Paolo Cognetti, Le otto montagne, Torino,
Einaudi, 2016; pp. 203
martedì 22 giugno 2021
LE OTTO MONTAGNE
È
diventato già un cult della narrativa
italiana contemporanea Le otto montagne dell’autore
milanese Paolo Cognetti, classe 1978, che con questo romanzo ha vinto il premio
Strega nel 2017. Si tratta di un romanzo di formazione articolato in tre parti,
intitolate rispettivamente Montagna
d’infanzia, La casa della
riconciliazione e L’inverno di un
amico. La storia è raccontata in un’avvolgente prima persona dal
protagonista, Pietro, un ragazzo di città figlio di un taciturno chimico e di
un’operatrice sanitaria, entrambi provenienti dal Veneto ed entrambi
appassionati alpinisti. La comune passione per la montagna è appunto la
scintilla che ha fatto scoccare l’amore tra i genitori di Pietro, che si sono
addirittura sposati in una chiesetta ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo e
hanno passato la prima notte di nozze in un rifugio montano. Trasferitisi a
Milano, i due durante le ferie estive si spostano puntualmente a Grana, un
minuscolo paese valdostano alle pendici del Monte Rosa dove Pietro fin da
bambino ha conosciuto Bruno, un coetaneo che, diversamente da lui, d’estate non
è vacanza ma deve occuparsi delle bestie di famiglia, dato che i genitori sono
allevatori. I due divengono ben presto inseparabili amici… stagionali, ma
l’adolescenza li separa: nonostante la madre di Pietro cerchi di aiutare Bruno
negli studi, il ragazzo è costretto dalla famiglia ad abbandonare la scuola una
volta raggiunta l’età dell’obbligo scolastico. Bruno inizierà a lavorare prima
come allevatore, quindi come muratore, mentre Pietro continuerà gli studi a
Milano per poi trasferirsi a Torino iniziando a lavorare come documentarista,
anche per il rapporto conflittuale col padre. L’amore per la montagna in effetti
sembra l’unico insegnamento che il padre ha lasciato a Bruno, col suo modo
tormentato di ascendere verso le cime attraverso l’itinerario più scosceso e a
passo veloce, per poi esaurire il desiderio di conquistare la cima un secondo
dopo esserci arrivato. Alla morte del padre, Pietro, che ha ricevuto in eredità
una baita diroccata, ritroverà l’amico di un tempo per ricostruire insieme
l’edificio, vivendo un’estate di svolta esistenziale che darà due direzioni
precise alle loro vite. Le otto montagne
è uno struggente romanzo di formazione che vive sul Leitmotiv della montagna a cui tutti i personaggi finiscono sempre
per tornare e che costituisce il crocevia simbolico di tutte le storie umane
che Cognetti ha condensato nel suo libro. Oltre alla montagna il romanzo
squaderna una manciata di tematiche indimenticabili: la nostalgia della terra
natia, la magia dell’infanzia, il rapporto talvolta problematico tra padre e
figlio e l’amicizia virile. È uno di quei libri in cui è bello perdersi e in
grado di cambiare la percezione esistenziale del lettore.
mercoledì 16 giugno 2021
IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO
Il capolavoro indiscusso di Italo Calvino è la visionaria e grottesca trilogia romanzesca intitolata I nostri antenati - comprendente rispettivamente Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente - ma è in un genere completamente diverso che l’autore ligure ha esordito come narratore con Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo breve di chiaro impianto neorealista che ha aperto la cosiddetta narrativa di Resistenza. Nella sua opera prima Calvino ha riversato – espropriandosene, per certi versi – buona parte del proprio bagaglio personale di ricordi giovanili, quelli ‘ingombranti’ almeno, accumulati nel suo periodo di militanza attiva nei ranghi della Resistenza partigiana. Il romanzo, ambientato tra una cittadina ligure tra la riviera di Ponente e le montagne dell’entroterra, fu scritto nell’immediato Dopoguerra e pubblicato nel 1947 con una prefazione di Cesare Pavese. Protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno è un bambino, Pin, che ha perso i genitori e vive con la sorella (una giovane prostituta) in un clima di privazioni e confusione, nel periodo della Resistenza, appunto. Avendo trovato una pistola lasciata distrattamente in casa sua da un soldato nazista dopo un occasionale incontro mercenario con la sorella, Pin decide di nascondere l’arma in un sentiero sperduto, per lui quasi magico, l’unico al mondo (a suo parere) dove i ragni facciano il nido. Pin entra poi in un contraddittorio gruppo di partigiani, ognuno con la sua storia ed un indistinto (e personale) ideale di Resistenza da seguire. Quando il drappello si sfascia, Pin resta con un partigiano, il Cugino, avviandosi, in uno splendido finale interrotto, verso la notte illuminata da lucciole, nella campagna, senza meta, l’uomo e il bambino mano nella mano: intorno a loro una guerra civile, anch’essa contraddittoria, sfumata, comprensibile a pochi. Il sentiero dei nidi di ragno è un romanzo di formazione che racconta uno strano percorso di iniziazione alla vita, caratterizzato da un realismo di base cui s’intrecciano in sottofondo i fili del meraviglioso, del fantastico e del fiabesco, una peculiarità stilistica che diventerà il tratto distintivo dello scrittore ligure negli anni della maturità. Il romanzo si fa leggere e cattura subito il lettore per la particolare prospettiva dal basso scelta da Calvino per raccontare la storia.
Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Garzanti, 1991; pp. 199
mercoledì 9 giugno 2021
EHI, PROF! QUANDO MCCOURT SALE IN CATTEDRA…
Lui è
Frank McCourt (1930-2009), newyorchese di nascita, irlandese di ritorno e di
nuovo migrante nella Grande Mela, dove è sbarcato in cerca di fortuna ed ha
passato tutta la vita da docente delle superiori, finché da pensionato si è
ritrovato a diventare un incredibile caso letterario internazionale con il bestseller autobiografico Le ceneri di Angela, premiato col
Pulitzer nel 1997 e poi diventato un film di Alan Parker. Dopo l’immancabile sequel Che paese, l’America! è poi arrivato Ehi, prof!, altro memoriale centrato in particolare sul Frank McCourt
dietro la cattedra, un romanzo autobiografico di ambientazione scolastica,
insomma. La storia prende avvio nel marzo 1958 quando il protagonista è in trepidante attesa
dei suoi studenti in un’aula vuota dell’Istituto Tecnico e Professionale McKee,
distretto di Staten Island, New York. Lui, insegnante alle prime armi, sta
giocherellando nervosamente con gli oggetti scalcinati dell’arredo scolastico,
e fin dalle prime battute ci fa capire che ci troveremo spesso a girovagare
per i suoi pensieri con quello stile sarcastico, disincantato e irresistibile
che ormai è diventato il suo marchio di fabbrica: infatti ci dice fin dall’inizio
che il primo giorno ha rischiato il posto per aver mangiato il panino a un
alunno e il secondo giorno, non contento, di averci riprovato facendo un’ambigua
allusione sulla confidenza ‘relazionale’ che gli irlandesi avrebbero con gli
ovini. Dalla prima pagina in poi è un ininterrotto diario di giorni e giorni di
scuola, di centinaia (anzi di migliaia) di alunni spesso senza prospettive ma
con un bagaglio di umanità da vendere che si alternano sui banchi di scuola
davanti al nostro eroe, sempre più sfinito, sempre più assordato dal brusio di
sottofondo della classe durante le sue lezioni ma sempre con la voglia di trovare
il modo di insegnare qualcosa ai suoi ragazzi, non necessariamente quello più convenzionale possibile. E poi ci sono divagazioni imperdibili sulle amenità scolastiche per definizione, come l'irresistibile excursus sulle giustificazioni più fantasiose raccolte negli anni dai suoi studenti. Alla fine, dopo trent’anni di lezioni tra scuole
tecniche (e non) ubicate tra Staten Island, Brooklyn e Manhattan, Frank McCourt
si dichiara stupito di aver resistito tutto quel tempo, anche se da una pagina
all’altra, si fa presto a capire il perché: ha raccontato un sacco di aneddoti
personali, si è fatto continui esami di coscienza per capire dove sbagliava e
aggiustare il tiro, ha sempre provato a fare quella che gli sembrava la cosa
giusta, insomma, è stato umano fino allo squillo dell’ultima campanella della
sua carriera. La prima, che poi ha usato per raccontare la seconda da
scrittore, soprattutto in questo libro. Leggendo Ehi, prof! sembra di vedere all’opera una versione normale del John
Keating del mitico L’attimo fuggente, meno fantasioso e
memorabile ma non meno sognatore, perché il bello di un prof di buona volontà è
non smettere mai di provarci fino all'ultimo secondo dell'ultima ora di lezione. Assolutamente da leggere nonché auspicabile come
lettura obbligatoria per qualunque docente contemporaneo.
Frank McCourt, Ehi, prof!, Milano, Adelphi, 2006;
pp. 309
domenica 30 maggio 2021
ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS, UN CLASSICO DEL GIALLO
Senza
dubbio Assassinio sull’Orient Express insieme
a Dieci piccoli indiani è uno dei
gialli a orologeria che hanno fatto la fortuna della signora del brivido,
Agatha Christie (1890-1976), celebre scrittrice e drammaturga britannica
diventata un vero e proprio mito letterario grazie a due personaggi seriali del
calibro di Miss Marple e del detective Hercule
Poirot. Assassinio sull’Orient Express prende
avvio alle cinque del mattino nella stazione di Aleppo, in Siria, dove il noto
investigatore belga ha appena risolto un caso importante su richiesta del
governo francese: Poirot è diretto verso Istanbul, dove ha intenzione di
passare qualche giorno da turista – tra parentesi la Christie scrisse il romanzo
proprio qui, nella stanza 441 dell’Hotel Pera Palais – ma un telegramma lo
costringe a ripartire subito alla volta di Londra. Il detective cerca di prenotare un posto su un vagone letto dell’Orient
Express, ma nonostante nella stagione invernale i viaggiatori siano sempre
pochi, scopre che stranamente non ci sono posti disponibili, riuscendo comunque
a trovarne uno grazie all’amico Monsieur Bouc, direttore della compagnia
ferroviaria. Nel vagone ristorante il protagonista conosce un ricco
imprenditore americano, Ratchett, che tenta di ingaggiarlo perché teme d’essere
ucciso, ma Poirot rifiuta perché a pelle non gli va a genio. La notte successiva
il treno resta bloccato da una tormenta di neve e l’indomani viene scoperto
proprio il cadavere di Ratchett, assassinato con dodici pugnalate. Poirot, su
richiesta dell’amico Bouc, accetta di indagare: prima perquisisce lo
scompartimento della vittima trovando una serie di indizi apparentemente
insignificanti, quindi inizia ad interrogare tutti i sospettati che viaggiano
sull’Orient Express. Da qui Poirot comincerà a dipanare una complessa matassa
di interconnessioni umane per arrivare all’immancabile soluzione dell’intricatissimo
caso, peraltro ispirato alla tragica vicenda di cronaca nera che colpì il
celebre aviatore americano Charles Lindbergh all’inizio degli anni Trenta. Assassinio sull’Orient Express è un implacabile
meccanismo narrativo in cui la Christie ha sublimato tutte le convenzioni del
genere giallo: un ambiente chiuso come un leggendario treno bloccato dalla neve
in mezzo al nulla, un crimine apparentemente insolubile, una serie di indizi che
non sembrano portare da nessuna parte, un gruppo di sospettati a prima vista
senza niente in comune. Voilà, il
delitto è servito, e il lettore sfidato ad aguzzare l’ingegno per risolvere il
mistero o scoprirlo pagina dopo pagina in un crescendo di suspense. Un grande classico.
Agatha Christie, Assassinio sull’Orient
Express, Milano, Mondadori, 1987; pp. 191
martedì 25 maggio 2021
IL FURIOSO ARIOSTESCO RACCONTATO DA CALVINO
Questo volume
costituisce l’incontro tra uno degli scrittori più sperimentali della
letteratura italiana del Novecento, Italo Calvino (1923-1985), e il più celebre
degli autori di poemi cavallereschi tra Quattrocento e Cinquecento, Ludovico
Ariosto. Il motivo di questo strano incontro è prima di tutto la predilezione
dimostrata da Calvino per l’Orlando
Furioso, che l’autore della trilogia de I nostri antenati, da sempre considera il suo poema, uno dei suoi libri d’elezione. Il problema è che spesso
il capolavoro ariostesco è considerato dai potenziali lettori un libro
difficile da leggere, come d’altra parte la maggioranza dei classici più
antichi della letteratura italiana: l’Orlando
Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino è il tentativo di
rendere meno impegnativo e più immediato l’incontro di un lettore con il poema
ariostesco, che ha molteplici dinamiche da considerare, tra le quali una
tradizione assai stratificata (e articolata tra più nazioni), molteplici
intrecci di personaggi e di avventure ed infine un linguaggio poetico
mirabilmente codificato in ottava rima. Così, dato che la strada dei riassunti
scolastici non si è mai rivelata funzionale al godimento di un poema come il Furioso, Calvino ha adottato una
strategia ibrida, individuando ventidue episodi fondamentali del libro dell’Ariosto
e quindi proponendone le ottave più memorabili intervallate da inserti in prosa
in cui sintetizza, contrappunta e chiarisce per noi lettori le parti più ardue
dell’episodio narrato. Sembrerà strano, ma il tentativo di Calvino funziona, in
quanto l’autore di Marcovaldo non
vuole sostituire il testo di Ariosto ma proporne una guida alla lettura,
offrendoci così una serie di itinerari “facilitati” e dotati di commenti che ne
facilitano la fruizione e la comprensione. Ovviamente si perde un po’ il senso
riposto del capolavoro ariostesco, quell’entrelacement
che conduce il lettore lungo un continuo zigzagare tra mille avventure che
arrivano ogni volta al punto culminante per passare a qualcos’altro (e così
via), ma cattura decisamente lo spirito del Furioso e può costituire un buon viatico per la lettura diretta
dell’opera (che forse era proprio il fine ultimo che Calvino si era fissato).
Assolutamente da provare.
Italo Calvino, Orlando Furioso di Ludovico
Ariosto raccontato da Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1970; pp 286
domenica 23 maggio 2021
TRASH, UN GIALLO D’INCHIESTA NATO DALLA SPAZZATURA
Andy
Mulligan, classe 1966, originario di Londra, dopo la laurea a Oxford ha fatto
il direttore teatrale per dieci anni, poi ha insegnato Inglese e Drammaturgia
alternandosi tra l’India, le Filippine e il Brasile, quindi ha esordito come
autore di narrativa per ragazzi, centrando il successo internazionale proprio con
Trash nel 2010, un romanzo che poi nel
2014 è stato traslato sul grande schermo da Stephen Daldry, il regista di Billy Elliot. La storia al centro di Trash prende avvio in India, a Behala,
un sobborgo di Calcutta, e vede protagonisti tre ragazzini di quattordici anni,
Raphael, Gardo e Ratto, che sopravvivono rovistando tra i rifiuti della vasta
discarica locale, per poi smistarli e venderli a peso. Ovviamente hanno a che
fare soprattutto con l’immondizia prodotta dagli abitanti della baraccopoli
circostante, quindi in parecchi dei sacchetti che i tre squarciano con i loro
rampini si trova quasi sempre quella che loro chiamano stuppa, ovvero escrementi umani, perché negli slums suburbani l’acqua corrente e i servizi igienici sono un optional rarissimo degli alloggi di
fortuna in cui vivono gli esponenti più poveri e sfortunati della razza umana, che
fanno i propri bisogni dove capita e li raccolgono con carta di giornale (o quello
che c’è) per poi gettarli via con la spazzatura. Un bel giorno, però, mentre Raphael
sta girovagando a piedi nudi con Gardo per la discarica, al ragazzo capita una
bella sorpresa: un borsello con dentro un sacco di soldi, documenti, una mappa
e una chiave di piccole proporzioni (senza indizi su cosa esattamente possa
aprire). Non c’è neanche il tempo di gioire della fortuna insperata che si fanno
avanti con grande energia i poliziotti, che sembrano davvero pronti a tutto per
recuperare l’oggetto: dopo lo sconforto iniziale, i due ragazzi decidono di
coinvolgere anche Ratto per scoprire cosa bolle in pentola, visto che sembra molto
importante per la polizia. Così, con calma e metodo, i tre cominciano a
indagare per trovare la serratura della chiave misteriosa, imbattendosi in un
codice cifrato complicatissimo e ritrovandosi dentro una brutta storia di
malapolitica che in tanti vorrebbero tenere segreta. Trash si sviluppa come un gradevole cocktail tra un romanzo d’avventura e un anomalo giallo d’inchiesta
raccontato da una spiazzante prospettiva multipla che ogni volta costringe il
lettore a mettersi nei panni di un personaggio diverso - Raphael,
Gardo e Ratto, ovviamente, ma anche il missionario Padre Juilliard e l’assistente
Olivia Weston –. Insomma, una storia intricata ma anche avvincente e con l’immancabile
happy ending in agguato.
Assolutamente da provare.
Andy Mulligan, Trash, Milano, Rizzoli, 2014; pp. 277
sabato 22 maggio 2021
LATINOAMERICANA, IL DIARIO DI VIAGGIO DEL GIOVANE “CHE” GUEVARA
S’intitola Latinoamericana il
diario giovanile di Ernesto Che Guevara, pubblicato a Cuba soltanto nel 1992 e
poi diventato nel 2004 un bellissimo film on
the road di Walter Salles, I diari
della motocicletta. Il sottotitolo Diario
per un viaggio in motocicletta descrive in modo calzante l’argomento raccontato
in questo esile libro, tradotto da Pino Cacucci ed introdotto da Ernesto
Guevara Linch, il padre del mitico rivoluzionario argentino quando tale ancora doveva
diventare ed era invece uno studente di medicina a un passo dalla laurea con un
gran desiderio di scoprire il mondo. È ciò che cominciò a fare il giovane Ernesto
Guevara de la Serna (senza il nomignolo “Che” che gli dettero i compagni guerriglieri
cubani qualche anno dopo), trascrivendo gli appunti di un viaggio lungo circa
tredicimila chilometri percorsi in nove mesi per i meandri del continente
sudamericano: dall’Argentina al Cile, passando per Perù, Colombia e Venezuela.
L’autore improvvisò questo viaggio di esplorazione dell’America Latina insieme a
un amico biochimico di qualche anno più grande di lui, Alberto Granado, all’inizio
viaggiando in sella alla vecchia Norton 500 di quest’ultimo, battezzata la
Poderosa, poi a piedi o con qualunque mezzo di trasporto a disposizione. I due
cominciarono questo picaresco viaggio nel dicembre del 1951 in Argentina e si
separarono soltanto il 26 luglio dell’anno successivo a Caracas, in Venezuela,
incontrando un sacco di persone, vivendo molteplici avventure e scoprendo
squarci drammatici della realtà latinoamericana: due tappe indelebili in tal
senso furono senza dubbio le miniere di Chuquicamata, nel Cile settentrionale, un
simbolo dello spietato sfruttamento dei minatori, e il lebbrosario di San
Pablo, nell’Amazzonia peruviana, un luogo di profonda discriminazione per i malati
qui ricoverati. Latinoamericana racconta
anche la sofferenza personale del futuro Che, affetto da crisi d’asma che in
paio di occasioni lo misero seriamente alle corde, e soprattutto fotografa la
sua progressiva presa di coscienza dello sfruttamento generalizzato dei popoli
sudamericani, spesso calpestati da regimi repressivi e disponibili alla vocazione
economicamente imperialista degli Stati Uniti nei loro confronti. Insomma,
giunto alla conclusione di questo agile diario di viaggio, al lettore resta
impressa la necessità di un mondo meno diseguale sbocciata pagina dopo pagina
nell’autore, che alla fine sembra già diventato il leggendario combattente che
lascerà un’impronta nella Storia del Novecento.
Ernesto Che Guevara, Latinoamericana. Un diario per un viaggio in motocicletta, Milano, Feltrinelli, 2004; pp. 129
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