Atto
primo di Berlin, una saga distopica
ad effetto... retroattivo scritta a quattro mani dal dinamico duo composto da
Fabio Geda e Marco Magnone, I fuochi di
Tegel è ambientato in un luogo tristemente noto del secolo scorso,
trattandosi di Berlino Ovest, lo scenario di un laboratorio di ingegneria
sociale a cielo aperto davvero unico nella storia del Novecento. Siamo nella
primavera del 1978, quindi in teoria dovrebbe trattarsi di una storia
incorniciata nello spazio urbano circondato dal muro di Berlino, se non fosse
che fin dalla prima pagina il lettore avrà l’impressione di trovarsi in una
città fantasma, segnata dall’incuria e quasi deserta. Il punto è che tre anni
prima un virus devastante quanto misterioso ha sterminato tutti gli adulti
lasciando in vita solo gli adolescenti, non per sempre però, dato che a sedici
anni l’orologio biologico dei sopravvissuti li porterà immancabilmente alla
morte. In tale quadro inquietante i bambini e i ragazzi sopravvissuti, rimasti
abbandonati a se stessi, si sono organizzati in cinque fazioni di tipo tribale,
ognuna ubicata in una zona riconoscibile della Berlino del tempo che fu, ognuna
caratterizzata da un approccio diverso alla sopravvivenza e in costante
rivalità con le altre: lo Zoo popolato dal gruppo più infantile e basico, i
ragazzi del Reichstag (più organizzati), le ragazze dell’Havel (più
contemplative), il selvaggi giovani di Tegel – l’aeroporto su cui era basato il
ponte aereo che assicurava la sopravvivenza di Berlino Ovest durante la guerra
fredda – e infine i più filosofici giovani di Gropiusstadt. È il rapimento del
piccolo Theo, uno dei cosiddetti “Nati dalla morte” dopo la fine della civiltà,
il motore narrativo del primo episodio della saga: le ragazze dell’Havel, cui
il bambino è stato sottratto, chiederanno aiuto alla fazione di Gropiusstadt ed
arriveranno a Tegel per esigerlo dal gruppo più violento dei sopravvissuti. Che
dire? Si comincia con una cartina topografica di Berlino Ovest, ci si ritrova
incollati alla storia fin da subito in uno scenario urbano postapocalittico, all’insegna
del degrado, senza energia elettrica né acqua corrente, un altro mondo, insomma…
ma per il lettore lo sfogliare pagine per seguire la storia è dolce in questo mare:
situazioni coinvolgenti, un ritmo tambureggiante, personaggi strepitosi, come l’indimenticabile
Sven, il diciannovenne con un piede già nella fossa che fa comunque la cosa
giusta quando è il momento. Sul fronte stilistico risultano davvero azzeccati i
vari flashbacks del passato “normale”
di alcuni protagonisti che contrappuntano l’intreccio portante e amplificano la
sensazione di spaesamento che caratterizza la storia, che sembra una
rielaborazione distopica de Il signore
delle mosche di William Golding. Assolutamente imperdibile.
Fabio Geda – Marco Magnone, Berlin. I fuochi di Tegel, Milano,
Mondadori, 2015; pp. 202