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giovedì 8 aprile 2021

IL PIANISTA: LA STORIA DI WLADYSLAV SZPILMAN

Questo libro autobiografico di Wladyslaw Szpilman (1911-2000), uno dei pianisti polacchi più celebri della sua generazione, racconta gli anni dal 1939 al 1945, in cui, essendo di origine ebraica, in seguito all’invasione tedesca il noto musicista fu costretto a vivere con la sua famiglia l’allucinante esperienza del ghetto di Varsavia, per poi cercare di sopravvivere da solo durante un lungo periodo di clandestinità in attesa della liberazione. Il pianista racconta con implacabile realismo e dalla prospettiva delle vittime la privazione dei diritti a danno degli Ebrei polacchi applicata dagli invasori nazisti: agli Ebrei è vietato di entrare nei locali pubblici, di riunirsi nelle piazze, di camminare sui marciapiedi, di possedere più di una certa quantità di contanti, di indossare al braccio un simbolo di riconoscimento etnico. In seguito le limitazioni aumentano a dismisura quando le famiglie ebraiche sono costrette a trasferirsi nel ghetto di Varsavia, uno spazio chiuso ed ovviamente dotato di alloggi ristretti e miseri, un non-luogo dove la fame e le malattie sono i problemi più diffusi, per non parlare delle quotidiane umiliazioni inflitte dai nazisti ai malcapitati di turno, che possono essere giustiziati per minime infrazioni. La strada del protagonista si divide da quella dei suoi familiari quando arriva il momento della deportazione nei lager: all’ultimo momento una guardia ebraica lascia scappare Szpilman perché in futuro, quando la barbarie della Shoah sarà finita, il celebre pianista potrà dare il suo contributo per andare oltre. Da lì in poi Szpilman dovrà cercare di tenere duro resistendo in appartamenti chiusi, in attesa dell’arrivo dei volontari che gli portano il cibo per sopravvivere, sempre da solo e in silenzio (quindi anche senza la possibilità di suonare). Dalla sua prospettiva di clandestino il protagonista assisterà anche all’eroica rivolta del ghetto di Varsavia, destinata a finire in un nulla di fatto ma di grande impatto morale. Tutto è destinato a concludersi con la fuga finale tra le macerie del ghetto, quando la sorte gli consentirà di salvarsi mostrando il suo talento musicale all’ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld, che lo aiuterà nel periodo che prelude alla liberazione (e a cui purtroppo Szpilman non riuscì a restituire il favore). Insomma, a tutti gli effetti queste pagine raccontano, come recita il sottotitolo dell’edizione italiana, “la straordinaria storia di un sopravvissuto”, tragica e struggente da far male. Il libro fu scritto da Szpilman all’indomani dei tragici avvenimenti vissuti e pubblicato nel 1946, quindi mai più ristampato, almeno finché il figlio di Szpilman, Andrzej, ne trovò una copia e riuscì a farlo pubblicare in tedesco, con l’aggiunta di alcuni stralci del diario dell'ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld e con una postfazione di Wolf Biermann. Il pianista è stato traslato sul grande schermo dall’omonimo film di Roman Polanski del 2002, che ha ottenuto un grande successo a livello internazionale ed è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes e con tre premi Oscar.

Wladyslav Szpilman, Il pianista, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2008; pp. 239

venerdì 29 gennaio 2021

SE QUESTO È UN UOMO...

Il classico italiano per eccellenza della vasta letteratura relativa ai campi di sterminio nazisti attivi durante il secondo conflitto mondiale è senza alcuna ombra di dubbio Se questo è un uomo di Primo Levi (1919-1987), uscito senza clamori per la prima volta nel 1947, accolto nella collana einaudiana “Saggi” nel 1958 e da quel momento continuamente ristampato e tradotto con successo in tutto il mondo. Il libro dello scrittore torinese – autore peraltro de I sommersi e i salvati, La tregua e dell’antologia I racconti – è un romanzo autobiografico, una sorta di narrazione-testimonianza sulla drammatica realtà dei lager raccontata dalla prospettiva di una delle vittime, ovvero lo stesso Levi, uno dei pochi Ebrei che riuscirono a scampare al loro ineluttabile destino di morte. Nella presentazione l’autore torinese spiega che la genesi di Se questo è un uomo non va ricercata nell’esigenza di «formulare nuovi capi d’accusa» ai danni dei persecutori nazisti, quanto invece con la volontà di «fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano» ed in particolare per soddisfare la necessità di raccontare agli altri un’esperienza straordinaria nel suo essere estrema, feroce e brutale, dunque da ricordare per sempre ad eterno monito di cosa gli esseri umani sono stati in grado di fare, spesso consapevolmente, ai propri simili. Levi comincia a raccontarci la sua discesa agli inferi dall’inizio, spiegandoci le modalità della sua cattura e la partenza su un treno per il trasporto di bestiame con destinazione Auschwitz. Nel secondo capitolo, intitolato “Sul fondo”, l’autore ci racconta il suo approdo nell’abisso del campo di concentramento e la scoperta del micidiale meccanismo che cancellerà la sua identità e calpesterà la sua dignità di essere umano, riducendolo nel breve volgere di poche ore soltanto ad un numero: «ho imparato che io sono uno Häftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro». È soltanto mostrando il proprio numero che si ha diritto al pane ed alla zuppa che consentono di sopravvivere nell’allucinante successione di lavori forzati svolti nelle condizioni più impossibili, cercando ogni volta di restare fuori dall'immancabile selezione delle prossime vittime. Se questo è un uomo si rivela incisivo soprattutto nella ricostruzione del disumano ritmo che regolava le esistenze delle vittime predestinate dei lager: «uscire rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire». Senza nessuna speranza di uscire, cercando semplicemente di resistere il più a lungo possibile, in una galleria di varia umanità che si divide in due categorie, i sommersi ed i salvati, coloro che respirano per forza d’inerzia, ormai completamente cancellati come uomini, e coloro invece che paiono quasi emblematicamente programmati a livello genetico per arrivare al momento della liberazione, che le vittime ad un certo punto sembrano avvertire come imminente ma che sembra non giungere mai. Da segnalare la bellissima poesia che anticipa il libro (nota generalmente come Shema, termine ebraico che significa "ascolta") prescrivendo ai lettori una riflessione sul valore della memoria dell'allucinante vicenda della Shoah. Completano il volume uno scritto di Cesare Segre ed un’incisiva appendice con le risposte dell’autore alle domande ricorrenti cui si è ritrovato a rispondere nei numerosi incontri con gli studenti. Da leggere per non dimenticare… 

Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2008; pp. 213

sabato 26 dicembre 2020

LA BELLA RESISTENZA

Il sottotitolo di questo libro è "L'antifascismo raccontato ai ragazzi" e già costituirebbe un ottimo motivo per consigliarne la lettura. L'autore, Biagio Goldstein Bolocan, classe 1966, laureato in Storia, si occupa della redazione di manuali di Storia per le scuole secondarie di primo e di secondo grado. Nelle prime pagine rivela ai lettori di aver scritto La bella resistenza come debito di gratitudine verso nonna Emma, pessima cuoca ma fervente divulgatrice dei tempi difficilissimi vissuti in gioventù, che hanno innescato nell'autore l'amore per la Storia e lo sdegno per le ingiustizie patite dalla propria famiglia nel periodo del ventennio, in particolare dal 1938, con l'emanazione delle Leggi razziali, dato che la sua era una famiglia di origine ebraica. Il libro di Biagio Goldstein Bolocan si alterna infatti tra le vicende private familiari, spesso intrecciate con la vita culturale di Milano, e una serie di efficacissimi profili dei momenti cruciali tra il 1914 e il 1945, sempre illustrati dagli incisivi disegni di Matteo Berton: la Grande guerra, il primo dopoguerra, l'avvento del fascismo, la dittatura di Benito Mussolini, l'antifascismo, l'apoteosi del fascismo negli anni Trenta,  fascismo e nazismo, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, la resistenza. Per quanto riguarda le storie della grande famiglia Damiani-Bolocan, è decisamente arduo ricordare tutte le figure che si alternano nel periodo ma, dovendo scegliere, è doveroso ricordare almeno l'irresistibile ritratto dell'orientaleggiante nonno Alexandru Bolocan, un ingegnere che ama suonare il violino che a un certo punto è costretto a fuggire in esilio in Svizzera, dove finisce comunque in una sorta di campo di lavoro per ebrei ma si salva dal tifo e dagli stenti proprio grazie alla sua passione, "adottato" da un maestro svizzero amante della buona musica. D'obbligo anche ricordare il senso di giustizia di nonna Emma, che all'indomani del 25 aprile 1945 imbracciando una scopa salva dall'esecuzione da parte dei partigiani il segretario comunale di Mozzate, che comunque non l'aveva mai denunciata pur sapendo che lei e i suoi figli erano ebrei. Da leggere per non dimenticare.

Biagio Goldstein Bolocan, La bella resistenza, Milano, Feltrinelli, 2019; pp. 126

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...