In
origine c’era il Decameron, la prima
grande raccolta italiana di novelle, l’indiscusso capolavoro di Giovanni
Boccaccio da Certaldo (1313-1375), una delle tre corone della letteratura
italiana, il testo esemplare da prendere come punto di riferimento delle
narrazioni in prosa: cento novelle (più mezza raccontata nell’introduzione
della quarta giornata) articolate in dieci giornate a tema (tranne la prima e
la nona) e narrate dai dieci giovani (sette fanciulle e tre ragazzi) della
lieta brigata, ritrovatisi nella chiesa di Santa Maria Novella orfani delle
proprie famiglie e dunque transfughi per scelta dalla Firenze appestata ad una
villa sulle pendici di Fiesole, dove decidono per diletto di passare il tempo
raccontandosi novelle. Questa in estrema sintesi è la cornice strutturale del
libro di Boccaccio, da cui ha attinto a sei secoli di distanza lo scrittore
Piero Chiara (1913-1986) per realizzarne un’antologia di dieci novelle nel loro
complesso piuttosto rappresentative del ventaglio tematico della raccolta boccacciana
e decisamente immediate sul versante linguistico. Le novelle rielaborate da Chiara
sono state selezionate da sei delle dieci giornate del Decameron. Si comincia con la beffa confessionale della novella di
ser Ciappelletto (l’apripista del libro), seguita dalla picaresca avventura
notturna che vive nei bassifondi di Napoli lo sprovveduto mercante di cavalli
Andreuccio da Perugia. A ruota arrivano una coppia di novelle della quinta
giornata (quella degli amori a lieto fine): prima la fuga con happy ending ai fiori d’arancio di
Pietro Boccamazza e l’Agnolella, poi la storia di generosità che vede
protagonista il nobile decaduto Federigo degli Alberighi – disposto a
sacrificare anche il suo amato falcone per la donna per amor della quale si è
rovinato economicamente –. In seguito Chiara ha rielaborato due novelle di
motto dalla sesta giornata, prima il motto fortunoso del cuoco Chichibio che
placa l’ira del padrone Currado Gianfigliazzi, poi la predica reinventata all’istante
da Frate Cipolla per sponsorizzare la (falsissima) reliquia della piuma dell’angelo
Gabriele (ed ottenere così molte elemosine). Si continua ancora con una coppia
di novelle dell’ottava giornata (dedicata alle beffe generiche): ne è indiscusso
protagonista lo sciocco Calandrino, beffato dai colleghi pittori Bruno e
Buffalmacco, che prima lo lapidano lungo il Mugnone in cerca della fantomatica
elitropia (favolosa pietra che assicura l’invisibilità al portatore), quindi
autori di un vero e proprio furto di un maiale sempre ai danni dell’ingenuo
collega. Si chiude con una coppia di novelle della decima giornata, dedicata ai
casi di cortesia e magnanimità: prima la storia di Mitridanes, invidioso della
cortesia di Natan, che lo fa recedere dal suo proposito omicida, quindi la
magica storia del Saladino e di messer Torello. Insomma, le dieci novelle di
questa antologia ‘suonano’ senza dubbio boccacciane ma risultano molto
attualizzate e comprensibili in rapporto all’italiano contemporaneo, quindi
costituiscono un ottimo viadotto per consentire alle nuove generazioni di farsi
un’idea adeguata del Decameron evitando
le oscurità della prosa medievale. Da provare.
Giovanni Boccaccio, Decamerone. Dieci novelle raccontate da
Piero Chiara, Milano, 2006; pp. 155
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