S’intitola
Drilla (nell’edizione americana Frindle) e probabilmente è il libro più
fortunato del prolifico scrittore americano Andrew Clements (1949-2019), che
nel corso della sua carriera ha scritto una settantina di libri di narrativa
per ragazzi, tra cui Il club dei
perdenti. Uscito nel 1996, Drilla appartiene
ovviamente alla categoria, anche se è al tempo stesso e a tutti gli effetti
anche un romanzo breve di formazione: ne è protagonista un vispo ragazzino
americano di nome Nick Allen, residente in una tranquilla cittadina di
provincia, Westfield, ed iscritto al quinto anno della Lincoln Elementary
School. Del gruppo dei docenti di Nick fa parte la tostissima Mrs. Granger, che
insegna la lingua inglese con una devozione lessicale assoluta per il dizionario
rosso che i suoi alunni devono sfogliare per copiare interminabili liste di
parole. Il buon Nick avrebbe anche intenzione di trattare Mrs. Granger come
tutte le altre insegnanti che l’hanno preceduta, impedendo ad arte il momento
dell’assegnazione dei compiti a fine lezione con un’interessante domanda opportunamente
posta con l’unico fine di perdere tempo: ma da dove vengono tutte le parole che
finiscono nel dizionario? Purtroppo Mrs. Granger la sa troppo lunga per farsi
prendere per il naso da uno studente, infatti blocca Nick e per giunta gli
assegna di preparare una relazione su come nascono le parole per l’indomani. Il
ragazzo mastica amaro pensando al suo pomeriggio di giochi completamente sfumato
a favore dello studio ma, poco dopo e un po’ per caso, durante una tranquilla passeggiata
con la sorella nella sua mente prende forma una grande idea: perché non creare
una parola nuova di zecca come drilla
per indicare una penna come quella che sua sorella ha appena trovato per terra?
Una parola esiste se gli altri cominciano ad usarla sistematicamente e,
nonostante l’opposizione di Mrs. Granger, Nick inizierà a promuovere il suo
intrigante neologismo col supporto di un gruppo di coetanei fortemente motivati
a vedere come andrà a finire la strana disfida lessicale. Ne viene fuori una
storia essenziale ma davvero frizzante sul valore delle parole, anche quelle
nate da un guizzo di fantasia e magari con l’intento di divertirsi un po’, come
appunto drilla. D’altra parte questo
romanzo breve di Andrew Clements non è soltanto questo, ma il neologismo al
centro della trama è il fil rouge per
una serie di riflessioni sulla libertà di parola, sulla capacità
imprenditoriale e sul sogno di cambiare in meglio il mondo circostante. Drilla ha una struttura narrativa
estremamente semplice ma che funziona come un oliato meccanismo ad orologeria:
tratteggia i due protagonisti e il provinciale scenario della vicenda, racconta
il germoglio dell’idea di un “dispetto” linguistico creato ad arte, prosegue
con le dinamiche di diffusione di tutte le cosiddette mode di qualsivoglia
genere, che diventano virali quando ci mettono lo zampino i mezzi d’informazione
come i giornali o le televisioni. Il tutto in poco più di un centinaio di
pagine con tanto di happy ending retroattivo
e moraleggiante ma non troppo. Assolutamente delizioso, e con il grande merito
di promuovere l’uso del dizionario, che non fa mai male alle nuove generazioni
(come d’altra parte leggere buoni libri). E talvolta la realtà supera la
fantasia, come ricorda nella prefazione all’edizione italiana Maria Cristina
Torchia, consulente linguistico dell’Accademia della Crusca, citando la recente
fortuna del neologismo petaloso,
coniato da un emulo italiano di Nick Allen giusto qualche anno fa…
Andrew Clements, Drilla, Milano, Rizzoli, 2019; pp. 126