L’autore di questa raccolta è Raymond Carver (1938-1988), uno scrittore considerato il nume tutelare della short story americana e del cosiddetto minimalismo, una tendenza letteraria diffusasi negli Stati Uniti negli anni Ottanta del secolo scorso, che tratteggia squarci di realtà quotidiana con uno stile essenziale. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore comprende diciassette racconti che, nel loro insieme, rileggono tout court il concetto di narrativa breve, realizzando un salto in avanti sul piano del realismo, paragonabile forse soltanto alla forza dialogica (e anche al non detto) dei racconti di Ernest Hemingway. Carver riesce nell’impresa di catturare, nei propri testi, la lingua d’uso del suo tempo così come se ne servivano i suoi personaggi privilegiati: la gente comune, “fotografata” nelle sue idiosincrasie, nelle sue dipendenze – a partire da quella dell’alcolismo, vissuta in prima persona dall’autore – e nei suoi lavori ordinari, senza prospettive. Carver scriveva di ciò che aveva intorno e sotto gli occhi giorno dopo giorno. Semplicemente, scriveva racconti brevi perché la vita stressante di ogni giorno non gli consentiva di mantenere la concentrazione necessaria per affrontare un romanzo. Scriveva di getto, per poi rielaborare per sottrazione, cogliendo l’essenziale delle storie che lo avevano colpito. Sembra niente, invece fu una sorta di rivoluzione copernicana per quei lettori che si lasciarono incantare da questo straordinario cantore della normalità e della quotidianità, mentre altri si limitarono a bollarlo, superficialmente, come uno scrittore deprimente. In effetti, il milieu e le situazioni di certi suoi racconti potrebbero inizialmente dare questa impressione; in realtà, nascondono una ricchezza umana difficile da trovare altrove. Basti pensare al racconto che apre la raccolta, Perché non ballate?, che mostra una coppia di giovani innamorati in cerca di mobilia a buon mercato nel giardino di un uomo di mezza età che dà l’impressione di essersi da poco separato (e dell’incontro umano che ne deriva). Tra i racconti notevoli della raccolta, corre l’obbligo di citare almeno Di’ alle donne che andiamo, che narra la deriva di due uomini in libera uscita senza le rispettive compagne, e ciò che ne segue fino al dirompente finale di ordinaria brutalità. Molto efficace anche lo scenario di incomunicabilità tra due divorziati raccontato in Un discorso serio: Burt torna nella vecchia casa dove l’ex moglie Vera continua a vivere con i figli, deciso a fare con lei un discorso serio sul loro rapporto, un discorso che aleggia su tutta la storia senza che la comunicazione tra i due si attivi mai veramente. Il tutto è narrato in modo estremamente naturale, come se la storia si raccontasse da sola, sviluppandosi frase dopo frase. Esemplare, da questo punto di vista, anche il racconto che dà il titolo al libro, che fotografa la conversazione tra due coppie molto diverse, impegnate a bere e discutere su cosa sia veramente l’amore – un concetto che resta indecifrabile fino all’ultimo –. Una raccolta assolutamente da scoprire, un racconto dopo l’altro.
Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Roma, Minimum Fax, 2009; pp. 153