sabato 11 ottobre 2025

NELL’ULTIMO PAULSEN SOFFIA IL VENTO DEL NORD

Cominciamo col dire che si tratta dell’ultimo romanzo del grande Gary Paulsen, uno che è stato nella sua lunga ed avventurosa vita tra gli indiscussi maestri della narrativa per ragazzi contemporanea, con qualcosa come duecento libri scritti in carriera (spesso vincitori di prestigiosi premi): già questo dettaglio basterebbe a consigliarne la lettura, ma fin dalle primi pagine salta all’occhio che non si tratterebbe di un doveroso tributo a un romanziere dallo stile a pronta presa… Vento del Nord è al contrario l’ennesima meraviglia di uno scrittore che ha sempre dialogato a tu per tu con l’avventura con la A maiuscola. E stavolta è un’avventura di quelle veramente inquietanti ed estreme: siamo in un passato imprecisato del Nord del mondo, in un non meglio specificato villaggio di pescatori, e dal mare arriva una contagiosa malattia, in un giorno particolarmente sventurato per quella disgraziata comunità, che comincia implacabilmente a morire dalla comparsa dei primi sintomi. Alla fine per salvarsi se ne va un ragazzino, Leif, un umile topo di nave, senza famiglia, un diseredato, trattato male da tutti, su una canoa che condivide col fratellino Carl. A un certo punto, fuggendo via senza sapere dove, seguendo semplicemente il vento, Leif perde anche lui, resta disperatamente solo e col peso crescente sulle spalle di avere le ore contate egli stesso. Invece sopravvive e continua a dirigersi a Nord, sempre in solitudine, eccettuando gli incontri (talvolta potenzialmente letali) con animali dalla natura (volontariamente o non) predatrice, come orsi, balene, orche e rapaci. Talvolta lo sfortunatissimo protagonista cerca anche di costruire qualcosa che poi puntualmente finisce per perdere per le cause più diverse, trovandosi in una situazione addirittura peggiore rispetto a quella, già disastrosa, di partenza, ma continua imperterrito a cercare di sopravvivere e, nel farlo, un giorno dopo l’altro matura e alla fine del viaggio forse riesce anche nell’impresa più eccezionale per un ragazzo giovane e inesperto come lui: trovare se stesso. E noi lettori siamo sempre lì, nascosti dall’altra parte della pagina, a condividere quello che lui sta vivendo, e forse a crescere un po’ insieme a lui. Un bellissimo romanzo di formazione con un soggetto semplice quanto originale. E la tristezza aumenta quando si arriva all’ultima pagina di Vento del Nord con l’animo scosso da questa tardiva gemma letteraria. Per la triste consapevolezza che purtroppo stavolta si tratta proprio dell’ultima, maledizione…

Gary Paulsen, Vento del Nord, Milano, Piemme, 2022; pp. 188

IN ARTE EULARIA, UN ROMANZO PER RAGAZZI A TEMPO DI COMMEDIA DELL'ARTE

S'intitola In arte Eularia ed è un romanzo per ragazzi incentrato su una delle attrici più affascinanti della Commedia dell'Arte, Orsola Cortesi, vissuta a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo e nota al pubblico col nome d'arte di Eularia: l'autrice, Caterina Nencetti, è una giovane insegnante di Lettere di una scuola secondaria di primo grado della provincia di Firenze e per il suo romanzo d'esordio ha attinto a piene mani dai suoi studi come ricercatrice in Storia del teatro e dello spettacolo, oltre che alla sua esperienza in laboratori teatrali rivolti a giovani e adulti. La storia prende avvio in un fresco pomeriggio di primavera del 1718, nel convento di Montargis, e ci fa conoscere Eularia, l'anziana madre di una delle suore del posto, che si scopre all'improvviso incapace di capire il francese in seguito ai postumi di una brutta caduta. Poi, col primo capitolo, saltiamo a piè pari ai giorni nostri, in quel di Cento di Budrio, nelle campagne bolognesi, in un giorno qualunque di dicembre, quando la più coraggiosa di un gruppo di ragazzini sfida gli altri a seguirla in una casa abbandonata in mezzo al nulla che ha una brutta fama e che tutti ritengono infestata dagli spiriti: la segue soltanto il suo amico del cuore, facendosi coraggio. Nell'immancabile casa stregata non ci sono fantasmi, però i due ragazzi, Chloé e Duccio, trovano lo stesso qualcosa... Scopriremo più avanti che si tratta di uno strano bauletto piuttosto complicato da aprire: quando succederà, con loro ci troveremo immersi tra le pagine di un antico manoscritto, un diario che fin dall'inizio esorta eventuali lettori a non dedicare attenzione a queste pagine "se non sono disposti a farle vivere". Con un inizio così misterioso, va da sé che i due ragazzi non potranno che andare avanti, scoprendo che l'autrice in arte è nota come Eularia ma per l'anagrafe si chiama Orsola ed è nata nel lontano 1638. Da qui il romanzo si sviluppa in continua alternanza tra le giornate a scuola e in famiglia dei due ragazzi - che frequentano la terza media e hanno una prof di Italiano che si chiama Broccoletti ed è pure appassionata di teatro - e le schegge autobiografiche di Eularia, che i due giovani lettori potranno leggere solo nei momenti liberi da compiti e impegni vari, con la promessa di sfogliare quelle pagine sempre rigorosamente in coppia. Solo alla fine, ovviamente, potremo scoprire con i due giovanissimi protagonisti il senso di quello strano divieto iniziale, sulle orme dell'avventurosa vita di una delle attrici più apprezzate della Commedia dell'Arte, sia in patria che Oltralpe, tra l'esordio sul palcoscenico, i successi, gli amori, le sorprese e le illusioni. In arte Eularia è un intrigante romanzo per ragazzi che funziona per due livelli narrativi, alternando le 'normali' vite di due studenti di terza media amici per la pelle - con l'immancabile esame che incombe a fine anno scolastico - e le pagine di vita vissuta di una donna che ha segnato il teatro del proprio tempo e vissuto le classiche nove vite. La suspense per lo scioglimento del mistero, neanche a dirlo, regge fino alla fine della storia. A contrappuntare siffatto plot figurano anche degli intriganti squarci di vita scolastica, come alcune drammatizzazioni che sembrano nate tra i banchi di una vera classe. Assolutamente da leggere.

Caterina Nencetti, In arte Eularia, Signa (FI), Masso delle Fate, 2024; pp. 209

venerdì 10 ottobre 2025

I PRIMI, INQUIETANTI RACCONTI DI MATHESON

Negli anni Cinquanta, quando la fantascienza americana cercava di uscire dal ristretto cerchio delle riviste pulp, Richard Matheson diventò un nome di punta della narrativa breve. Tra il 1950 e il 1959 scrisse decine e decine di racconti che sono stati pubblicati in una doppia raccolta della Fanucci, e che nel loro complesso rivelano uno scrittore in grado di miscelare sulla pagina scritta tensione, sensibilità introspettiva e capacità descrittiva come pochi altri prima di lui. Nato nel 1926 e scomparso nel 2013, Matheson non è stato "soltanto" uno straordinario scrittore di romanzi – il suo apice è senza dubbio Io sono leggenda, uno dei più potenti romanzi distopici del Novecento – ma anche un apprezzato sceneggiatore cinematografico e televisivo: alcune delle sue storie furono adattate in episodi della serie “Ai confini della realtà”, e fu lui stesso ad adattare il suo racconto Duel per l'omonimo film d’esordio di un giovane Steven Spielberg. Il cuore pulsante dell'arte narrativa di Matheson è tutto nei racconti: spesso brevi, sempre tirati e lucidissimi, solitamente centrati su smagliature di una realtà fotografata nel momento stesso in cui s'incrina per aprire le porte al misterioso e all'inquietante. Le storie di Matheson in genere prendono le mosse da situazioni ordinarie – un viaggio in auto, una casa isolata, un pomeriggio qualunque – e si trasformano in esperienze di paura psicologica dove l’elemento soprannaturale è solo il riflesso di una crepa interiore. Lo stile è essenziale, quasi asciugato di ogni orpello, tutto giocato su frasi brevi, dialoghi taglienti, sapienti alternanze tra luce e ombra. Si avverte in ogni pagina la sua esperienza da sceneggiatore: la tensione cresce senza spiegazioni, i dettagli contano più dei pensieri, l’incubo arriva come una conseguenza naturale di un gesto o di una parola, come succede ad esempio nell'inquietante interrogatorio al centro di Dai canali. È una scrittura che non cerca effetti speciali, ma che li provoca dentro chi legge. I suoi personaggi spesso sono uomini soli, logorati dall’ansia o da un senso di inadeguatezza, e vivono le loro vicende in ambientazioni degli Stati Uniti del dopoguerra, agli esordi della guerra fredda, in un paese oppresso dalla perdita di controllo, dalla minaccia invisibile rappresentata dall'Unione Sovietica, talvolta anche dalla trasformazione tecnologica. Spesso non ci sono mostri veri, perché il mostro è quasi sempre dentro di noi, come Matheson ha iniziato a insegnarci fin dal suo primo racconto, l'insostenibile Nato d'uomo e di donna. La narrativa di Matheson racconta la normalità come un terreno instabile, dove basta poco per perdere l’equilibrio: leggere oggi le sue storie significa ritrovare le origini del fantastico moderno, spesso giocato più sull'alienazione che su alieni, su paure quotidiane (magari inspiegabili) più che su catastrofi cosmiche. Questa doppia raccolta Fanucci restituisce intatto lo sguardo limpido e inquieto di Matheson, la sua capacità di far emergere l’assurdo dal banale e di ricordarci che la vera frontiera, quella più pericolosa, non è nello spazio ma nella mente dell'uomo.

Richard Matheson, Tutti i racconti. Vol. 1: 1950-1953, Roma, Fanucci, 2019; pp. 576

sabato 16 agosto 2025

LA VARIANTE DI LÜNEBURG: L'ESORDIO DI PAOLO MAURENSIG

Opera prima di Paolo Maurensig (1943-2021), La variante di Lüneburg è un sofisticato giallo psicologico, i cui intrighi narrativi — raccontati attraverso una struttura a scatole cinesi — sono tutti indissolubilmente legati al gioco degli scacchi. La storia non a caso prende avvio facendo riferimento a una sanguinaria leggenda sul gioco, poi continua dipanando davanti al lettore le misteriose circostanze della morte di uno dei protagonisti, il maturo e ricco imprenditore viennese Dieter Frisch: il cadavere dell'uomo è stato ritrovato in un labirintico giardino, al cui centro campeggia un'enorme scacchiera con arbusti potati a ricordare i pezzi degli scacchi. Probabile suicida, anche se senza apparente motivo, Frisch era un cultore del gioco fin dall'infanzia e da anni dirigeva un'autorevole rivista di scacchistica. Da qui Maurensig fa macchina indietro, ricostruendo l'ultimo giorno di vita del defunto, un venerdì trascorso a lavorare a Monaco per poi tornare, secondo consolidata routine, nella villa di famiglia a Vienna in treno. Il tragitto Frisch e il fido braccio destro Baum lo trascorrono come sempre, giocando a scacchi in un vagone desolatamente vuoto. Stavolta, però, a turbare il gioco, si aggiunge un terzo incomodo: si tratta di Hans Mayer, un giovane in evidente difficoltà, che sopravvive disegnando ritratti umoristici e che un tempo era stato un campione di scacchi. I due ascoltano la storia del giovane, caratterizzata da una passione devastante per il gioco che lo aveva spinto sull'orlo del baratro (e a un passo dal successo), dopo che il suo grande maestro — l'enigmatico e misterioso Tabori — era sparito all'improvviso dalla sua vita. Era poi riapparso anni dopo, con un segreto da rivelare al suo ritrovato protetto (e un compito da portare a termine) giusto un attimo prima di morire. Mayer dovrà appunto raccontare lo stesso segreto a Frisch, prima di mostrargli la misteriosa eredità che ha promesso di consegnare all'affarista da parte del maestro, che evidentemente in passato aveva avuto modo di conoscerlo. Nel frattempo però Baum è arrivato a destinazione, così il proseguimento del racconto è rivolto al solo Frisch. La parte conclusiva del romanzo ci porta indietro nelle maglie del tempo, in una rilettura metaforica del conflitto al centro degli scacchi, nello scenario più terribile e singolare che si possa immaginare: durante l'Olocausto, a Bergen-Belsen, uno dei campi di sterminio nazisti più tremendi della seconda guerra mondiale. È qui che si giocherà una sfida a scacchi che, in tempo di pace, avrebbe potuto avere in palio la corona mondiale; in tempo di guerra, invece, ha la posta in gioco più alta che si possa immaginare. Il riferimento alla variante di Lüneburg (che nella scacchistica non esiste) richiama appunto la piana dove fu costruito il campo di Bergen-Belsen e simbolicamente nella storia sembra rappresentare il ruolo del destino nell’eterna lotta tra bene e male che caratterizza la storia umana. Nel complesso La variante di Lüneburg è uno splendido romanzo breve sul valore della memoria e sulla passione esclusiva per il gioco per eccellenza tra i giochi di strategia. Nella storia, ça va sans dire, si avvertono evidenti assonanze con la celebre Novella degli scacchi di Stefan Zweig. Assolutamente da scoprire.

Paolo Maurensig, La variante di Lüneburg, Milano, Adelphi, 2022; pp. 158

martedì 20 maggio 2025

VIAGGIA VERSO, UN LIRICO ON THE ROAD VERSO L’ADOLESCENZA

Scrittrice pluripremiata di libri di poesia e di prosa rivolti all’infanzia e all’adolescenza, Chiara Carminati è nata e vive a Udine; tra le tante opere pubblicate finora, è doveroso ricordare almeno il recente Fuori fuoco, che si è aggiudicato il Premio Strega Ragazzi e Ragazze nell’edizione 2016. Il suo libro più intrigante s’intitola Viaggia verso. Poesie nelle tasche dei jeans ed è una raccolta illustrata di ben ottanta poesie rivolte all’adolescenza e dintorni, un variegato mondo che raccoglie ragazzi dai dieci-undici anni in su, perché spesso anche gli adulti conservano dentro di sé un pezzettino del ragazzo del tempo andato. Questo viaggio lirico comincia con una poesia programmatica come Perché odio la poesia, dove l’autrice spiega che appunto odia la poesia “quando spreme / il succo alle stagioni / il sangue agli ideali / i nomi alle emozioni”: e già l’apripista è indicativa del particolare stile della Carminati, basato su versi che si succedono quasi senza interpunzione, o talvolta giocati su parole che sembrano alternarsi seguendo suggestioni spontanee, ma capaci comunque di catturare sprazzi dell’universo giovanile che intendono raccontare, schegge di storie adolescenziali, fotografie delle tendenze dei ragazzi di oggi, i cosiddetti nativi digitali. Una poesia dopo l’altra scopriremo la meraviglia dell’adolescenza, fatta delle forti suggestioni che caratterizzano un periodo esistenziale in cui l’amicizia è tutto, in cui si scopre il vero amore, ci si perde dietro la moda, si viene assorbiti dall’estetica di riferimento o ci si sente esplodere dentro la scintilla della protesta. Insomma, l’adolescenza in versi, come esemplifica alla perfezione In mezzo: “Quelli piccoli sanno di minestrina / astucci di plastica / gomma / da cancellare / e di sono come / tu mi vuoi / quelli grandi sanno / di sudore / scarpe da ginnastica / gomma / da masticare / e di non saremo mai / come voi / E in mezzo / in bilico / tra prima e poi / ci siamo noi”. Il tutto, con un’ironia costante sullo sfondo, che a volte emerge in modo fulminante, come in Poesia: “Quando il cielo è di panna montata / e sui monti c’è zucchero a velo / Quando il sole è un’arancia candita / e il tramonto è sciroppo amarena / Quando il mare è una zuppa di pollo / e la sabbia è color caramello / allora non sono poeta. / Sono a dieta”. Contrappuntano con efficacia ed ironia le illustrazioni di Pia Valentinis. Assolutamente da provare.

Chiara Carminati, Viaggia verso. Poesie nelle tasche dei jeans, Milano, Bompiani, 2018; pp. 144 

CONTINUA A CAMMINARE, UN LIBRO DI GABRIELE CLIMA

L'autore di Continua a camminare è il milanese Gabriele Clima, classe 1967, scrittore e illustratore di libri di narrativa per l'infanzia e per ragazzi (tra cui Il sole fra le dita, premio Andersen 2017), solitamente caratterizzati da tematiche quali la diversità, l'integrazione e l'intercultura. Sotto questo profilo non fa eccezione questo romanzo, che racconta le storie di due bambini che s'intrecciano sullo sfondo del conflitto siriano, che dal marzo 2011 ha causato qualcosa come quattrocentomila vittime e ben dodici milioni di profughi, numeri a dir poco impressionanti. In particolare, Clima si è concentrato su due vicende ispirate a fatti reali: da una parte l'esempio edificante di Abu Malek, impegnato con altri volontari a ricostruire una biblioteca con i libri recuperati dagli edifici bombardati, così rimessi a disposizione della propria gente, perché la cultura può fermare la guerra; dall'altra, la triste storia di Spozhmay, una bambina di dieci anni indotta dai suoi familiari a farsi saltare in aria per mezzo di una cintura esplosiva in un posto di controllo nella periferia di Kabul. Ispirandosi a queste due storie, Clima ci racconta in parallelo quelle di Salìm e di Fatma, ricostruendone i rispettivi background che li hanno fatti mettere in cammino, anche se diretti verso mete assai diverse: il primo rivolto verso l'Europa in cerca di una vita migliore (e sicura), la seconda verso un obiettivo militare per un attacco kamikaze di cui ignora realmente le motivazioni. Il primo è accompagnato dal padre nel suo viaggio di speranza in mezzo al nulla; la seconda è sola ed è stata armata dal fratello fondamentalista per esplodere in mezzo ai (presunti) nemici religiosi. Clima ne scandisce le tappe senza preoccuparsi di indagare in profondità le ragioni e le contraddizioni del conflitto siriano, concentrandosi sulle due storie umane da raccontare e contrappuntando i vari capitoli – che alternano il punto di vista di Salìm con quello di Fatma – con alcune liriche di poeti siriani contemporanei, nel tentativo di evidenziare, in un finale all'insegna della speranza, la contrapposizione tra l'orrore della guerra e la bellezza della poesia. Alla fine, per uno strano scherzo del caso, le strade dei due adolescenti in cammino finiranno addirittura per incrociarsi. Continua a camminare  è un bel romanzo per ragazzi che offre uno spaccato efficace di uno dei più controversi conflitti contemporanei, tra la via contrapposta del fondamentalismo e quella di chi abbandona la propria terra in cerca di un domani migliore. Clima ci conduce per mano in mezzo a queste atrocità contemporanee, spesso ignorate dai media, con la sua prosa asciutta ed essenziale. Assolutamente da provare.

Gabriele Clima, Continua a camminare, Milano, Feltrinelli, 2017; pp. 159 

lunedì 19 maggio 2025

LE CENERI DI ANGELA: LO SPLENDIDO ESORDIO DI FRANK McCOURT

In questo splendido romanzo autobiografico, Frank McCourt – classe 1930, al suo esordio letterario – ha riversato in piena full immersion il suo passato di bambino e adolescente, dai tre anni (l’età dei primi ricordi) fino ai diciannove. La famiglia di Frank si forma a New York, negli anni Trenta del Novecento. I suoi genitori sono immigrati irlandesi costretti al matrimonio dal classico errore d’inesperienza: il padre, Malachy, è perennemente in cerca d’impiego, nonché afflitto dal vizio dell’alcool, al punto da bersi perfino il sussidio di disoccupazione; la madre, Angela, è una donna devota e sempre in ansia per far sbarcare il lunario a una famiglia costretta a guardare la povertà dal basso. Il duro lutto della neonata riporta i McCourt nella povera terra d'origine da cui sono emigrati, in Irlanda, a Limerick, città natale di Angela, dove la loro vita – già sfortunata – se possibile si trasforma in un vero inferno: muoiono altri due figli, il padre continua a ubriacarsi perdendo uno dopo l'altro una serie di lavori occasionali, e nel frattempo Frank, crescendo, accumula ostinatamente i soldi per fuggire dall’Irlanda e ritornare a quell'America che ha rigettato la sua famiglia, al sogno di una vita diversa. Nonostante il taglio spesso brutale e spiazzante per lettori abituati a tempi d'opulenza come quelli presenti, la storia cattura fin dalle prime pagine per il particolare impasto familiare che accompagna le vicende del protagonista, figlio di gente povera e per di più anche irlandese, perché «un’infanzia infelice irlandese è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora». Le ceneri di Angela racconta una storia di grande impatto emotivo che suona viva e vera in ogni pagina, senza mai scendere nel patetico, anche quando riesce a far sentire al lettore i morsi della fame di un'intera famiglia senza speranza: un piccolo miracolo letterario che l'anno successivo all'uscita ha fruttato a Frank McCourt un meritatissimo premio Pulitzer. Da questo romanzo nel 1999 Alan Parker ha realizzato l'omonimo film, interpretato da Emily Watson e Robert Carlyle. Assolutamente da leggere.

Frank McCourt, Le ceneri di Angela, Milano, Adelphi, 1997; pp. 384

LANSDALE, LA GRANDE DEPRESSIONE, HUCKBERRY FINN E... ACQUA BUIA

Secondo Ernest Hemingway «tutta la letteratura americana moderna discende da un libro di Mark Twain intitolato Huckleberry Finn» e, sebbene si tratti di un romanzo per ragazzi pubblicato nel lontano 1884, l’affermazione mantiene intatta la sua forza anche oggi, soprattutto grazie ad Acqua buia, l’ultima prova narrativa di Joe R. Lansdale, classe 1951, considerato tra i più importanti autori americani contemporanei. Scrittore prolifico e maestro dei generi – noir, horror, western – Lansdale ha firmato opere come In fondo alla palude, Tramonto e polvere, La sottile linea scura e la fortunata serie poliziesca con gli irregolari Hap & Leonard. Come nel recente Cielo di sabbia, anche in Acqua buia l’autore ci riporta nell’America rurale della Grande Depressione, in un angolo dimenticato del Texas orientale, sulle rive fangose del fiume Sabine, dove vive la giovane protagonista Sue Ellen. Costretta a sopportare un padre alcolizzato, violento e moralmente ambiguo, la ragazza si trova coinvolta in una vicenda che ha inizio con il riaffiorare dal fiume del cadavere di Mary Lynn, la ragazza più bella della zona, morta a soli sedici anni con un sogno infranto: diventare attrice a Hollywood. Alla polizia non interessa fare giustizia, e nemmeno al padre della vittima, rimasto solo dopo il suicidio della moglie e l’uccisione del figlio, ex rapinatore di banche. Ma a Sue Ellen importa, così come ai suoi amici Terry (forse omosessuale) e Jinx, ragazzina afroamericana dalla lingua tagliente: insieme decidono di portare le ceneri di Mary Lynn a Hollywood, come ultimo gesto d’amore. Per farlo dovranno cremare il corpo, rubare una zattera e navigare il Sabine, ma soprattutto trovare il denaro necessario. La svolta arriva con il diario della ragazza, che contiene una mappa per recuperare un bottino nascosto dal fratello. Quando entra in gioco il denaro, però, anche altri cominciano a interessarsi alla faccenda, tra cui il leggendario e spietato killer Skunk. Inaspettatamente, al gruppo si unisce anche la madre di Sue Ellen, improvvisamente risvegliatasi dal torpore dell’alcolismo, pronta a vivere una seconda possibilità lungo le acque scure del fiume. Il romanzo, avvincente e affilato come la lama di un rasoio, è raccontato dalla voce narrante di Sue Ellen, che tinge di autenticità ed immediatezza una storia intrisa di durezza e di resilienza dei più deboli. Il tutto narrato con lo stile asciutto e diretto di Lansdale, spesso di afflato cinematografico, basato su descrizioni vivide e dialoghi piuttosto serrati. Acqua buia è un romanzo corale e ricco, nella miglior tradizione di Mark Twain: un’avventura giovanile, un mistero da risolvere, un pericolo in agguato, una missione per la giustizia senza alcun tornaconto, un viaggio attraverso le ombre e le luci dell’adolescenza, tra scoperte, paure, affetti e redenzioni. Una storia autentica, toccante, sorprendente e a tratti agghiacciante, capace di catturare il lettore dalla prima all’ultima pagina.

Joe R. Lansdale, Acqua buia, Torino, Einaudi, 2012; pp. 335

domenica 18 maggio 2025

SE LA FILOSOFIA DI ARISTOTELE SI TINGE DI GIALLO…

La canadese Margaret Doody è una scrittrice per diletto, di professione insegna inglese e letteratura comparata alla Vanderbilt University: nel suo Aristotele detective mette in campo il mitico filosofo di Stagira nelle (teoricamente) per lui inedite vesti di investigatore. Un’operazione non troppo diversa da quella vista ne Il nome della rosa di Umberto Eco: un omicidio, un frate investigatore, un ambiente chiuso come un’abbazia, insomma tutti gli ingredienti classici del giallo, colorato da Eco a modo suo, grazie anche ai dettagliati studi da lui svolti su quel particolare periodo storico. Anche la Doody gioca la stessa carta: un delitto, un investigatore insospettabile e un contesto storico rigorosamente ricostruito. Il romanzo della Doody è la dimostrazione pratica di cosa succederebbe applicando il sillogismo aristotelico ad un delitto: la risposta, stando all’autrice canadese, è che avremmo trovato il primo prototipo di Sherlock Holmes della storia, o meglio di Nero Wolfe, dato che Aristotele è una mente ordinatrice di indizi raccolti dalla classica spalla, in questo caso un giovanotto ateniese di nome Stefanos, suo ex studente del Liceo, volenteroso, simpatico, ma non abbastanza sveglio da ordinare in proprio un’indagine che lo tocca direttamente. Perché accade che Stefanos sia uno dei primi testimoni dell’omicidio del facoltoso oligarca Boutades e che dell’omicidio sia incolpato a sorpresa proprio un cugino latitante di Stefanos, che dovrà improvvisarsi suo difensore in aula. Sulla scena del delitto pare non siano stati ritrovati indizi significativi, almeno per gli occhi comuni, non per quelli di Aristotele, che se li fa esporre da Stefanos “come se si trattasse di un problema di geometria”: poi ragiona, stabilisce collegamenti ed utilizza il suo ex studente in qualità di esecutore materiale delle indagini. Ed alla fine Aristotele arriva ovviamente alla soluzione del caso, affidando l’incarico di esporla con logica implacabile a Stefanos, che smaschererà il vero colpevole come un Perry Mason in versione ellenica, nel corso della sua arringa finale. In Aristotele detective alla buona idea di base segue un magistrale svolgimento: l’ambientazione è puntuale e calata nel periodo in modo impeccabile (siamo nell’Atene del IV secolo a.C., è bene ricordarlo), la rappresentazione di Aristotele è credibile, la storia funziona e la suspense regge sino all’ultima pagina, come in ogni buon giallo che si rispetti. Il successo dell’idea ha reso Aristotele detective l’episodio apripista di una serie poliziesca che a buon diritto può definirsi “classica”… E per giunta battendo sul tempo anche Il nome della rosa, dato che Aristotele detective uscì nel 1978, in leggero anticipo rispetto al fortunato bestseller pubblicato nel 1980 dal professor Eco. Tra parentesi, il romanzo della Doody ha anche l’innegabile merito di rendere la logica una lettura intrigante fino all’immancabile soluzione ad effetto che un buon giallo svela soltanto alla fine. Insomma, chi avrebbe mai immaginato che il vero antesignano del detective moderno parlasse in greco antico e ragionasse per sillogismi?

Margaret Doody, Aristotele detective, Palermo, Sellerio, 1999; pp. 449

martedì 6 maggio 2025

CHIARA NELLA RETE, UN SEQUEL CONVINCENTE

La giornalista e scrittrice Elisabetta Belotti ha deciso di tornare sul luogo del delitto proponendo al gentile pubblico l’atteso sequel di Viola nella rete, un romanzo per ragazzi tra i primi in Italia a trattare una tematica di scottante attualità come il cyberbullismo. La trama – davvero intrigante – ci aveva mostrato come la protagonista Viola fosse finita nel tritacarne mediatico innescato da un falso profilo social creato appositamente per screditarla nella nuova scuola dove l’ha iscritta il padre: ma i suoi compagni Leo e RAM avevano scoperto che dietro questa montatura c’erano Chiara, la fashion blogger della scuola, e il suo gruppo di amiche, così giustizia è stata fatta. Chiara nella rete ci fa scoprire cosa è successo agli stessi personaggi un anno dopo: siamo proprio all’inizio della terza media, nel quadrimestre che prelude alla scelta delle superiori, e tutti sono piuttosto nervosi per questo motivo. Viola e Leo sono equamente preoccupati di trovare il liceo più adatto alle loro corde, come pure di scoprire se l’uno piace all’altra (e viceversa). Chiara, che aveva cambiato scuola dopo il fattaccio dell’anno precedente, è tornata sui propri passi ma è finita in una classe diversa, dove tutti la sopportano a stento, tra l’altro. Tra parentesi le cose per lei non vanno molto meglio neanche a casa: i suoi genitori si sono separati e sono in costante disaccordo, Chiara è spesso costretta a dedicarsi alla sorella più piccola (anche troppo, per i suoi gusti) e il suo fidanzato Federico si sta mostrando sempre più geloso nei suoi confronti (nonché piuttosto difficile da sopportare). Tutto procede senza problemi apparenti finché Viola con un piccolo aiuto di Leo riesce a convincere la terribile Gazzaniga (familiarmente detta "Gazza" dai suoi studenti) a lasciarle fondare un giornale scolastico femminista e Chiara, attirata dai crediti assicurati dal progetto, si propone come redattrice, ovviamente di moda e beauty. Poi, quando Chiara decide di dare un taglio alla sua storia con Federico, accade l’imprevedibile: il suo profilo Instagram viene hackerato e alcune foto della ragazza palesemente ritoccate, ma molto imbarazzanti, vengono diffuse via social. Viola, Leo e RAM riusciranno a trovare il colpevole anche stavolta o lasceranno Chiara alla gogna mediatica? Lo scopriremo negli sviluppi di un’appassionante storia capace di toccare tematiche adolescenziali di primo piano come l’amicizia, le seconde occasioni, l’orientamento, la solidarietà, gli amori complicati e le idiosincrasie dei social. La struttura di Chiara nella rete replica esattamente quella del libro di cui costituisce la continuazione: seguiamo lo sviluppo della storia dalla prospettiva in successione dei tre protagonisti Leo, Viola e Chiara (sempre associata ai dati del suo nickname con relativi post, followers e profili seguiti). Un romanzo per ragazzi davvero convincente ed intrigante fino all’ultima pagina, insomma, anche se Viola nella rete era sicuramente più originale (ed essenziale): d’altra parte è raro che un sequel regga il passo con il libro da cui prende le mosse. Ma in questo caso ne vale davvero la pena...

Elisabetta Belotti, Chiara nella rete, Torino, Einaudi, 2024; pp. 240

giovedì 24 aprile 2025

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D'AMORE

L’autore di questa raccolta è Raymond Carver (1938-1988), uno scrittore considerato il nume tutelare della short story americana e del cosiddetto minimalismo, una tendenza letteraria diffusasi negli Stati Uniti negli anni Ottanta del secolo scorso, che tratteggia squarci di realtà quotidiana con uno stile essenziale. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore comprende diciassette racconti che, nel loro insieme, rileggono tout court il concetto di narrativa breve, realizzando un salto in avanti sul piano del realismo, paragonabile forse soltanto alla forza dialogica (e anche al non detto) dei racconti di Ernest Hemingway. Carver riesce nell’impresa di catturare, nei propri testi, la lingua d’uso del suo tempo così come se ne servivano i suoi personaggi privilegiati: la gente comune, “fotografata” nelle sue idiosincrasie, nelle sue dipendenze – a partire da quella dell’alcolismo, vissuta in prima persona dall’autore – e nei suoi lavori ordinari, senza prospettive. Carver scriveva di ciò che aveva intorno e sotto gli occhi giorno dopo giorno. Semplicemente, scriveva racconti brevi perché la vita stressante di ogni giorno non gli consentiva di mantenere la concentrazione necessaria per affrontare un romanzo. Scriveva di getto, per poi rielaborare per sottrazione, cogliendo l’essenziale delle storie che lo avevano colpito. Sembra niente, invece fu una sorta di rivoluzione copernicana per quei lettori che si lasciarono incantare da questo straordinario cantore della normalità e della quotidianità, mentre altri si limitarono a bollarlo, superficialmente, come uno scrittore deprimente. In effetti, il milieu e le situazioni di certi suoi racconti potrebbero inizialmente dare questa impressione; in realtà, nascondono una ricchezza umana difficile da trovare altrove. Basti pensare al racconto che apre la raccolta, Perché non ballate?, che mostra una coppia di giovani innamorati in cerca di mobilia a buon mercato nel giardino di un uomo di mezza età che dà l’impressione di essersi da poco separato (e dell’incontro umano che ne deriva). Tra i racconti notevoli della raccolta, corre l’obbligo di citare almeno Di’ alle donne che andiamo, che narra la deriva di due uomini in libera uscita senza le rispettive compagne, e ciò che ne segue fino al dirompente finale di ordinaria brutalità. Molto efficace anche lo scenario di incomunicabilità tra due divorziati raccontato in Un discorso serio: Burt torna nella vecchia casa dove l’ex moglie Vera continua a vivere con i figli, deciso a fare con lei un discorso serio sul loro rapporto, un discorso che aleggia su tutta la storia senza che la comunicazione tra i due si attivi mai veramente. Il tutto è narrato in modo estremamente naturale, come se la storia si raccontasse da sola, sviluppandosi frase dopo frase. Esemplare, da questo punto di vista, anche il racconto che dà il titolo al libro, che fotografa la conversazione tra due coppie molto diverse, impegnate a bere e discutere su cosa sia veramente l’amore – un concetto che resta indecifrabile fino all’ultimo –. Una raccolta assolutamente da scoprire, un racconto dopo l’altro.

Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Roma, Minimum Fax, 2009; pp. 153

domenica 13 aprile 2025

I BEATLES. I FAVOLOSI QUATTRO

Uscita nella collana “Grandissimi” delle Edizioni EL, I Beatles. I favolosi quattro è una biografia illustrata del più grande gruppo rock della storia, ovvero i Beatles, noti anche come i Fab Four, capaci di infrangere qualunque record di vendita e di popolarità mai raggiunti in precedenza da altri gruppi o artisti solisti tra il 1962 e il 1970, l’anno del loro scioglimento. L’autore del libro è un grande scrittore di narrativa per ragazzi del calibro di Pierdomenico Baccalario – tra le sue opere principali da segnalare Lo spacciatore di fumetti e Le volpi del deserto –, che in poco più di cinquanta pagine riesce nell’obiettivo di ricostruire in modo essenziale ma efficace gli esordi dei Beatles, i principali snodi della loro carriera, un nugolo di personaggi a loro vicini, gli aneddoti principali sul loro magico gruppo, i principali dischi. Si comincia scendendo le scale del Cavern, un locale di musica dal vivo di Liverpool, insieme a Brian Epstein, il loro futuro manager, in cerca del gruppo che ha inciso un disco che non riesce a trovare in nessun catalogo (My Bonnie) ma che molti clienti del suo negozio di dischi continuano a chiedergli. Quando Epstein si trova davanti i primi Beatles intuisce subito il potenziale di questa band dinamica ma poco professionale e – dopo aver conosciuto il chitarrista George Harrison, il cantante e chitarrista John Lennon, l’altro cantante e bassista Paul McCartney, e infine il batterista… Pete Best – si propone subito come manager. Sarà proprio lui a trovare un po’ per caso un’etichetta discografica disposta a far firmare ai quattro ragazzi un contratto, ma il produttore esige che si trovino un batterista più dotato, e la scelta di John, Paul e George cade su Ringo Starr, all’anagrafe Richard Starkey. E comincia così l’avventura musicale più avvincente di tutti i tempi: il successo arriva fin dal primo 45 giri, Love Me Do, e subito scoppia la Beatlemania: i ragazzi d’Inghilterra e poi di tutto il mondo iniziano a vestirsi come i Fab Four, che sfornano singoli e album che finiscono regolarmente al numero uno di tutte le classifiche, girano due film, fanno concerti ovunque e talmente pieni di gente che non riescono nemmeno a sentirsi tra loro quattro sul palco. Così nel 1965 decidono di dedicarsi soltanto a registrare album in studio e incidono capolavori a ripetizione: Rubber Soul, Revolver (con la mitica copertina psichedelica di Klaus Voormann), Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (il primo concept album della storia), un album doppio completamente bianco (The White Album), Abbey Road (con la celebre copertina di loro quattro sulle strisce pedonali davanti agli studi di registrazione) e infine Let It Be, assemblato dal produttore Phil Spector quando ormai il gruppo era già sciolto. E nel mezzo c’è la colonna sonora del cartoon Yellow Submarine, lo strano esperimento del Magical Mystery Tour, l’esecuzione in mondovisione di All You Need Is Love e l’ultimo concerto sul tetto della Apple (il cosiddetto “Rooftop Concert”). Assolutamente da leggere.

Pierdomenico Baccalario, I Beatles. I favolosi quattro, Edizioni EL, 2017; pp. 74

sabato 5 aprile 2025

TESTI E NOTE DI ISAAC ASIMOV

La raccolta Testi e note è un'antologia che raccoglie ventiquattro racconti di fantascienza scritti dal grande Isaac Asimov tra il 1950 e il 1973 e già usciti in Italia in due distinti volumi della collana Urania. Negli Stati Uniti la raccolta si intitolava Buy Jupiter and Other Stories, un titolo che ha una storia piuttosto curiosa: uno dei racconti inclusi, infatti, il brevissimo e fulminante It Pays (tradotto in italiano con Pianeta comprasi), venne ribattezzato da un editor piuttosto creativo in Buy Jupiter – un gioco di parole con l’esclamazione inglese “By Jupiter!” – e ad Asimov (che neanche era stato consultato al riguardo) piacque così tanto che lo scrittore americano lo adottò addirittura per l'intera raccolta. L'edizione italiana propone invece un titolo come Testi e note che rende bene l'idea dell'elemento distintivo del volume, ovvero le introduzioni e i commenti dell'autore che accompagnano ogni racconto. Sono proprio quelle “note”, scritte da Asimov col suo caratteristico stile affabulatorio e ricco d'ironia a fare la differenza: l'autore di Io, robot racconta infatti come e perché tutte le storie sono nate, per quali riviste sono state scritte e quale accoglienza hanno ricevuto. Ne scaturisce un autoritratto informale, leggero e ricco di aneddoti simpatici, che aiuta a comprendere meglio non solo l’evoluzione dell'autore di fantascienza unanimemente riconosciuto come il più grande, ma anche come funzionava la macchina editoriale americana alla sua epoca. Il tratto distintivo dei racconti in genere è la loro brevità e varietà, nel complesso sono un’efficace esemplificazione del miglior Asimov: alcuni sono piccoli esperimenti narrativi, altri calibrati esercizi stilistici, altri ancora delle gemme di acume e umorismo. I racconti in assoluto più memorabili sono forse quelli della seconda parte, come l'esemplare Razza di deficienti! - in cui i terrestri prima sono segnalati come degni di entrare nei registri galattici di Naron e poi subito cancellati perché votati all'estinzione -, la divertente speculazione narrata in Pianeta Comprasi e la strepitosa riflessione sul senso ultimo dell'evoluzione robotica che emerge in Parola-chiave. Insomma, chi apprezza la fantascienza in Testi e note troverà pane per i propri denti, chi ama Asimov ci troverà tutto il resto.

Isaac Asimov, Testi e note, Milano, Mondadori, 1985; pp. 186

UNA RACCOLTA DI SAGGI ERRANTI DA DANTE A FENOGLIO

L’ultima fatica di marca critica di Hans Honnacker, docente di materie letterarie di chiara origine tedesca ma fiorentino d’adozione, è una raccolta di saggi che s’intitola Da Dante a Fenoglio. Si tratta di un percorso ondivago tra le ricerche letterarie dell’autore nell’ultimo trentennio, come testimoniato dal sottotitolo Sentieri letterari ‘erranti’, e anche dell’ideale chiusura di una tetralogia saggistica pubblicata con le Edizioni Erasmo a partire da Amore furioso: l’Ariosto e oltre nel 2016, continuata con Dante e oltre nel 2022 e quindi con Semplicemente Ariosto nel 2024. La raccolta presenta complessivamente cinque saggi critici, più una postilla e un’appendice che completano il volume, peraltro impreziosito da una serie di originali illustrazioni realizzate dagli ex studenti dell’autore. I saggi sono tutti inediti, ad eccezione del primo, dedicato a Dante, che descrive un'intrigante ricostruzione del personaggio di Attila tra Il Cantare dei Nibelunghi e la Commedia, opere (diversissime) che presentano due ritratti quasi opposti del leggendario sovrano degli Unni. Il secondo saggio della raccolta è invece una riflessione sulla funzione dell’ossimoro dolce-amaro nella concezione dell’amore che emerge dal Canzoniere di Francesco Petrarca, dove ha una frequenza che salta subito all’occhio. Il terzo saggio è un’indagine sul personaggio di Rinaldo nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, dove uno storico protagonista della tradizione cavalleresca viene scelto dall’autore come capostipite della dinastia estense (oltre che come eroe centrale del poema) con un esito più convincente in chiave encomiastica rispetto a quanto fatto dai suoi illustri predecessori Boiardo e Ariosto con la figura di Rugiero/Ruggiero, cavaliere pagano convertito alla fede cristiana divenuto poi similmente fondatore degli Este. Il quarto contributo è un’intrigante riflessione sull’importanza della forma dialogica nelle Operette morali di Giacomo Leopardi e sul rapporto di tale opera con l’apice della produzione lirica del poeta di Recanati, i cosiddetti Grandi idilli. Il quinto e ultimo saggio della raccolta è un confronto tra due romanzi molto diversi della letteratura italiana novecentesca quali Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda tramite il diverso uso del pastiche linguistico in entrambe le opere. La verve enciclopedica dell’autore tedesco si esplica anche nei due contributi che il volume offre in limine: il primo è un frizzante studio del personaggio di San Nicola e della sua metamorfosi innescata dalla nascente globalizzazione di marca americana nel Babbo Natale della pubblicità della Coca Cola, mentre il secondo è un poemetto giovanile in prosa ispirato dal primo viaggio in Grecia compiuto da Honnacker da adolescente (peraltro con traduzione a fronte dal tedesco). Insomma, una raccolta di saggi davvero interessante, vivamente consigliata agli eruditi ed ai curiosi generici.

Hans Honnacker, Da Dante a Fenoglio, Livorno, Edizioni Erasmo, 2024; pp. 113

venerdì 4 aprile 2025

JACK FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO DI ENRICO BRIZZI

Beh, leggere un libro come Jack Frusciante è uscito dal gruppo potrebbe essere anche una buona idea, direbbe senza dubbio il vecchio Alex, un tardoadolescente che col flusso dei suoi pensieri forse cerca di catturare, uh, il senso della vita. Quel roccioso ama pensare soprattutto pestando sui pedali della sua bici come un Girardengo appena più basso e rock, mentre si guadagna la salita verso il Seminario per approdare a una casa in mezzo al bosco dove vive Adelaide, per gli amici Aidi, che potrebbe anche essere la sua ragazza (ma di fatto non è tale). Lei e il vecchio Alex sono più che amici, oltre gli innamorati, semplicemente sono al di là, ecco. E la loro storia di stare insieme senza stare insieme è pure a tempo determinato perché Aidi, perdonatela, ha un biglietto aereo per gli States nel cassetto e dal prossimo settembre passerà un anno in Pennsylvania, così al nostro pirata non resterà che aspettare e stare a vedere. La trama è più o meno questa, sintetizzata con le parole che il buon Enrico Brizzi userebbe con quella sorta di terza persona confidenziale di marca bolognese di cui si serve per narrare le avventure esistenziali di quel roccioso del suo protagonista, parole peraltro alternate a quelle trascritte dall’archivio magnetico di Alex D. e dettate al suo fedele magnetofono (ovviamente in prima persona). C’è qualcosa di più, certo, inutile dirlo, ma l’umile scriba recensore preferisce scriverlo comunque: le disillusioni di un adolescente quasi a fine percorso che non vorrebbe essere incasellato nel destino annunciato che lui e tutti i suoi coetanei sembrano avere disteso all’orizzonte, le pruderies culturali che comunque in qualche modo lo colpiscono ed eccitano la sua curiosità, quel senso di incompiuto ma che al contempo pare già scritto che caratterizza da sempre tutti i tardoadolescenti che si rispettino dal buon Holden Caulfield in poi e di cui Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un indimenticabile canto elegiaco in forma di romanzo. Il libro d’esordio di Enrico Brizzi sostanzialmente è una fotografia (letteraria) del canto del cigno della generazione X catturata in movimento sul fronte scolastico (il classico Caimani è tratteggiato come una prigione con sprazzi d’ore d’aria), sul versante sociale (un pugno di rockettari con il sogno di un disco d’esordio) e ovviamente dal punto di vista sentimentale – il roccioso Alex D. che s’innamora della ragazza perfetta, anche se presto dovrà salutarla per un anno intero –. Sembra un’accozzaglia improbabile e scontata, invece il mix si rivela originale e cattura il lettore fin dalle prime pagine per non lasciarlo più e a tale scopo mi giova ricordare che la prima volta mi capitò di sfogliarlo solo per dare un’occhiatina a un libro posato su un asciugamani steso su una spiaggia: lo lessi tutto d’un fiato astraendomi dal sole e dal mare per restituirlo alla legittima proprietaria qualche ora dopo. E questo rende questo romanzo un libro decisamente da consigliare al prossimo…

Enrico Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Milano, Baldini & Castoldi, 2006; pp. 182

mercoledì 2 aprile 2025

IL LEONE, LA STREGA E L'ARMADIO: UN GRANDE CLASSICO DI C.S. LEWIS

Il professor C.S. Lewis (1898-1963), docente di lingua e letteratura inglese all’università di Oxford, cominciò a scrivere il romanzo fantasy per ragazzi Il leone, la strega e l’armadio nel 1949: il libro, che fu pubblicato nel 1950, fu il primo episodio del ciclo di Narnia, che sarebbe stata completato da altri cinque capitoli e da un prequel, Il nipote del mago (non a caso nella prima edizione completa della saga il volume apripista fu inserito in seconda posizione). La storia prende avvio durante la seconda guerra mondiale, quando quattro fratelli londinesi – ovvero Peter, il maggiore, Susan, Edmund e Lucy, la più piccola – lasciano la capitale britannica sotto i bombardamenti per essere ospitati da un vecchio professore nella sua enorme casa isolata nella campagna inglese. Comincia a piovere e, siccome non hanno di meglio da fare che esplorare la loro nuova casa, i quattro ragazzi vagano tra le stanze e i corridoi. A un certo punto finiscono in una stanza quasi vuota, dove spicca un grande armadio: gli altri tre proseguono i loro giri ma Lucy è attratta dal vecchio mobile e prova ad aprire un’anta, riuscendoci, e poi a perlustrarne l’interno. Dentro all’armadio c’è una fila di pellicce: Lucy lascia l’anta aperta per non restare prigioniera dell’armadio, poi entra attratta dall’odore delle pellicce, dietro le quali sente qualcosa di pungente e qualcos’altro che scrocchia sotto i piedi. Sembra anche esserci una flebile luce in lontananza: alla fine Lucy si ritrova in una pineta innevata, mentre sta nevicando, e nello spiazzo davanti a lei c’è un anomalo lampione. È finita in un posto quasi buio, mentre dietro di sé intravede la luce del giorno, e sembra arrivare pure qualcuno, uno strano fauno che si presenta come il Signor Tumnus e la invita a prendere un tè nella sua casa, non distante da lì. La piccola Lucy sembra finita in un mondo incantato che Tumnus rivela chiamarsi Narnia e dove da tempo immemorabile sembra esser calato un lunghissimo inverno a causa della malvagia magia di una dispotica Strega Bianca. Lucy a un certo punto torna indietro, ma scopre che nel mondo reale sono passati soltanto pochi attimi da quando è “entrata” nell’armadio: le crederanno i fratelli? Torneranno a liberare Narnia dalla morsa di quell’eterno inverno? Insomma, si tratta di una bellissima storia fantasy dove C.S. Lewis ha ben miscelato tutti gli ingredienti canonici del genere: un mondo alternativo di afflato mitico e misterioso, un’antagonista cattivissima, un pugno di creature immaginarie e un eroe predestinato, il leone magico Aslan, che può aiutare i quattro ragazzi a vincere la guerra, magari a prezzo di un grande sacrificio, per mettere fine al lunghissimo inverno che ha reso Narnia una terra desolata e riportarla al suo antico splendore. Il libro di C.S. Lewis narra un’epopea che si alterna tra il registro della fiaba, la mitologia e la religione: Aslan ricorda non poco Gesù Cristo che si immola per salvare la Terra di Narnia dall’inverno (altra allegoria della morte spirituale) in cui è precipitata a causa della Strega Bianca, una cattiva al di là di ogni redenzione. E il portale è la chiave per entrarci dentro e fare la cosa giusta, quindi potremmo vederlo anche come un simbolo di fede. Oltre a questa chiave di lettura religiosa il libro apripista della saga di Narnia si profila anche come l’eterna avventura che ogni ragazzino deve superare per crescere e quindi, in un certo senso, è anche un grande romanzo di formazione. È Il leone, la strega e l’armadio e per entrarci è sufficiente oltrepassare il portale nel vecchio armadio di una stanza mezza vuota di un’enorme casa di campagna in mezzo al nulla: ci entreremo dalla prospettiva di una bambina e, esattamente come lei, arriveremo all’happy ending senza neanche accorgercene, perché questa è la magia di un grande libro per ragazzi. Che peraltro con gli anni è diventato un classico da oltre 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Assolutamente da provare…   

C.S. Lewis, Il leone, la strega e l’armadio, Milano, Mondadori, 2006; pp. 167

domenica 30 marzo 2025

MAI DEVI DOMANDARMI DI NATALIA GINZBURG

Si tratta di un libro assai variegato e molto personale il cui titolo (che suona piuttosto particolare) è ripreso dal libretto del Lohengrin. Come precisato nell’avvertenza dalla stessa Natalia Ginzburg alla prima edizione del novembre 1970, Mai devi domandarmi raccoglie quasi tutti gli scritti pubblicati dall’autrice sulla “Stampa” dal dicembre 1968 all’ottobre del 1970, il racconto apripista La casa (uscito invece sul “Giorno” nel 1965) e altre prose inedite cui fu aggiunto nel 1989 il racconto Luna pallidassi, che era stato pubblicato dal “Corriere della Sera” nel 1976. Sono testi di argomenti molto diversi, alcune volte di taglio prettamente giornalistico e altre di tipologia memoriale, infatti la Ginzburg all’inizio era intenzionata a dividere queste prose tra quelle ispirate alla memoria e le altre, poi però ha realizzato che in qualche modo la memoria affiorava un po’ ovunque e così ha optato per un ordinamento cronologico. Mai devi domandarmi è la modalità espressiva più vicina a un diario che l’autrice di Lessico famigliare abbia prodotto nella vita, lei che non è mai riuscita a tenere un diario vero e proprio, trattandosi di annotazioni su ciò che nel tempo le “capitava di ricordare o pensare” sui più svariati argomenti: sono riflessioni sulla solitudine che ha caratterizzato la sua infanzia o il senso di stupore che può affiorare nella vecchiaia, sono recensioni (molto profonde e personali) dei libri letti e dei film visti, fotografie scritte delle sue esperienze sul lavoro, pensieri di natura politica o saggi ispirati ai grandi interrogativi dell'umanità, come sul credere in Dio oppure no. Ovviamente, in tutti questi saggi, articoli e racconti affiorano schegge autobiografiche di una grande scrittrice, di cui raccontano in modo apparentemente casuale tanti momenti topici di vita vissuta. L’edizione definitiva dell’Einaudi presenta un’introduzione firmata da Cesare Garboli e una corposa appendice del curatore Domenico Scarpa con notizie sui testi della raccolta e un’antologia della critica. Un libro tutto da scoprire.

Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi, Torino, Einaudi, 2014; pp. 296

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...