sabato 9 luglio 2022

THE BIG SWIM: COME SOPRAVVIVERE A UN CAMPO ESTIVO

Lo scrittore canadese Cary Fagan, già autore di La strana collezione di Mr. Karp,  con The Big Swim. La grande prova ha costruito un racconto lungo (o romanzo breve che dir si voglia) sulla più classica esperienza che un ragazzo possa vivere durante l'estate, partecipando insieme a tanti coetanei a un campo estivo. L'incipit della storia ci porta nella testa di Ethan , uno dei tanti ragazzi che passerà l'estate al Campo Betulla: siamo nel suo bungalow, insieme ai suoi compagni, che stanno parlando di un tipo che trascorrerà le vacanze estive con loro e sul quale circolano troppe voci e tutte pessime, insomma, è uno di cui si parla tantissimo e malissimo, uno che ha una fama davvero troppo brutta per essere vera. Subito dopo avremo modo di scoprire meglio le prospettive del nostro protagonista, Ethan, con la sua personalissima scala dei valori: "I miei obiettivi per il campo estivo erano modesti. Primo, sopravvivere. Secondo, non farmi odiare. Terzo, non essere il peggiore in tutte le attività". Ethan, che ha avuto dai suoi compagni un soprannome poco lusinghiero come Pinky, è consapevole di avere una serie di problemini (tra cui l'indole ansiosa) che in teoria potrebbero fargli passare un'estate terribile, dunque la sua storia consisterà fondamentalmente nel limitare i danni il più possibile. In realtà l'estate al Campo Betulla per Ethan sarà l'occasione di crescere, anche grazie alla conoscenza di un tipo come Zach, preceduto da un alone quasi leggendario di ribelle e di anticonformista (sì, proprio quello di cui parlavano tutti in modo inquietante in apertura). E sullo sfondo aleggia anche la grande nuotata del titolo, una sorta di spartiacque simbolico tra l'infanzia e l'adolescenza. Niente male nel complesso: un romanzo per ragazzi ricco di sostanza e decisamente scorrevole, anche grazie ai caratteri ad alta leggibilità. Una lettura avventurosa decisamente ideale per tutti gli adolescenti che amano le sfide con cui mettersi alla prova. 

Cary Fagan, The Big Swim. La grande prova, Cremona, Biancoenero, Roma, 2016; pp. 95


giovedì 16 giugno 2022

GENTE DI DUBLINO: I RACCONTI DUBLINESI DI JOYCE

Gente di Dublino è una raccolta di racconti che James Joyce riuscì a pubblicare – con non poche difficoltà e dopo numerosi rifiuti – soltanto nel 1914, ma questo libro conobbe subito un grande successo e fu considerato unanimemente dalla critica uno dei capolavori assoluti della letteratura europea contemporanea. In ossequio al titolo la raccolta assortisce complessivamente quindici racconti ambientati a Dublino che l’autore irlandese scrisse tra il 1904 e il 1907, l’anno in cui Joyce terminò l’ultimo della serie, I morti, che peraltro è il più noto del libro ed è la fonte narrativa dell’omonimo film di John Huston (l'ultimo diretto nella sua lunga carriera. La raccolta cattura momenti emblematici delle vite ordinarie di vari personaggi che vivono a Dublino e dintorni raccontandone le storie quotidiane. Nel complesso Joyce fotografa la sua città natale enfatizzandone due tematiche principali: la soffocante (e diffusa) atmosfera di paralisi morale e la propensione generalizzata alla fuga, un'esigenza che lo stesso autore a un certo punto metterà in atto trasferendosi altrove. I racconti di Gente di Dublino sono narrati in modalità ancora tradizionali (Joyce non aveva ancora realizzato l’approccio sperimentale del suo capolavoro, Ulisse) e sono articolati in quattro sezioni che rappresentano altrettante fase esistenziali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la vita pubblica. Nel suo insieme il libro evidenzia l’immobilità morale di molti personaggi di Dublino, che amano la loro terra  e magari ignorano che dovrebbero andarsene, che ci provano senza poi averne la forza, che non sanno come essere felici e talvolta (abbastanza spesso, in effetti) cercano un conforto illusorio nell’alcool. Joyce molto spesso ci fa stare dentro la testa dei protagonisti dei racconti grazie alla tecnica del discorso indiretto libero, e a volte ci mette con loro in una condizione altamente simbolica facendoci vivere insieme a loro un’epifania, uno di quegli momenti rivelatori di un’intera vita. E poi dentro il libro c’è Dublino, ovviamente, lo scenario costante delle storie, con i suoi luoghi d’interesse come Grafton Street o il Trinity College. Le storie che più lasciano il segno a mio modesto avviso sono Eveline, in cui una ragazza riflette sulla prossima partenza per i mari del Sud per vivere una nuova vita col fidanzato marinaio in Argentina (ma poi all’ultimo non ha la forza per abbandonare la città natale) e I morti, il lungo racconto conclusivo che narra di una grande festa e del successivo ritorno nella loro camera d’albergo di Gabriel e Gretta, e dell’epifania evocata in lei dai versi di una canzone capace di ricordare alla donna il suo primo amore di Gallway, un ragazzo fragile che probabilmente si uccise pur di rivederla un’ultima volta. Davvero una gemma luminosa a chiusura di una raccolta assolutamente da scoprire.
James Joyce, Gente di Dublino, Milano, Garzanti, 2008; pp. 213

martedì 7 giugno 2022

LA STORIA INFINITA, UN GRANDE CLASSICO FANTASY

Pochi romanzi contemporanei per ragazzi hanno raggiunto lo status di classico in breve tempo come La storia infinita di Michael Ende, classe 1929, regista teatrale tedesco con la passione per la scrittura, già autore di Momo e La terribile banda dei “Tredici” Pirati. La storia infinita ha conosciuto un crescente successo fin dall’uscita in libreria, nel 1979, amplificato peraltro dalla traslazione del romanzo nell’omonimo film di Wolfgang Petersen del 1984. Il romanzo in sé appartiene al genere fantasy, ma è dotato di una particolarità intertestuale che lo rende a suo modo unico: racconta una storia nella storia e in più a un certo punto i protagonisti dei due mondi narrativi entreranno fatalmente in contatto. Il protagonista del romanzo ha dieci anni e si chiama Bastiano Baldassarre Bucci, ed è quello che si definirebbe uno sfigato: sovrappeso, senza talenti particolari (tranne la passione per la lettura), orfano di madre (e con un padre comprensibilmente depresso), Bastiano sembra la vittima perfetta dei bulli di turno. Ed è proprio scappando da qualcuno che ce l’ha con lui che finisce dentro una libreria antiquaria, al cospetto di un libraio antipatico che ha tra le mani un libro il cui titolo attira immediatamente l’attenzione di Bastiano: La storia infinita. Sfruttando un momento di distrazione del librario, il protagonista afferra il libro e scappa dal negozio. Arriva a scuola, ma ha fatto tardi, così si sistema nella soffitta dell’edificio, buia, polverosa e piena di cianfrusaglie. Da uno spiraglio di luce inizia a leggere il libro e si perde in una fantastica storia: siamo a Fantàsia, un regno governato dall’Infanta Imperatrice, in cui però si sta diffondendo uno strano male, il Nulla, che sta fagocitando sempre più territori e che nessuno riesce a contrastare. Anche l’Infanta Imperatrice è afflitta da una malattia sconosciuta per cui sembra non esserci cura, così incarica Atreiu, un ragazzo dei Pelleverde del Mare Erboso, di trovare una cura per lei e per il regno. Per riuscire nella missione Atreiu riceve l’Auryn, un potente talismano che lo proteggerà da ogni, e poco dopo si imbatte nel Drago della Fortuna Fùcur, che diventerà un inseparabile compagno d’avventure. La storia è questa, ed è persino divisa cromaticamente, dato che gli eventi nella realtà di Bastiano sono stampati con inchiostro rosso scuro, mentre quanto succede a Fantàsia è stampato in verde. Ovviamente ad un certo punto sarà il protagonista umano ad approdare nel regno incantato per mettere a posto le cose. La storia infinita in ossequio al suo titolo si presenta come un libro multiforme, un po’ romanzo metatestuale, un po’ libro d’avventura, un po’ romanzo di formazione, e in ogni riga sembra letteralmente affiorare un atto d’amore alla potenza creatrice della fantasia. In effetti Michael Ende è riuscito nella sfida di raccontare una storia apparentemente ricolma di tante storie che prendono origine da essa stessa, e in più offre al lettore l’occasione di identificarsi con lo sfortunato protagonista, anche lui amante dei libri e delle storie in genere, e provare con lui l’ebbrezza di diventare un vero eroe. Un grande classico fantasy.

Michael Ende, La storia infinita, Milano, Corbaccio, 2009; pp. 446


 

venerdì 20 maggio 2022

OMERO, ILIADE: LA CADUTA DI TROIA SECONDO BARICCO

Romanziere, saggista, drammaturgo, ma fondamentalmente un narratore puro di storie: questa pare essere la vocazione privilegiata di Alessandro Baricco, nato a Torino nel 1958, dove ha fondato la scuola di scrittura creativa Holden. E come resistere alla sfida per definizione per un narratore puro, ovvero raccontare oralmente la storia più antica di tutte, quella narrata da Omero nell’Iliade? Mosso appunto dall’idea di adattarne il testo per una lettura pubblica Baricco ha riletto l’opera nella traduzione di Maria Grazia Ciani, riscrivendone il materiale narrativo e montandolo dalla prospettiva di ventuno voci narranti, l’ultima delle quali appartiene all’aedo Demòdoco, che racconta la fine di Troia sulla base dell’Odissea ed altre fonti. Ventuno voci narranti per creare un tramite meno distaccato della terza persona come trait d’union tra la storia – o meglio tra i tanti mitici episodi che compongono la grande storia dell’Iliade – e il punto di vista del lettore/ascoltatore. Ecco così che nell’opera di secondo grado Omero, Iliade rivivono gli dei (che rimangono però più sullo sfondo della narrazione rispetto alla fonte letteraria vera e propria), gli uomini e gli eroi ormai entrati nella sfera del mito, cristallizzati nell’epilogo della decennale guerra di Troia, un’eterna storia di vendetta, ambizione, pietà, valore, astuzia, violenza. E una storia di guerra – e dunque sempre attuale nei drastici tempi che corrono – quando la guerra però si poteva ancora concepire come un’avventura estrema, dotata di un’infernale bellezza che la rende un’avventura ancora avvincente a secoli di distanza dalla sua composizione: “Quel che forse suggerisce l’Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare quella bellezza: come se non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta” scrive Baricco nella postilla finale “è una dannosa menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno: ma bello. Da sempre gli uomini ci si buttano come falene attratte dalla luce mortale del fuoco. Non c’è paura, o orrore di sé, che sia riuscito a tenerli lontani dalle fiamme: perché in esse sempre hanno trovato l’unico riscatto possibile dalla penombra della vita. Per questo, oggi, il compito di un vero pacifismo” conclude Baricco “dovrebbe essere non tanto demonizzare all’eccesso la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che la guerra da sempre ci offre”. Strappi di sintesi della trama ovviamente ce ne sono – e sono voluti, per agevolarne una lettura ad alta voce tra un’ora e mezza e due ore – ma il fascino della storia è rimasto integro, semmai grazie al talento di Baricco la storia ha guadagnato in efficacia e fantasia: rispetto all’Iliade originale compaiono infatti anche brani evidenziati con caratteri in corsivo inventati di sana pianta per aumentare il livello di definizione di una trama che non smette di incantare lettori da tre millenni in qua. Un libro ideale per addentrarsi nelle meraviglie narrative del capolavoro all’origine della cultura occidentale.

Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Milano, Mondadori, 2004; pp. 165

ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Una delle raccolte di poesia più iconiche di sempre è senza dubbio l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1868-1950), che l'autore americano pubblicò a puntate sul "Mirror" di Saint Louis tra il 1914 e il 1915 e poi nella versione definitiva in volume l'anno successivo. Il volume assortisce poesie in versi liberi che raccontano le vite degli abitanti del paese immaginario di Spoon River - che nella realtà deriva dal nome dell'omonimo fiume che scorre nei pressi di Lewistown, la città di residenza dell'autore - e sepolti nel fantomatico cimitero locale: in pratica il libro contiene una serie di epitaffi che raccontano altrettante vite dei defunti che riposano nel cimitero di Spoon River. La versione definitiva del 1916 raccoglie 243 epigrafi più la poesia incipitaria, intitolata La Collina. Masters aveva già l'idea di raccontare i luoghi della sua vita tramite le voci di persone realmente esistite, ma lo spunto per narrarle tramite epitaffi di personaggi già defunti - e dunque, ovviamente, sinceri e obiettivi verso le proprie esistenze ormai concluse - probabilmente gli venne in mente dalla lettura dell'Antologia Palatina, appunto una racconta di epigrammi ed epitaffi greci. Il risultato è una galleria di varia umanità che colpisce allo stomaco il lettore e ne stuzzica l'immaginario con una serie di ritratti ricchi di rivelazioni fulminanti e spesso in grado di fotografare con pochi tratti l'anima di un uomo. Nonostante Masters si fosse posto lo scrupolo di cambiare i nomi, siccome tutte le storie del suo libro erano assolutamente vere e tratte dalle piccole realtà di Petersburg e Lewistown, successe che gli abitanti di queste comunità, in grado di cogliere le "fonti" umane del libro, bandirono il poeta a vita. Alcuni personaggi della raccolta sono in effetti davvero autentici, come il dottor Siegfried Iseman, che tradì il giuramento d'Ippocrate e finì dietro le sbarre fabbricando un elisir di lunga vita, o George Gray, che ha una barca con vele ammainate scolpita sulla lapide perché per timore finì per vivere una vita immobile, o Francis Turner, morto ragazzo baciando la sua Mary "con l'anima sulle labbra", o il giudice Selah Lively, schernito tutta la vita per la sua bassa statura e vendicativo una volta divenuto giudice della vita del prossimo, o lo sfortunato Walter Simmons, atteso da un destino luminoso che mai arrivò per mancanza di genio, o l'ottico Dippold, che aveva sempre una lente giusta per tutti. L'immediato successo delle prime poesie sconvolse letteralmente la vita di Edgar Lee Masters, che iniziò a comporre la sua grande galleria poetica a ritmo continuo e alla fine decise di abbandonare la legge per diventare scrittore a tempo pieno, anche se le sue opere successive non ebbero la stessa fortuna, ben presto i proventi editoriali dell'Antologia cominciarono a sfumare e l'autore visse la vecchiaia in condizioni economiche sempre più difficili. Il capolavoro di Edgar Lee Masters conobbe ben presto un grande successo anche nel vecchio continente e in Italia corre l'obbligo di citare almeno l'omaggio che  fu tributato al libro da un grande cantautore come Fabrizio De André, che ne fu ispirato per l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo del 1971. Insomma, una raccolta poetica in cui ci si perde subito e che non si dimentica più...

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 1971; pp. 257 


mercoledì 18 maggio 2022

STORIA DI UNA LUMACA CHE SCOPRÌ L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA

L’autore cileno Luis Sepúlveda (1949-2020) aveva raggiunto qualche anno fa il successo internazionale con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, un romanzo per ragazzi a tinte fiabesche che è anche diventato un fortunato film d’animazione di Enzo D’Alò. Anche nella Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza lo scrittore sudamericano ha creato un’analoga commistione tra fiaba e romanzo, presentandoci una lumaca diversa da tutte le altre compagne che vivono nel Paese del Dente di Leone, all’ombra di una frondosa pianta di alicanto. La storia è la promessa, mantenuta ad anni di distanza, della domanda fatta da un nipote di Sepúlveda quando era bambino, la classica domanda infantile che potrebbe nascondere un mondo: perché le lumache sono così lente? Già… sembra banale, dato che siamo abituati a vederle muoversi così piano, ma perché? Lo scrittore sudamericano in quel momento non aveva una buona risposta, ma si è ricordato della domanda, che gli ha appunto fornito lo spunto per questo romanzo breve per ragazzi, che risponde con la fantasia all’acuto quesito del bambino di un tempo. Ma veniamo senza altri indugi alla storia, che prende avvio nel prato conosciuto dalle molte lumache che vi abitano da sempre appunto come il Paese del Dente di Leone. Le lumache vivono placidamente in questo luogo ameno chiamandosi l’una con l’altra in modo generico, ma tra loro c’è una giovane ribelle che vorrebbe avere un nome e sapere la ragione della lentezza che caratterizza la sua specie. Purtroppo nessuna delle sue compagne riuscirà a darle delle risposte, quindi partirà per trovarne iniziando un viaggio lungo e lentissimo in cui incontrerà vari personaggi, come un gufo malinconico e una saggia tartaruga, acquisterà un nome strada facendo, scoprirà un tremendo pericolo che incombe sul suo popolo, che dovrà cercare di salvare nonostante la sfiducia generale nei suoi confronti. Tutto qui, narrato in modo semplice e incisivo. Ne vien fuori una gran bella storia, delicata e leggera come una goccia di rugiada che scivola giù per uno stelo d’erba: ideale per un pubblico infantile ma gradevole anche per adulti di buoni sentimenti. La nostra impagabile lumaca protagonista è un’ottima metafora anche per la vita contemporanea nella sua ostinata e consapevole ricerca di un’identità precisa, di un segnale anagrafico che la separi dalla massa indistinta in cui di solito tende a mimetizzarsi la razza umana nel suo complesso. E la ricerca di una risposta alla lentezza insita nel suo modo di essere è un’altra bella metafora del cammino di ricerca di se stessi che contraddistingue l’evoluzione dell’adolescenza. Due riuscite metafore implicite, insomma, che costituiscono due ottimi motivi, senza considerare il sempre intrigante stile sepulvediano, semplice ed affabulatorio, per azzardare la lettura di Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza.

Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Parma, Guanda, 2013; pp. 97 

lunedì 16 maggio 2022

READY PLAYER ONE: PRONTI A GIOCARE?

Ci sono i romanzi distopici che aprono la porta a universi d’immaginazione in sé conclusi e portano il lettore in un futuro alternativo senza colpo ferire, trasportandolo letteralmente altrove e Ready Player One di Ernest Cline appartiene decisamente a questa categoria, degno erede di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il classico per antonomasia del genere. Siamo in un futuro prossimo e venturo che si può sintetizzare in una sola parola: inquietante. Nel 2045 la Terra è sovrappopolata e in piena decadenza, anche nelle nazioni più sviluppate tecnologicamente: le città sono stracolme ed oppresse dalla mancanza di fonti energetiche, i poveri del futuro vivono in piccole unità abitative impilate in strutture d’acciaio in periferie da incubo, quasi baraccopoli di lamiere sviluppate in verticale su tralicci che sfidano la forza di gravità. È un mondo quasi senza speranza e in cui l’umanità è riuscita a sopravvivere soltanto rifugiandosi in un mondo virtuale che si chiama Oasis, cui si accede con speciali occhiali sinaptici con riconoscimento retinico: questo straordinario paradiso di pixel e codici aperto a tutti e senza costi di abbonamento è stato inventato da un leggendario programmatore, James Halliday, il fondatore della Gregarious Games, un multimiliardario che, dopo aver scoperto di aver poco ancora da vivere, ha lasciato la sua immensa fortuna e il controllo della sua azienda a chi riuscirà ad impossessarsi di un easter egg oltrepassando tre porte che si aprono con tre chiavi nascoste chissà dove nei meandri di Oasis. Purtroppo questo straordinario annuncio risale a cinque anni fa e nessuno da allora ha fatto il minimo progresso riuscendo ad entrare nel segnapunti di Oasis: da una parte lo cercano i cosiddetti gunter (contrazione di egg’s hunter) dall’altra la spietata multinazionale IOI, che intende impossessarsi di Oasis per imporre canoni d’abbonamenti ed arricchirsi a dismisura con la pubblicità che Halliday ha sempre estromesso dalla sua creazione. Protagonista della storia è appunto un gunter senza arte né parte che vive nelle cosiddette “cataste” di Oklahoma City (sterminati quartieri periferici di roulotte impilate) e risponde al nome di Wade Watts, grande appassionato della cultura pop degli anni Ottanta (venerata da Halliday), noto su Oasis come Parzival, il suo avatar. In cerca di un’idea per trovare la prima chiave insieme al suo miglior amico Each, il nostro eroe incontrerà la valente Art3mis, gunter di grande potenza e fama, e sarà proprio lui ad attirare l’attenzione della IOI guidata dal perfido Nolan Sorrento, un capo disposto a infrangere ogni regola e perfino a uccidere pur di impossessarsi dell’easter egg di Halliday. Ben presto il giovane protagonista scoprirà a caro prezzo l’assoluta mancanza di scrupolo della spietata multinazionale e deciderà di far causa comune con Each, Art3mis e i due gunter nipponici Daito e Shoto per vincere la “partita” e magari fare la cosa giusta: gli darà una mano dietro le quinte il vecchio Ogden Morrow, ex socio nonché miglior amico di Halliday. Che dire? Ready Player One è davvero quello che si può immaginare dalle linee narrative della trama, ovvero una caccia al tesoro ambientata in un’isola virtuale vasta quanto un universo e ricca di riferimenti soprattutto alla cultura popolare degli anni Ottanta nel senso più allargato che si possa concepire: videogames a profusione, giochi di ruolo come Dungeons and Dragons, film d’azione per ragazzi, serie televisive, cartoons giapponesi e così via. E il bello è che i mondi di Oasis sono pure tematici, quindi ognuno presenta un irresistibile spaccato della sterminata immaginazione di Halliday, nume tutelare della caccia planetaria che lui stesso ha innescato col suo avatar Anorak. Alla fine il romanzo regala un confronto epico tra buoni e cattivi prima di farci scoprire perfino il manzoniano “sugo” della storia… Una piccola meraviglia a orologeria perfettamente congegnata per intrappolare le nuove generazioni e quelle dei bei tempi andati.

Ernest Cline, Ready Player One, Milano, DeA, 2018; pp. 441

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...