venerdì 20 novembre 2020

L'INVENTORE DI SOGNI, UN CLASSICO PER RAGAZZI

Questo libro di Ian McEwan, già autore dei romanzi Bambini nel tempo e Lettera a Berlino, è una raccolta di otto avventure che vedono come protagonista Peter Fortune, un ragazzo di undici anni che ha come principale caratteristica l'inquietante capacità di sognare ad occhi aperti. In ognuna delle otto storie infatti Peter vive un’avventura che è incentrata su un sogno, anche se il sogno in questione prende talvolta forme diverse, dalla fantasia all’incubo fino alla riflessione immaginaria – e nei vari casi l’autore è sempre molto attento ad innescare il sogno senza colpo ferire, quasi come fosse una versione incredibile della realtà –. L’inventore di sogni è un perfetto esempio di narrativa per ragazzi che si propone di mostrarci il mondo dalla prospettiva di un adolescente che, come tutti i suoi coetanei, vive un momento di passaggio che lo proietterà in un futuro prossimo nel mondo degli adulti, talvolta ritratto come repellente, altre come incredibilmente attraente; non è un caso se la stessa citazione d’apertura è tratta dalle Metamorfosi ovidiane e suona più o meno così: «L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi». Ma veniamo alla storia, anzi alle storie: il protagonista impariamo a conoscerlo nel racconto d’apertura, dove scopriremo Peter Fortune e la sua particolare inclinazione per il sogno ad occhi aperti, un vizio che gli farà perdere la sorellina Kate nel tratto d’autobus da casa a scuola, costandogli una settimana di paghetta per evitare spiacevoli divulgazioni domestiche riguardo all’imbarazzante episodio, comunque significativo perché in esso si nasconde il talento di Peter per l’invenzione narrativa. Nel successivo racconto insieme a Peter assistiamo al topico momento di passaggio in cui il nostro piccolo eroe si guadagna una stanza da letto tutta per lui lasciando alla sorellina Kate quella finora condivisa da entrambi ed affollata da una sessantina di bambole: tra queste la più inquietante è la cosiddetta Cattiva, che pretenderà minacciosamente la nuova sistemazione di Peter per sé e per tutte le sue sorelle. Nel terzo racconto il buon Peter, come ogni gelida mattina d’inverno, si sveglia per andare a scuola e guarda con invidia William, il vecchio gatto domestico che invece se ne resta a casa a scaldarsi sul radiatore: scoprirà che la vita di un anziano felino è più avventurosa di quanto un ragazzo potrebbe aspettarsi… Esilarante anche lo spunto di partenza del quarto racconto, quando nel classico cassetto disordinato di cucina, dove si può trovare davvero di tutto, Peter scopre uno strano vasetto che contiene la miracolosa Pomata Svanilina, con cui cercherà di mettere ordine nella sua caotica famiglia (o, meglio, di far scomparire il disordine). Notevole anche la storia seguente, che narra un caso di ordinario bullismo: Barry Tamerlane è un ragazzo che ottiene sempre quello che vuole, soprattutto usando la forza e le minacce, tra le mura domestiche però sembra davvero un ragazzo normalissimo; Peter Fortune si accorgerà dell’incongruenza e lo rimetterà al suo posto, per poi stringervi amicizia subito dopo. E che dire della sesta storia, quando l’intera strada della famiglia Fortune è oppressa dalla minaccia di furto da parte del ladro che Peter ha denominato Sam Saponetta? Toccherà a lui, ovviamente, catturarlo e scoprirne la vera identità. Se tutto il libro è raccontato dalla prospettiva dal basso di un adolescente, nel penultimo racconto il protagonista, che non sopporta Kenneth, il bambino al quale i Fortune stanno dando ospitalità, si ritroverà a passare un’incredibile giornata da poppante, senza parole, con l'unica possibilità del pianto per richiamare l'attenzione dei grandi. Nell’ottavo ed ultimo racconto Peter invece avrà modo di vivere un giorno attraverso gli occhi di se stesso con dieci anni in più sulle spalle ed un’avvenente donzella da accompagnare in una romantica passeggiata nella natura. Una lettura deliziosa per adulti e per adolescenti, esilarante a tratti ma ricca di intelligenti spunti di riflessione per entrambe le categorie. A volte i voli fantastici di Peter Fortune potranno sconcertare i lettori, ma il consiglio è di lasciarsi intrigare dalla prima storia e perdersi ad occhi aperti nelle successive insieme allo stralunato ma irresistibile protagonista.

Ian McEwan, L’inventore di sogni, Torino, Einaudi, 1999; pp. 159

RIBELLI IN FUGA: GLI SCOUT AI TEMPI DEL VENTENNIO

Tommaso Percivale, l'autore di Ribelli in fuga, classe 1977, conosce realmente la materia al centro del suo libro, dato che vive in un luogo isolato in mezzo ai boschi ed è un appassionato di tecniche di sopravvivenza, un mix perfetto per scrivere una storia come questa. A volerlo descrivere si tratta di un gran bel romanzo per ragazzi: comincia nel 1926, a Pruneto, un luogo perso nei boschi degli Appennini, e racconta le vicende di un gruppo scout organizzato dal parroco del paese, don Averno. I protagonisti sono ovviamente gli adolescenti che compongono il gruppo, ognuno dei quali ha una divisa diversa da tutte le altre (a parte il caratteristico fazzoletto al collo): c'è il taciturno Gianni, e Ines, bella quanto fiera, e la piccola Etta, e quello nuovo, Andrea, e poi Ciccio, Filippo, Moreno. Sono ragazzi di paese, e si dividono tra le escursioni scoutistiche e la scuola, tra le commissioni per la famiglia e i campi estivi con gli amici: ad accomunarli c'è la passione per i boschi e per le montagne, che conoscono a meraviglia, e un comune codice di valori che tutti ritengono fondamentali, a cominciare dalla lealtà, dal coraggio e dalla disciplina. Purtroppo siamo nel ventennio fascista e a un certo punto le camicie nere arrivano anche a Pruneto, sconvolgendo il paese con la ferrea logica del regime di Mussolini: i nuovi arrivati tra l'altro usano parole molto simili a quelli dei giovani protagonisti di Ribelli in fuga, anche se alla base di tutto c'è la negazione della libertà. Non a caso le associazioni di scout vengono vietate per promuovere l'Opera Nazionale Balilla, in cui dovrebbero confluire tutti i ragazzi, ma alcuni dei nostri eroi non ci stanno: e così Gianni, Ines e Andrea decidono di fuggire nelle montagne e di conservare la loro libertà di scout a oltranza in un remoto rifugio che cercheranno di rendere abitabile con non pochi sforzi. Alla fine, neanche a dirlo, qualcuno andrà a cercarli per riportarli indietro, e non necessariamente con le buone... Una storia davvero avvincente, ricca di emozioni, narrata a gran ritmo e piena di colpi di scena, e all'ultima pagina per giunta si rivela anche ispirata alla vera vicenda di un piccolo gruppo scout lombardo, le Aquile Randagie, che durante il regime fascista si dettero la macchia e resistettero per oltre sedici anni senza farsi catturare, diventando durante la guerra un'organizzazione segreta capace di salvare oltre duemila persone tra ebrei, dissidenti, disertori e renitenti alla leva. Il libro di Percivale riesce a catturare lo spirito indomabile di questi giovani ribelli, fotografando la loro esperienza di scoutismo estremo nel mezzo della natura incontaminata e i loro sforzi per superare le difficoltà quotidiane. Ribelli in fuga è felicemente sospeso a metà tra la storia di formazione e un classico romanzo d'avventura, in felice alternanza tra la dimensione privata di un gruppo di coraggiosi adolescenti e le molteplici avversità che questi ultimi si troveranno ad affrontare per conservare la loro libertà, le loro speranze, i loro valori in tempi davvero bui per le coscienze umane. Assolutamente da provare. 

Tommaso Percivale, Ribelli in fuga, Torino, Einaudi, 2013; pp. 246


mercoledì 18 novembre 2020

LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE

Si tratta del libro che ha reso noto a livello internazionale lo scrittore britannico Mark Haddon, classe 1963, poeta, romanziere e già autore di Boom!, un esempio di narrativa per ragazzi tornato in auge proprio dopo il successo de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Già a partire dal titolo pare evidente che debba trattarsi di un giallo, e in effetti è così, anche se in effetti di un giallo piuttosto particolare, in primo luogo perché la storia è narrata dalla prospettiva del quindicenne protagonista, Christopher Boone, che ha la sindrome di Asperger, una forma di autismo che prende nome dallo psichiatra austriaco che la individuò nel gruppo dei ragazzi che aveva in cura e che consiste, sostanzialmente, nell'incapacità di comprendere gli stati d'animo delle persone dalle espressioni delle loro facce, oltre all'impossibilità di interpretare il linguaggio metaforico ma di comprenderne solo il significato letterale. Christopher inoltre non sopporta di essere toccato e non sorride mai, ma a compensazione di queste lacune "relazionali", è un piccolo genio della matematica ed è dotato di un incredibile spirito di osservazione. Detto questo, che già rende il romanzo di Haddon davvero unico, la seconda particolarità del libro è che Christopher, che ha obiettivamente qualche difficoltà a rapportarsi col prossimo, si troverà davanti un mistero da risolvere proprio a due passi da casa sua (un cane ucciso in modalità piuttosto raccapriccianti) e, essendo un appassionato lettore dei casi di Sherlock Holmes, deciderà di risolverlo in prima persona. Ovviamente l'indagine lo costringerà ad andare oltre i propri limiti per trovare una soluzione allo strano caso del cane Wellington, ma progressivamente l'inchiesta finirà per allargarsi fino a comprendere anche un mistero che riguarda proprio Christopher ed ha a che fare con la sua situazione familiare. La storia cattura fin dalla prima pagina per l'intrigante prospettiva con cui Haddon ha scelto di raccontarcela: dai pensieri dell'irresistibile protagonista si sviluppa infatti un godibile romanzo di formazione che consentirà a lettori giovani e maturi di sviscerare con delicatezza una tematica difficile come il disagio psichico. Un gran bel libro, insomma, all'occasione intenso e commovente, ma anche divertente e istruttivo. Da non perdere. 

Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Torino, Einaudi, 2003; pp. 247 


LANSDALE E L'ADOLESCENZA ON THE ROAD

Non capita spesso di leggere un romanzo con la forza evocativa di Cielo di sabbia, ma uno degli ingredienti dell'irresistibile stile di Joe R. Lansdale è riposto nell'assoluta padronanza della materia, un retaggio familiare della Grande Depressione, per certi versi, come traspare dalla dedica incipitaria del romanzo. E poi ovviamente Cielo di sabbia è costruito con sapienza, miscelando ad arte le tematiche care allo scrittore americano: l'adolescenza, quell'umanità capace al tempo stesso di gesti di solidarietà e di bieco sfruttamento del prossimo, l'America profonda tra mito e povertà. La storia prende avvio nell'Oklahoma degli anni Trenta in una fattoria persa nel bel mezzo del nulla, un nulla in cui quel poco di terreno agricolo sufficiente a sopravvivere è stato gradualmente cancellato da una tempesta di sabbia che si è mangiata tutta la vegetazione che non hanno divorato le cavallette, infiltrandosi nelle fessure di porte e finestre e facendo ammalare anche la mamma di Jack, l'adolescente protagonista del romanzo, che poco dopo aver chiuso gli occhi alla madre scopre anche che il padre non ce l'ha fatta a reggere al peso del lutto muliebre, lasciando il suo unico figlio ineluttabilmente orfano. Le cose cambiano quando alla fattoria di Jack arrivano fortunosamente la coetanea Jane e il piccolo Tony, anch'essi rimasti orfani e partiti dalla loro casa in cerca di una promessa di futuro, e in primo luogo per scappare da tutta quella sabbia. Dopo aver rubato la Ford V 9 di un anziano e burbero vicino (già defunto, peraltro), i tre partono alla volta del Texas orientale, dove in teoria potrebbero trovare l'aiuto dei parenti dei due fratelli. Non è che l'inizio di una vera e propria odissea lungo le polverose strade degli States della Grande Depressione, strade comunque affollate di delinquenti alla John Dillinger, gentili vedove abbienti, feroci tutori della legge pronti a sfruttare il prossimo per sbarcare il lunario, hoboes nullatenenti che saltano sui treni in corsa per scroccare un passaggio gratis ed arrivare un po' più in là, circensi capitati nel giro sbagliato, umide paludi popolate di serpenti e alligatori, città afflitte dalla piaga della disoccupazione, e magari anche criminali di buon cuore come Pretty Boy Floyd, entrati nella leggenda per l'esagerazione di cronisti in cerca di storie sensazionali. Nel terzetto di adolescenti on the road, in cerca di avventure e disposti a seguire una missione per il puro gusto della ricerca, spiccano il pragmatico Jack, la voce narrante della storia, e la dinamica Jane, impagabile bugiarda che sogna un avvenire da giornalista, con un latente apostrofo rosa che imcombe sulle loro peregrinazioni. Un luminoso esempio di narrativa per ragazzi felicemente sospesa tra Steinbeck e Mark Twain, che parte dall'abisso di un ragazzo senza speranza e si conclude lasciandoci intravedere da una fessura del presente una moderata speranza di futuro, il tutto dopo aver attraversato un'irresistibile avventura di formazione tra coetanei. Quanto basta per immergersi nella lettura carichi di attese, insomma... 

Joe R. Lanslade, Cielo di sabbia, Torino, Einaudi, 2011; pp. 235


venerdì 13 novembre 2020

BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE


Lui è Alessandro D’avenia, classe 1978, docente di lettere al liceo e sceneggiatore: Bianca come il latte, rossa come il sangue è il suo romanzo d’esordio, un libro che ha le carte in regola per diventare un cult generazionale per adolescenti e dintorni. Si tratta di un romanzo raccontato rigorosamente in prima persona da un sedicenne dei giorni nostri, Leonardo (Leo per gli amici), che sopporta le cinque ore quotidiane di noia scolastica, si atteggia a pirata contemporaneo, gioca a calcetto col fedele amico Niko, si stordisce con infinite partite alla Playstation, va ovunque accompagnato dall’inseparabile iPod, tenta di risolvere i suoi problemi (e di risollevare i suoi voti) con l’aiuto della fidata compagna di classe Silvia. Insomma, Leo è un adolescente come tanti, e in particolare (come molti compagni di sventura) usa focalizzare la sua insofferenza esistenziale sulla classe docente, una specie a suo dire in via d’estinzione (sperando che il triste evento si verifichi prima possibile). È una vita all'insegna di una tediosa routine, quella di Leo, almeno finché un nuovo docente di lettere varca la porta della sua classe offrendogli un nuovo bersaglio umano, perché si tratta di un supplente, dunque un insegnante ancora più sfigato di quelli regolamentari, dato che per lavorare deve pure augurarsi che qualcuno si ammali per lasciargli il posto. Invece questo giovane insegnante è diverso, si entusiasma parlando della sua materia, ed esorta continuamente i ragazzi a realizzare il loro sogno e vivere con intensità ogni giorno. Leo un sogno in effetti ce l'ha ed è un sogno che ha pure un nome: Beatrice, una ragazza di cui è perdutamente innamorato e che non sa niente dei suoi sentimenti. Leo ha anche una paura: il bianco, che coincide con la mancanza, con ogni suo aspetto della sua vita che ha a che fare con l'assenza e con la perdita, insomma un vuoto che il giovane protagonista cerca sempre di riempire con qualcosa, come una continua colonna sonora, tanto per dirne una. Il problema è che poi Leo scopre che Beatrice non sta bene, ed è malata di una brutta malattia che ha anche a che fare col bianco. Leo dovrà quindi cercare di farsi forza e di aiutarla in qualche modo, e ad offrirgli una spalla su cui piangere sarà la sua inseparabile amica Silvia, sempre gentile ed affidabile, ma anche lei afflitta come lui da pene d'amor non corrisposto. Un bel romanzo di formazione, convincente e ed emotivamente ricco di tensione, concepito a tavolino per intrigare gli adolescenti carini-problematici-e-complessi del giorno d'oggi. La componente più intrigante del romanzo è senza dubbio lo sguardo di adolescente ribelle ma di buon cuore del protagonista, mentre alla lunga la figura del docente ‘sognatore’ si rivela a tratti un po’ ripetitiva. Interessante e un po' ruffiano lo sforzo di replicare lo slang giovanile dei giorni nostri, una carta vincente da Salinger in poi. Si può provare. 

Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue, Milano, Mondadori, 2010; pp. 254


sabato 7 novembre 2020

LA STANZA DELLE MERAVIGLIE

Iniziamo puntualizzando che si tratta di un'opera del talentuoso Brian Selznick, l’autore di uno dei libri più belli dell’ultimo decennio, un romanzo grafico intitolato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, da cui il grande Martin Scorsese ha tratto una notevole versione cinematografica in 3D che ha entusiasmato gli spettatori di tutto il mondo e di ogni età, precisazione d’obbligo dato che la fonte letteraria in teoria potrebbe essere considerata un cosiddetto romanzo per ragazzi. La ricchezza narrativa delle avventure di Hugo Cabret traeva linfa vitale dal cinema dei tempi andati nel cruciale passaggio dal muto al sonoro, un mondo che il giovane autore del New Jersey, classe 1966, respira dalla culla, trattandosi del nipote di David O. Selznick, il leggendario produttore di Via col vento e di tanti altri capolavori della Hollywood dei tempi andati. Anche con La stanza delle meraviglie il gioco si ripete e il lettore potrà lasciarsi rapire dalla magica alchimia tra parole e splendide immagini a carboncino attraverso le quali si alternano le storie del libro. Già, perché a differenza del romanzo precedente, che nascondeva una storia nella storia, stavolta le storie sono due e scorrono parallele, affidate a protagonisti divisi da un arco temporale di ben cinquant’anni: una raccontata soltanto tramite disegni in bianco e nero, l’altra attraverso le parole, storie ovviamente destinate ad incrociarsi, prima o poi, chissà come. Ne sono protagonisti due ragazzi in cerca del proprio passato e di un posto nel mondo, un equilibrio difficile da trovare soprattutto perché entrambi sono in qualche modo sconnessi rispetto agli altri. Ben è un ragazzo che ama collezionare oggetti strani: ha perso la madre di recente e vive con gli zii a Lake Gunflint, Minnesota, nel 1977. Ben è sordo da un orecchio e non sa niente del padre, che non ha mai incontrato, ma trova una tessera del puzzle del suo ignoto passato nella casa materna in cui non è più entrato dalla tragedia: dentro un libriccino intitolato... La stanza delle meraviglie c’è infatti il segnalibro di una libreria a firma di un tale Danny che potrebbe essere proprio il padre sconosciuto, ma incombe una ‘fulminea’ interruzione che renderà assai più ardua la ricerca di Ben. Rose invece è una ragazzina sordomuta che vive sola col padre in una casa di Hoboken, New Jersey, nel 1927. Rose colleziona in modo quasi maniacale foto e articoli di giornale dedicati a Lilian Mayhew, una celebre attrice del cinema muto che, a quanto pare, vorrebbe assolutamente raggiungere. Entrambi si mettono in fuga in direzione di New York a mezzo secolo di distanza per ritrovare le proprie radici e magari un posto nel mondo. Il fil rouge che lega Ben a Rose chiaramente più avanti arriverà a sorprenderci, anche se in modalità meno fantastiche (ma umanamente struggenti) di quanto sarebbe lecito attendersi. Un lirico happy ending incombe infatti sulla doppia vicenda ma prima Selznick ci farà scoprire il senso dell’arte, il concetto di museo e il segreto dell’amicizia, magari nei meandri del Museo di Storia Naturale della Grande Mela, o forse in una sorprendente meraviglia newyorchese costruita con amore per una vita intera al Queens Museum of Art, perché no? Il dono più stupefacente del romanzo è però l’insostenibile leggerezza con cui Selznick riesce a tratteggiare con una sensibilità davvero unica le storie di due personaggi che hanno difficoltà a padroneggiare le parole e districarsi tra i suoni che caratterizzano il mondo cosiddetto “normale”, riuscendo a parlare con rara delicatezza di un tema difficile come la disabilità. Insomma, La stanza delle meraviglie cattura dalla prima pagina e non ti lascia più, semmai ha il solo difetto di durare troppo poco. Imperdibile. 

Brian Selznick, La stanza delle meraviglie, Milano, Mondadori, 2012; pp. 656 

 

mercoledì 4 novembre 2020

L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

Si tratta di un fortunato racconto di taglio allegorico dell'autore francese Jean Giono, edito nel 1953, tradotto in tutto il mondo e diventato l'omonimo film di Frédéric Back, premiato tra l'altro con l'Oscar come miglior cortometraggio d'animazione. La storia si apre nel 1910 mostrandoci il narratore da giovane che sta passeggiando per una desolata vallata, ai piedi delle Alpi provenzali: l'escursione diventa problematica per la difficoltà a trovare acqua, dato che nella zona c'è solo un piccolo villaggio abbandonato e diroccato, e con una fontana ormai secca. Scrutando il panorama, però, il protagonista avvista la sagoma lontana di un pastore circondato dal suo gregge di pecore: così raggiunge l'uomo, che gli offre l'acqua della sua borraccia e gli offre ospitalità per la notte. Nella dignitosa casa del suo ospite di poche parole, il narratore ne scopre la storia: si chiama Elzéard Bouffier, è vedovo, ha cinquantacinque anni e ogni giorno pianta cento ghiande per migliorare il luogo dove vive facendovi crescere una foresta. Dopo aver perso la moglie, si è ritirato in questo luogo desolato e negli ultimi tre anni ha piantato centomila ghiande (e si aspetta che ne crescano almeno diecimila querce). Il narratore riparte e torna in quei luoghi dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale: il panorama è cambiato, dato che adesso c'è un'enorme foresta, non solo di querce ma anche di faggi e betulle, e l'acqua ha ricominciato a scorrere nei ruscelli secchi. L'ospite silenzioso di dieci anni prima è diventato apicoltore ma continua a piantare alberi con la stessa determinazione di prima. La foresta viene messa sotto protezione dallo stato e i dintorni cominciano a essere ripopolati da coppie giovani in cerca di fortuna. E l'uomo che aveva la missione di piantare gli alberi in modo generoso e disinteressato? Ne scopriremo il destino alla fine, ovviamente... Gran bella storia, talmente bella che Jean Giono, che ne andava fiero nonostante l'immensa fortuna del racconto in tutto il mondo non gli avesse fatto guadagnare denaro (alcune edizioni sono state perfino distribuite gratuitamente), destò scalpore rivelando che questa straordinaria figura di pastore ecologico era un personaggio assolutamente inventato. La prospettiva aneddotica cattura fin dalle prime pagine con la forza del realismo della vicenda e del significato simbolico di un gesto d'amore ripetuto nel tempo per cambiare un territorio che l'incuria umana ha reso arido e inospitale. Difficile pensare a una storia che abbia una valenza educativa maggiore di questo splendido, essenziale racconto.

Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, Milano, Salani, 2011; pp. 51


OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...