Ci
sono i romanzi distopici che aprono la porta a universi d’immaginazione in sé
conclusi e portano il lettore in un futuro alternativo senza colpo ferire,
trasportandolo letteralmente altrove e Ready
Player One di Ernest Cline appartiene decisamente a questa categoria, degno
erede di Fahrenheit 451 di Ray
Bradbury, il classico per antonomasia del genere. Siamo in un futuro prossimo e venturo che si può sintetizzare in
una sola parola: inquietante. Nel 2045 la Terra è sovrappopolata e in piena
decadenza, anche nelle nazioni più sviluppate tecnologicamente: le città sono
stracolme ed oppresse dalla mancanza di fonti energetiche, i poveri del futuro
vivono in piccole unità abitative impilate in strutture d’acciaio in periferie
da incubo, quasi baraccopoli di lamiere sviluppate in verticale su tralicci che
sfidano la forza di gravità. È un mondo quasi senza speranza e in cui l’umanità
è riuscita a sopravvivere soltanto rifugiandosi in un mondo virtuale che si
chiama Oasis, cui si accede con speciali occhiali sinaptici con riconoscimento
retinico: questo straordinario paradiso di pixel e codici aperto a tutti e
senza costi di abbonamento è stato inventato da un leggendario programmatore,
James Halliday, il fondatore della Gregarious Games, un multimiliardario che,
dopo aver scoperto di aver poco ancora da vivere, ha lasciato la sua immensa
fortuna e il controllo della sua azienda a chi riuscirà ad impossessarsi di un
easter egg oltrepassando tre porte che si aprono con tre chiavi nascoste chissà
dove nei meandri di Oasis. Purtroppo questo straordinario annuncio risale a
cinque anni fa e nessuno da allora ha fatto il minimo progresso riuscendo ad
entrare nel segnapunti di Oasis: da una parte lo cercano i cosiddetti gunter
(contrazione di egg’s hunter) dall’altra la spietata multinazionale IOI, che
intende impossessarsi di Oasis per imporre canoni d’abbonamenti ed arricchirsi
a dismisura con la pubblicità che Halliday ha sempre estromesso dalla sua
creazione. Protagonista della storia è appunto un gunter senza arte né parte che
vive nelle cosiddette “cataste” di Oklahoma City (sterminati quartieri
periferici di roulotte impilate) e risponde al nome di Wade Watts, grande
appassionato della cultura pop degli
anni Ottanta (venerata da Halliday), noto su Oasis come Parzival, il suo
avatar. In cerca di un’idea per trovare la prima chiave insieme al suo miglior
amico Each, il nostro eroe incontrerà la valente Art3mis, gunter di grande
potenza e fama, e sarà proprio lui ad attirare l’attenzione della IOI guidata
dal perfido Nolan Sorrento, un capo disposto a infrangere ogni regola e perfino
a uccidere pur di impossessarsi dell’easter egg di Halliday. Ben presto il
giovane protagonista scoprirà a caro prezzo l’assoluta mancanza di scrupolo
della spietata multinazionale e deciderà di far causa comune con Each, Art3mis
e i due gunter nipponici Daito e Shoto per vincere la “partita” e magari fare
la cosa giusta: gli darà una mano dietro le quinte il vecchio Ogden Morrow, ex
socio nonché miglior amico di Halliday. Che dire? Ready Player One è davvero quello che si può immaginare dalle linee
narrative della trama, ovvero una caccia al tesoro ambientata in un’isola
virtuale vasta quanto un universo e ricca di riferimenti soprattutto alla
cultura popolare degli anni Ottanta nel senso più allargato che si possa
concepire: videogames a profusione, giochi di ruolo come Dungeons and Dragons,
film d’azione per ragazzi, serie televisive, cartoons giapponesi e così via. E
il bello è che i mondi di Oasis sono pure tematici, quindi ognuno presenta un
irresistibile spaccato della sterminata immaginazione di Halliday, nume
tutelare della caccia planetaria che lui stesso ha innescato col suo avatar
Anorak. Alla fine il romanzo regala un confronto epico tra buoni e cattivi
prima di farci scoprire perfino il manzoniano “sugo” della storia… Una piccola
meraviglia a orologeria perfettamente congegnata per intrappolare le nuove
generazioni e quelle dei bei tempi andati.
Ernest
Cline, Ready Player One, Milano, DeA,
2018; pp. 441