giovedì 20 febbraio 2025

BOY: ROALD DAHL TRA INFANZIA E GIOVINEZZA

È sicuramente un libro di Roald Dahl (1916-1990) – peraltro arricchito dai disegni del suo fedele illustratore Quentin Blake – ma Boy è quanto di più diverso dalla tipica produzione narrativa del grande scrittore britannico: non si tratta infatti di un romanzo e neppure di un’opera di fantasia anche se, curiosamente, trattandosi dell’autobiografia della sua infanzia fino alla giovinezza, assortisce il materiale grezzo, per così dire, che sta alla base di tutti i suoi romanzi e racconti per ragazzi, sempre raccontato con quell’irresistibile humour che gli estimatori di Dahl, grandi e piccoli, adorano. Il libro è articolato in quattro sezioni: comincia con Punto di partenza per farci conoscere la complessa famiglia Dahl, di origine norvegese, piena di figli e di lutti, e dei primi passi dell’autore nel giardino d’infanzia di Villa Olmo fino ai sette anni, poi il piccolo Roald inizia a frequentare Llandaff, la sua prima scuola, dove iniziano le prime difficoltà, quindi a nove anni il futuro scrittore si trasferisce al collegio St. Peter’s, dove la durezza è di casa, e infine a tredici passa a Repton, un collegio ancora più duro, da dove uscirà ventenne e disgustato dalla scuola per entrare nella Shell allo scopo di scoprire il mondo. In Boy l’autore si muove con leggerezza e nostalgia rievocando i ricordi dolceamari che hanno caratterizzato le sue esperienze scolastiche, che di sicuro non sono state piacevoli (per quanto senza dubbio memorabili) ma raccontano di un sistema educativo, quello britannico, apparentemente costruito sulla disciplina e sulla mortificazione sistematica dello studente. Roald Dahl ricostruisce un mosaico di avventure giovanili anche molto divertenti e narrate in punta di penna, soffuso di un umorismo leggero e intrigante anche quando raccontano punizioni fisiche o pesanti umiliazioni subite sulla propria pelle: da una scuola all’altra l’autore ricorda più che altro di aver cercato di limitare i danni e sopravvivere a direttori violenti, a maestri spietati o ad alunni più grandi e sadici rispetto a lui ma, incredibilmente, riesce a farlo senza mai lamentarsi troppo ma come se tutto ciò che gli è capitato fosse semplicemente nell’ordine delle cose e dunque andasse sopportato, magari anche facendoci sopra qualche sana risata. E di divertimento Boy ne regala a mucchi, per esempio con l’incredibile vendetta perpetrata dall’autore verso una maleducatissima venditrice di dolciumi mettendole un topo morto dentro un recipiente di vetro pieno di caramelle oppure con la cronaca dettagliata di un’operazione senza anestesia perpetrata a tradimento su di lui da un medico durante le vacanze estive ad Oslo dai nonni. Non manca neppure l’evocazione struggente della madre, donna umanamente dolce quanto determinata a crescere al meglio i cinque figli nonostante la vedovanza precoce. Alla fine, quando nelle ultime pagine Dahl ci racconta di non aver nessuna intenzione di infliggersi pure l’università dopo le atrocità vissute sui banchi di scuola, si capisce che la galleria umana che vi ha incontrato è quella che poi ha tratteggiato con efficacia nei personaggi negativi dei suoi romanzi per ragazzi, una vera palestra di villains che gli sarebbe bastata per tutta la carriera. In definitiva, Boy non è solo un tuffo nell’infanzia di Dahl, ma la chiave per comprendere il lato più umano – e, talvolta, anche sorprendentemente oscuro – di un autore che ha saputo trasformare le ferite del passato in spunti per le storie indimenticabili che hanno appassionato generazioni di lettori.

Roald Dahl, Boy, Milano, Salani, 2011; pp. 190

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