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sabato 5 aprile 2025

TESTI E NOTE DI ISAAC ASIMOV

La raccolta Testi e note è un'antologia che raccoglie ventiquattro racconti di fantascienza scritti dal grande Isaac Asimov tra il 1950 e il 1973 e già usciti in Italia in due distinti volumi della collana Urania. Negli Stati Uniti la raccolta si intitolava Buy Jupiter and Other Stories, un titolo che ha una storia piuttosto curiosa: uno dei racconti inclusi, infatti, il brevissimo e fulminante It Pays (tradotto in italiano con Pianeta comprasi), venne ribattezzato da un editor piuttosto creativo in Buy Jupiter – un gioco di parole con l’esclamazione inglese “By Jupiter!” – e ad Asimov (che neanche era stato consultato al riguardo) piacque così tanto che lo scrittore americano lo adottò addirittura per l'intera raccolta. L'edizione italiana propone invece un titolo come Testi e note che rende bene l'idea dell'elemento distintivo del volume, ovvero le introduzioni e i commenti dell'autore che accompagnano ogni racconto. Sono proprio quelle “note”, scritte da Asimov col suo caratteristico stile affabulatorio e ricco d'ironia a fare la differenza: l'autore di Io, robot racconta infatti come e perché tutte le storie sono nate, per quali riviste sono state scritte e quale accoglienza hanno ricevuto. Ne scaturisce un autoritratto informale, leggero e ricco di aneddoti simpatici, che aiuta a comprendere meglio non solo l’evoluzione dell'autore di fantascienza unanimemente riconosciuto come il più grande, ma anche come funzionava la macchina editoriale americana alla sua epoca. Il tratto distintivo dei racconti in genere è la loro brevità e varietà, nel complesso sono un’efficace esemplificazione del miglior Asimov: alcuni sono piccoli esperimenti narrativi, altri calibrati esercizi stilistici, altri ancora delle gemme di acume e umorismo. I racconti in assoluto più memorabili sono forse quelli della seconda parte, come l'esemplare Razza di deficienti! - in cui i terrestri prima sono segnalati come degni di entrare nei registri galattici di Naron e poi subito cancellati perché votati all'estinzione -, la divertente speculazione narrata in Pianeta Comprasi e la strepitosa riflessione sul senso ultimo dell'evoluzione robotica che emerge in Parola-chiave. Insomma, chi apprezza la fantascienza in Testi e note troverà pane per i propri denti, chi ama Asimov ci troverà tutto il resto.

Isaac Asimov, Testi e note, Milano, Mondadori, 1985; pp. 186

UNA RACCOLTA DI SAGGI ERRANTI DA DANTE A FENOGLIO

L’ultima fatica di marca critica di Hans Honnacker, docente di materie letterarie di chiara origine tedesca ma fiorentino d’adozione, è una raccolta di saggi che s’intitola Da Dante a Fenoglio. Si tratta di un percorso ondivago tra le ricerche letterarie dell’autore nell’ultimo trentennio, come testimoniato dal sottotitolo Sentieri letterari ‘erranti’, e anche dell’ideale chiusura di una tetralogia saggistica pubblicata con le Edizioni Erasmo a partire da Amore furioso: l’Ariosto e oltre nel 2016, continuata con Dante e oltre nel 2022 e quindi con Semplicemente Ariosto nel 2024. La raccolta presenta complessivamente cinque saggi critici, più una postilla e un’appendice che completano il volume, peraltro impreziosito da una serie di originali illustrazioni realizzate dagli ex studenti dell’autore. I saggi sono tutti inediti, ad eccezione del primo, dedicato a Dante, che descrive un'intrigante ricostruzione del personaggio di Attila tra Il Cantare dei Nibelunghi e la Commedia, opere (diversissime) che presentano due ritratti quasi opposti del leggendario sovrano degli Unni. Il secondo saggio della raccolta è invece una riflessione sulla funzione dell’ossimoro dolce-amaro nella concezione dell’amore che emerge dal Canzoniere di Francesco Petrarca, dove ha una frequenza che salta subito all’occhio. Il terzo saggio è un’indagine sul personaggio di Rinaldo nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, dove uno storico protagonista della tradizione cavalleresca viene scelto dall’autore come capostipite della dinastia estense (oltre che come eroe centrale del poema) con un esito più convincente in chiave encomiastica rispetto a quanto fatto dai suoi illustri predecessori Boiardo e Ariosto con la figura di Rugiero/Ruggiero, cavaliere pagano convertito alla fede cristiana divenuto poi similmente fondatore degli Este. Il quarto contributo è un’intrigante riflessione sull’importanza della forma dialogica nelle Operette morali di Giacomo Leopardi e sul rapporto di tale opera con l’apice della produzione lirica del poeta di Recanati, i cosiddetti Grandi idilli. Il quinto e ultimo saggio della raccolta è un confronto tra due romanzi molto diversi della letteratura italiana novecentesca quali Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda tramite il diverso uso del pastiche linguistico in entrambe le opere. La verve enciclopedica dell’autore tedesco si esplica anche nei due contributi che il volume offre in limine: il primo è un frizzante studio del personaggio di San Nicola e della sua metamorfosi innescata dalla nascente globalizzazione di marca americana nel Babbo Natale della pubblicità della Coca Cola, mentre il secondo è un poemetto giovanile in prosa ispirato dal primo viaggio in Grecia compiuto da Honnacker da adolescente (peraltro con traduzione a fronte dal tedesco). Insomma, una raccolta di saggi davvero interessante, vivamente consigliata agli eruditi ed ai curiosi generici.

Hans Honnacker, Da Dante a Fenoglio, Livorno, Edizioni Erasmo, 2024; pp. 113

domenica 30 marzo 2025

MAI DEVI DOMANDARMI DI NATALIA GINZBURG

Si tratta di un libro assai variegato e molto personale il cui titolo (che suona piuttosto particolare) è ripreso dal libretto del Lohengrin. Come precisato nell’avvertenza dalla stessa Natalia Ginzburg alla prima edizione del novembre 1970, Mai devi domandarmi raccoglie quasi tutti gli scritti pubblicati dall’autrice sulla “Stampa” dal dicembre 1968 all’ottobre del 1970, il racconto apripista La casa (uscito invece sul “Giorno” nel 1965) e altre prose inedite cui fu aggiunto nel 1989 il racconto Luna pallidassi, che era stato pubblicato dal “Corriere della Sera” nel 1976. Sono testi di argomenti molto diversi, alcune volte di taglio prettamente giornalistico e altre di tipologia memoriale, infatti la Ginzburg all’inizio era intenzionata a dividere queste prose tra quelle ispirate alla memoria e le altre, poi però ha realizzato che in qualche modo la memoria affiorava un po’ ovunque e così ha optato per un ordinamento cronologico. Mai devi domandarmi è la modalità espressiva più vicina a un diario che l’autrice di Lessico famigliare abbia prodotto nella vita, lei che non è mai riuscita a tenere un diario vero e proprio, trattandosi di annotazioni su ciò che nel tempo le “capitava di ricordare o pensare” sui più svariati argomenti: sono riflessioni sulla solitudine che ha caratterizzato la sua infanzia o il senso di stupore che può affiorare nella vecchiaia, sono recensioni (molto profonde e personali) dei libri letti e dei film visti, fotografie scritte delle sue esperienze sul lavoro, pensieri di natura politica o saggi ispirati ai grandi interrogativi dell'umanità, come sul credere in Dio oppure no. Ovviamente, in tutti questi saggi, articoli e racconti affiorano schegge autobiografiche di una grande scrittrice, di cui raccontano in modo apparentemente casuale tanti momenti topici di vita vissuta. L’edizione definitiva dell’Einaudi presenta un’introduzione firmata da Cesare Garboli e una corposa appendice del curatore Domenico Scarpa con notizie sui testi della raccolta e un’antologia della critica. Un libro tutto da scoprire.

Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi, Torino, Einaudi, 2014; pp. 296

venerdì 28 marzo 2025

I QUARANTANOVE RACCONTI DI HEMINGWAY

Questa celebre raccolta di racconti fu pubblicata da Ernest Hemingway (1899-1961) nel 1938 insieme a La quinta colonna, che in Italia fu edita singolarmente da Einaudi nel 1946, mentre I quarantanove racconti uscirono l’anno dopo. Come lo stesso autore spiega nella prefazione, le prime quattro storie dell’indice sono le ultime che ha scritto, mentre le altre seguono fedelmente l’ordine in cui furono pubblicati per la prima volta: Su nel Michigan fu scritta per prima, a Parigi, nel 1921, mentre l’ultima fu telegrafata da Hemingway da Barcellona nel 1938. Sono racconti scritti nei luoghi dove lo scrittore americano si è alternato nell’arco di quasi vent’anni tra Europa, Stati Uniti, Canada e Cuba. Le quarantanove storie saltano da un genere all’altro e, a detta dello stesso Hemingway, sono sgrezzate con la mola, perché lui preferisce scrivere con “uno strumento storto e spuntato” ma avendo qualcosa da dire, piuttosto che servirsi di un mezzo “lucido e splendente” ma senza niente di originale da mettere su carta. Lo stile che emerge in questa raccolta è forse la versione più realistica ed essenziale di quello che ha condotto Hemingway fino al Nobel per la letteratura: sono pezzi di vita vissuta (talvolta neanche troppo eccezionale) che suonano veri in ognuna di quelle frasi o battute scarne con cui l’autore americano ce le racconta, talvolta in modo meditativo e confidenziale. Sono racconti mediamente di poco oltre le dieci pagine, alcuni intorno alle trenta pagine, ma molti davvero brevissimi, intorno alle quattro, eppure in tutti si vedono nitidi scatti di umanità più o meno normale, con occasionali concessioni ai sogni da matador, alle schegge esistenziali di rivoluzionari o di soldati. Si va dalla tragedia beffarda del racconto apripista, La breve vita felice di Francis Macomber, fino alla nostalgica elegia generazionale di Padri e figli, l’ultima storia dell’indice. In mezzo figurano un buon numero di meraviglie narrative tra cui spiccano l'inesorabile attesa della fine de Le nevi del Kilimangiaro, gli essenziali sottintesi di Colline come elefanti bianchi, il bisogno estemporaneo di affetto di Gatto sotto la pioggia e il delicato ritratto di un vecchio solitario in Un posto pulito, illuminato bene. Un indiscusso capolavoro della narrativa di Hemingway, che salutava il lettore esprimendo l’impellente bisogno di tornare a scrivere: “Adesso è necessario rimettersi alla mola. Mi piacerebbe vivere abbastanza per scrivere altri tre romanzi e altri venticinque racconti. Ne conosco di bellini”. A chiusura del volume figura Il principio dell’iceberg, un’intervista a Hemingway sull’arte di scrivere e narrare. Assolutamente da leggere.

Ernest Hemingway, I quarantanove racconti, Torino, Einaudi, 1999; pp. 554

domenica 12 maggio 2024

VITA DEI CAMPI DI GIOVANNI VERGA

Giovanni Verga pubblicò la prima edizione di Vita dei campi nel 1880 e continuò a rimaneggiare questa raccolta narrativa fino all'edizione definitiva del 1897. Nel suo insieme il libro assortisce nove novelle, da Cavalleria Rusticana (che divenne la fonte dell’omonimo libretto d'opera di Mascagni) fino a Pentolaccia. Nel complesso questa raccolta è una perfetta esemplificazione della poetica verista di Verga: l'ambientazione spesso è umile, i personaggi sono solitamente popolani, le situazioni sono ispirate a fatti tipicamente quotidiani come amori, affari di poco conto, relazioni varie, storie professionali di povera gente. Le novelle più rappresentative sono sicuramente l'apripista, La lupa, Rosso Malpelo e Fantasticheria, che esprimono aspetti molto diversi dello stesso mondo contadino. Cavalleria rusticana racconta il ritorno in paese di un contadino partito per il servizio di leva e della ripresa del suo rapporto amoroso con la fidanzata di un tempo, che nel frattempo si è promessa a un facoltoso carrettiere e del duello d'onore che ne segue; come spesso accade nelle storie dell’autore siciliano i personaggi che si staccano dal loro ambiente d’origine sono fatalmente destinati all’insuccesso, all’infelicità e alla morte. La lupa racconta una storia ancora più basica e viscerale: narra di una donna dai famigerati appetiti sessuali che induce la figlia a sposare il giovane  da cui è attratta e dell’inarrestabile tragedia che ne segue. Rosso Malpelo dipana la triste storia umana dello sfortunato ragazzino protagonista, che lavora in una miniera di rena rossa dove il padre ha perso la vita e in cui tutti lo disprezzano, come pure nella sua famiglia, in cui la sorella e la madre lo tollerano solo per la paga che porta a casa a fine settimane: Rosso Malpelo vive una vita di infelicità, priva di affetti e di interessi, completamente stritolata dalla situazione di sfruttamento minorile, che purtroppo è tutto ciò che ha. Fantasticheria è uno spaccato del paese di Trezza descritto dall'autore a una conoscente straniera che l'ha visitato subendone subito la fascinazione (ma da cui comunque è presto ripartita). È una raccolta ricca di sfaccettature sociali e che applica la morale dell'ostrica sottintesa nelle opere maggiori del Verga, come I Malavoglia e Mastro don Gesualdo.

Giovanni Verga, Vita dei campi, in Tutte le novelle I, Milano, Mondadori, 1971; pp. 137-240

venerdì 3 maggio 2024

STORIE DEL TERRORE DA UN MINUTO

È una raccolta di settantatré storie brevi – a volte davvero brevissime – con cui l’assortito gruppo di scrittori allestito per l’occasione ha cercato di scrivere racconti capaci di ottenere uno scopo in apparenza quasi proibitivo: suscitare terrore in sessanta secondi appena. La sfida ovviamente è ardua, ma l’inquietante compagnia assemblata – che annovera nomi del calibro di Neil Gaiman, Brian Selznick, Brad Meltzer, Lemony Snicket, Margaret Atwood, Jerry Spinelli, Kenneth Oppel, James Patterson, R.L. Stine – regge il comprensibile carico di attese narrative fino all’ultimo racconto. Si tratta di una sfida non necessariamente che gli autori hanno scelto di giocare sul territorio della prosa ma anche in forma di poesia, di fumetto o di immagine, il risultato però è sempre lo stesso: suscitare un brivido in un pugno di secondi, a volte in modalità davvero inquietanti, anche se mai scendendo nello splatter fine a se stesso. Il terrore spesso è raggiunto con i classici strumenti orrorifici: allusioni, anticipazioni, ambientazioni lugubri, buio, creature repellenti come ragni e vermi, luoghi chiusi, oscure presenze, malvagità in serie, casi inspiegabili, leggende metropolitane. È Storie del terrore da un minuto e, incredibilmente, nonostante sia diretto a un target di lettori dalla prima adolescenza in su, in effetti… spacca, e non per forza grazie ai nomi celebri: assortisce anche un buon numero di sorprese assolute, come il per niente coccoloso topolino Tenton del duo Tom Genrich & Michèle Perry, oppure la serata apparentemente tranquilla di una babysitter di Un lavoretto facile di M.T. Anderson, o l’allucinante storia di Un pezzo unico di Sarah Weeks, o la tradizionale casa abbandonata de La sfida di Carol Gorman, o il brevissimo C’è qualcosa sotto il letto di Allan Stratton o infine l’angosciante paura del buio alla base di Non bagnare il letto di Alan Gratz. Terrore assicurato in appena un giro di lancette dei secondi: provare per credere…

AA.VV., Storie del terrore da un minuto, Milano, Feltrinelli, 2021; pp. 127

giovedì 14 marzo 2024

CATTEDRALE DI RAYMOND CARVER

Si tratta di una raccolta di racconti del 1983 del grande Raymond Carver (1938-1988), forse uno degli scrittori americani contemporanei più significativi nella misura della narrativa breve, genere che l’autore considerava insieme alla poesia l’espressione a lui più congeniale per un’incapacità congenita nelle complesse architetture del romanzo. Cattedrale in particolare conta complessivamente dodici racconti in cui la cifra stilistica di Carver si esprime con incredibile efficacia, focalizzandosi sempre su aspetti apparentemente insignificanti della vita di personaggi comuni, ordinari e di solito non troppo interessanti, che l’autore ci descrive per un piccolo segmento delle loro esistenze, spesso senza nemmeno arrivare a un punto fermo e lasciando noi lettori in situazioni indecifrabili e aperte. Il tutto raccontato con dialoghi estremamente realistici che sembrano registrati dal vero. Sono storie di incontri, di contatti, di scambi, di momenti critici, di lutti, di abbandoni, di dipendenze da alcolismo. Il punto più alto, neanche a dirlo, è l’ultimo racconto della raccolta, quello che presta il titolo al libro e forse l’unico in cui s’intravede un risvolto positivo nell’incontro di due personaggi davvero molto diversi: lo scopriamo dalla prospettiva della voce narrante del protagonista, che ha un lavoro insoddisfacente e un programma serale davvero poco accattivante, dato che dovrà accogliere l’ospite non vedente che sua moglie ha invitato a casa loro. In accordo con un’insofferenza palese manifestata già prima dell’arrivo dell’ospite, il protagonista centellina brandelli di giovale conversazione e alla fine accende la televisione per seguire senza troppo interesse un documentario sulle cattedrali francesi. Quando si accorge di essere stato ben poco accogliente col suo ospite, che non può ovviamente vedere il programma, prova a rimediare cercando di descrivere il concetto di cattedrale al suo invitato cieco, che gli propone di fargli capire la faccenda in un modo davvero originale che farà cambiare prospettiva al padrone di casa. Una bella raccolta chiusa da un racconto semplicemente magistrale, nonostante riesca a toccare un’incredibile intensità senza sforzo apparente, in perfetto accordo con lo stile minimalista di Carver, etichetta che allo scrittore americano non sembrava calzante per la sua prova essenziale ma efficacissima. Assolutamente da provare.

Raymond Carver, Cattedrale, Torino, Einaudi, 2020; pp. 229

domenica 3 marzo 2024

PASSEGGERI NOTTURNI: 30 RACCONTI BREVI DI GIANRICO CAROFIGLIO

Dopo numerosi gialli di grande successo, vari romanzi di formazione ed alcuni saggi di spessore Gianrico Carofiglio, classe 1961, è tornato a misurarsi con una raccolta di racconti di varia tipologia come Passeggeri notturni, che assortisce storie di incontri casuali, riflessioni su argomenti disparati, talvolta trame innescate da schegge di conversazioni, perfino aneddoti estemporanei. Sempre rigorosamente nella misura di tre pagine appena. Va da sé che il collante che tiene insieme i trenta racconti brevi ivi contenuti è una scrittura sintetica e sempre incalzante, capace con poche pennellate di tratteggiare personaggi che restano impressi ed intrigano i lettori condividendo un frammento di vita. Carofiglio apre le danze con la spiazzante storia di bullismo “contrastato” di Quarto potere e chiude i battenti con lo struggente sogno ad occhi aperti di affetto ritrovato raccontato in Stanze. In mezzo a questi due estremi c’è davvero un po’ di tutto, sempre raccontato vividamente ma con grande economia di parole: una storia sospesa tra verità e menzogna come Draghi, il singolare racconto sugli odori ritrovati di Aria del tempo, un piccolo horror ad orologeria come Il biglietto, l’intrigante riflessione sugli avverbi di Sinceramente, un’amara parabola sull’autoreferenzialità della politica italiana come La scorta, l’incredibile (ma esemplare) aneddoto sanitario al centro di Contagio, le esilaranti storielle giudiziarie di Avvocati e infine la splendida storia di solidarietà ai tempi della Shoah che racconta Nelle Ardenne. Insomma, nel complesso Passeggeri notturni è una raccolta notevole che conferma tutta la bravura di Carofiglio anche nella misura della narrativa breve: lo scrittore barese sa decisamente catturare l’attenzione del lettore anche raccontando una piccola storia, una riflessione estemporanea o un semplice aneddoto. Da provare.

Gianrico Carofiglio, Passeggeri notturni, Torino, Einaudi, 2016; pp. 98

giovedì 18 gennaio 2024

CENTO CITTÀ: UNA RACCOLTA DI LEGGENDE URBANE

Può un libro condensare storie e leggende delle città italiane? È quello che offrono nel loro insieme i ventuno racconti di Cento città, una raccolta narrativa firmata a quattro mani da Gina Basso e Riccardo Medici. Il progetto alla base del volume, dotato anche di schede didattiche curate da Paola Cataldo, è molto semplice: raccontare una storia esemplificativa, meglio se evocativa e magari anche misteriosa, di uno dei capoluoghi italiani (più Bolzano) e ricostruire così una galleria di leggende urbane del Belpaese. Tra le ventuno mitiche storie raccolte in Cento città ovviamente qualcuna spicca tra le altre, come per esempio la nona, ambientata a Bologna ed intitolata Due fidanzati, un diavolo e cento città, che racconta di come un povero renaio fece costruire la celebre torre degli Asinelli ottenendo così l’amore della vita ed ingannando il diavolo in persona con un gioco di parole. Assolutamente da non perdere anche l’intrigante e onirica storia successiva, Anselmo e il leone, che ci porta nel centro storico di Firenze tra i dintorni del Duomo e di Palazzo Vecchio, per scoprire l’inquietante incubo di un leone assassino che prese a tormentare il povero Anselmo. E a volte questo curioso volume della Loescher può farci scoprire addirittura la stranissima genesi del nome stesso della città di ambientazione (leggere in merito il primo racconto, dedicato ad Aosta), o qualcosa di strano su uno dei luoghi per definizione di una città (come la nota Lanterna di Genova), o l’inspiegabile reazione che un quadro religioso innescò nel grande condottiero Napoleone quando prese possesso di Ancona, o ancora l’origine di un modo di dire popolare ai tempi di Nerone (nel racconto dedicato a Roma) o infine i leggendari tre doni di San Nicola, il patrono di Bari. Assolutamente da provare.

G. Basso – R. Medici, Cento città. Storie e leggende di città italiane, Torino, Loescher, 2014; pp. 128

giovedì 26 ottobre 2023

LADIES AND GENTLEMEN… THE BEST OF ISAAC ASIMOV

Questa antologia in due volumi raccoglie i racconti più rappresentativi della carriera del grande Isaac Asimov (1920-1992) – universalmente riconosciuto come il nume indiscusso della narrativa fantascientifica – selezionati e presentati da lui medesimo. Il meglio di Asimov complessivamente assortisce dodici racconti di varie misure partendo da Naufragio, il primo racconto che l’autore diciottenne riuscì a pubblicare (il terzo che aveva scritto fino ad allora), per arrivare a Immagine speculare, che è l’unico racconto breve di cui sono protagonisti due tra i personaggi più celebri della narrativa asimoviana, Elijah Baley e Daneel Olivaw, rispolverati dall’autore americano per gli appassionati che gli chiedevano a gran voce un nuovo romanzo dedicato ai due. In mezzo a questi due estremi cronologici il lettore curioso potrà trovare varie chicche della corposa produzione di narrativa breve di Asimov, come Notturno, che alcuni ritengono la miglior storia di fantascienza mai scritta e che narra di un pianeta sempre illuminato da vari soli ma finito per la prima volta nelle tenebre, oppure Chissà come si divertivano, un brevissimo racconto sulla scuola contemporanea vista dalla prospettiva di due ragazzini del futuro – scritto da Asimov su richiesta per un amico e poi sorprendentemente divenuto di grande successo –, o ancora L’ultima domanda, che ha il pregio di essere il racconto preferito dell’autore, che scrisse di getto e senza necessità di correzioni questa strana storia sull’entropia con un sorprendente finale a sorpresa. Insomma, si tratta di un‘antologia ideale per addentrarsi nella narrativa di Asimov, sebbene la scelta di non attingere ad altre precedenti raccolte – prima tra tutte la celeberrima Io, robot – finisca per sminuire l’ottica denunciata dal titolo. Non a caso l’autore stesso introducendo questi due volumi si chiedeva con fare sornione chi mai avrebbe comprato una raccolta di “racconti abbastanza buoni e piuttosto rappresentativi di Isaac Asimov” se il titolo fosse stato questo… In ogni caso, vale assolutamente la pena di leggerla, questo è sicuro.

Isaac Asimov, Il meglio di Asimov, Milano, Mondadori, 1978; 2 voll.; pp. 238 e 205

domenica 2 aprile 2023

DIECI NOVELLE DECAMERONIANE RACCONTATE DA PIERO CHIARA

In origine c’era il Decameron, la prima grande raccolta italiana di novelle, l’indiscusso capolavoro di Giovanni Boccaccio da Certaldo (1313-1375), una delle tre corone della letteratura italiana, il testo esemplare da prendere come punto di riferimento delle narrazioni in prosa: cento novelle (più mezza raccontata nell’introduzione della quarta giornata) articolate in dieci giornate a tema (tranne la prima e la nona) e narrate dai dieci giovani (sette fanciulle e tre ragazzi) della lieta brigata, ritrovatisi nella chiesa di Santa Maria Novella orfani delle proprie famiglie e dunque transfughi per scelta dalla Firenze appestata ad una villa sulle pendici di Fiesole, dove decidono per diletto di passare il tempo raccontandosi novelle. Questa in estrema sintesi è la cornice strutturale del libro di Boccaccio, da cui ha attinto a sei secoli di distanza lo scrittore Piero Chiara (1913-1986) per realizzarne un’antologia di dieci novelle nel loro complesso piuttosto rappresentative del ventaglio tematico della raccolta boccacciana e decisamente immediate sul versante linguistico. Le novelle rielaborate da Chiara sono state selezionate da sei delle dieci giornate del Decameron. Si comincia con la beffa confessionale della novella di ser Ciappelletto (l’apripista del libro), seguita dalla picaresca avventura notturna che vive nei bassifondi di Napoli lo sprovveduto mercante di cavalli Andreuccio da Perugia. A ruota arrivano una coppia di novelle della quinta giornata (quella degli amori a lieto fine): prima la fuga con happy ending ai fiori d’arancio di Pietro Boccamazza e l’Agnolella, poi la storia di generosità che vede protagonista il nobile decaduto Federigo degli Alberighi – disposto a sacrificare anche il suo amato falcone per la donna per amor della quale si è rovinato economicamente –. In seguito Chiara ha rielaborato due novelle di motto dalla sesta giornata, prima il motto fortunoso del cuoco Chichibio che placa l’ira del padrone Currado Gianfigliazzi, poi la predica reinventata all’istante da Frate Cipolla per sponsorizzare la (falsissima) reliquia della piuma dell’angelo Gabriele (ed ottenere così molte elemosine). Si continua ancora con una coppia di novelle dell’ottava giornata (dedicata alle beffe generiche): ne è indiscusso protagonista lo sciocco Calandrino, beffato dai colleghi pittori Bruno e Buffalmacco, che prima lo lapidano lungo il Mugnone in cerca della fantomatica elitropia (favolosa pietra che assicura l’invisibilità al portatore), quindi autori di un vero e proprio furto di un maiale sempre ai danni dell’ingenuo collega. Si chiude con una coppia di novelle della decima giornata, dedicata ai casi di cortesia e magnanimità: prima la storia di Mitridanes, invidioso della cortesia di Natan, che lo fa recedere dal suo proposito omicida, quindi la magica storia del Saladino e di messer Torello. Insomma, le dieci novelle di questa antologia ‘suonano’ senza dubbio boccacciane ma risultano molto attualizzate e comprensibili in rapporto all’italiano contemporaneo, quindi costituiscono un ottimo viadotto per consentire alle nuove generazioni di farsi un’idea adeguata del Decameron evitando le oscurità della prosa medievale. Da provare.

Giovanni Boccaccio, Decamerone. Dieci novelle raccontate da Piero Chiara, Milano, 2006; pp. 155

martedì 28 febbraio 2023

IL LATO SINISTRO DEL CUORE: LA NARRATIVA BREVE DI CARLO LUCARELLI

Che Carlo Lucarelli sia il più fulgido talento del giallo nazionale è cosa ormai assodata, anche da scrittori del calibro di Andrea Camilleri, che talvolta ha omaggiato il giovane collega attraverso sibillini giudizi letterari espressi dal commissario Montalbano. Impeccabile nella misura ‘canonica’ del romanzo giallo (pensiamo a gioielli come Almost blue, L’isola dell’angelo caduto o Un giorno dopo l’altro) ma autore anche di notevoli racconti lunghi (leggere in merito una delizia non indispensabile come Laura di Rimini), Lucarelli si è sempre dimostrato a suo agio sia con le ambientazioni contemporanee che con quelle storiche, sia con personaggi seriali che con creazioni destinate ad una vita letteraria conclusa nel volgere di un libro. Nel curriculum dell’autore non sono neppure mancati singolari esperimenti nati magari sulle colonne di quotidiani (come Autosole) o ibridi letterari a metà strada tra inchiesta e fiction (come Compagni di sangue), né ovviamente sono mancati racconti, pubblicati su riviste di varia estrazione, magari finora reperibili soltanto online e quindi riuniti (non tutti ma almeno la maggior parte) nella raccolta Il lato sinistro del cuore, che ne assortisce ben cinquantatré. Di misura varia, talvolta nati per sperimentare uno stile o focalizzare un’idea, altre volte scritti su commissione, l’unico vero Leitmotiv costante in questi racconti è indubbiamente l’elemento diabolico, una sinistra atmosfera che aleggia intorno alle varie storie, a prescindere che il loro obiettivo sia muovere il riso, suggestionare o terrorizzare. Tra leggenda metropolitana e mito suburbano, Lucarelli si muove sinuosamente sulle orme del diavolo e del male, ovunque si annidi, tra l’oscurità che avvolge un museo durante la notte, come accade ne Il silenzio dei musei, oppure nella ruspante ambientazione in cui si svolge la ricostruzione del mistero de I garganelli al ragù della Linina, un’inchiesta impropria ma non meno accattivante. Pagina dopo pagina ne Il lato sinistro del cuore, che peraltro è il titolo che presta all’intera racconta un godibilissimo racconto, si alternano storie d’ispirazione kafkiana come C’è un insetto sul muro, o l’inquietante La tenda nera, e ancora una storia che potrebbe casualmente accadere a chiunque come Telefono sostitutivo, la resa dei conti del sottotenente tedesco Reinhardt Klotz nel racconto omonimo, gli strani fatti narrati in Jubileo, il torbido omicidio de Il conte, l’inspiegabile fenomeno lunare raccontato via etere in Radiopanico, il panico in prospettiva dal basso di Ottobre, una gustosa rivisitazione del mostro di Frankenstein come Julian. Per usare le parole dello stesso Lucarelli, il talentuoso giallista ha “cercato di fare l’unica cosa che uno scrittore, di romanzi o racconti che sia, deve fare quando scrive: raccontare una storia che gli piace nel miglior modo possibile e con le parole più belle che sa”. Ne Il lato sinistro del cuore c’è pienamente riuscito, per l’ennesima volta.

Carlo Lucarelli, Il lato sinistro del cuore, Torino, Einaudi, 2003; pp. 370

mercoledì 21 dicembre 2022

RACCONTI DI NATALE: (QUASI) TUTTI PIÙ BUONI... E ALCUNI ANCHE PIÙ STRANI

Stando a questa godibile raccolta dell’Einaudi curata da Nico Orengo il racconto di Natale è un genere a sé almeno dalla nascita di Gesù Cristo, ovvero dal primo Natale della storia, narrato nei Vangeli sia nella versione secondo Luca che in quella secondo Matteo (entrambe peraltro presenti nella sezione d’apertura di questo volume). Il racconto di Natale fa pensare in primo luogo all’atmosfera così unica e caratteristica che prepara ogni anno l’arrivo del 25 dicembre, la ricorrenza religiosa per eccellenza, davvero ricchissima sul versante simbolico: dall’attesa della festa alla sorpresa del dono, dalla meraviglia dell’albero decorato e luminescente al profluvio di amore e buoni sentimenti, dal banchetto tutti insieme alla magia insita nella notte di Natale. Insomma, ai tipici ingredienti del Canto di Natale di Charles Dickens, per intenderci, che infatti non è incluso nella raccolta… In particolare Racconti di Natale assortisce complessivamente ben trentanove storie a tema suddivise in sei sezioni. La prima narra appunto gli inizi del genere e presenta racconti… diversamente antichi della natività, dalle versioni evangeliche sopra citate fino a quelle di Jacopo da Varazze e di Giovanni da Hildeshem. La seconda è dedicata allo spirito del Natale e rappresenta il vero cuore simbolico del libro: si comincia col delizioso Il dono dei magi del grande O. Henry per arrivare al più strepitoso racconto natalizio di sempre, ovvero Il racconto di Natale di Auggie Wren che Paul Auster scrisse per la sceneggiatura del film Smoke, diretto da Wayne Wang, e in mezzo figurano delizie meno note come Il dono di Ray Bradbury (un bell’esempio di fantascienza natalizia) e il malinconico Un Natale di Truman Capote. La terza sezione verte invece sugli spiriti di Natale: si apre con La favola di Natale di Giovannino Guareschi e si chiude con Markheim di Robert Louis Stevenson, con un Buzzati dickensiano e un inquietante E.T.A. Hoffman nel mezzo. La sezione seguente s’intitola “Bad Christmas” e presenta prospettive contrastanti al classico buonismo natalizio, come il sorprendente La stella di Arthur C. Clarke (allarmante rilettura distopica della cometa che accompagnò la venuta del Redentore) e il giallo a orologeria de L’avventura del carbonchio azzurro di Arthur Conan Doyle con protagonista Sherlock Holmes. Completamente diverso il sapore della penultima sezione (“Sad Christmas”), in cui spicca il triste ritratto del partigiano sopravvissuto de Il Natale del 1945 di Mario Rigoni Stern. “Lieto finale” è la sezione di chiusura, avviata da I figli di Babbo Natale, catastrofico ma divertente racconto tratto da Marcovaldo di Italo Calvino. Insomma, il libro ideale per una full immersion nello spirito natalizio da ogni possibile prospettiva.

AA.VV., Racconti di Natale, a cura di Nico Orengo, Torino, Einaudi, 2005; pp. 424

giovedì 17 novembre 2022

DODICI RACCONTI RAMINGHI: GARANTISCE GABO...

Si tratta di una raccolta di racconti dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez (1927-2014), premio Nobel per la Letteratura 1982, già autore di Cent’anni di solitudine, Cronaca di una morte annunciata e L’amore ai tempi del colera. Giornalista e sceneggiatore, il grande Gabo ha sempre avuto una predilezione per la narrativa breve e questi Dodici racconti raminghi ne sono la testimonianza perfetta: come spiega nell’introduzione alla raccolta, i soggetti di questi dodici racconti hanno avuto una gestazione ultradecennale, hanno rischiato di finire perduti, sono stati faticosamente ricostruiti, finalmente sono sbocciati in racconti, sottoposti ad una spietata revisione che ne ha lasciati in piedi soltanto dodici, e decisamente raminghi, considerando l’accidentata odissea che hanno dovuto attraversare prima di diventare un libro. Gli elementi comuni ai dodici racconti superstiti sono quelli che ci si potrebbe attendere da García Márquez: molti rientrano a buon diritto nel realismo magico che ha fatto la fortuna dello scrittore originario di Aracataca, vari mostrano una spiccata prospettiva autobiografica (essendo nati nel corso delle molteplici residenze che Gabo ha cambiato per il mondo) e sono narrati in prima persona, parecchi vedono protagonisti personaggi che riescono a risultare indimenticabili nella manciata di pagine necessarie a raccontare una storia. Si comincia con il malinconico ritratto di un presidente latinoamericano in esilio di Buon viaggio, signor presidente e si conclude con la lancinante e tristissima luna di miele del conclusivo La traccia del tuo sangue nella neve. Nel mezzo ai due estremi l’autore ci presenta molteplici e diversissimi ritratti, alcuni immaginati, altri ricostruiti minuziosamente: dal suo viaggio contemplativo in quota al fianco di una bellissima compagna di viaggio tra le braccia di Morfeo ne L’aereo della bella addormentata al fatto di cronaca raccontato dopo un anomalo incidente automobilistico che ha visto vittima una signora che di professione sognava il futuro in Mi offro per sognare, dall’allucinante destino di una donna internata per caso in un improbabile manicomio nel racconto “Sono venuta solo per telefonare” all’atipico horror a sorpresa in un castello aretino con fantasma di Spaventi di agosto. Assolutamente da provare.

Gabriel García Márquez, Dodici racconti raminghi, Milano, Mondadori, 1994; pp. 203

sabato 15 ottobre 2022

LE NOVELLE RUSTICANE DI GIOVANNI VERGA

L’autore siciliano Giovanni Verga (1840-1922) pubblicò la raccolta delle Novelle rusticane nel 1883, nel punto culminante della sua produzione narrativa, tra l’uscita dei suoi capolavori romanzeschi, I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo, editi rispettivamente nel 1881 e nel 1889. Le Novelle rusticane insieme alla precedente raccolta di novelle intitolata Vita dei campi costituiscono una sorta di galleria tematica di elementi del Verismo destinati a trovare una più ampia trattazione nelle ambientazioni dei romanzi maggiori. Rispetto a Vita dei campi nelle storie raccontate nelle Novelle rusticane affiora maggiormente il pessimismo di Verga, che occulta la propria voce narrando storie di ordinaria umanità dei più bassi ceti sociali del Meridione, ambientandole spesso nel periodo dell’impresa dei Mille di Garibaldi, che negli intenti avrebbe dovuto portare un po’ di giustizia sociale ma che poi ha finito per tradire le aspettative del popolo, di cui Verga tratteggia l’amara disillusione. Le Novelle rusticane assortiscono complessivamente dodici novelle, ovvero Il ReverendoCos’è il reDon Licciu PapaIl MisteroGli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. GiuseppePane neroI galantuominiLibertàDi là dal mare. Dieci delle novelle erano inedite al momento della pubblicazione, mentre due erano state già pubblicate su riviste: La roba era infatti uscita sulla “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti” del 26 dicembre 1880 e Libertà nella “Domenica letteraria” del 12 marzo 1882. Le due novelle costituiscono senza dubbio i due vertici artistici della raccolta. Nella prima Verga dà forma e sostanza a Mazzarò, singolare esempio di contadino arricchito ed abbrutito dall’ossessione per la cosiddetta “roba”, ovvero per le ricchezze accumulate a dismisura che non sopporta di dover abbandonare, ormai essendo vecchio e destinato a morire: si tratta di un personaggio con notevoli punti in contatto col protagonista di Mastro-don Gesualdo, che vive un’arrampicata sociale culminata nella ricchezza ma che non porta felicità alla sua esistenza. La seconda novella, Libertà, è ispirata a un fatto storico avvenuto a Bronte nell’agosto del 1860, durante l’impresa dei Mille, quando i contadini si rivoltarono contro i notabili locali, contando sul fatto che le proprietà terriere dei nobili sarebbero state ridistribuite al popolo, mentre invece Garibaldi inviò sul posto il fidato Nino Bixio per punire i responsabili dei crimini commessi e ristabilire l’ordine. La novella non cita luoghi e nomi, ma il riferimento alla strage è evidente e la rivolta popolare è tratteggiata come una fiumana inarrestabile, attraverso voci corali che contrappuntano le violenze narrate a tinte forti. Questa raccolta rappresenta un viadotto ideale per entrare nel complesso mondo narrativo di Verga.

Giovanni Verga, Novelle rusticane, Napoli, Medusa, 2007; pp. 167

venerdì 20 maggio 2022

ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Una delle raccolte di poesia più iconiche di sempre è senza dubbio l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1868-1950), che l'autore americano pubblicò a puntate sul "Mirror" di Saint Louis tra il 1914 e il 1915 e poi nella versione definitiva in volume l'anno successivo. Il volume assortisce poesie in versi liberi che raccontano le vite degli abitanti del paese immaginario di Spoon River - che nella realtà deriva dal nome dell'omonimo fiume che scorre nei pressi di Lewistown, la città di residenza dell'autore - e sepolti nel fantomatico cimitero locale: in pratica il libro contiene una serie di epitaffi che raccontano altrettante vite dei defunti che riposano nel cimitero di Spoon River. La versione definitiva del 1916 raccoglie 243 epigrafi più la poesia incipitaria, intitolata La Collina. Masters aveva già l'idea di raccontare i luoghi della sua vita tramite le voci di persone realmente esistite, ma lo spunto per narrarle tramite epitaffi di personaggi già defunti - e dunque, ovviamente, sinceri e obiettivi verso le proprie esistenze ormai concluse - probabilmente gli venne in mente dalla lettura dell'Antologia Palatina, appunto una racconta di epigrammi ed epitaffi greci. Il risultato è una galleria di varia umanità che colpisce allo stomaco il lettore e ne stuzzica l'immaginario con una serie di ritratti ricchi di rivelazioni fulminanti e spesso in grado di fotografare con pochi tratti l'anima di un uomo. Nonostante Masters si fosse posto lo scrupolo di cambiare i nomi, siccome tutte le storie del suo libro erano assolutamente vere e tratte dalle piccole realtà di Petersburg e Lewistown, successe che gli abitanti di queste comunità, in grado di cogliere le "fonti" umane del libro, bandirono il poeta a vita. Alcuni personaggi della raccolta sono in effetti davvero autentici, come il dottor Siegfried Iseman, che tradì il giuramento d'Ippocrate e finì dietro le sbarre fabbricando un elisir di lunga vita, o George Gray, che ha una barca con vele ammainate scolpita sulla lapide perché per timore finì per vivere una vita immobile, o Francis Turner, morto ragazzo baciando la sua Mary "con l'anima sulle labbra", o il giudice Selah Lively, schernito tutta la vita per la sua bassa statura e vendicativo una volta divenuto giudice della vita del prossimo, o lo sfortunato Walter Simmons, atteso da un destino luminoso che mai arrivò per mancanza di genio, o l'ottico Dippold, che aveva sempre una lente giusta per tutti. L'immediato successo delle prime poesie sconvolse letteralmente la vita di Edgar Lee Masters, che iniziò a comporre la sua grande galleria poetica a ritmo continuo e alla fine decise di abbandonare la legge per diventare scrittore a tempo pieno, anche se le sue opere successive non ebbero la stessa fortuna, ben presto i proventi editoriali dell'Antologia cominciarono a sfumare e l'autore visse la vecchiaia in condizioni economiche sempre più difficili. Il capolavoro di Edgar Lee Masters conobbe ben presto un grande successo anche nel vecchio continente e in Italia corre l'obbligo di citare almeno l'omaggio che  fu tributato al libro da un grande cantautore come Fabrizio De André, che ne fu ispirato per l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo del 1971. Insomma, una raccolta poetica in cui ci si perde subito e che non si dimentica più...

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 1971; pp. 257 


lunedì 28 marzo 2022

IL BAR SOTTO IL MARE: GARANTISCE STEFANO BENNI…

Insieme al leggendario Bar Sport questa raccolta costituisce un picco della narrativa breve del bolognese Stefano Benni, classe 1947, giornalista e scrittore dalla corrosiva vena umoristica, come si evince dalle poesie di Prima o poi l’amore arriva e da romanzi irresistibili come Terra! e La compagnia dei Celestini. Il bar sotto il mare costituisce una sorta di raccolta ‘concettuale’, che comincia addirittura dall’immagine di copertina, che raffigura apparentemente ventuno personaggi – che a onor del vero salgono a ventitré considerando anche la pulce sul cane nero e… l’uomo invisibile, che essendo tale non si vede –. Si sfoglia il libro e, dopo il frontespizio col titolo, ecco subito la legenda con le silhouettes dei personaggi della copertina, quindi il prologo che porta l’io narrante della storia sulle tracce di un vecchio elegante con una gardenia all’occhiello, che entra nell’acqua e scompare, presto (in)seguito dal protagonista, che si ritrova in un bar sotto il mare, in mezzo ai ventidue avventori in copertina più l’immancabile barista, che ricorda parecchio Vincent Price. E tutti dopo racconteranno una storia, fino a quella dell’ospite, che narrerà la ventiquattresima chiudendo il cerchio… o forse no. I racconti sono di genere vario e di fantasia dirompente, secondo consolidata tradizione benniana: d’obbligo citare almeno Oleron, il lungo racconto dell’uomo col mantello (che sembra la fotografia di Edgar Allan Poe), la divertente Storia di Pronto Soccorso e Beauty Case dell’uomo con gli occhiali neri (che pare la copia di John Belushi in The Blues Brothers), il racconto giallo Priscilla Mapple e il delitto della IIC della vecchietta (un’anziana signora che si potrebbe confondere con Miss Marple) ed infine la fiaba africana I quattro veli di Kulala narrata dal venditore di tappeti. Una raccolta intrigante e ricca di idee in cui perdersi e ritrovarsi al contempo, con una miriade di citazioni letterarie che svariano da Melville a Queneau, da Flaubert a Lewis Carroll. Assolutamente da provare.

Stefano Benni, Il bar sotto il mare, Milano, Feltrinelli, 1995; pp. 198

martedì 22 marzo 2022

STORIE A CINQUE CERCHI: NARRATIVA… OLIMPICA

L’espressione “cinque cerchi” evoca istantaneamente le Olimpiadi moderne e, esattamente come tale manifestazione sportiva internazionale a cadenza quadriennale, è frutto dell’intraprendenza del barone Pierre de Coubertin, che ne fu promotore e che per essa volle un simbolo universale: “La Bandiera Olimpica ha un fondo bianco, con cinque anelli intrecciati al centro: azzurro, giallo, nero, verde e rosso. Questo disegno è simbolico; rappresenta i cinque continenti abitati del mondo, uniti dall'Olimpismo; inoltre i cinque colori sono quelli che appaiono fino ad ora in tutte le bandiere nazionali”. I dieci racconti che lo scrittore e giornalista Gino Cervi ha inserito nella raccolta Storie a cinque cerchi sono ispirati ad alcuni dei leggendari atleti che hanno animato alcune edizioni delle Olimpiadi che dal 1896 hanno rappresentato un appuntamento sportivo fisso (tranne le parentesi causate dalle due guerre mondiali) per tutte o quasi le nazioni del pianeta. Nell’introduzione, in cui Cervi ci racconta che i suoi primi ricordi più o meno diretti partono dalle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico e alla mitica foto di protesta di Tommie Smith e John Carlos, l’autore presenta i dieci protagonisti dei suoi racconti in una carrellata di grande intensità. Sfogliando le pagine di questa raccolta partiremo appunto da quella mitica foto spiegata a uno studente dal Professor Smith in persona per arrivare all’ultimo racconto della serie, che ci farà scoprire la storia di Fanny Blankers-Koen, campionessa olandese di atletica leggera entrata nella storia delle Olimpiadi come la “mamma volante”. In mezzo ai due estremi figurano le storie del saltatore Ray Ewry (il cosiddetto “uomo molla”), della fiorettista tedesca Helen Mayer (pluricampionessa tedesca ma di origini ebraiche), del sollevatore Joe DePietro, di misure ridotte ma capace di alzare la medaglia d’oro, della splendida amicizia fiorita a Berlino 1936 tra l’americano Jesse Owens e il tedesco Luz Long, dello strepitoso canottiere britannico Steve Redgrave, dell’occhialuto calciatore italiano Annibale Frossi, capocannoniere della nazionale olimpica medaglia d’oro di Berlino 1936, del pugile cubano Teofilo Stevenson, del nuotatore di Honolulu Duke Paoa Kahinu Makoe Hulikohola Kahanamoku. Il libro si avvale delle illustrazioni di Marco Ceruti e propone a chiosa di ogni storia la relativa scheda biografica e una sezione di playlist finali che documentano le canzoni, i testi e le immagini citate nella raccolta. Un vero must della narrativa sportiva, insomma.
Gino Cervi, Storie a cinque cerchi, Firenze, ed.it, 2012; pp. 127

lunedì 21 marzo 2022

IL GRANDE MONDO LAGGIÙ: BRADBURY RACCONTA…

Romanziere tra i più influenti della sua generazione, Ray Bradbury (1920-2012) all’inizio degli anni Cinquanta ha scritto in breve successione i suoi due indiscussi capolavori romanzeschi, Cronache marziane e Fahrenheit 451, con cui ha rinnovato il genere fantascientifico, ma nel corso di tutta la sua carriera si è dedicato alla stesura di racconti, puntualmente raccolti su varie antologie. Nell’ambito della narrativa breve il picco assoluto della produzione di Bradbury sono senza dubbio i trentaquattro racconti pubblicati nella raccolta Il grande mondo laggiù, uscita nel 1984 e che assortisce storie scritte dall’autore nell’arco temporale tra il 1944 e il 1980 (circa un terzo risalgono agli anni Quaranta e oltre due terzi agli anni Cinquanta). I racconti di questa straordinaria raccolta assortiscono generi diversi, con una decisa prevalenza per quelli che raccontano ricordi del passato, misteri inquietanti e indecifrabili o storie fantascientifiche, racconti sempre narrati sul filo di in un’insostenibile suspense, perché Bradbury sa come intrigare il lettore e tenerlo sulla corda fino all’ultima riga, prima di stupirlo con un finale mozzafiato. La raccolta prende avvio con La sera, che narra la strana notte di attesa di una possibile disgrazia dalla prospettiva di un ragazzino che vive l’ansia vissuta dalla madre per il ritardo (inspiegabile) del fratello maggiore nel rientro serale a casa, e si chiude con una storia davvero simbolica come La fine del principio, che ci mostra l’inizio dei viaggi spaziali dal punto di vista di due persone come tante che riflettono sul momento di svolta cui stanno per assistere (che cambierà per sempre il destino dell’umanità) prima di tornare ai propri impegni quotidiani. In mezzo tra i due estremi figurano molti racconti a pronta presa e un pugno di gemme assolute: come Il lago, che rievoca una tragedia lacustre che si chiude anni dopo in modo inquietante e simbolico, oppure Rumore di tuono, che narra un safari temporale e le imprevedibili conseguenze dell’effetto farfalla sul flusso temporale, o infine Tutta l’estate in un giorno, che ci farà scoprire il Sole dalla prospettiva di un gruppo di bambini nati su Venere, dove la pioggia costante s’interrompe soltanto una volta ogni sette anni. Il Leitmotiv della raccolta è sempre l’universo fantastico dell’autore, che si alterna tra presente e futuro per raccontarci il mondo emotivo dei suoi personaggi cercando di catturarne la ragnatela di valori: gli affetti, l’amicizia, la solidarietà, l’amore, non necessariamente in quest’ordine. Un’antologia davvero splendida e scritta da un autore davvero ispirato: vi catturerà dalla prima storia e vi incuriosirà fino all’ultima con racconti difficili da dimenticare, di quelli che consentono al lettore di lasciarsi trasportare altrove in poche pagine per ritornare a casa in tempo per cena…

Ray Bradbury, Il grande mondo laggiù, Milano, Mondadori, 2002; pp. 434

mercoledì 16 marzo 2022

LA BOUTIQUE DEL MISTERO: IL BEST OF DEI RACCONTI DI BUZZATI

Questa raccolta uscì nel lontano 1968 e, a differenza delle precedenti pubblicate fino a quel momento da Dino Buzzati (1906-1972), non comprendeva inediti ma soltanto racconti già pubblicati in altre raccolte. Il grandissimo narratore originario di Belluno aveva selezionato e ordinato trentuno racconti “nella speranza di far conoscere il meglio”, per sua stessa ammissione, della sua sterminata produzione: in pratica si era proposto di creare una sorta di best of delle migliori storie del suo repertorio narrativo privilegiato, quello della narrativa breve, a cui Buzzati si è dedicato per tutta la vita. In particolare racconti selezionati sono stati tratti dalle raccolte I sette messaggeri, Paura alla Scala, Il crollo della Baliverna, In quel preciso momento, Sessanta racconti e Il colombre. In pratica si tratta dell’itinerario perfetto per addentrarsi nel misterioso e talvolta indecifrabile universo buzzatiano, con una serie strepitosa di storie altamente simboliche, inquietanti, di afflato fantastico e spesso altamente simboliche. E poi Buzzati sapeva come costruire la suspense di un racconto e conquistare il lettore dalle prime righe per poi incantarlo in progressione e fulminarlo con un finale di grande impatto, come succede ad esempio in un racconto (Il mantello) sullo strano ritorno a casa del figlio partito anni prima per la guerra e tornato per una breve visita alla famiglia con un angosciante mantello addosso che non vuole assolutamente togliersi. L’autore talvolta ci conquista con una storia inquietante e col non detto ma suggerito, come avviene ne I topi, oppure ci avvince con storie di grande impatto simbolico come I sette messaggi, che apre la raccolta, e Il colombre. D’obbligo segnalare infine il racconto forse più notevole dell’opera buzzatiana, una gemma del genere fantastico e dintorni intitolata La giacca stregata. Un’antologia semplicemente unica, insomma.

Dino Buzzati, La boutique del mistero, Milano, Mondadori, 2009; pp. 238

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...