Il
romanzo in assoluto più noto della sterminata produzione dello scrittore
americano Philip K. Dick (1928-1982) risale al 1968 e s’intitola Ma gli androidi sognano pecore elettriche?,
ma in Italia il libro è stato pubblicato anche col titolo Il cacciatore di androidi e ovviamente Blade Runner, mutuando l’omonimo film di Ridley Scott del 1982 con
Harrison Ford, Rutger Hauer e Sean Young, indiscusso cult movie del cinema fantascientifico. La storia è ambientata nell’oscuro
scenario post-apocalittico della San Francisco del 1992, in un mondo in decadenza
da cui l’umanità ha cercato di scappare emigrando nelle colonie extramondo. Sulla
Terra le specie animali sono praticamente tutte estinte e quindi in molti
cercano di acquistare copie di animali prodotte in laboratorio o i meno
pregiati simulacri robotici, esattamente come la pecora elettrica (peraltro mal
funzionante) del protagonista della storia, Rick Deckard, di professione
cacciatore di taglie di androidi sfuggiti al controllo degli umani e dunque da ‘ritirare’
ovvero da eliminare. Il buon Deckard vive con la moglie Iran e si sente
frustrato per non essere riuscito ancora ad acquistare un animale domestico
vivente: anche per questo, oltre che per sfuggire alla noia, accetta di
concludere un incarico lasciato a metà dall’anziano cacciatore di taglie Dave
Holden, rimasto ferito dopo aver ucciso due degli otto androidi modello Nexus 6
fuggiti dalla colonia extramondo di Marte. Subito Deckard con la sua aeromobile
si reca a Seattle ai laboratori della Rosen Industries, dove sono stati
prodotti gli androidi fuggitivi: qui incontra Rachael Rosen, nipote di Eldon
Rosen, il proprietario dell’azienda, e, dopo averla sottoposta al test Voight-Kampff,
scopre che la donna è una replicante. Successivamente Deckard finisce sulle
tracce di una cantante lirica androide ma, mentre sta cercando di sottoporla al
test per avere conferma della sua natura, lei chiama la polizia: il protagonista si ritrova così in una
centrale che sembra essere un covo di replicanti e riesce ad uscirne solo
grazie all’aiuto di un collega. Nel frattempo gli androidi Nexus 6 superstiti si
rifugiano nel palazzo dove vive lo “speciale” Isidore, un uomo solitario dal
basso quoziente intellettivo (forse a causa delle piogge radiattive): è qui che
cercheranno di organizzarsi in vista dell’immancabile resa dei conti con il
cacciatore di androidi. Romanzo distopico per eccellenza, Blade Runner tratteggia il cupo quadro di un drammatico futuro
incombente su un’umanità capace di creare copie replicanti di se stessa e della
vita animale ormai scomparsa dal pianeta Terra ma che i superstiti avvertono
come un imprescindibile status symbol esistenziale.
È un futuro oscuro, opprimente e senza speranza quello immaginato da Philip K.
Dick: nelle case di tutti ci sono dispositivi che regolano l’umore – quasi a
figurare una necessità di serenità interiore almeno illusoria –, gli
onnipresenti programmi televisivi contrappuntano la narrazione ed è arduo
talvolta riconoscere gli androidi, creature senzienti ma prive di empatia, dagli
umani più spietati. Insomma, Deckard cacciando i replicanti scruta nel torbido
e intravede schegge di se stesso, finendo per dubitare delle sue capacità e presagendo
l’impossibilità di continuare la sua professione. Dal libro di Dick il grande
Ridley Scott ha ottenuto un film che riesce ad immaginare con profondo impatto
visivo l’ambientazione del romanzo (spostata nella Los Angeles del 2019), pur
stravolgendone la storia: Deckard diventa un futuribile detective solitario che Chandler avrebbe apprezzato, Rachael viene
riletta come una replicante di nuova generazione che ignora la propria natura,
i replicanti in fuga sono androidi che stanno per esaurire il loro tempo di
vita e cercano disperatamente di prolungare la loro esistenza a tempo
determinato. Tutto per arrivare al clou drammatico
del sorprendente confronto finale tra il protagonista e l’unico antagonista ancora
vivo ma condannato comunque a sparire come lacrime nella pioggia…
Philip
K. Dick, Blade Runner, Roma, Fanucci,
1996; pp. 254
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domenica 9 ottobre 2022
mercoledì 3 marzo 2021
IL DIARIO DI ANNE FRANK
La
storia è tragicamente nota, purtroppo, nel bene e nel male: Anne Frank
ricevette un diario in regalo per il suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno
del 1942, e cominciò a scriverci come qualunque ragazzina della sua età scene
di ordinaria vita scolastica, infatuazioni sentimentali, libri preferiti, sogni
per il futuro. Ma a un certo punto la sua famiglia, di origine ebraica e di
Francoforte ma emigrata ad Amsterdam in seguito all’ascesa di Hitler in
Germania, dovrà nascondersi negli uffici della ditta del padre, Otto Frank,
insieme a un’altra famiglia ebraica per evitare di essere catturata e finire in
un campo di concentramento. E così per due anni Anne continuerà a scrivere in
cattività le pagine del suo diario, iniziando a rivolgersi a lui chiamandolo
Kitty, fingendo che sia il nome di una migliore amica di cui sente la grande
mancanza: giorno dopo giorno Anne ci racconta le paure e le speranze, i momenti
di angoscia e le esperienze della sua piccola comunità che cerca di resistere
in clausura finché non ci sarà più pericolo per loro fuori. Sono
particolarmente struggenti le pagine in cui Anne parla del suo desiderio di
diventare da grande una scrittrice o una giornalista, criticando le sue
composizioni in modo lucidamente implacabile per quanto consapevole di essere
dotata di talento . All’inizio del 1944 Anne aveva sentito alla radio il
ministro dell’educazione in esilio affermare che tutte le sofferenze vissute
dal popolo olandese durante l’occupazione nazista un giorno avrebbero dovuto
essere raccolte e pubblicate: così aveva iniziato a ricopiare le lettere della
prima stesura del diario correggendole, tagliando le parti meno interessanti,
integrando quelle che le parevano meno sviluppate. Il Diario s’interrompe con l’ultima annotazione del 1° agosto 1944: poco
dopo i Frank furono catturati dalla Gestapo e deportati nei campi di
concentramento nazisti, Anne e la sorella Margot morirono entrambe di tifo a
Bergen-Belsen pochi giorni prima della liberazione, come la madre Edith, mentre
il padre Otto fu l’unico superstite della Shoah: tornò ad Amsterdam, pubblicò
il Diario della figlia minore nel
1947, che divenne in breve un classico della narrativa per ragazzi e del genere
autobiografico. L’edizione Einaudi, con prefazione di Eraldo Affinati e con uno
scritto di Natalia Ginzburg, propone anche una ricostruzione degli ultimi anni
di vita di Anne e della sorella Margot. Si tratta dell’edizione definitiva
approvata dall’Anne Frank Fonds. Assolutamente da leggere.
Anne Frank, Diario,
Torino, Einaudi, 2014; pp. 359
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