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venerdì 15 gennaio 2021

UNA GHOST STORY... SOTTOVOCE

L'ultima fatica della scrittrice e giornalista spezzina Fulvia Degl'Innocenti s'intitola Sottovoce ed è l'ennesimo titolo di una carriera ventennale nell'ambito della narrativa per ragazzi. Si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di formazione che gioca le sue carte migliori nel versante del sovrannaturale e che nella parte conclusiva si trasforma a tutti gli effetti in una tipica ghost story sullo stile di Amabili resti. La storia parte da lontano mostrandoci una strana "dote" della protagonista, Caroline, che emerge nell'infanzia, mentre la bambina sta accompagnando la nonna al cimitero e si accorge, senza essere capace di razionalizzare tale capacità, di riuscire ad avvertire le presenze dei defunti. Crescendo, e passando attraverso la separazione dei genitori, Caroline, ormai adolescente, è costretta a trasferirsi in una nuova casa, in un quartiere diverso da quello in cui ha passato i suoi primi anni: sceglie per sé la stanza più allettante, una mansarda, e comincia ad esplorare la nuova zona, compreso il cimitero abbandonato nei dintorni, si fa anche dei nuovi amici come Ruth e Eddie, un tipo un po' disconnesso appassionato di dietrologia e di storie horror. Qui le strane sensazioni che Caroline sentiva da bambina riaffiorano sotto forma di incubi e diventano un grosso problema, tanto che la madre, che nel frattempo ha perso il lavoro al giornale cittadino, accetta di trasferirsi in provincia per scrivere su un piccolo quotidiano locale. Anche qui  Caroline tornerà ad avvertire voci provenienti dalla dimensione del cosiddetto "invisibile", ma stavolta deciderà di assecondarle e indagare, ritrovandosi invischiata nelle tragiche storie di tre ragazze scomparse nel nulla molti anni prima e di cui le famiglie non hanno saputo più notizie. Riuscirà a risolvere i loro casi, che sembrano misteriosamente intrecciati? Forse, e, magari anche rischiando in prima persona per trovare il colpevole... Sottovoce in ossequio al titolo si rivela una storia di formazione a tinte paranormali che inizia a scavare come una piccola goccia nell'orizzonte d'attesa del lettore, con una sequenza di piccole esperienze apparentemente senza importanza che, col passare delle pagine, diventeranno sempre più inquietanti, fino a farci sprofondare in un vero e proprio thriller adolescenziale sospeso tra sprazzi di cronaca nera e una serie di inspiegabili SOS dall'oltretomba. Un bel romanzo per ragazzi che si fa leggere tutto d'un fiato, insomma... 

Fulvia Degl'Innocenti, Sottovoce, Milano, Pelledoca, 2020; pp. 143

giovedì 14 gennaio 2021

VAI ALL'INFERNO, DANTE!

Non è certo un giornalista sportivo come tutti gli altri, Luigi Garlando, classe 1962, una delle migliori firme della "Gazzetta dello Sport" e da anni convincente autore di narrativa per ragazzi con titoli come Per questo mi chiamo Giovanni o la popolare serie Gol! della Piemme. L'ultima fatica di Garlando s’intitola Vai all’Inferno, Dante! e prende ispirazione dal suo hobby di collezionare edizioni della Commedia di Dante in tutte le nazioni dove gli capita di viaggiare. Il protagonista del romanzo si chiama Vasco, rampollo quattordicenne della nobile e antica famiglia fiorentina dei Guidobaldi, che vive in una splendida magione cinquecentesca, la Gagliarda, e vanta pure un antenato che ha combattuto nelle Crociate. Il buon Vasco però non si può certo definire un ragazzo esemplare: frequenta con scarso impegno la terza media (per la seconda volta), non ha il benché minimo rispetto per i suoi prof e si diletta facendo scherzi riprovevoli al malcapitato di turno insieme ad amici della sua stessa risma. Apparentemente il suo unico pregio è quello di essere un imbattibile giocatore di Fortnite (non proprio il videogame più istruttivo del pianeta) seguito da cinquantamila followers e con la prospettiva di diventare un gamer professionista. Le cose si complicano quando, in procinto di ottenere l'ennesima Vittoria Reale, trova sulla sua strada un avversario che si chiama Dante, porta il classico copricapo dell'autore della Divina Commedia e parla pure in versi... Il buon Vasco, umiliato in diretta YouTube, medita vendetta finché non gli capita d'incontrare in carne ed ossa la sua nuova nemesi, che sembra veramente Dante Alighieri, si esprime esclusivamente attraverso terzine di endecasillabi e per giunta afferma d'essere stato rimandato nel mondo terreno per togliere il buon Vasco dalla selva oscura esistenziale da cui non il ragazzo non pare capace di tirarsi fuori. Sì, in effetti una storia che assomiglia parecchio a quella raccontata nel suo divino poema... Fatto sta che da questo momento Vai all'Inferno, Dante! inizia a proporre al lettore invenzioni a ripetizione: un rapper ecologista e un rapper commerciale che sogna di smetterla per dedicarsi all'apicoltura, un sogno sportivo impossibile come la Fiorentina che contende lo scudetto alla Juve, la scoperta della solidarietà (al Meyer di Firenze, of course), tanti sprazzi videoludici e un lutto mai superato. Insomma, per un terzo del romanzo Garlando ci fa indignare con le perfide marachelle di un bad boy della Firenze dei giorni nostri, poi nel resto della storia ci intriga con una metamorfosi esistenziale apparentemente impossibile. Il romanzo convince anche per la felicità delle invenzioni linguistiche, non soltanto a livello di endecasillabi ma anche sul versante dello slang giovanile tra social e videogames. Risultato: cinquecento pagine che volano via, e non è mica poco…

Luigi Garlando, Vai all'Inferno, Dante!, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 503

mercoledì 30 dicembre 2020

GHOST: UNA STORIA DI SPORT & DISAGIO SOCIALE

Per l’anagrafe lui è Castle Cranshaw, anche se preferisce farsi chiamare Ghost: è un ragazzo senza molti punti fermi nella vita, a parte la bustina di semi di zucca che ogni santo giorno compra nel negozio del vecchio Mr. Charles e… correre. Castle ha la consapevolezza di saper correre sul serio da quando una sera suo padre (che amava i semi di zucca come lui) è stato abbrutito senza ritorno dall’alcool ed ha sparato al figlio e alla moglie mentre scappavano di casa, per poi finire dritto in galera senza fiatare. Da quel giorno la vita è stata particolarmente grama per il giovane protagonista, che non riesce mai a tenersi lontano dagli alterchi con chi lo provoca per il suo taglio di capelli strampalato, per i vestiti troppo grandi e poco trendy o per il fatto che abita a Glass Manor, che non è proprio il posto più elegante della città. Tutto cambia quando Ghost scorge un gruppo di ragazzi che si stanno allenando nella pista d’atletica del parco e, senza saper bene neanche lui perché, si ritrova a sfidare il più veloce di loro, finendo peraltro per ‘asfaltarlo’ nonostante sia vestito in modo improponibile per correre (e non abbia mai preso in seria considerazione nessuno sport tranne il basket). Fatto sta che l’impresa colpisce subito l’attenzione dell’allenatore del gruppo, Coach Brody, tassista ed ex medaglia d’oro olimpica che assomiglia in modo inquietante a una tartaruga con un dente scheggiato. Il buon Ghost entra così nella squadra dei Defenders, a patto di tenersi lontano dai guai, ma ben presto scoprirà di non essere particolarmente fortunato su questo fronte. Ghost è un romanzo di formazione di ambito sportivo che prende subito per la prospettiva dal basso del protagonista, che vive in una situazione svantaggiata con una madre sola e senza troppe prospettive, peraltro oppresso da un trauma infantile con cui è dura scendere a patti, però di buon cuore ed anche piuttosto cool, qualità non banali per il quartiere in cui vive e cerca di tirare avanti. A parte la trascinante sequenza di disavventure che Ghost si trova costretto a superare, la storia prende anche per i dettagli di atletica che la contrappuntano e per lo spirito di squadra che la pervade. Senza spoilerare troppo, colpisce anche lo spaccato di interiorità che Jason Reynolds ci regala un attimo prima dei titoli di coda. Da provare.

Jason Reynolds, Ghost, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 191

domenica 27 dicembre 2020

JACK BENNET E LA CHIAVE PER LA FANTASIA

L'autrice di Jack Bennet e la chiave di tutte le cose si chiama Fiore Manni, classe 1988: romana, Fiore è figlia d'arte, dato che sua madre è l'attrice Fiorenza Tessari e suo nonno il noto regista Duccio Tessari, Dopo aver conseguito un diploma in fashion design, la Manni è stata la conduttrice di "Camilla Store", un programma televisivo di successo che le ha aperto le porte nell'editoria con una serie di titoli del brand Camilla Store per De Agostini Editore. Jack Bennet e la chiave di tutte le cose è il suo primo romanzo per ragazzi e vede come protagonista un ragazzino di dieci anni senza troppa fortuna, dato che ha perso suo padre (che gli manca moltissimo) e che neppure sua mamma se la passa troppo bene, al punto che lui è costretto ad accettare un lavoro in una tipografia per darle una mano a tirare avanti, nonostante abbia soltanto dieci anni. Una perfetta situazione dickensiana, insomma, finché un bel giorno, uscendo dal lavoro (che consiste più che altro nel risolvere i problemi d'inceppamento del processo di stampa), il buon Jack, perennemente avvolto nella lunga sciarpa a righe blu regalatagli dal padre, incontra uno strano tizio vestito di viola che dice di chiamarsi il Padre di Tutte le Cose, che gli affida un passepartout dopo aver avuto dal ragazzo una generica disponibilità a dargli una mano. Non è che l'inizio di una svolta fantastica che porterà il nostro piccolo e modesto eroe a spasso per tre mondi alternativi a risolvere in modo sempre spontaneo problemi apparentemente al di fuori della sua portata, sia che finisca in una strana fabbrica di pappagalli tipografi che stampano libri magici praticamente per ogni occasione, sia che si trovi a tu per tu con l'Architetto dei sogni o che sia catapultato su una nave pirata su un oceano di foglie in rotta verso un incredibile tesoro. Ne viene fuori un romanzo fantastico per ragazzi che in modo strano e indecifrabile riesce a raccontare il desiderio di scoperta e di apprendimento insito nel cuore di ogni adolescente, come appunto nell'impagabile Jack Bennet, un piccolo protagonista di buon cuore che desidera più di ogni altra cosa scoprire qualcosa di nuovo e che nel farlo è sempre disposto a dare una mano a chi ne ha bisogno: attraverso i suoi occhi viaggeremo per strani mondi, alla ricerca inconscia di un sogno impossibile, solo per scoprire, forse, che il tesoro più grande per un ragazzino di dieci anni può rivelarsi l'amicizia. Assolutamente intrigante  e ricco di immaginazione: insieme a Jack Bennet non potremo fare a meno di vedere cosa c'è dall'altra parte di ogni porta che conduce a un mondo ignoto, una pagina dopo l'altra fino all'immancabile lieto fine.

Fiore Manni, Jack Bennet e la chiave di tutte le cose, Milano, Rizzoli, 2018; pp. 351


SETTE ABBRACCI E TIENI IL RESTO

Già autore de L'ombelico di Adamo, Stefano Tofani con Sette abbracci e tieni il resto ha scritto un romanzo di formazione per ragazzi di quelli che conquistano fin dalle prime pagine e non ti lasciano più. Il merito in gran parte è del protagonista, un ragazzino di dodici anni che si chiama Ernesto, anche se parecchi lo apostrofano con un soprannome che a lui non piace per niente come Quattrocchi, perché ovviamente porta gli occhiali. Non se la passa granché bene in effetti: zoppica per i postumi di un incidente automobilistico in cui ha perso l'amata nonna, di cui continua a ricordare come un mantra gli insegnamenti di vita, i proverbi e l'affetto. E la sfortuna del ragazzino non è finita qui: Ernesto ha i genitori separati, vive con una madre che spesso rincasa tardi dalle discoteche, e anche il padre non è affatto il massimo. Il protagonista insomma ha un'unica consolazione: sognare di essere considerato un po' da Martina, l'immancabile ragazza più carina della classe che ha ben altri studenti per la testa, purtroppo, ovviamente più grandi di lei. Tutto cambia quando Ernesto viene a conoscenza di un sistema per osservare il suo amore impossibile in modalità discinta, finendo per combinare l'immancabile disastro. D'altra parte non ha neanche un amico in grado di dargli consigli sensati, eccettuando Lucio, che è bloccato su una carrozzina ed ha purtroppo la vocazione del grillo parlante. In un quadro desolante a dir poco però Ernesto intravede l'occasione per coprirsi di gloria e conquistare Martina quando quest'ultima sparisce nel nulla sgomentando l'intero paese. Con un improbabile segugio prestato da un amico albanese di un centro accoglienza, Ernesto cercherà infatti di fare la cosa giusta e ritrovare Martina. Ci riuscirà? E si tratterà davvero di un caso di rapimento come tutti sembrano pensare? La storia al centro di questo delicato romanzo di formazione di Stefano Tofani regala al lettore una realistica ricostruzione della vita di provincia dalla prospettiva di un ragazzino sfortunato che vorrebbe qualcosa di più dalla vita e ragiona a un livello più alto della fauna giovanile che lo circonda e spesso finisce per ferirlo (gratuitamente) a livello emotivo. Da provare, soprattutto per la verve linguistica, che a tratti in effetti stende il lettore.

Stefano Tofani, Sette abbracci e tieni il resto, Milano, Rizzoli, 2019; pp. 222

lunedì 14 dicembre 2020

UN ROMANZO DI BOXE & FORMAZIONE: KAPPA O.

L'eclettico autore toscano di Kappa O. si chiama Dimitri Galli Rohl, classe 1975, e nonostante aspirasse a diventare un cartoonist, un calciatore e un maestro di arti marziali, è invece diventato un regista e attore teatrale, oltre che un pedagogo. Un bel personaggio fin dall'autopresentazione, insomma... E Kappa O. racconta una bella storia, anzi due belle storie che s'intrecciano tra formazione, sport e il sogno di una vita diversa. Il protagonista del romanzo si chiama Mattia Marino e sembra aver davvero avuto dal destino la vita che tutti vorrebbero vivere: la sua famiglia è ricca, lui è bello, intelligente e molto popolare. Il problema è che forse la sua non è la vita che avrebbe voluto vivere, soprattutto il futuro che gli prospetta il padre, noto chirurgo figlio di eminente chirurgo: non gli interessa, come non gli interessa primeggiare né nel nuoto né nella pallanuoto, le discipline sportive in cui chiaramente eccelle e a cui lo hanno avviato i genitori. Insomma, Mattia è un ragazzo con problemi di lusso, per sua ammissione, e la soluzione che ha scelto per superare una delle dirette conseguenze, l'insonnia, è parecchio stravagante: a rischio di spoilerare qualche dettaglio di troppo, diciamo che lo ha portato a trovare un luogo abbastanza inusuale come materasso terapeutico, addirittura uno sfasciacarrozze. E il titolare del posto, quando lo ha sorpreso di notte nella sua proprietà, ha proposto a Mattia un accordo ancora più strano per continuare a riposare tra i rottami, creare un costante bisogno di pezzi di ricambio nei dintorni, diciamo... Sarà in siffatta situazione che il rampollo di casa Marino finirà per scontrarsi con Angelo Masso, ex pugile titolare di una scalcinata palestra di boxe non molto in regola con le normative sanitarie vigenti: ed è qui che Mattia si ritroverà davanti Alì, giovane magrebino con cui ha intrecciato un rapporto per niente cordiale nella piscina in costruzione a casa sua, il prossimo regalo di compleanno dei signori Marino. Da qui inizierà una storia di rivalità sportiva e umana che non potrà che concludersi sul ring, in una sfida che potrebbe decidere il futuro di entrambi. Insomma, una gran bella storia a base di sogni impossibili, destini incrociati, svolte esistenziali e pugilato, uno degli sport che storicamente ha regalato emozioni leggendarie e un buon numero di film indimenticabili, da Toro scatenato a Million dollar baby. Peraltro, pur trattandosi di un romanzo di formazione per ragazzi, Kappa O. miscela due storie in parallelo a gran ritmo, è scritto con uno stile a pronta presa - tra l'altro confezionato con un'impeccabile cornice epistolare - e tiene il lettore incollato alle vicende intrecciate dei due protagonisti fino all'ultima pagina. Imperdibile.

Dimitri Galli Rohl, Kappa O., Torino, Einaudi, 2019; pp. 207

domenica 22 novembre 2020

IL NIDO: QUANDO IL MISTERO NASCE DALL’ORDINARIO

Questo inquietante (ma avvincente) romanzo di formazione è stato scritto dallo scrittore canadese Kenneth Oppel, nativo dell’isola di Vancouver e residente a Toronto. La storia prende avvio con una situazione che ricorda vagamente quella al centro di un apprezzato bestseller per ragazzi come Skellig di David Almond: nella famiglia del dodicenne Steve è arrivato un nuovo fratellino, purtroppo nato con una catena incredibile di problemi fisici che potrebbero comprometterne addirittura la sopravvivenza, al punto che i genitori sono tremendamente preoccupati per lui. Tali drammatici frangenti accompagnano un’estate in cui nei dintorni della casa della sfortunata famiglia di Steve si registra uno strano ed innaturale aumento di vespe. Per l’appunto tra le numerose paure ancestrali che affliggono il giovane protagonista si contano pure le vespe, infatti una puntura gli innesca una reazione allergica che induce i genitori a portarlo in ospedale per un controllo. La sera successiva, una volta ammantato tra le coperte, oppresso come sempre dall’atavica paura del buio, il nostro Steve si addormenta e sogna uno strano essere, che il ragazzino ‘sente’ come femminile, un essere indecifrabile e luminoso che gli parla e gli rivela di essere lì per aiutare, insomma per guarire il piccolo, per riparare ciò che non va dentro di lui. Essendo il prescelto per il contatto, Steve fa quello che ciascuno farebbe al posto suo: accetta l’aiuto per salvare il fratellino… ma sarà davvero un aiuto disinteressato quello che le strane creature gli stanno offrendo? Noi lettori potremo scoprirlo in un crescendo di suspense fino al sorprendente finale. Il nido cattura l’attenzione fin dalle prime pagine con la sapiente capacità di Oppel di ricostruire l’anomalia nel normale, di evocare lo straordinario nell’ambito di una situazione quotidiana, peraltro drammatica. Una gran  bella storia, insomma, arricchita dagli ombrosi disegni dell’illustratore canadese Jon Klassen. Assolutamente da provare.

Kenneth Oppel, Il nido, Milano, Rizzoli, 2016; pp. 252

sabato 21 novembre 2020

SKELLIG, UN “ANGELO” CHE NON TI ASPETTI

Si tratta del tardivo romanzo d’esordio dello scrittore inglese David Almond, classe 1951, un libro pubblicato nel 1998 e divenuto a sorpresa un bestseller della narrativa per ragazzi, premiato con un nugolo di riconoscimenti internazionali. A conferma del grande successo riscosso da Skellig basti pensare che da questo romanzo è stato tratto un adattamento teatrale, un’opera lirica e un film per la TV interpretato da Tim Roth. La storia in sé è semplice e quotidiana, ma davvero molto suggestiva: ne è protagonista un ragazzino, Michael, che sta vivendo un momento decisamente problematico della sua giovane vita. La sua famiglia si è trasferita in una casa prima appartenente a un vecchio e necessita di una ristrutturazione totale, e di recente è arrivata una sorellina nata prematuramente, sospesa tra la vita e la morte, e dunque costretta a lunghe degenze ospedaliere. In tale contesto Michael si ritrova nel cadente garage della sua nuova casa e vi scopre, tra la polvere e gli insetti morti, una strana creatura rispondente al nome di Skellig: è scontroso, sembra una via di mezzo tra un uomo e un uccello, ha bisogno di aspirine per combattere l’artrite che lo opprime, chiede di continuo cibo cinese e birra scura, che lui definisce il nettare degli dei. La sua figura inquietante e misteriosa catturerà ben presto l’attenzione di Michael, ma resterà sempre evanescente, enigmatica, sfumata. L’indecifrabile natura di Skellig sarà confermata e puntualizzata come angelica anche da Mina, la figlia della vicina della porta accanto, una ragazzina molto particolare con cui Michael stringerà subito un singolare rapporto d’amicizia, anche se il ragazzo è spesso spiazzato dal fatto che Mina non va a scuola ma è seguita direttamente dalla madre, che le propone un’educazione poco scolastica e molto alternativa, dove spiccano le poesie di William Blake, inquietanti e misteriose, come da copione. Skellig cattura l'attenzione del lettore fin dalle prime pagine attraverso la prospettiva dal basso del piccolo protagonista, che in un momento davvero particolare e difficile della sua vita finisce per ritrovarsi in una situazione indecifrabile e misteriosa, di quelle che ti cambiano la vita, insomma... e noi lettori non potremo che restare con lui per vedere come va a finire. Una gran bella storia, insomma, stranissimo e al contempo intrigante. 

David Almond, Skellig, Milano, Salani, 2009; pp. 151


venerdì 20 novembre 2020

RIBELLI IN FUGA: GLI SCOUT AI TEMPI DEL VENTENNIO

Tommaso Percivale, l'autore di Ribelli in fuga, classe 1977, conosce realmente la materia al centro del suo libro, dato che vive in un luogo isolato in mezzo ai boschi ed è un appassionato di tecniche di sopravvivenza, un mix perfetto per scrivere una storia come questa. A volerlo descrivere si tratta di un gran bel romanzo per ragazzi: comincia nel 1926, a Pruneto, un luogo perso nei boschi degli Appennini, e racconta le vicende di un gruppo scout organizzato dal parroco del paese, don Averno. I protagonisti sono ovviamente gli adolescenti che compongono il gruppo, ognuno dei quali ha una divisa diversa da tutte le altre (a parte il caratteristico fazzoletto al collo): c'è il taciturno Gianni, e Ines, bella quanto fiera, e la piccola Etta, e quello nuovo, Andrea, e poi Ciccio, Filippo, Moreno. Sono ragazzi di paese, e si dividono tra le escursioni scoutistiche e la scuola, tra le commissioni per la famiglia e i campi estivi con gli amici: ad accomunarli c'è la passione per i boschi e per le montagne, che conoscono a meraviglia, e un comune codice di valori che tutti ritengono fondamentali, a cominciare dalla lealtà, dal coraggio e dalla disciplina. Purtroppo siamo nel ventennio fascista e a un certo punto le camicie nere arrivano anche a Pruneto, sconvolgendo il paese con la ferrea logica del regime di Mussolini: i nuovi arrivati tra l'altro usano parole molto simili a quelli dei giovani protagonisti di Ribelli in fuga, anche se alla base di tutto c'è la negazione della libertà. Non a caso le associazioni di scout vengono vietate per promuovere l'Opera Nazionale Balilla, in cui dovrebbero confluire tutti i ragazzi, ma alcuni dei nostri eroi non ci stanno: e così Gianni, Ines e Andrea decidono di fuggire nelle montagne e di conservare la loro libertà di scout a oltranza in un remoto rifugio che cercheranno di rendere abitabile con non pochi sforzi. Alla fine, neanche a dirlo, qualcuno andrà a cercarli per riportarli indietro, e non necessariamente con le buone... Una storia davvero avvincente, ricca di emozioni, narrata a gran ritmo e piena di colpi di scena, e all'ultima pagina per giunta si rivela anche ispirata alla vera vicenda di un piccolo gruppo scout lombardo, le Aquile Randagie, che durante il regime fascista si dettero la macchia e resistettero per oltre sedici anni senza farsi catturare, diventando durante la guerra un'organizzazione segreta capace di salvare oltre duemila persone tra ebrei, dissidenti, disertori e renitenti alla leva. Il libro di Percivale riesce a catturare lo spirito indomabile di questi giovani ribelli, fotografando la loro esperienza di scoutismo estremo nel mezzo della natura incontaminata e i loro sforzi per superare le difficoltà quotidiane. Ribelli in fuga è felicemente sospeso a metà tra la storia di formazione e un classico romanzo d'avventura, in felice alternanza tra la dimensione privata di un gruppo di coraggiosi adolescenti e le molteplici avversità che questi ultimi si troveranno ad affrontare per conservare la loro libertà, le loro speranze, i loro valori in tempi davvero bui per le coscienze umane. Assolutamente da provare. 

Tommaso Percivale, Ribelli in fuga, Torino, Einaudi, 2013; pp. 246


mercoledì 18 novembre 2020

LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE

Si tratta del libro che ha reso noto a livello internazionale lo scrittore britannico Mark Haddon, classe 1963, poeta, romanziere e già autore di Boom!, un esempio di narrativa per ragazzi tornato in auge proprio dopo il successo de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Già a partire dal titolo pare evidente che debba trattarsi di un giallo, e in effetti è così, anche se in effetti di un giallo piuttosto particolare, in primo luogo perché la storia è narrata dalla prospettiva del quindicenne protagonista, Christopher Boone, che ha la sindrome di Asperger, una forma di autismo che prende nome dallo psichiatra austriaco che la individuò nel gruppo dei ragazzi che aveva in cura e che consiste, sostanzialmente, nell'incapacità di comprendere gli stati d'animo delle persone dalle espressioni delle loro facce, oltre all'impossibilità di interpretare il linguaggio metaforico ma di comprenderne solo il significato letterale. Christopher inoltre non sopporta di essere toccato e non sorride mai, ma a compensazione di queste lacune "relazionali", è un piccolo genio della matematica ed è dotato di un incredibile spirito di osservazione. Detto questo, che già rende il romanzo di Haddon davvero unico, la seconda particolarità del libro è che Christopher, che ha obiettivamente qualche difficoltà a rapportarsi col prossimo, si troverà davanti un mistero da risolvere proprio a due passi da casa sua (un cane ucciso in modalità piuttosto raccapriccianti) e, essendo un appassionato lettore dei casi di Sherlock Holmes, deciderà di risolverlo in prima persona. Ovviamente l'indagine lo costringerà ad andare oltre i propri limiti per trovare una soluzione allo strano caso del cane Wellington, ma progressivamente l'inchiesta finirà per allargarsi fino a comprendere anche un mistero che riguarda proprio Christopher ed ha a che fare con la sua situazione familiare. La storia cattura fin dalla prima pagina per l'intrigante prospettiva con cui Haddon ha scelto di raccontarcela: dai pensieri dell'irresistibile protagonista si sviluppa infatti un godibile romanzo di formazione che consentirà a lettori giovani e maturi di sviscerare con delicatezza una tematica difficile come il disagio psichico. Un gran bel libro, insomma, all'occasione intenso e commovente, ma anche divertente e istruttivo. Da non perdere. 

Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Torino, Einaudi, 2003; pp. 247 


LANSDALE E L'ADOLESCENZA ON THE ROAD

Non capita spesso di leggere un romanzo con la forza evocativa di Cielo di sabbia, ma uno degli ingredienti dell'irresistibile stile di Joe R. Lansdale è riposto nell'assoluta padronanza della materia, un retaggio familiare della Grande Depressione, per certi versi, come traspare dalla dedica incipitaria del romanzo. E poi ovviamente Cielo di sabbia è costruito con sapienza, miscelando ad arte le tematiche care allo scrittore americano: l'adolescenza, quell'umanità capace al tempo stesso di gesti di solidarietà e di bieco sfruttamento del prossimo, l'America profonda tra mito e povertà. La storia prende avvio nell'Oklahoma degli anni Trenta in una fattoria persa nel bel mezzo del nulla, un nulla in cui quel poco di terreno agricolo sufficiente a sopravvivere è stato gradualmente cancellato da una tempesta di sabbia che si è mangiata tutta la vegetazione che non hanno divorato le cavallette, infiltrandosi nelle fessure di porte e finestre e facendo ammalare anche la mamma di Jack, l'adolescente protagonista del romanzo, che poco dopo aver chiuso gli occhi alla madre scopre anche che il padre non ce l'ha fatta a reggere al peso del lutto muliebre, lasciando il suo unico figlio ineluttabilmente orfano. Le cose cambiano quando alla fattoria di Jack arrivano fortunosamente la coetanea Jane e il piccolo Tony, anch'essi rimasti orfani e partiti dalla loro casa in cerca di una promessa di futuro, e in primo luogo per scappare da tutta quella sabbia. Dopo aver rubato la Ford V 9 di un anziano e burbero vicino (già defunto, peraltro), i tre partono alla volta del Texas orientale, dove in teoria potrebbero trovare l'aiuto dei parenti dei due fratelli. Non è che l'inizio di una vera e propria odissea lungo le polverose strade degli States della Grande Depressione, strade comunque affollate di delinquenti alla John Dillinger, gentili vedove abbienti, feroci tutori della legge pronti a sfruttare il prossimo per sbarcare il lunario, hoboes nullatenenti che saltano sui treni in corsa per scroccare un passaggio gratis ed arrivare un po' più in là, circensi capitati nel giro sbagliato, umide paludi popolate di serpenti e alligatori, città afflitte dalla piaga della disoccupazione, e magari anche criminali di buon cuore come Pretty Boy Floyd, entrati nella leggenda per l'esagerazione di cronisti in cerca di storie sensazionali. Nel terzetto di adolescenti on the road, in cerca di avventure e disposti a seguire una missione per il puro gusto della ricerca, spiccano il pragmatico Jack, la voce narrante della storia, e la dinamica Jane, impagabile bugiarda che sogna un avvenire da giornalista, con un latente apostrofo rosa che imcombe sulle loro peregrinazioni. Un luminoso esempio di narrativa per ragazzi felicemente sospesa tra Steinbeck e Mark Twain, che parte dall'abisso di un ragazzo senza speranza e si conclude lasciandoci intravedere da una fessura del presente una moderata speranza di futuro, il tutto dopo aver attraversato un'irresistibile avventura di formazione tra coetanei. Quanto basta per immergersi nella lettura carichi di attese, insomma... 

Joe R. Lanslade, Cielo di sabbia, Torino, Einaudi, 2011; pp. 235


venerdì 13 novembre 2020

BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE


Lui è Alessandro D’avenia, classe 1978, docente di lettere al liceo e sceneggiatore: Bianca come il latte, rossa come il sangue è il suo romanzo d’esordio, un libro che ha le carte in regola per diventare un cult generazionale per adolescenti e dintorni. Si tratta di un romanzo raccontato rigorosamente in prima persona da un sedicenne dei giorni nostri, Leonardo (Leo per gli amici), che sopporta le cinque ore quotidiane di noia scolastica, si atteggia a pirata contemporaneo, gioca a calcetto col fedele amico Niko, si stordisce con infinite partite alla Playstation, va ovunque accompagnato dall’inseparabile iPod, tenta di risolvere i suoi problemi (e di risollevare i suoi voti) con l’aiuto della fidata compagna di classe Silvia. Insomma, Leo è un adolescente come tanti, e in particolare (come molti compagni di sventura) usa focalizzare la sua insofferenza esistenziale sulla classe docente, una specie a suo dire in via d’estinzione (sperando che il triste evento si verifichi prima possibile). È una vita all'insegna di una tediosa routine, quella di Leo, almeno finché un nuovo docente di lettere varca la porta della sua classe offrendogli un nuovo bersaglio umano, perché si tratta di un supplente, dunque un insegnante ancora più sfigato di quelli regolamentari, dato che per lavorare deve pure augurarsi che qualcuno si ammali per lasciargli il posto. Invece questo giovane insegnante è diverso, si entusiasma parlando della sua materia, ed esorta continuamente i ragazzi a realizzare il loro sogno e vivere con intensità ogni giorno. Leo un sogno in effetti ce l'ha ed è un sogno che ha pure un nome: Beatrice, una ragazza di cui è perdutamente innamorato e che non sa niente dei suoi sentimenti. Leo ha anche una paura: il bianco, che coincide con la mancanza, con ogni suo aspetto della sua vita che ha a che fare con l'assenza e con la perdita, insomma un vuoto che il giovane protagonista cerca sempre di riempire con qualcosa, come una continua colonna sonora, tanto per dirne una. Il problema è che poi Leo scopre che Beatrice non sta bene, ed è malata di una brutta malattia che ha anche a che fare col bianco. Leo dovrà quindi cercare di farsi forza e di aiutarla in qualche modo, e ad offrirgli una spalla su cui piangere sarà la sua inseparabile amica Silvia, sempre gentile ed affidabile, ma anche lei afflitta come lui da pene d'amor non corrisposto. Un bel romanzo di formazione, convincente e ed emotivamente ricco di tensione, concepito a tavolino per intrigare gli adolescenti carini-problematici-e-complessi del giorno d'oggi. La componente più intrigante del romanzo è senza dubbio lo sguardo di adolescente ribelle ma di buon cuore del protagonista, mentre alla lunga la figura del docente ‘sognatore’ si rivela a tratti un po’ ripetitiva. Interessante e un po' ruffiano lo sforzo di replicare lo slang giovanile dei giorni nostri, una carta vincente da Salinger in poi. Si può provare. 

Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue, Milano, Mondadori, 2010; pp. 254


sabato 7 novembre 2020

LA STANZA DELLE MERAVIGLIE

Iniziamo puntualizzando che si tratta di un'opera del talentuoso Brian Selznick, l’autore di uno dei libri più belli dell’ultimo decennio, un romanzo grafico intitolato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, da cui il grande Martin Scorsese ha tratto una notevole versione cinematografica in 3D che ha entusiasmato gli spettatori di tutto il mondo e di ogni età, precisazione d’obbligo dato che la fonte letteraria in teoria potrebbe essere considerata un cosiddetto romanzo per ragazzi. La ricchezza narrativa delle avventure di Hugo Cabret traeva linfa vitale dal cinema dei tempi andati nel cruciale passaggio dal muto al sonoro, un mondo che il giovane autore del New Jersey, classe 1966, respira dalla culla, trattandosi del nipote di David O. Selznick, il leggendario produttore di Via col vento e di tanti altri capolavori della Hollywood dei tempi andati. Anche con La stanza delle meraviglie il gioco si ripete e il lettore potrà lasciarsi rapire dalla magica alchimia tra parole e splendide immagini a carboncino attraverso le quali si alternano le storie del libro. Già, perché a differenza del romanzo precedente, che nascondeva una storia nella storia, stavolta le storie sono due e scorrono parallele, affidate a protagonisti divisi da un arco temporale di ben cinquant’anni: una raccontata soltanto tramite disegni in bianco e nero, l’altra attraverso le parole, storie ovviamente destinate ad incrociarsi, prima o poi, chissà come. Ne sono protagonisti due ragazzi in cerca del proprio passato e di un posto nel mondo, un equilibrio difficile da trovare soprattutto perché entrambi sono in qualche modo sconnessi rispetto agli altri. Ben è un ragazzo che ama collezionare oggetti strani: ha perso la madre di recente e vive con gli zii a Lake Gunflint, Minnesota, nel 1977. Ben è sordo da un orecchio e non sa niente del padre, che non ha mai incontrato, ma trova una tessera del puzzle del suo ignoto passato nella casa materna in cui non è più entrato dalla tragedia: dentro un libriccino intitolato... La stanza delle meraviglie c’è infatti il segnalibro di una libreria a firma di un tale Danny che potrebbe essere proprio il padre sconosciuto, ma incombe una ‘fulminea’ interruzione che renderà assai più ardua la ricerca di Ben. Rose invece è una ragazzina sordomuta che vive sola col padre in una casa di Hoboken, New Jersey, nel 1927. Rose colleziona in modo quasi maniacale foto e articoli di giornale dedicati a Lilian Mayhew, una celebre attrice del cinema muto che, a quanto pare, vorrebbe assolutamente raggiungere. Entrambi si mettono in fuga in direzione di New York a mezzo secolo di distanza per ritrovare le proprie radici e magari un posto nel mondo. Il fil rouge che lega Ben a Rose chiaramente più avanti arriverà a sorprenderci, anche se in modalità meno fantastiche (ma umanamente struggenti) di quanto sarebbe lecito attendersi. Un lirico happy ending incombe infatti sulla doppia vicenda ma prima Selznick ci farà scoprire il senso dell’arte, il concetto di museo e il segreto dell’amicizia, magari nei meandri del Museo di Storia Naturale della Grande Mela, o forse in una sorprendente meraviglia newyorchese costruita con amore per una vita intera al Queens Museum of Art, perché no? Il dono più stupefacente del romanzo è però l’insostenibile leggerezza con cui Selznick riesce a tratteggiare con una sensibilità davvero unica le storie di due personaggi che hanno difficoltà a padroneggiare le parole e districarsi tra i suoni che caratterizzano il mondo cosiddetto “normale”, riuscendo a parlare con rara delicatezza di un tema difficile come la disabilità. Insomma, La stanza delle meraviglie cattura dalla prima pagina e non ti lascia più, semmai ha il solo difetto di durare troppo poco. Imperdibile. 

Brian Selznick, La stanza delle meraviglie, Milano, Mondadori, 2012; pp. 656 

 

mercoledì 28 ottobre 2020

CIELO D'OTTOBRE: UN'AUTOBIOGRAFIA... DI FORMAZIONE

Homer H. Hickam è un ingegnere della Nasa in pensione, già responsabile dei motori dello Space Shuttle e addestratore degli astronauti incaricati di svolgere missioni su questa navicella. Nel suo libro autobiografico Cielo d'ottobre l'autore ci racconta la storia da lui vissuta in gioventù, a fine anni Cinquanta, con i tre amici Quentin Wilson, Sharman O'Deel e Roy Lee Cook, quattro ragazzi di Coalwood, una grigia cittadina mineraria del West Virginia. Il minatore è il destino professionale di tutta la gioventù di Coalwood e sembra il più probabile anche per i quattro amici, che non hanno il talento necessario sul fronte del football per attrarre l'attenzione di qualche università disponibile ad elargire una borsa di studio per meriti sportivi a qualche studente particolarmente dotato. L'evento che colpisce indelebilmente l'attenzione di Homer e dei suoi amici accade il 4 ottobre 1957, il giorno dell'entrata in orbita del primo satellite della storia, lo Sputnik sovietico, che induce i nostri eroi a diventare quelli che la stampa locale definirà i cosiddetti Rocket Boys (che tra parentesi sarebbe il sottotitolo originale del libro): nonostante la manifesta contrarietà del padre, infatti Homer e i suoi amici fanno esperimenti (a volte anche pericolosi) con i razzi per emulare il nume tutelare del protagonista, lo scienziato Wernher von Braun. Riusciranno i nostri eroi ad imparare abbastanza sui misteri della missilistica per creare prototipi funzionanti e magari mettersi in evidenza in un'importante mostra scientifica per le scuole superiori? Forse sì, magari tra mille vicissitudini esistenziali che costringeranno Homer in particolare a sperimentare in prima persona la vita da minatore che il padre (l'energico direttore della miniera di Coalwood) vede così adatta a lui. Insomma, Cielo d'ottobre è un libro autobiografico che ha il passo del romanzo di formazione: pagina dopo pagina scopriremo i sogni, le speranze e i dolori dell'autore Homer H. Hickam e non potremo fare a meno di tifare per lui. Tra parentesi, è anche un libro davvero istruttivo, perché in fondo è basato semplicemente sul sogno di studiare all'università... e ovviamente di conquistare le stelle, perché i razzi in prospettiva futura è a questo che dovrebbero servire, no? Assolutamente consigliato.

Homer H. Hickam Jr., Cielo d'ottobre, Milano, Rizzoli, 1999; pp. 406


lunedì 19 ottobre 2020

IO NON HO PAURA, UN CLASSICO PER L'ADOLESCENZA

Romano, classe 1966, Niccolò Ammaniti è stato uno dei migliori esponenti della cosiddetta gioventù cannibale che qualche anno fa ha tentato di dare una sana scossa tellurica alla narrativa italiana. Già autore dei romanzi Branchie (1994) e Ti prendo e ti porto via (1999), e della raccolta Fango (1996), Ammaniti con il suo terzo romanzo Io non ho paura ha forse trovato la sua opera più riuscita ed ambiziosa. La storia presenta contenuti risvolti pulp, peraltro costanti nel resto della produzione dello scrittore romano: fin dalla prima pagina è il punto di vista di Ammaniti però ad essere più maturo e consapevole rispetto al passato, nonostante la voce narrante sia quella di un bambino di nove anni, Michele Amitrano. Io non ho paura è ambientato in un'indefinita località della campagna meridionale: il paese si chiama Acqua Traverse, una frazione di Lucignano comprendente quattro case allineate intorno ad un'unica strada, un minuscolo centro abitato disperso tra sterminati campi di grano, un luogo immaginario ma incredibilmente realistico. Nella calma piatta e sfaccendata dei giorni uguali a se stessi della torrida estate del 1978 Michele, la sorellina immancabilmente portata a traino ed il suo gruppo di amichetti, tra un gioco e l'altro, esplorano i dintorni sulle loro biciclette, arrivano in un casolare abbandonato e pericolante, e fanno la conta per decidere chi vi entrerà: toccherà a Michele, che durante la sua 'intrusione' tra le rovine scoprirà qualcosa (o qualcuno?) fuori posto, che non dovrebbe esserci ma di fatto si trova proprio lì. La scoperta, incomprensibile e traumatica al tempo stesso, cambierà per sempre la sua giovane vita, modificando in particolare la sua percezione del mondo adulto circostante, compresa la sua stessa famiglia. Per non rovinare il gusto della sorpresa, ci limiteremo a svelare soltanto che si tratta di un segreto innescato da un micidiale cocktail di variegate componenti ottative - un indiscriminato desiderio di rivalsa sociale, il sogno di una vita diversa al Nord, la necessità fisiologica di fuggire da un Sud povero e privo di prospettive -: aspirazioni comprensibili per un gruppo di adulti disperati e pronti (quasi) a tutto per cambiare l'iter delle proprie esistenze, ma ingiustificabili per un bambino come Michele, che si ritroverà con il proprio immaginario infantile ridotto in frantumi dalla dura realtà. Io non ho paura è un romanzo di grande impatto emotivo e dall'incredibile felicità di descrizione ambientale: in un quadro assolutamente "normale" il piccolo protagonista percepisce, per caso, un'anomalia destinata a causare inquietanti sviluppi nella sua vita. La soluzione narrativa escogitata da Ammaniti per chiudere la storia è in fondo, come accadeva anche ne L'ultimo capodanno, un'esplosione, non generalizzata ma individuale, svolta in modalità assai cinematografiche nel sorprendente finale. Assolutamente da provare. 

Niccolò Ammaniti, Io non ho paura, Einaudi, Torino, 2001; pp. 219


mercoledì 14 ottobre 2020

I TURBAMENTI DEL “VECCHIO” HOLDEN CAULFIELD

Se esistesse l’equivalente letterario dell’espressione cult movie, probabilmente il cult book di intere generazioni di giovani dagli anni Cinquanta ad oggi sarebbe proprio il capolavoro di J.D. Salinger (1919-2010), che dopo essere diventato una celebrità letteraria col romanzo d’esordio, scelse di eclissarsi nei boschi del New Hampshire, pubblicando col contagocce, e rifuggendo onori e interviste. Il titolo originale del romanzo non è Il giovane Holden ma The catcher in the rye, un gioco di parole intraducibile in italiano che il giovane protagonista Holden Caulfield estrapola (equivocandole) da alcuni versi di una canzone scozzese del poeta scozzese Robert Burns: mal ricordandone il testo, Holden le associa all’immagine di una frotta di bambini che giocano in un campo di segale sull’orlo d’un dirupo e, quando uno di essi vi sta cadendo, Holden stesso lo acchiappa al volo, come una sorta di “catcher in the rye” appunto, espressione che equivale più o meno a “l’acchiappatore nella segale”. Ma negli Stati Uniti inevitabilmente il termine catcher richiama anche il giocatore di baseball (il “prenditore”) che col guantone sta dietro al battitore in attesa della palla del lanciatore; rye invece indica un tipo di whisky ottenuto dalla fermentazione di segale o da una mescolanza di segale e malto: in questo caso il titolo equivarrebbe più o meno a “Il prenditore nel whisky di segale”. Per queste oggettive difficoltà di traduzione Calvino propose all’Einaudi Il giovane Holden come titolo dell’edizione italiana, titolo calzante trattandosi di un romanzo di formazione. La storia ce la racconta lo stesso protagonista, il sedicenne Holden Caulfield, figlio di benestanti altoborghesi di New York. Il ragazzo è un po’ la pecora nera di famiglia in confronto ai fratelli: il maggiore, D.B., è infatti uno scrittore che si sta affermando a Hollywood come sceneggiatore, la sua sorellina Phoebe è la prima della classe senza sforzo e il suo compianto fratello minore Allie era un ragazzo brillante e di buon carattere. Holden, invece, è stato cacciato da vari istituti scolastici già prima di iscriversi a Pencey, dove ha registrato il suo ennesimo fallimento per scarso rendimento, infatti l'hanno appena espulso. La scarna trama del romanzo è centrata soprattutto sul ritorno a New York del ragazzo, che conta di passare qualche giorno da solo in attesa che la notizia della sua espulsione giunga ai genitori. In questo lasso di tempo Holden spera di rivedere facce amiche e fare incontri gratificanti, ma le cose andranno di male in peggio. Mentre si riaffaccia con insistenza il ricordo del fratellino defunto, Holden torna di nascosto nella casa dei genitori per rivedere Phoebe: nasce l’idea di una fuga e di una vita diversa con la sorellina, ma il progetto sfuma e, poco dopo, Holden stesso ci informa che questo è tutto quel che ha intenzione di raccontarci. Il giovane Holden è diventato un libro di culto per la sua capacità di descrivere con efficacia da una parte i turbamenti dell’adolescenza, dall’altra il disagio giovanile dei ragazzi del dopoguerra, incapaci di adeguarsi al conformismo ed all’ipocrisia dilagante della società contemporanea. Holden è infatti uno straordinario personaggio capace di andare sempre oltre l’apparenza delle cose, di cui spesso riesce a cogliere aspetti alternativi andando sempre in profondità e spesso quasi per caso, aprendo all’improvviso delle digressioni riguardo ciò che gli passa per la testa, come quando, appena arrivato a New York, sale in un taxi e chiede all'autista se abbia idea di dove diavolo vadano a finire le anatre del laghetto di Central Park quando l'acqua ghiaccia per il freddo invernale. La cifra riposta del romanzo sta proprio in queste parentesi, che costituiscono il sale della storia e rivelano il mondo interiore del protagonista. Il romanzo è inoltre molto originale sul versante dello stile, che riesce a catturare le sfumature del linguaggio giovanile (in particolare il cosiddetto college slang) ed assai innovativo rispetto agli anni in cui fu scritto. Una lettura irrinunciabile. 

Jerome D. Salinger, Il giovane Holden, Torino, Einaudi, 2008; pp. 248


martedì 13 ottobre 2020

QUALCUNO CON CUI CORRERE, UN CULT DELL'ADOLESCENZA


L'israeliano David Grossman, classe 1954, è uno degli scrittori contemporanei più accreditati: divenuto un vero e proprio caso letterario a partire dal 1988 con Vedi alla voce: amore, da allora ha scritto libri di successo come Il libro della grammatica interiore e Che tu sia per me il coltello, è inoltre attivamente impegnato per una soluzione pacifica della questione palestinese. Qualcuno con cui correre è probabilmente il romanzo con cui Grossman ha realizzato il suo libro perfetto sull'adolescenza e dintorni. Ne è protagonista Assaf, un sedicenne timido e molto impacciato: è agosto e, grazie all'aiuto di un amico del padre, il ragazzo ha trovato un impiego provvisorio in municipio, dove passa le sue giornate noiosissime soprattutto pensando a Safi, la giovane di cui è innamorato ma con cui non riesce a decidersi a parlare davvero. Un incarico inusuale arriva però a spezzare la routine ripetitiva delle giornate di Assaf, che si ritrova a dover seguire un cane (peraltro piuttosto nervoso) catturato dall'accalappiacani affinché l'animale possa ritrovare il suo padrone e il giovane protagonista possa appioppargli la giusta multa per la sua negligenza. Sulle tracce dell'agitatissimo quadrupede, il nostro Assaf si ritroverà a scoprire strade di Gerusalemme che finora gli erano ignote, imbattendosi in esempi di umanità varia e talvolta inquietante. Inseguendo il cane, il nostro eroe arriverà infine a conoscerne la giovane proprietaria, ovvero la solitaria e grintosa Tamar, che ha lasciato la propria casa con l'obiettivo di salvare il fratello drogato. Intrigato dal fascino ribelle della ragazza, Assaf stupirà perfino se stesso decidendo di continuare a "correre" insieme a lei, indipendentemente dall'incarico che gli era stato affidato all'inizio della storia. Un grandissimo romanzo sull'enigma indecifrabile dell'adolescenza, capace di sviscerare - per mezzo di uno stile intrigante e capace di catturare subito l'interesse di lettori giovani e meno giovani - i meandri non espressi che accompagnano i processi di crescita, come pure le mille difficoltà (apparentemente insuperabili) che ancorano tutti i ragazzi e le mille meraviglie di cui al tempo stesso sono capaci. Assolutamente da non perdere. 

David Grossman, Qualcuno con cui correre, Milano, Mondadori, 2009; pp. 362 


IO E TE... L'AMMANITI CHE NON TI ASPETTI


Che Ammaniti fosse un sensibile cantore dell'adolescenza era noto dai tempi di romanzi come Io non ho paura e Come Dio comanda, ma con questo racconto lungo (o romanzo breve) di formazione aggiunge alla sua narrativa un nuovo capitolo in tal senso. Il protagonista di Io e te si chiama Lorenzo ed è un quattordicenne con evidenti problemi nei rapporti sociali, tanto da aver appreso l'arte della mimetizzazione esistenziale per tirare avanti con danni minimi. Ovviamente questa scelta comporta una vita di piccole bugie, soprattutto perché i genitori di Lorenzo sono molto preoccupati per il suo evidente solipsismo, tanto da indurre il ragazzo a raccontare storie fittizie per placare la loro ansia crescente. Purtroppo il giovane protagonista ha fatto il passo più lungo della gamba annunciando a sua madre che è stato invitato da un quartetto di amici per la pelle a Cortina per una settimana bianca insieme. Una vacanza da ragazzo 'normale', insomma, anche se purtroppo è soltanto un'invenzione e nessun compagno lo ha invitato. Impossibilitato ad uscire da questa situazione senza sbocchi, Lorenzo escogita un abile piano per depistare tutti: si nasconderà per una settimana in cantina, sopravvivendo con lo scatolame ed altri succedanei alimentari. Sembrerebbe un piano perfetto, se non fosse che pochi giorni dopo a sorpresa bussa alla porta della cantina Olivia, la problematica sorellastra di Lorenzo, nata nove anni prima di lui dal primo matrimonio del padre, col quale tra l'altro non ha mai intessuto un buon rapporto. La ragazza tra parentesi è chiaramente una tossica, anche se appare fortemente intenzionata a liberarsi del suo problema. Una gran bella storia, intrigante soprattutto per la scelta di raccontare la storia dalla prospettiva di un adolescente ancora alle prese con le sue molteplici idiosincrasie ed insicurezze. La situazione al centro di Io e te lo costringerà comunque il giovane protagonista a rivedere interamente la propria scala di valori iniziando ad aprirsi alla sorella (e forse alla vita). La confezione come un lungo ed ininterrotto flashback è efficace e serve a chiudere il discorso in modo emozionante. Assolutamente da provare. 

Niccolò Ammaniti, Io e te, Torino, Einaudi, 2010; pp. 121


OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...