Questo
libro autobiografico di Wladyslaw Szpilman (1911-2000), uno dei pianisti
polacchi più celebri della sua generazione, racconta gli anni dal 1939 al 1945,
in cui, essendo di origine ebraica, in seguito all’invasione tedesca il noto
musicista fu costretto a vivere con la sua famiglia l’allucinante esperienza
del ghetto di Varsavia, per poi cercare di sopravvivere da solo durante un
lungo periodo di clandestinità in attesa della liberazione. Il pianista racconta con implacabile
realismo e dalla prospettiva delle vittime la privazione dei diritti a danno degli
Ebrei polacchi applicata dagli invasori nazisti: agli Ebrei è vietato di
entrare nei locali pubblici, di riunirsi nelle piazze, di camminare sui
marciapiedi, di possedere più di una certa quantità di contanti, di indossare
al braccio un simbolo di riconoscimento etnico. In seguito le limitazioni
aumentano a dismisura quando le famiglie ebraiche sono costrette a trasferirsi
nel ghetto di Varsavia, uno spazio chiuso ed ovviamente dotato di alloggi
ristretti e miseri, un non-luogo dove la fame e le malattie sono i problemi più
diffusi, per non parlare delle quotidiane umiliazioni inflitte dai nazisti ai
malcapitati di turno, che possono essere giustiziati per minime infrazioni. La
strada del protagonista si divide da quella dei suoi familiari quando arriva il
momento della deportazione nei lager: all’ultimo momento una guardia ebraica
lascia scappare Szpilman perché in futuro, quando la barbarie della Shoah sarà finita,
il celebre pianista potrà dare il suo contributo per andare oltre. Da lì in poi
Szpilman dovrà cercare di tenere duro resistendo in appartamenti chiusi, in
attesa dell’arrivo dei volontari che gli portano il cibo per sopravvivere,
sempre da solo e in silenzio (quindi anche senza la possibilità di suonare).
Dalla sua prospettiva di clandestino il protagonista assisterà anche all’eroica
rivolta del ghetto di Varsavia, destinata a finire in un nulla di fatto ma di
grande impatto morale. Tutto è destinato a concludersi con la fuga finale tra
le macerie del ghetto, quando la sorte gli consentirà di salvarsi mostrando il
suo talento musicale all’ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld, che lo aiuterà nel
periodo che prelude alla liberazione (e a cui purtroppo Szpilman non riuscì a
restituire il favore). Insomma, a tutti gli effetti queste pagine raccontano,
come recita il sottotitolo dell’edizione italiana, “la straordinaria storia di
un sopravvissuto”, tragica e struggente da far male. Il libro fu scritto da
Szpilman all’indomani dei tragici avvenimenti vissuti e pubblicato nel 1946,
quindi mai più ristampato, almeno finché il figlio di Szpilman, Andrzej, ne
trovò una copia e riuscì a farlo pubblicare in tedesco, con l’aggiunta di
alcuni stralci del diario dell'ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld e con una
postfazione di Wolf Biermann. Il
pianista è stato traslato sul grande schermo dall’omonimo film di Roman
Polanski del 2002, che ha ottenuto un grande successo a livello internazionale
ed è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes e con tre premi
Oscar.
Wladyslav Szpilman, Il pianista, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2008; pp. 239