua classe è dovuto al caso oppure, nella migliore delle ipotesi, è una scelta indipendente di un’allieva in cui non avrebbe mai creduto possibile la nascita di un germoglio simile. Spesso, dalle lezioni in presa diretta (ed assai realistiche) dell’autore si innescano splendidi cortocircuiti didattici che fanno ben sperare, come in questo strepitoso scambio, asciutto ed esilarante: 

"Come si chiama quando si dice il contrario di quello che si pensa facendo capire che si pensa il contrario di quello che si dice?" 

"Prof la sua domanda mi fa venire il mal di testa" 

"Qual è la domanda prof?" 

"Forse ironia?" 

"Be, sì, è esattamente questo. Provate a fare una frase ironica". 

"Lei è bello". 

"Grazie, ma la frase ironica?" 

"Lei è bello". 

"Ok, perfetto, grazie tante". 

Notevole, no? Sembra proprio uno scambio degno di un film di Tarantino tratto da un libro del grande Elmore Leonard che, certo, pur non essendo un insegnante, apprezzerebbe… 

François Bégaudeau, La classe, Torino, Einaudi, 2008 ; pp. 223 

venerdì 27 novembre 2020

LO SPACCIATORE DI FUMETTI

Le storie a fumetti spesso vengono etichettate per approssimativa faciloneria come una forma di intrattenimento di serie B, nonostante sia indiscutibile che alcuni disegnatori e sceneggiatori meritino indubbiamente di essere definiti artisti. Deve saperne qualcosa al riguardo Pierdomenico Baccalario, classe 1974, specialista in narrativa per ragazzi, che con Lo spacciatore di fumetti è davvero riuscito a creare il romanzo perfetto sul mondo dei balloon. La scelta stessa dell’ambientazione, nella Budapest di fine anni Ottanta, è impeccabile alla bisogna perché nella lenta agonia della guerra fredda i fumetti erano fortemente osteggiati nell’Europa dell’Est, considerati una pericolosa forma di spazzatura consumistica. Non la pensa così il protagonista del romanzo, il quindicenne Sàndor, che l’11 di tutti i mesi suole ritrovarsi alla stessa panchina di un parco cittadino per incontrarsi con l’enigmatico Mikla Francia Kiss, un adulto che la polizia segreta certo bollerebbe come sovversivo, dato che da diverso tempo sta foraggiando il giovane protagonista con forniture gratuite di fumetti americani. Per non destare sospetti Sàndor ha cucito una speciale tasca all’interno del suo giubbotto, dove occultare i fumetti e trasportarli ai suoi clienti passando inosservato. Già, perché Sàndor non paga i fumetti ma ha avviato un lucroso business con il suo gruppo di amici, che lavorano su commissione per una selezionata clientela. Forse è un po’ rischiosa come attività per dei ragazzini, ma è un ottimo modo per evadere dalla triste realtà quotidiana, da un patrigno troppo entrante, da un futuro senza grosse prospettive all’orizzonte nella Budapest stagnante in cui Sàndor si ritrova a vivere: in fondo basta sfogliare un albo di supereroi (DC o Marvel, che importa?) per perdersi in universi alternativi e fantastici, seguendo con la fantasia le avventure dell’Uomo Ragno o quelle dei Fantastici Quattro, l’oscuro futuro di Watchmen o l'esistenza problematica degli Inumani. Ma perché il suo misterioso fornitore fa tutto questo per lui, rischiando di essere scoperto dalla polizia segreta o dagli informatori del regime (come forse quel dottor Kadar, che non promette nulla di buono)? Sàndor non lo sa, e non si pone troppe domande finché Mikla Francia Kiss non si presenta all’appuntamento concordato e tutti quelli intorno a lui sembrano diventare improvvisamente molto sospettosi. Intanto c’è anche tempo per sfidare l’autorità con la forza della fantasia: Sàndor e i suoi tre inseparabili amici (Nikolai in particolare) stanno infatti creando un personaggio per conto loro, un ex soldato nazista che vive nei sotterranei di Budapest, è capace di captare le emozioni altrui e risponde al nome inquietante di Fog Grey… Nonostante la tensione sommersa, le cose procedono apparentemente per forza d’inerzia finché non cominciano a precipitare molto rapidamente verso l’unica fine possibile. È Lo spacciatore di fumetti, semplice narrativa per ragazzi al cento per cento, un romanzo che assortisce vari universi fumettistici assortiti (ogni capitolo è dedicato a un personaggio in particolare), le contraddizioni e le ossessioni della guerra fredda, una storia di formazione degna di un Holden Caulfield dell’Est e un piccolo gioiello metaletterario. Il tutto gioiosamente shakerato e scritto con uno stile trascinante, consigliato agli adolescenti ma adatto davvero a tutte le fasce di lettori. È il volume apripista della nuova collana dell’Einaudi “Carta Bianca”. 

Pierdomenico Baccalario, Lo spacciatore di fumetti, Torino, Einaudi, 2011; pp. 242 


domenica 22 novembre 2020

IL NIDO: QUANDO IL MISTERO NASCE DALL’ORDINARIO

Questo inquietante (ma avvincente) romanzo di formazione è stato scritto dallo scrittore canadese Kenneth Oppel, nativo dell’isola di Vancouver e residente a Toronto. La storia prende avvio con una situazione che ricorda vagamente quella al centro di un apprezzato bestseller per ragazzi come Skellig di David Almond: nella famiglia del dodicenne Steve è arrivato un nuovo fratellino, purtroppo nato con una catena incredibile di problemi fisici che potrebbero comprometterne addirittura la sopravvivenza, al punto che i genitori sono tremendamente preoccupati per lui. Tali drammatici frangenti accompagnano un’estate in cui nei dintorni della casa della sfortunata famiglia di Steve si registra uno strano ed innaturale aumento di vespe. Per l’appunto tra le numerose paure ancestrali che affliggono il giovane protagonista si contano pure le vespe, infatti una puntura gli innesca una reazione allergica che induce i genitori a portarlo in ospedale per un controllo. La sera successiva, una volta ammantato tra le coperte, oppresso come sempre dall’atavica paura del buio, il nostro Steve si addormenta e sogna uno strano essere, che il ragazzino ‘sente’ come femminile, un essere indecifrabile e luminoso che gli parla e gli rivela di essere lì per aiutare, insomma per guarire il piccolo, per riparare ciò che non va dentro di lui. Essendo il prescelto per il contatto, Steve fa quello che ciascuno farebbe al posto suo: accetta l’aiuto per salvare il fratellino… ma sarà davvero un aiuto disinteressato quello che le strane creature gli stanno offrendo? Noi lettori potremo scoprirlo in un crescendo di suspense fino al sorprendente finale. Il nido cattura l’attenzione fin dalle prime pagine con la sapiente capacità di Oppel di ricostruire l’anomalia nel normale, di evocare lo straordinario nell’ambito di una situazione quotidiana, peraltro drammatica. Una gran  bella storia, insomma, arricchita dagli ombrosi disegni dell’illustratore canadese Jon Klassen. Assolutamente da provare.

Kenneth Oppel, Il nido, Milano, Rizzoli, 2016; pp. 252

SU DUE RUOTE CON MARGHERITA HACK

È davvero un gran bel personaggio quella irresistibile ‘toscanaccia’ dell’astrofisica Margherita Hack (1022-2013): astrofisica, accademica, direttrice dell’Osservatorio di Trieste, divulgatrice scientifica e, nei suoi ultimi anni, anche infaticabile attivista, ambientalista, animalista… Nonostante nella sua carriera abbia scritto decine di libri scientifici, forse la prima opera integralmente autobiografica di Margherita Hack è stata proprio La mia vita in bicicletta, che rilegge appunto la sua lunga vita attraverso la prospettiva di uno strumento che l’autrice ha utilizzato con sommo diletto per anni ed anni, la bicicletta. Già, perché le due ruote la simpaticissima scienziata fiorentina le ha prima lungamente vagheggiate fin da bambina, poi, quando finalmente ha avuto la sua prima bici, non l’ha mollata più, usandola per andare ogni mattina al liceo in centro (al Galileo, con una parentesi al Machiavelli), quindi per allenarsi agli Assi (è stata un’ottima saltatrice in lungo), per recarsi all’università e, infine, dopo averne ‘allentato’ l’uso in maturità, per le sue tante gite in bicicletta della terza età (punteggiate anche da altrettante partite di volley), prima di appendere definitivamente la bici al fatidico chiodo. Ovviamente la Hack non ci parla soltanto di escursioni su due ruote, ma anche di giochi infantili al Bobolino, di studi, di sport agonistici e amatoriali, di politica (notevoli gli amari capitoli di ricordi del ventennio fascista), della sua lunga e variegata carriera, dei suoi amati animali (cani e gatti), del compagno di una vita (il mitico Aldo) e delle sue tante battaglie per difendere la natura. Nelle ultime pagine non mancano escursioni nei temi scientifici a lei cari, quando ci parla di inquinamento, di fonti energetiche, di effetto serra, di energie rinnovabili, del nucleare e del sogno della fusione a bassa temperatura. Il tutto sempre sul filo del suo irresistibile buonumore: tra una battuta e l’altra, questa libera pensatrice ci regale una galleria di aneddoti che non dimenticheremo facilmente. Confeziona il tutto l’intrigante prefazione di Patrizio Roversi. Assolutamente da provare.

Margherita Hack, La mia vita in bicicletta, Venezia, Ediciclo Editore, 2011; pp. 157

sabato 21 novembre 2020

SKELLIG, UN “ANGELO” CHE NON TI ASPETTI

Si tratta del tardivo romanzo d’esordio dello scrittore inglese David Almond, classe 1951, un libro pubblicato nel 1998 e divenuto a sorpresa un bestseller della narrativa per ragazzi, premiato con un nugolo di riconoscimenti internazionali. A conferma del grande successo riscosso da Skellig basti pensare che da questo romanzo è stato tratto un adattamento teatrale, un’opera lirica e un film per la TV interpretato da Tim Roth. La storia in sé è semplice e quotidiana, ma davvero molto suggestiva: ne è protagonista un ragazzino, Michael, che sta vivendo un momento decisamente problematico della sua giovane vita. La sua famiglia si è trasferita in una casa prima appartenente a un vecchio e necessita di una ristrutturazione totale, e di recente è arrivata una sorellina nata prematuramente, sospesa tra la vita e la morte, e dunque costretta a lunghe degenze ospedaliere. In tale contesto Michael si ritrova nel cadente garage della sua nuova casa e vi scopre, tra la polvere e gli insetti morti, una strana creatura rispondente al nome di Skellig: è scontroso, sembra una via di mezzo tra un uomo e un uccello, ha bisogno di aspirine per combattere l’artrite che lo opprime, chiede di continuo cibo cinese e birra scura, che lui definisce il nettare degli dei. La sua figura inquietante e misteriosa catturerà ben presto l’attenzione di Michael, ma resterà sempre evanescente, enigmatica, sfumata. L’indecifrabile natura di Skellig sarà confermata e puntualizzata come angelica anche da Mina, la figlia della vicina della porta accanto, una ragazzina molto particolare con cui Michael stringerà subito un singolare rapporto d’amicizia, anche se il ragazzo è spesso spiazzato dal fatto che Mina non va a scuola ma è seguita direttamente dalla madre, che le propone un’educazione poco scolastica e molto alternativa, dove spiccano le poesie di William Blake, inquietanti e misteriose, come da copione. Skellig cattura l'attenzione del lettore fin dalle prime pagine attraverso la prospettiva dal basso del piccolo protagonista, che in un momento davvero particolare e difficile della sua vita finisce per ritrovarsi in una situazione indecifrabile e misteriosa, di quelle che ti cambiano la vita, insomma... e noi lettori non potremo che restare con lui per vedere come va a finire. Una gran bella storia, insomma, stranissimo e al contempo intrigante. 

David Almond, Skellig, Milano, Salani, 2009; pp. 151


venerdì 20 novembre 2020

L'INVENTORE DI SOGNI, UN CLASSICO PER RAGAZZI

Questo libro di Ian McEwan, già autore dei romanzi Bambini nel tempo e Lettera a Berlino, è una raccolta di otto avventure che vedono come protagonista Peter Fortune, un ragazzo di undici anni che ha come principale caratteristica l'inquietante capacità di sognare ad occhi aperti. In ognuna delle otto storie infatti Peter vive un’avventura che è incentrata su un sogno, anche se il sogno in questione prende talvolta forme diverse, dalla fantasia all’incubo fino alla riflessione immaginaria – e nei vari casi l’autore è sempre molto attento ad innescare il sogno senza colpo ferire, quasi come fosse una versione incredibile della realtà –. L’inventore di sogni è un perfetto esempio di narrativa per ragazzi che si propone di mostrarci il mondo dalla prospettiva di un adolescente che, come tutti i suoi coetanei, vive un momento di passaggio che lo proietterà in un futuro prossimo nel mondo degli adulti, talvolta ritratto come repellente, altre come incredibilmente attraente; non è un caso se la stessa citazione d’apertura è tratta dalle Metamorfosi ovidiane e suona più o meno così: «L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi». Ma veniamo alla storia, anzi alle storie: il protagonista impariamo a conoscerlo nel racconto d’apertura, dove scopriremo Peter Fortune e la sua particolare inclinazione per il sogno ad occhi aperti, un vizio che gli farà perdere la sorellina Kate nel tratto d’autobus da casa a scuola, costandogli una settimana di paghetta per evitare spiacevoli divulgazioni domestiche riguardo all’imbarazzante episodio, comunque significativo perché in esso si nasconde il talento di Peter per l’invenzione narrativa. Nel successivo racconto insieme a Peter assistiamo al topico momento di passaggio in cui il nostro piccolo eroe si guadagna una stanza da letto tutta per lui lasciando alla sorellina Kate quella finora condivisa da entrambi ed affollata da una sessantina di bambole: tra queste la più inquietante è la cosiddetta Cattiva, che pretenderà minacciosamente la nuova sistemazione di Peter per sé e per tutte le sue sorelle. Nel terzo racconto il buon Peter, come ogni gelida mattina d’inverno, si sveglia per andare a scuola e guarda con invidia William, il vecchio gatto domestico che invece se ne resta a casa a scaldarsi sul radiatore: scoprirà che la vita di un anziano felino è più avventurosa di quanto un ragazzo potrebbe aspettarsi… Esilarante anche lo spunto di partenza del quarto racconto, quando nel classico cassetto disordinato di cucina, dove si può trovare davvero di tutto, Peter scopre uno strano vasetto che contiene la miracolosa Pomata Svanilina, con cui cercherà di mettere ordine nella sua caotica famiglia (o, meglio, di far scomparire il disordine). Notevole anche la storia seguente, che narra un caso di ordinario bullismo: Barry Tamerlane è un ragazzo che ottiene sempre quello che vuole, soprattutto usando la forza e le minacce, tra le mura domestiche però sembra davvero un ragazzo normalissimo; Peter Fortune si accorgerà dell’incongruenza e lo rimetterà al suo posto, per poi stringervi amicizia subito dopo. E che dire della sesta storia, quando l’intera strada della famiglia Fortune è oppressa dalla minaccia di furto da parte del ladro che Peter ha denominato Sam Saponetta? Toccherà a lui, ovviamente, catturarlo e scoprirne la vera identità. Se tutto il libro è raccontato dalla prospettiva dal basso di un adolescente, nel penultimo racconto il protagonista, che non sopporta Kenneth, il bambino al quale i Fortune stanno dando ospitalità, si ritroverà a passare un’incredibile giornata da poppante, senza parole, con l'unica possibilità del pianto per richiamare l'attenzione dei grandi. Nell’ottavo ed ultimo racconto Peter invece avrà modo di vivere un giorno attraverso gli occhi di se stesso con dieci anni in più sulle spalle ed un’avvenente donzella da accompagnare in una romantica passeggiata nella natura. Una lettura deliziosa per adulti e per adolescenti, esilarante a tratti ma ricca di intelligenti spunti di riflessione per entrambe le categorie. A volte i voli fantastici di Peter Fortune potranno sconcertare i lettori, ma il consiglio è di lasciarsi intrigare dalla prima storia e perdersi ad occhi aperti nelle successive insieme allo stralunato ma irresistibile protagonista.

Ian McEwan, L’inventore di sogni, Torino, Einaudi, 1999; pp. 159

RIBELLI IN FUGA: GLI SCOUT AI TEMPI DEL VENTENNIO

Tommaso Percivale, l'autore di Ribelli in fuga, classe 1977, conosce realmente la materia al centro del suo libro, dato che vive in un luogo isolato in mezzo ai boschi ed è un appassionato di tecniche di sopravvivenza, un mix perfetto per scrivere una storia come questa. A volerlo descrivere si tratta di un gran bel romanzo per ragazzi: comincia nel 1926, a Pruneto, un luogo perso nei boschi degli Appennini, e racconta le vicende di un gruppo scout organizzato dal parroco del paese, don Averno. I protagonisti sono ovviamente gli adolescenti che compongono il gruppo, ognuno dei quali ha una divisa diversa da tutte le altre (a parte il caratteristico fazzoletto al collo): c'è il taciturno Gianni, e Ines, bella quanto fiera, e la piccola Etta, e quello nuovo, Andrea, e poi Ciccio, Filippo, Moreno. Sono ragazzi di paese, e si dividono tra le escursioni scoutistiche e la scuola, tra le commissioni per la famiglia e i campi estivi con gli amici: ad accomunarli c'è la passione per i boschi e per le montagne, che conoscono a meraviglia, e un comune codice di valori che tutti ritengono fondamentali, a cominciare dalla lealtà, dal coraggio e dalla disciplina. Purtroppo siamo nel ventennio fascista e a un certo punto le camicie nere arrivano anche a Pruneto, sconvolgendo il paese con la ferrea logica del regime di Mussolini: i nuovi arrivati tra l'altro usano parole molto simili a quelli dei giovani protagonisti di Ribelli in fuga, anche se alla base di tutto c'è la negazione della libertà. Non a caso le associazioni di scout vengono vietate per promuovere l'Opera Nazionale Balilla, in cui dovrebbero confluire tutti i ragazzi, ma alcuni dei nostri eroi non ci stanno: e così Gianni, Ines e Andrea decidono di fuggire nelle montagne e di conservare la loro libertà di scout a oltranza in un remoto rifugio che cercheranno di rendere abitabile con non pochi sforzi. Alla fine, neanche a dirlo, qualcuno andrà a cercarli per riportarli indietro, e non necessariamente con le buone... Una storia davvero avvincente, ricca di emozioni, narrata a gran ritmo e piena di colpi di scena, e all'ultima pagina per giunta si rivela anche ispirata alla vera vicenda di un piccolo gruppo scout lombardo, le Aquile Randagie, che durante il regime fascista si dettero la macchia e resistettero per oltre sedici anni senza farsi catturare, diventando durante la guerra un'organizzazione segreta capace di salvare oltre duemila persone tra ebrei, dissidenti, disertori e renitenti alla leva. Il libro di Percivale riesce a catturare lo spirito indomabile di questi giovani ribelli, fotografando la loro esperienza di scoutismo estremo nel mezzo della natura incontaminata e i loro sforzi per superare le difficoltà quotidiane. Ribelli in fuga è felicemente sospeso a metà tra la storia di formazione e un classico romanzo d'avventura, in felice alternanza tra la dimensione privata di un gruppo di coraggiosi adolescenti e le molteplici avversità che questi ultimi si troveranno ad affrontare per conservare la loro libertà, le loro speranze, i loro valori in tempi davvero bui per le coscienze umane. Assolutamente da provare. 

Tommaso Percivale, Ribelli in fuga, Torino, Einaudi, 2013; pp. 246


mercoledì 18 novembre 2020

LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE

Si tratta del libro che ha reso noto a livello internazionale lo scrittore britannico Mark Haddon, classe 1963, poeta, romanziere e già autore di Boom!, un esempio di narrativa per ragazzi tornato in auge proprio dopo il successo de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Già a partire dal titolo pare evidente che debba trattarsi di un giallo, e in effetti è così, anche se in effetti di un giallo piuttosto particolare, in primo luogo perché la storia è narrata dalla prospettiva del quindicenne protagonista, Christopher Boone, che ha la sindrome di Asperger, una forma di autismo che prende nome dallo psichiatra austriaco che la individuò nel gruppo dei ragazzi che aveva in cura e che consiste, sostanzialmente, nell'incapacità di comprendere gli stati d'animo delle persone dalle espressioni delle loro facce, oltre all'impossibilità di interpretare il linguaggio metaforico ma di comprenderne solo il significato letterale. Christopher inoltre non sopporta di essere toccato e non sorride mai, ma a compensazione di queste lacune "relazionali", è un piccolo genio della matematica ed è dotato di un incredibile spirito di osservazione. Detto questo, che già rende il romanzo di Haddon davvero unico, la seconda particolarità del libro è che Christopher, che ha obiettivamente qualche difficoltà a rapportarsi col prossimo, si troverà davanti un mistero da risolvere proprio a due passi da casa sua (un cane ucciso in modalità piuttosto raccapriccianti) e, essendo un appassionato lettore dei casi di Sherlock Holmes, deciderà di risolverlo in prima persona. Ovviamente l'indagine lo costringerà ad andare oltre i propri limiti per trovare una soluzione allo strano caso del cane Wellington, ma progressivamente l'inchiesta finirà per allargarsi fino a comprendere anche un mistero che riguarda proprio Christopher ed ha a che fare con la sua situazione familiare. La storia cattura fin dalla prima pagina per l'intrigante prospettiva con cui Haddon ha scelto di raccontarcela: dai pensieri dell'irresistibile protagonista si sviluppa infatti un godibile romanzo di formazione che consentirà a lettori giovani e maturi di sviscerare con delicatezza una tematica difficile come il disagio psichico. Un gran bel libro, insomma, all'occasione intenso e commovente, ma anche divertente e istruttivo. Da non perdere. 

Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Torino, Einaudi, 2003; pp. 247 


LANSDALE E L'ADOLESCENZA ON THE ROAD

Non capita spesso di leggere un romanzo con la forza evocativa di Cielo di sabbia, ma uno degli ingredienti dell'irresistibile stile di Joe R. Lansdale è riposto nell'assoluta padronanza della materia, un retaggio familiare della Grande Depressione, per certi versi, come traspare dalla dedica incipitaria del romanzo. E poi ovviamente Cielo di sabbia è costruito con sapienza, miscelando ad arte le tematiche care allo scrittore americano: l'adolescenza, quell'umanità capace al tempo stesso di gesti di solidarietà e di bieco sfruttamento del prossimo, l'America profonda tra mito e povertà. La storia prende avvio nell'Oklahoma degli anni Trenta in una fattoria persa nel bel mezzo del nulla, un nulla in cui quel poco di terreno agricolo sufficiente a sopravvivere è stato gradualmente cancellato da una tempesta di sabbia che si è mangiata tutta la vegetazione che non hanno divorato le cavallette, infiltrandosi nelle fessure di porte e finestre e facendo ammalare anche la mamma di Jack, l'adolescente protagonista del romanzo, che poco dopo aver chiuso gli occhi alla madre scopre anche che il padre non ce l'ha fatta a reggere al peso del lutto muliebre, lasciando il suo unico figlio ineluttabilmente orfano. Le cose cambiano quando alla fattoria di Jack arrivano fortunosamente la coetanea Jane e il piccolo Tony, anch'essi rimasti orfani e partiti dalla loro casa in cerca di una promessa di futuro, e in primo luogo per scappare da tutta quella sabbia. Dopo aver rubato la Ford V 9 di un anziano e burbero vicino (già defunto, peraltro), i tre partono alla volta del Texas orientale, dove in teoria potrebbero trovare l'aiuto dei parenti dei due fratelli. Non è che l'inizio di una vera e propria odissea lungo le polverose strade degli States della Grande Depressione, strade comunque affollate di delinquenti alla John Dillinger, gentili vedove abbienti, feroci tutori della legge pronti a sfruttare il prossimo per sbarcare il lunario, hoboes nullatenenti che saltano sui treni in corsa per scroccare un passaggio gratis ed arrivare un po' più in là, circensi capitati nel giro sbagliato, umide paludi popolate di serpenti e alligatori, città afflitte dalla piaga della disoccupazione, e magari anche criminali di buon cuore come Pretty Boy Floyd, entrati nella leggenda per l'esagerazione di cronisti in cerca di storie sensazionali. Nel terzetto di adolescenti on the road, in cerca di avventure e disposti a seguire una missione per il puro gusto della ricerca, spiccano il pragmatico Jack, la voce narrante della storia, e la dinamica Jane, impagabile bugiarda che sogna un avvenire da giornalista, con un latente apostrofo rosa che imcombe sulle loro peregrinazioni. Un luminoso esempio di narrativa per ragazzi felicemente sospesa tra Steinbeck e Mark Twain, che parte dall'abisso di un ragazzo senza speranza e si conclude lasciandoci intravedere da una fessura del presente una moderata speranza di futuro, il tutto dopo aver attraversato un'irresistibile avventura di formazione tra coetanei. Quanto basta per immergersi nella lettura carichi di attese, insomma... 

Joe R. Lanslade, Cielo di sabbia, Torino, Einaudi, 2011; pp. 235


venerdì 13 novembre 2020

BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE


Lui è Alessandro D’avenia, classe 1978, docente di lettere al liceo e sceneggiatore: Bianca come il latte, rossa come il sangue è il suo romanzo d’esordio, un libro che ha le carte in regola per diventare un cult generazionale per adolescenti e dintorni. Si tratta di un romanzo raccontato rigorosamente in prima persona da un sedicenne dei giorni nostri, Leonardo (Leo per gli amici), che sopporta le cinque ore quotidiane di noia scolastica, si atteggia a pirata contemporaneo, gioca a calcetto col fedele amico Niko, si stordisce con infinite partite alla Playstation, va ovunque accompagnato dall’inseparabile iPod, tenta di risolvere i suoi problemi (e di risollevare i suoi voti) con l’aiuto della fidata compagna di classe Silvia. Insomma, Leo è un adolescente come tanti, e in particolare (come molti compagni di sventura) usa focalizzare la sua insofferenza esistenziale sulla classe docente, una specie a suo dire in via d’estinzione (sperando che il triste evento si verifichi prima possibile). È una vita all'insegna di una tediosa routine, quella di Leo, almeno finché un nuovo docente di lettere varca la porta della sua classe offrendogli un nuovo bersaglio umano, perché si tratta di un supplente, dunque un insegnante ancora più sfigato di quelli regolamentari, dato che per lavorare deve pure augurarsi che qualcuno si ammali per lasciargli il posto. Invece questo giovane insegnante è diverso, si entusiasma parlando della sua materia, ed esorta continuamente i ragazzi a realizzare il loro sogno e vivere con intensità ogni giorno. Leo un sogno in effetti ce l'ha ed è un sogno che ha pure un nome: Beatrice, una ragazza di cui è perdutamente innamorato e che non sa niente dei suoi sentimenti. Leo ha anche una paura: il bianco, che coincide con la mancanza, con ogni suo aspetto della sua vita che ha a che fare con l'assenza e con la perdita, insomma un vuoto che il giovane protagonista cerca sempre di riempire con qualcosa, come una continua colonna sonora, tanto per dirne una. Il problema è che poi Leo scopre che Beatrice non sta bene, ed è malata di una brutta malattia che ha anche a che fare col bianco. Leo dovrà quindi cercare di farsi forza e di aiutarla in qualche modo, e ad offrirgli una spalla su cui piangere sarà la sua inseparabile amica Silvia, sempre gentile ed affidabile, ma anche lei afflitta come lui da pene d'amor non corrisposto. Un bel romanzo di formazione, convincente e ed emotivamente ricco di tensione, concepito a tavolino per intrigare gli adolescenti carini-problematici-e-complessi del giorno d'oggi. La componente più intrigante del romanzo è senza dubbio lo sguardo di adolescente ribelle ma di buon cuore del protagonista, mentre alla lunga la figura del docente ‘sognatore’ si rivela a tratti un po’ ripetitiva. Interessante e un po' ruffiano lo sforzo di replicare lo slang giovanile dei giorni nostri, una carta vincente da Salinger in poi. Si può provare. 

Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue, Milano, Mondadori, 2010; pp. 254


sabato 7 novembre 2020

LA STANZA DELLE MERAVIGLIE

Iniziamo puntualizzando che si tratta di un'opera del talentuoso Brian Selznick, l’autore di uno dei libri più belli dell’ultimo decennio, un romanzo grafico intitolato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, da cui il grande Martin Scorsese ha tratto una notevole versione cinematografica in 3D che ha entusiasmato gli spettatori di tutto il mondo e di ogni età, precisazione d’obbligo dato che la fonte letteraria in teoria potrebbe essere considerata un cosiddetto romanzo per ragazzi. La ricchezza narrativa delle avventure di Hugo Cabret traeva linfa vitale dal cinema dei tempi andati nel cruciale passaggio dal muto al sonoro, un mondo che il giovane autore del New Jersey, classe 1966, respira dalla culla, trattandosi del nipote di David O. Selznick, il leggendario produttore di Via col vento e di tanti altri capolavori della Hollywood dei tempi andati. Anche con La stanza delle meraviglie il gioco si ripete e il lettore potrà lasciarsi rapire dalla magica alchimia tra parole e splendide immagini a carboncino attraverso le quali si alternano le storie del libro. Già, perché a differenza del romanzo precedente, che nascondeva una storia nella storia, stavolta le storie sono due e scorrono parallele, affidate a protagonisti divisi da un arco temporale di ben cinquant’anni: una raccontata soltanto tramite disegni in bianco e nero, l’altra attraverso le parole, storie ovviamente destinate ad incrociarsi, prima o poi, chissà come. Ne sono protagonisti due ragazzi in cerca del proprio passato e di un posto nel mondo, un equilibrio difficile da trovare soprattutto perché entrambi sono in qualche modo sconnessi rispetto agli altri. Ben è un ragazzo che ama collezionare oggetti strani: ha perso la madre di recente e vive con gli zii a Lake Gunflint, Minnesota, nel 1977. Ben è sordo da un orecchio e non sa niente del padre, che non ha mai incontrato, ma trova una tessera del puzzle del suo ignoto passato nella casa materna in cui non è più entrato dalla tragedia: dentro un libriccino intitolato... La stanza delle meraviglie c’è infatti il segnalibro di una libreria a firma di un tale Danny che potrebbe essere proprio il padre sconosciuto, ma incombe una ‘fulminea’ interruzione che renderà assai più ardua la ricerca di Ben. Rose invece è una ragazzina sordomuta che vive sola col padre in una casa di Hoboken, New Jersey, nel 1927. Rose colleziona in modo quasi maniacale foto e articoli di giornale dedicati a Lilian Mayhew, una celebre attrice del cinema muto che, a quanto pare, vorrebbe assolutamente raggiungere. Entrambi si mettono in fuga in direzione di New York a mezzo secolo di distanza per ritrovare le proprie radici e magari un posto nel mondo. Il fil rouge che lega Ben a Rose chiaramente più avanti arriverà a sorprenderci, anche se in modalità meno fantastiche (ma umanamente struggenti) di quanto sarebbe lecito attendersi. Un lirico happy ending incombe infatti sulla doppia vicenda ma prima Selznick ci farà scoprire il senso dell’arte, il concetto di museo e il segreto dell’amicizia, magari nei meandri del Museo di Storia Naturale della Grande Mela, o forse in una sorprendente meraviglia newyorchese costruita con amore per una vita intera al Queens Museum of Art, perché no? Il dono più stupefacente del romanzo è però l’insostenibile leggerezza con cui Selznick riesce a tratteggiare con una sensibilità davvero unica le storie di due personaggi che hanno difficoltà a padroneggiare le parole e districarsi tra i suoni che caratterizzano il mondo cosiddetto “normale”, riuscendo a parlare con rara delicatezza di un tema difficile come la disabilità. Insomma, La stanza delle meraviglie cattura dalla prima pagina e non ti lascia più, semmai ha il solo difetto di durare troppo poco. Imperdibile. 

Brian Selznick, La stanza delle meraviglie, Milano, Mondadori, 2012; pp. 656 

 

mercoledì 4 novembre 2020

L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

Si tratta di un fortunato racconto di taglio allegorico dell'autore francese Jean Giono, edito nel 1953, tradotto in tutto il mondo e diventato l'omonimo film di Frédéric Back, premiato tra l'altro con l'Oscar come miglior cortometraggio d'animazione. La storia si apre nel 1910 mostrandoci il narratore da giovane che sta passeggiando per una desolata vallata, ai piedi delle Alpi provenzali: l'escursione diventa problematica per la difficoltà a trovare acqua, dato che nella zona c'è solo un piccolo villaggio abbandonato e diroccato, e con una fontana ormai secca. Scrutando il panorama, però, il protagonista avvista la sagoma lontana di un pastore circondato dal suo gregge di pecore: così raggiunge l'uomo, che gli offre l'acqua della sua borraccia e gli offre ospitalità per la notte. Nella dignitosa casa del suo ospite di poche parole, il narratore ne scopre la storia: si chiama Elzéard Bouffier, è vedovo, ha cinquantacinque anni e ogni giorno pianta cento ghiande per migliorare il luogo dove vive facendovi crescere una foresta. Dopo aver perso la moglie, si è ritirato in questo luogo desolato e negli ultimi tre anni ha piantato centomila ghiande (e si aspetta che ne crescano almeno diecimila querce). Il narratore riparte e torna in quei luoghi dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale: il panorama è cambiato, dato che adesso c'è un'enorme foresta, non solo di querce ma anche di faggi e betulle, e l'acqua ha ricominciato a scorrere nei ruscelli secchi. L'ospite silenzioso di dieci anni prima è diventato apicoltore ma continua a piantare alberi con la stessa determinazione di prima. La foresta viene messa sotto protezione dallo stato e i dintorni cominciano a essere ripopolati da coppie giovani in cerca di fortuna. E l'uomo che aveva la missione di piantare gli alberi in modo generoso e disinteressato? Ne scopriremo il destino alla fine, ovviamente... Gran bella storia, talmente bella che Jean Giono, che ne andava fiero nonostante l'immensa fortuna del racconto in tutto il mondo non gli avesse fatto guadagnare denaro (alcune edizioni sono state perfino distribuite gratuitamente), destò scalpore rivelando che questa straordinaria figura di pastore ecologico era un personaggio assolutamente inventato. La prospettiva aneddotica cattura fin dalle prime pagine con la forza del realismo della vicenda e del significato simbolico di un gesto d'amore ripetuto nel tempo per cambiare un territorio che l'incuria umana ha reso arido e inospitale. Difficile pensare a una storia che abbia una valenza educativa maggiore di questo splendido, essenziale racconto.

Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, Milano, Salani, 2011; pp. 51


venerdì 30 ottobre 2020

COSMOLINEA B-2: LA FANTASCIENZA BREVE E FREDRIC BROWN

La Fantascienza, che unisce in un'unica parola i termini "fantasia" e "scienza", è un genere di narrativa di consumo nato nel Novecento e divenuto popolare a partire dagli anni Trenta del secolo scorso: tratta di storie dotate spesso di base scientifica che possono svolgersi in un futuro più o meno distante, possono essere ambientate nello spazio o su mondi alieni e possono prevedere personaggi non umani, per esempio creature extraterrestri o sintetiche (come robot o androidi). Se consideriamo che il massimo esponente del genere è Isaac Asimov, non c'è dubbio alcuno che per quanto riguarda i racconti fantascientifici brevi l'autore per eccellenza sia l'americano Fredric Brown (1906-1972), ottimo scrittore di romanzi gialli e di fantascienza, ma davvero eccelso nella misura dei racconti brevi o brevissimi grazie al suo stile irresistibile e ricco di humour, oltre che per i tipici finali a sorpresa che spesso costringono il lettore a rileggere la storia da una prospettiva diversa e spiazzante, magari proprio all'ultimo rigo. Da questo punto di vista il suo capolavoro assoluto è la raccolta Cosmolinea B-2, che assortisce ben settantaquattro racconti scritti da Brown dal 1951 in poi, sette dei quali realizzati a quattro mani insieme a Mack Reynolds e uno in collaborazione con Carl Onspaugh. Il libro, uscito in Italia nella collana "Urania" della Mondadori, fa il paio con Cosmolinea B-1, la raccolta che contiene i racconti scritti  da Brown dal 1941 al 1950 (complessivamente trentaquattro e mediamente più lunghi). Un buon motivo per leggere e rileggere Cosmolinea B-2 potrebbero essere le perle più note al grande pubblico, come lo strepitoso Sentinella (universalmente ritenuto il miglior racconto fantascientifico breve di sempre), lo spiazzante Questione di scala (che ci costringe a riflettere sull'ultima battuta) o l'inquietante La risposta. Il punto è che la raccolta offre anche molte altre sorprese meno note, come Un uomo esemplare, dove un ubriaco involontariamente salva l'umanità da un'invasione aliena, o piccole chicche come Margherite Esperimento. Sul fronte della narrativa più lunga corre l'obbligo di segnalare la progressione di colpi di scena che caratterizza Il vecchio, il mostro spaziale e l'asino. E c'è anche una strana storia come Immaginatevi, che sembra quasi una poesia sul concetto stesso di fantascienza. Una magnifica raccolta di racconti, insomma...

Fredric Brown, Cosmolinea B-2, Milano, Mondadori ("Urania"), 2013; pp. 429

I RACCONTI DI HERMANN HESSE

Di origine tedesca ma naturalizzato svizzero, Hermann Hesse (1877-1962) nella sua lunga vita è stato un artista a trecentosessanta gradi: poeta, autore di aforismi, filosofo, pittore e, ovviamente, scrittore tra i più significativi del Novecento, tanto da meritarsi il premio Nobel per la letteratura nel 1946 grazie ad opere quali Siddhartha, Narciso e Boccadoro e Il gioco delle perle di vetro, che riflettono i suoi interessi per lo spiritualismo, il misticismo, l'esotismo e le filosofie orientali in genere (e forse anche per le sue posizioni di convinto pacifista che emergono nella sua narrativa). Questa raccolta di racconti nel suo complesso riflette il variegato ventaglio delle tematiche care a Hermann Hesse ed è organizzata in due parti: la prima comprende tredici racconti scritti nel periodo maturo tra il 1919 e il 1955, mentre la seconda ne propone dieci scritti tra il 1900 e il 1909, dunque in anni sicuramente più acerbi. La prima parte si apre con la storia Dentro e fuori, decisamente interessante per lo sviluppo delle tematiche centrali, e si conclude con Un seminarista di Maulbronn, che ha uno sviluppo circolare davvero incisivo, anche se il racconto forse più felice sembra di chiara ispirazione autobiografica (s'intitola Lezione interrotta) e ricostruisce un'anomala "vacanza" dell'autore studente dalla mattinata di impegni scolastici. Più fresca la seconda parte, in cui spiccano la storia di eremitaggio estremo di Tra le rocce, l'irresistibile umorismo de Le meraviglie della tecnica e una piccola perla autobiografica come Sul ghiaccio, in cui potremo scoprire le divagazioni sentimentali di un Hermann Hesse adolescente ben deciso ad invitare a pattinare Emma Maier, la ragazza più bella del paese, il suo sogno d'amore impossibile. Insomma, una raccolta di racconti tutti da scoprire.

Hermann Hesse, Racconti, Milano, Mondadori, 2001; pp. 238


mercoledì 28 ottobre 2020

CIELO D'OTTOBRE: UN'AUTOBIOGRAFIA... DI FORMAZIONE

Homer H. Hickam è un ingegnere della Nasa in pensione, già responsabile dei motori dello Space Shuttle e addestratore degli astronauti incaricati di svolgere missioni su questa navicella. Nel suo libro autobiografico Cielo d'ottobre l'autore ci racconta la storia da lui vissuta in gioventù, a fine anni Cinquanta, con i tre amici Quentin Wilson, Sharman O'Deel e Roy Lee Cook, quattro ragazzi di Coalwood, una grigia cittadina mineraria del West Virginia. Il minatore è il destino professionale di tutta la gioventù di Coalwood e sembra il più probabile anche per i quattro amici, che non hanno il talento necessario sul fronte del football per attrarre l'attenzione di qualche università disponibile ad elargire una borsa di studio per meriti sportivi a qualche studente particolarmente dotato. L'evento che colpisce indelebilmente l'attenzione di Homer e dei suoi amici accade il 4 ottobre 1957, il giorno dell'entrata in orbita del primo satellite della storia, lo Sputnik sovietico, che induce i nostri eroi a diventare quelli che la stampa locale definirà i cosiddetti Rocket Boys (che tra parentesi sarebbe il sottotitolo originale del libro): nonostante la manifesta contrarietà del padre, infatti Homer e i suoi amici fanno esperimenti (a volte anche pericolosi) con i razzi per emulare il nume tutelare del protagonista, lo scienziato Wernher von Braun. Riusciranno i nostri eroi ad imparare abbastanza sui misteri della missilistica per creare prototipi funzionanti e magari mettersi in evidenza in un'importante mostra scientifica per le scuole superiori? Forse sì, magari tra mille vicissitudini esistenziali che costringeranno Homer in particolare a sperimentare in prima persona la vita da minatore che il padre (l'energico direttore della miniera di Coalwood) vede così adatta a lui. Insomma, Cielo d'ottobre è un libro autobiografico che ha il passo del romanzo di formazione: pagina dopo pagina scopriremo i sogni, le speranze e i dolori dell'autore Homer H. Hickam e non potremo fare a meno di tifare per lui. Tra parentesi, è anche un libro davvero istruttivo, perché in fondo è basato semplicemente sul sogno di studiare all'università... e ovviamente di conquistare le stelle, perché i razzi in prospettiva futura è a questo che dovrebbero servire, no? Assolutamente consigliato.

Homer H. Hickam Jr., Cielo d'ottobre, Milano, Rizzoli, 1999; pp. 406


venerdì 23 ottobre 2020

MÉTO. LA CASA: UNA SAGA DISTOPICA DA NON PERDERE

Prima parte della trilogia Méto dell'autore fracese Yves Grevet, La Casa (con la "c" maiuscola) è l'episodio iniziale di una saga distopica per ragazzi, un serrato romanzo d'avventura e al tempo stesso un intrigante esempio di letteratura carceraria. L'ambientazione è particolarissima e la scopriamo attraverso una narrazione in prima persona che offre al lettore l'impressione di scoprire la realtà circostante attraverso le impressioni in tempo reale del protagonista, Méto, appunto. Siamo in un'isola deserta (anche se non lo capiremo subito), all'interno di una grande casa in cui sessantaquattro ragazzi di varie età vivono isolati dal resto del mondo: sono suddivisi in gruppi caratterizzati da divise di colori diversi e sono sottomessi a rigidissimi sorveglianti che chiamano Cesari, implacabili nel punirli per la loro inosservanza alle regole, come pure per le domande non autorizzate (praticamente tutte). Per chi sgarra la punizione più temuta è di essere rinchiusi nel frigo, la cella frigorifera dove finiscono per essere chiusi a chiave, rigorosamente da soli, i ragazzi che non rispettano le regole. Tutti i giovani inquilini della Casa si fanno le stesse domande (destinate a non aver risposta): dove sono? Che facevano prima di finire lì? E, in particolare, dove diavolo andranno a finire quando saranno diventati troppo grandi? Questo è il dubbio principale di Méto, che è un Rosso (ovvero uno dei più grandi) e quindi è particolarmente ossessionato dal futuro che lo aspetto, anche se non può parlarne con nessuno, perché ignora le potenziali spie che potrebbero esserci nella cerchia dei compagni e che potrebbero far rapporto ai Cesari sul suo conto, facendolo così finire nel frigo. L'ambientazione, intrigante e inquietante al tempo stesso, è questa: siamo immersi nei pensieri del protagonista e insieme a lui scopriremo a piccoli passi una serie di indecifrabili indizi che chiariranno il quadro - come la misteriosa medicina che tutti i ragazzi assumono quotidianamente tramite iniezione, una sorta di sedativo per la memoria, oppure la strana coincidenza che nessuno ricordi la sua vita precedente all'arrivo nella Casa - e ci condurranno all'unico sviluppo possibile della vicenda, una rivolta dopo la quale nulla potrà più essere come prima. Nel complesso ne vien fuori una gran bella storia, dove la suspense si affetta letteralmente col coltello mettendo il lettore nell'impellenza di procedere a grandi falcate lungo gli sviluppi romanzeschi che lo attendono. Méto. La Casa convince anche per l'implicita simbologia del trapasso dall'adolescenza alla maturità che il romanzo nasconde in tralice. Una lettura imperdibile, insomma: se farete due passi nei primi capitoli della Casa, di sicuro vi troverete intrappolati nella saga fino all'ultima pagina.

Yves Grevet, Méto. La Casa, Casal Monferrato, Sonda, 2012; pp. 162


OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...