sabato 6 marzo 2021

BERLIN: L’INIZIO DELLA SAGA

Atto primo di Berlin, una saga distopica ad effetto... retroattivo scritta a quattro mani dal dinamico duo composto da Fabio Geda e Marco Magnone, I fuochi di Tegel è ambientato in un luogo tristemente noto del secolo scorso, trattandosi di Berlino Ovest, lo scenario di un laboratorio di ingegneria sociale a cielo aperto davvero unico nella storia del Novecento. Siamo nella primavera del 1978, quindi in teoria dovrebbe trattarsi di una storia incorniciata nello spazio urbano circondato dal muro di Berlino, se non fosse che fin dalla prima pagina il lettore avrà l’impressione di trovarsi in una città fantasma, segnata dall’incuria e quasi deserta. Il punto è che tre anni prima un virus devastante quanto misterioso ha sterminato tutti gli adulti lasciando in vita solo gli adolescenti, non per sempre però, dato che a sedici anni l’orologio biologico dei sopravvissuti li porterà immancabilmente alla morte. In tale quadro inquietante i bambini e i ragazzi sopravvissuti, rimasti abbandonati a se stessi, si sono organizzati in cinque fazioni di tipo tribale, ognuna ubicata in una zona riconoscibile della Berlino del tempo che fu, ognuna caratterizzata da un approccio diverso alla sopravvivenza e in costante rivalità con le altre: lo Zoo popolato dal gruppo più infantile e basico, i ragazzi del Reichstag (più organizzati), le ragazze dell’Havel (più contemplative), il selvaggi giovani di Tegel – l’aeroporto su cui era basato il ponte aereo che assicurava la sopravvivenza di Berlino Ovest durante la guerra fredda – e infine i più filosofici giovani di Gropiusstadt. È il rapimento del piccolo Theo, uno dei cosiddetti “Nati dalla morte” dopo la fine della civiltà, il motore narrativo del primo episodio della saga: le ragazze dell’Havel, cui il bambino è stato sottratto, chiederanno aiuto alla fazione di Gropiusstadt ed arriveranno a Tegel per esigerlo dal gruppo più violento dei sopravvissuti. Che dire? Si comincia con una cartina topografica di Berlino Ovest, ci si ritrova incollati alla storia fin da subito in uno scenario urbano postapocalittico, all’insegna del degrado, senza energia elettrica né acqua corrente, un altro mondo, insomma… ma per il lettore lo sfogliare pagine per seguire la storia è dolce in questo mare: situazioni coinvolgenti, un ritmo tambureggiante, personaggi strepitosi, come l’indimenticabile Sven, il diciannovenne con un piede già nella fossa che fa comunque la cosa giusta quando è il momento. Sul fronte stilistico risultano davvero azzeccati i vari flashbacks del passato “normale” di alcuni protagonisti che contrappuntano l’intreccio portante e amplificano la sensazione di spaesamento che caratterizza la storia, che sembra una rielaborazione distopica de Il signore delle mosche di William Golding. Assolutamente imperdibile.

Fabio Geda – Marco Magnone, Berlin. I fuochi di Tegel, Milano, Mondadori, 2015; pp. 202

 

giovedì 4 marzo 2021

LA LEGGENDA… DEL GIOVANE SHERLOCK HOLMES

Sir Arthur Conan Doyle è diventato celeberrimo con uno dei personaggi più noti della storia della letteratura, l’unico e inimitabile Sherlock Holmes, investigatore di rara sagacia, capace di decifrare indizi incomprensibili per i ‘normali’ detectives, sempre in coppia con l’inseparabile Dottor Watson. L’investigatore britannico divenne così noto con la serie di romanzi e racconti del suo autore, tanto che la il numero 221B di Baker Street, residenza ‘ufficiale’ di Holmes e Watson, costituisce ancora oggi una visita obbligata per i fedeli lettori di una saga così celebre da innescare seguiti, come ad esempio La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer, che divenne anche un film. La produzione più recente da questo punto di vista è anche la più originale: alludiamo a L’occhio del corvo dell’autore canadese Shane Peacock, sceneggiatore, giornalista e scrittori di libri di narrativa, che costituisce il primo volume di una serie dedicata alle avventure del giovane Sherlock Holmes. Preceduta da un intenso lavoro di ricerca sul mondo del più famoso detective letterario di tutti i tempi, L’occhio del corvo prende avvio in una notte primaverile del 1867, a Londra, in un vicolo buio in cui si consuma il brutale omicidio di una giovane donna, un crimine a cui assiste un solo testimone, un corvo. L’indomani scopriremo un giovane (che peraltro ha appena marinato la scuola) intento a leggere avidamente il resoconto giornalistico di questo delitto: si chiama Sherlock Holmes ed è lo svogliato rampollo di un intellettuale ebreo e di una nobildonna britannica ripudiata dalla propria famiglia proprio per tale (indesiderato) matrimonio. Si tratta di un ragazzo sorprendentemente acuto e dotato di un incredibile spirito di osservazione. Ben presto il giovane protagonista comprenderà che il colpevole su cui la polizia ha messo le mani è un semplice capro espiatorio, ma finirà per ritrovarsi egli stesso sospettato dagli inquirenti, che se lo ritrovano spesso tra i piedi nei dintorni della scena del crimine. Spinto da un’inesauribile sete di giustizia, il buon Sherlock un indizio dopo l’altro porterà avanti la sua indagine non ufficiale, fino al momento in cui avrà l’intuizione decisiva di osservare il crimine dalla prospettiva dell’unico, silenzioso testimone, ma si tratterà di una soluzione ritrovata a un prezzo davvero molto alto. Romanzo giallo per ragazzi dal meccanismo implacabile come il genere richiede, L’occhio del corvo è un inquietante enigma che si fa leggere una pagina dopo l’altra, sorretto da un delizioso gioco di rimandi con i capitoli ‘storici’ della saga holmesiana. Proprio per tale motivo lo apprezzeranno sia i lettori adulti, curiosi di scoprire l’adolescenza (mai raccontata) del loro eroe, come i ragazzi, che troveranno in questo libro l’ideale viatico per i capolavori che sir Arthur Conan Doyle ha dedicato al personaggio di Sherlock Holmes. Assolutamente da scoprire. 

Shane Peacock, L’occhio del corvo, Milano, Feltrinelli, 2011; pp. 255


mercoledì 3 marzo 2021

IL DIARIO DI ANNE FRANK

 

La storia è tragicamente nota, purtroppo, nel bene e nel male: Anne Frank ricevette un diario in regalo per il suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno del 1942, e cominciò a scriverci come qualunque ragazzina della sua età scene di ordinaria vita scolastica, infatuazioni sentimentali, libri preferiti, sogni per il futuro. Ma a un certo punto la sua famiglia, di origine ebraica e di Francoforte ma emigrata ad Amsterdam in seguito all’ascesa di Hitler in Germania, dovrà nascondersi negli uffici della ditta del padre, Otto Frank, insieme a un’altra famiglia ebraica per evitare di essere catturata e finire in un campo di concentramento. E così per due anni Anne continuerà a scrivere in cattività le pagine del suo diario, iniziando a rivolgersi a lui chiamandolo Kitty, fingendo che sia il nome di una migliore amica di cui sente la grande mancanza: giorno dopo giorno Anne ci racconta le paure e le speranze, i momenti di angoscia e le esperienze della sua piccola comunità che cerca di resistere in clausura finché non ci sarà più pericolo per loro fuori. Sono particolarmente struggenti le pagine in cui Anne parla del suo desiderio di diventare da grande una scrittrice o una giornalista, criticando le sue composizioni in modo lucidamente implacabile per quanto consapevole di essere dotata di talento . All’inizio del 1944 Anne aveva sentito alla radio il ministro dell’educazione in esilio affermare che tutte le sofferenze vissute dal popolo olandese durante l’occupazione nazista un giorno avrebbero dovuto essere raccolte e pubblicate: così aveva iniziato a ricopiare le lettere della prima stesura del diario correggendole, tagliando le parti meno interessanti, integrando quelle che le parevano meno sviluppate. Il Diario s’interrompe con l’ultima annotazione del 1° agosto 1944: poco dopo i Frank furono catturati dalla Gestapo e deportati nei campi di concentramento nazisti, Anne e la sorella Margot morirono entrambe di tifo a Bergen-Belsen pochi giorni prima della liberazione, come la madre Edith, mentre il padre Otto fu l’unico superstite della Shoah: tornò ad Amsterdam, pubblicò il Diario della figlia minore nel 1947, che divenne in breve un classico della narrativa per ragazzi e del genere autobiografico. L’edizione Einaudi, con prefazione di Eraldo Affinati e con uno scritto di Natalia Ginzburg, propone anche una ricostruzione degli ultimi anni di vita di Anne e della sorella Margot. Si tratta dell’edizione definitiva approvata dall’Anne Frank Fonds. Assolutamente da leggere.

Anne Frank, Diario, Torino, Einaudi, 2014; pp. 359

martedì 2 marzo 2021

FUORI REGISTRO: STARNONE DOCET...

Domenico Starnone, classe 1943, è un insegnante di Lettere delle superiori che ha fatto centro fin dal romanzo d'esordio, Ex cattedra, un libro che raccontava un anno di scuola in un istituto tecnico e che è poi diventato il soggetto del film La scuola di Daniele Luchetti, ovvero la pellicola apripista delle commedie di ambientazione scolastica. I quattordici racconti di Fuori registro approfondiscono le mille idiosincrasie del professore protagonista di Ex cattedra e per certi versi ne costituiscono l'ideale appendice narrativa. L'evidente filo rosso di questi racconti è ovviamente la scuola vista dalla prospettiva dell'autore nonché voce narrante del libro, un docente rimasto intrappolato fin dalla verde età di sei anni nella scuola, dove è entrato alunno per non uscirne più... Quasi naturale in tale situazione ritrovarsi talvolta stralunati insieme a lui, che inseguendo un pensiero si mette a fischiare in classe e finisce per regredire alle esperienze poetiche che la maestra Magliaro soleva infliggergli alle elementari, oppure vivere sulla sua pelle  l'incubo ad occhi aperti di ogni insegnante che finisce in un'aula vuota (dove saranno finiti i suoi alunni, cui peraltro doveva spiegare?), o ancora relazionarsi con studenti che vogliono cambiare sempre il proprio nome, e infine avere a che fare di continuo con studenti dimenticati che tornano ad intermittenza tra i meandri della memoria. Non mancano neppure gli sprazzi di vita scolastica che ogni docente vorrebbe evitare come le riunioni e, soprattutto, i verbali, che toccano sempre all'insegnante di Lettere per una regola non detta (verbali però che sono fatti di parole con cui si può addomesticare la realtà). C'è anche un bel racconto come Le ore, che tratteggia uno struggente ritratto di chi imbriglia il tempo che gli insegnanti passano a scuola, compresi i cosiddetti "buchi", le ore libere tra un'ora di lezione e l'altra. La scuola la fa da padrona, con tutta la magia che questo ambiente in costante degrado, sempre alla ricerca di fondi necessari ma introvabili, ineguagliabile ricettacolo di varia umanità può offrire, magia che Starnone conosce e sa fissare sulla pagina scritta. Assolutamente consigliato.

Domenico Starnone, Fuori registro, Milano, Feltrinelli, 1992; pp. 133

mercoledì 24 febbraio 2021

ESPERIMENTO DI VERITÀ

Da sempre Paul Auster, classe 1947, si è dimostrato uno scrittore capace di cogliere le piccole cose senza importanza che, talvolta, nella vita sogliono ripetersi, cristallizzandosi in coincidenze apparentemente incredibili. Una delle opere più note del narratore newyorchese s’intitolava appunto La musica del caso, ed il suo primo romanzo, Città di vetro (contenuto ne La trilogia di New York) prendeva avvio proprio da un numero di telefono sbagliato, una strana coincidenza che si ripeteva tre volte, trasformando infine un tranquillo autore di gialli in un estemporaneo detective privato. Auster nel corso degli anni ha raccolto gli aneddoti curiosi appresi da amici e da conoscenti (oltre a quelli vissuti in prima persona), fatti forse insignificanti ma che instillano il dubbio che il senso della vita, in qualche modo, sia riposto proprio in questi indecifrabili concorsi di eventi: tutto sta nell’avere l’occhio (e la penna) allenato a coglierli. L’autore americano ha scritto la sua prima raccolta di microracconti, intitolata Il taccuino rosso, nel 1992, aggiungendone in seguito altre tre (ovvero Perché scrivere?, Denuncia di sinistro e Vuol dire niente): le ha poi riunite in questo Esperimento di verità, che per l’appunto, attraverso il fil rouge dei ventiquattro microracconti in esso contenuti, costituisce un esperimento curiosamente affine agli esperimenti canonici di fisica o di chimica. La scommessa di Paul Auster è dimostrare come paradossalmente la realtà di tutti i giorni abbia una sua logica interna ed impenetrabile, a prescindere dai nostri sforzi per razionalizzarla. Qualche esempio per dare meglio l'idea? Pensiamo ad una monetina lanciata dalla finestra che si perde per strada per essere ritrovata più tardi allo stadio (al bisogno, come per magia), o a come possa capitare che un prigioniero in un campo di concentramento ed il suo custode si ritrovino quarant’anni dopo per il matrimonio dei figli, divenendo amici inseparabili, o infine come due amici smettano di vedersi perché le rare volte che s’incontrano forano sempre le gomme dell’automobile. Sarà un caso? Difficile a dirsi, ma Paul Auster a un certo punto ci racconta anche come uno strano scherzo del destino lo abbia privato, quand'era bambino, dell'autografo del suo campione di baseball preferito, così da indurlo a spostarsi sempre con un taccuino e un lapis, per non farsi più sorprendere impreparato... e finendo di fatto per diventare uno scrittore. Nella riedizione del 2005 l'Einaudi ha rimaneggiato la raccolta con il proverbiale tocco di classe in più aggiungendo anche uno dei racconti più indimenticabili dell'autore newyorchese, apparso per la prima volta nella sceneggiatura di Smoke: si tratta di uno dei più formidabili racconti di Natale di sempre, ovvero Il racconto di Natale di Auggie Wren, ambientato ovviamente nella festa tradizionale più amata ma riletta da una prospettiva originale ed indimenticabile. Tutto questo rende questa raccolta di racconti che non arriva neanche a cento pagine un'esperienza narrativa semplicemente unica, un piccolo gioiello, insomma...

Paul Auster, Esperimento di verità, Torino, Einaudi, 2005; pp. 97

martedì 23 febbraio 2021

BREVE STORIA DEL MONDO: GOMBRICH RACCONTA...

Ernst H. Gombrich (1909-2001), critico d'arte di fama mondiale di origini viennesi, in questo libro scritto in età giovanile si cimenta nell'impresa, davvero ardua, di raccontare la storia del mondo dall'età della pietra ai giorni nostri condensandola in un volume di poco più di trecento pagine. La Breve storia del mondo nasce dichiaratamente come un libro diretto ad un pubblico appartenente all'infanzia e alla prima adolescenza, ed è dettato dalla ferma convinzione dell'autore «che si possa esprimere qualsiasi concetto con un linguaggio semplice e comprensibile anche da un bambino» - convinzione peraltro confermata dalla scrittura semplice e discorsiva usata da Gombrich anche nei suoi saggi critici -. L'autore, nei quaranta capitoli che compongono questa escursione storica ad ampio spettro dalla Preistoria ai giorni nostri, oltre a fatti e personaggi non trascura di illustrare scoperte, invenzioni, mutamenti sociali, svariando con la stessa consueta trasparenza dall'intuizione dell'alfabeto alle armi atomiche. L'afflato è intrigante e felicemente didascalico: sfogliando le pagine si ha la sensazione di sentirsi raccontare la storia da una sorta di vecchio zio che ne ha viste tante più di noi e vuole aiutarci ad entrare nelle complesse pieghe della realtà cercando di semplificarla a nostro uso e consumo. Assolutamente da provare e il consiglio è di mettere l'autore alla prova "assaporando" i periodi storici più complessi.

Ernst H. Gombrich, Breve storia del mondo, Firenze, Salani, 2006; pp. 332

ULTIMO VIENE IL CORVO

Si tratta di una raccolta di racconti del 1949 di Italo Calvino, raccolta che prende il titolo dal racconto Ultimo viene il corvo, già pubblicato sulle pagine del quotidiano "L'Unità" (dei trenta racconti solo sette erano inediti nella prima edizione). Nelle edizioni successive della raccolta la lista dei racconti è stata cambiata ma da quella del 1976 la prima è stata recuperata ed è diventata quella definitiva. Non esiste un filo rosso in grado di collegare tutti i racconti, che si possono suddividere in tre filoni: il primo è caratterizzato dall'ambientazione nel periodo della Resistenza - che Calvino visse in prima persona e che ha riversato nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, il romanzo apripista della cosiddetta narrativa di Resistenza -, il secondo vede protagonisti vari esempi picareschi di un'umanità semplice e animata da desideri basici, mentre il terzo ha un taglio più autobiografico ed è ispirato all'infanzia dell'autore in Liguria. Il raccolto ovviamente più riuscito della raccolta è quello che le presta il titolo, Ultimo viene il corvo, che ha come protagonista un ragazzino letteralmente fulminato dalla scoperta del fucile, con cui si dimostra un infallibile cecchino, capace di colpire oggetti molto distanti e perfino in movimento. Sembrerebbe una normale storia di partigiani, invece Calvino tratteggia un ragazzino che è stato affascinato dalla capacità dell'arma da fuoco di azzerare le distanze, come una sorta di magia: l'occhio vede distanti i bersagli, che l'aria separa dall'occhio, ma la pressione sul grilletto consente di dimostrare che si tratta di un'illusione, svelata appunto dal fucile. Nel simbolico finale il ragazzino protagonista costringerà dietro un masso in mezzo a una radura circondata dal bosco un soldato tedesco: si tratta di un luogo di passo per uccelli, che il ragazzino si mette ad abbattere assecondando il suo desiderio di centrare bersagli, finché in cielo apparirà un sinistro corvo che comincerà a stringersi in cerchi concentrici sempre più stretti... Da segnalare, per quanto concerne la seconda tipologia, Furto in una pasticceria (che è finito sul grande schermo sia ne I soliti ignoti di Mario Monicelli che in Palookaville), mentre per la terza è d'obbligo ricordare Un bastimento carico di granchi. Assolutamente da non perdere, come la maggior parte della produzione narrativa di Italo Calvino.

Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, Milano, Mondadori, 2016; pp. 230

venerdì 29 gennaio 2021

SE QUESTO È UN UOMO...

Il classico italiano per eccellenza della vasta letteratura relativa ai campi di sterminio nazisti attivi durante il secondo conflitto mondiale è senza alcuna ombra di dubbio Se questo è un uomo di Primo Levi (1919-1987), uscito senza clamori per la prima volta nel 1947, accolto nella collana einaudiana “Saggi” nel 1958 e da quel momento continuamente ristampato e tradotto con successo in tutto il mondo. Il libro dello scrittore torinese – autore peraltro de I sommersi e i salvati, La tregua e dell’antologia I racconti – è un romanzo autobiografico, una sorta di narrazione-testimonianza sulla drammatica realtà dei lager raccontata dalla prospettiva di una delle vittime, ovvero lo stesso Levi, uno dei pochi Ebrei che riuscirono a scampare al loro ineluttabile destino di morte. Nella presentazione l’autore torinese spiega che la genesi di Se questo è un uomo non va ricercata nell’esigenza di «formulare nuovi capi d’accusa» ai danni dei persecutori nazisti, quanto invece con la volontà di «fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano» ed in particolare per soddisfare la necessità di raccontare agli altri un’esperienza straordinaria nel suo essere estrema, feroce e brutale, dunque da ricordare per sempre ad eterno monito di cosa gli esseri umani sono stati in grado di fare, spesso consapevolmente, ai propri simili. Levi comincia a raccontarci la sua discesa agli inferi dall’inizio, spiegandoci le modalità della sua cattura e la partenza su un treno per il trasporto di bestiame con destinazione Auschwitz. Nel secondo capitolo, intitolato “Sul fondo”, l’autore ci racconta il suo approdo nell’abisso del campo di concentramento e la scoperta del micidiale meccanismo che cancellerà la sua identità e calpesterà la sua dignità di essere umano, riducendolo nel breve volgere di poche ore soltanto ad un numero: «ho imparato che io sono uno Häftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro». È soltanto mostrando il proprio numero che si ha diritto al pane ed alla zuppa che consentono di sopravvivere nell’allucinante successione di lavori forzati svolti nelle condizioni più impossibili, cercando ogni volta di restare fuori dall'immancabile selezione delle prossime vittime. Se questo è un uomo si rivela incisivo soprattutto nella ricostruzione del disumano ritmo che regolava le esistenze delle vittime predestinate dei lager: «uscire rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire». Senza nessuna speranza di uscire, cercando semplicemente di resistere il più a lungo possibile, in una galleria di varia umanità che si divide in due categorie, i sommersi ed i salvati, coloro che respirano per forza d’inerzia, ormai completamente cancellati come uomini, e coloro invece che paiono quasi emblematicamente programmati a livello genetico per arrivare al momento della liberazione, che le vittime ad un certo punto sembrano avvertire come imminente ma che sembra non giungere mai. Da segnalare la bellissima poesia che anticipa il libro (nota generalmente come Shema, termine ebraico che significa "ascolta") prescrivendo ai lettori una riflessione sul valore della memoria dell'allucinante vicenda della Shoah. Completano il volume uno scritto di Cesare Segre ed un’incisiva appendice con le risposte dell’autore alle domande ricorrenti cui si è ritrovato a rispondere nei numerosi incontri con gli studenti. Da leggere per non dimenticare… 

Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2008; pp. 213

DAVVERO... UN'OTTIMA IDEA!

L'autore di Che idea! si chiama Christian Hill ed è un ingegnere aeronautico che, dopo la laurea, ha deciso che nella vita non voleva fare ciò per cui aveva studiato ma scrivere, così si è dedicato al giornalismo divulgativo, alla scrittura, alla fotografia e ai giochi. Però gli è rimasto dentro l'amore per gli aerei, quindi ha scritto Il volo dell'asso di picche per la collana "Carta Bianca" dell'Einaudi. Allo stesso modo, essendo in lui innata la passione per la scienza e la tecnologia in lui deve essere innata, ha recentemente deciso di scrivere Che idea! Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, un libro capace di coniugare narrativa breve e invenzioni, dato che raccoglie diciotto racconti dedicati ad altrettante idee che hanno cambiato il mondo, talvolta avviando vere e proprie rivoluzioni: da oggetti entrati nella vita quotidiana come la matita, l’automobile e il forno a microonde, la televisione, il telefono o la bicicletta a materiali che hanno cambiato la civiltà per sempre (come la carta) o sono entrati talmente nell'uso da compromettere l'ambiente (la plastica) o infine a fenomenali intuizioni tecnologiche come i raggi X o il computer. Per ogni storia c'è un background umano che l'autore ricostruisce in modo semplice e coinvolgente, tratteggiando chi c'era dietro il classico urlo di giubilo di ogni inventore - "Eureka!", ovviamente - e come è successo che quell'idea così rivoluzionaria abbia preso forma nella sua mente. Si comincia ai tempi dei Romani nell'80 a.C. con l'invenzione del riscaldamento centralizzato per arrivare alla fine del secolo scorso, quando due tecnici del Cern di Ginevra inventano la scintilla alla base del World Wide Web, creando internet e rivoluzionando il mondo delle telecomunicazioni (e senza guadagnarci un centesimo, per il bene dell'umanità). Contrappuntano il libro le illustrazioni di afflato fumettistico di Giuseppe Ferrario. Da provare: ha un taglio intrigante che catturerà l'attenzione dei lettori (e dei curiosi) di ogni età.

Christian Hill, Che idea! Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, Trieste, Edizioni EL, 2016; pp. 189


lunedì 25 gennaio 2021

CORALINE, UNA FIABA DARK DI NEIL GAIMAN

 

È strano che non sia stato Tim Burton a portare sul grande schermo Coraline di Neil Gaiman, perché il romanzo per ragazzi dai risvolti fiabeschi e dark del grande scrittore e giornalista inglese, già sceneggiatore della serie The Sandman, sarebbe stato davvero perfetto per le corde del regista di Edward mani di forbice Big Fish. Gaiman, classe 1960, ha elaborato un’ambientazione ombrosa e perfetta per Coraline, a partire dall’esotico nome della piccola protagonista, nato da un fortunato errore di battitura - con il più comune Caroline, il nome con cui la chiamano molti dei personaggi del libro -. Coraline è la figlia di due scrittori professionali troppo occupati con i rispettivi computer per badare a lei ed appena approdata in una nuova casa, vecchia, cadente e pure un pochino spettrale. Durante una perlustrazione suggeritale dal padre, la ragazzina conta tredici porte che collegano (come deve essere) le stanze a corridoi o ad altri locali, ma c’è anche la quattordicesima, che non va da nessuna parte: dietro nasconde semplicemente un muro di mattoni. Dietro dovrebbe esserci un appartamento vuoto, ma un giorno Coraline oltre quella porta trova un corridoio che porta ad una casa perfettamente identica alla sua, dove vive una madre simile alla sua, ma non proprio uguale, anche perché ha due bottoni luccicanti (ed ambigui) al posto degli occhi ed un atteggiamento infinitamente più disponibile della sua vera madre. Apparentemente docile ed amorevole, l’altra madre chiede a Coraline di restare con lei in cambio della vita più meravigliosa che potrà immaginare, a patto però che acconsenta a farsi cucire due bottoni al posto degli occhi. Ben presto però l’avveduta protagonista si renderà conto d’essere finita nel bel mezzo della tela di un ragno ombroso ed innaturale, ed a quel punto ogni cosa, da bella che era, comincerà a diventare repellente e minacciosa. Coraline intuisce che dovrà togliersi d’impiccio da sola, fatta eccezione per i consigli di uno strano gatto parlante che pare transitare senza problemi di sorta tra i due mondi. Una storia ricca e di suspense ed altamente simbolica sul superamento delle paure infantili, capace di dimostrare (in ossequio all'epigrafe chestertoniana), più che i draghi esistono, che è possibile sconfiggere i draghi. Coraline è un romanzo a tinte fiabesche e al contempo horror che si legge tutto d’un fiato e talvolta mette pure i brividi con tempi narrativi implacabilmente giusti. Impreziosiscono il tutto le scarne ma incisive illustrazioni di Dave McKean. Imperdibile, ha l'unica pecca di finire troppo presto...

Neil Gaiman, Coraline, Milano, Mondadori, 2009; pp. 184


STEPHEN KING E LA BAMBINA CHE AMAVA TOM GORDON

Nonostante la trama tutto sommato tranquilla per il nume tutelare dell'horror contemporaneo, probabilmente La bambina che amava Tom Gordon è uno dei romanzi più terrificanti di Stephen King, l'indiscusso re del brivido. E questo non tanto per la presenza di elementi sovrannaturali in un contesto complessivamente realistico, quanto per la loro percezione da parte della piccola protagonista, Patricia McFarland, Trisha per gli amici, una ragazzina di nove anni che durante un'escursione perde di vista la madre e il fratello, perdendosi per diversi giorni in una natura incontaminata ma da incubo. Stephen King ci fa vivere in presa diretta la sua paura (in primis di morire da sola), le decisioni da prendere, i morsi della fame, la sua gola riarsa dalla sete, e la sua unica ancora alla civiltà: un walkman che le consentirà di riempire i momenti di maggiore ansia ascoltando via radio le partite dei suoi amati Red Sox e in particolare le gesta sportive del suo giocatore preferito, Tom Gordon, il mitico battitore di chiusura dei Sox. Trisha si ritrova in una situazione a dir poco tragica cercando un momento di pausa nell'infinito battibecco tra la madre e il fratello, che si accorgeranno della sua assenza troppo tardi per fare qualcosa: la ragazzina, infatti, perso ogni punto di riferimento, cercherà di mantenere un tragitto in linea retta, allontanandosi dalla famiglia ed addentrandosi sempre più nel bosco. Dopo l'iniziale scoramento la dinamica Trisha farà appello a tutte le sue forze ed alle sue esili cognizioni di sopravvivenza per tirare avanti, facendosi forza con la presenza immaginaria del 'suo' Tom Gordon, pregando l'entità del cosiddetto Subudibile di cui le ha parlato il padre e cercando di sfuggire ad un'inquietante presenza che parla osservarla di continuo in attesa del momento ideale per un agguato. E oltre a tutto questo Trisha realizza ben presto che per sopravvivere dovrà trovare bacche, felci commestibili e acqua per riempirsi lo stomaco, oltre che ripari improvvisati per superare la notte, sempre costantemente immersa in una nube di fameliche zanzare e fastidiosi moscerini, a spasso per un ambiente selvaggio e a tratti malsano che darà filo da torcere al suo fisico debilitato. King ci porta con straordinaria maestria - e tramite una perfida prolessi nelle prime pagine - nei meandri della mente sempre più scossa di una dinamica ragazzina gettata in una situazione disperata che le farà scoprire senza colpo ferire la crudeltà del mondo fuori dalla sua accogliente cameretta e senza poter confidare sull'amata bambola che ha lasciato dentro l'auto al parcheggio. Da provare: basta concedersi il primo capitolo per trovarsi coinvolti nella vicenda col desiderio di arrivare all'ultimo inning tutto d'un fiato insieme al vecchio, glaciale Tom Gordon. 

Stephen King, La bambina che amava Tom Gordon, Milano, Sperling & Kupfer, 2008; pp. 320

domenica 24 gennaio 2021

ABBIAMO TOCCATO LE STELLE

Genovese, classe 1976, Riccardo Gazzaniga da oltre vent'anni fa parte della Polizia di Stato e nel 2013 si è aggiudicato il premio Calvino con il romanzo A viso coperto. Abbiamo toccato le stelle è un libro che assortisce venti storie di campioni sportivi di quelli che sono riusciti ad andare oltre i limiti della loro disciplina, cambiando in qualche modo il mondo e diventando un esempio per gli altri. In particolare questo libro ha cominciato a nascere dall'ultima delle storie narrate da Gazzaniga, che è stata pubblicata per la prima volta nel profilo Facebook dell'autore nel 2015, che ha entusiasmato lettori in tutto il mondo e che è stata tradotta in dieci lingue: si tratta della storia di Peter Norman, il velocista australiano che arrivò secondo nella finale dei 200 metri alle olimpiadi di Città del Messico del 1968, il terzo sul podio accanto agli americani Tommy Smith e John Carlos, che vinsero l'oro e il bronzo. La foto di quella premiazione è diventata un'icona (Gazzaniga la racconta dettagliatamente nella prima storia del libro): Smith e Carlos sono scalzi sul podio e hanno una mano in un guanto nero in segno di protesta contro le discriminazioni razziali che ancora negli Stati Uniti gli afroamericani sono costretti a subire ogni giorno. La protesta costò caro ai due, che furono espulsi il giorno dopo dal villaggio olimpico con le rispettive carriere sportive praticamente spezzate, costretti a sopravvivere in attesa di una tardiva valorizzazione come tecnici. L'ultima storia ci fa scoprire che fu Peter Norman, l'argento del podio dei 200 metri delle olimpiadi messicane del 1968, a suggerire a Smith e Carlos di dividersi l'unica coppia di guanti disponibile per poi offrirsi di prender parte alla loro protesta, indossando anche lui la spilla dell'associazione dei diritti umani che avevano sulle maglie i due atleti americani. Norman pagò il suo gesto con l'esclusione ingiustificata dalle successive olimpiadi di Monaco 1972, passando la vita senza mai essere valorizzato dalla federazione di atletica australiana, vedendosi riconosciuti i suoi meriti sportivi (e umani) solo dopo la morte. E sono altrettante fonti di ispirazione anche le altre diciotto storie: dal pilota di Formula Uno Alex Zanardi, che perse le gambe e trovò nuove sfide negli sport per disabili, al mitico pugile Muhammad Ali, che fu privato dei suoi titoli dopo aver rifiutato di combattere in Vietnam ma poi se li riprese nell'incontro più leggendario di sempre, dal maratoneta Dorando Petri, che era stremato ma arrivò comunque in fondo alla sua gara, all'indimenticabile Ginettaccio Bartali, campione di ciclismo e (silenzioso) campione di solidarietà durante l'occupazione nazista. Da segnalare anche la bella storia di amicizia che unì nella vita reale due tra le più grandi campionesse della storia del tennis, Martina Navratilova e Chris Evert, e la storia da brividi della nuotatrice libanese Yusra Mardini, costretta a lasciare la sua patria in guerra e scampata per un soffio alla morte per poi partecipare alle olimpiadi come atleta rifugiata. Insomma, Abbiamo toccato le stelle racconta venti bellissime storie di sport e di speranza, peraltro scritte con uno stile diretto ma incisivo e sempre in grado di toccare le corde giuste. Vivamente consigliato per le giovani generazioni, anche per trasmettere l'idea che lo sport non è solo agonismo ma anche un veicolo ideale per i valori più importanti.

Riccardo Gazzaniga, Abbiamo toccato le stelle, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 238

venerdì 15 gennaio 2021

UNA GHOST STORY... SOTTOVOCE

L'ultima fatica della scrittrice e giornalista spezzina Fulvia Degl'Innocenti s'intitola Sottovoce ed è l'ennesimo titolo di una carriera ventennale nell'ambito della narrativa per ragazzi. Si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di formazione che gioca le sue carte migliori nel versante del sovrannaturale e che nella parte conclusiva si trasforma a tutti gli effetti in una tipica ghost story sullo stile di Amabili resti. La storia parte da lontano mostrandoci una strana "dote" della protagonista, Caroline, che emerge nell'infanzia, mentre la bambina sta accompagnando la nonna al cimitero e si accorge, senza essere capace di razionalizzare tale capacità, di riuscire ad avvertire le presenze dei defunti. Crescendo, e passando attraverso la separazione dei genitori, Caroline, ormai adolescente, è costretta a trasferirsi in una nuova casa, in un quartiere diverso da quello in cui ha passato i suoi primi anni: sceglie per sé la stanza più allettante, una mansarda, e comincia ad esplorare la nuova zona, compreso il cimitero abbandonato nei dintorni, si fa anche dei nuovi amici come Ruth e Eddie, un tipo un po' disconnesso appassionato di dietrologia e di storie horror. Qui le strane sensazioni che Caroline sentiva da bambina riaffiorano sotto forma di incubi e diventano un grosso problema, tanto che la madre, che nel frattempo ha perso il lavoro al giornale cittadino, accetta di trasferirsi in provincia per scrivere su un piccolo quotidiano locale. Anche qui  Caroline tornerà ad avvertire voci provenienti dalla dimensione del cosiddetto "invisibile", ma stavolta deciderà di assecondarle e indagare, ritrovandosi invischiata nelle tragiche storie di tre ragazze scomparse nel nulla molti anni prima e di cui le famiglie non hanno saputo più notizie. Riuscirà a risolvere i loro casi, che sembrano misteriosamente intrecciati? Forse, e, magari anche rischiando in prima persona per trovare il colpevole... Sottovoce in ossequio al titolo si rivela una storia di formazione a tinte paranormali che inizia a scavare come una piccola goccia nell'orizzonte d'attesa del lettore, con una sequenza di piccole esperienze apparentemente senza importanza che, col passare delle pagine, diventeranno sempre più inquietanti, fino a farci sprofondare in un vero e proprio thriller adolescenziale sospeso tra sprazzi di cronaca nera e una serie di inspiegabili SOS dall'oltretomba. Un bel romanzo per ragazzi che si fa leggere tutto d'un fiato, insomma... 

Fulvia Degl'Innocenti, Sottovoce, Milano, Pelledoca, 2020; pp. 143

giovedì 14 gennaio 2021

VAI ALL'INFERNO, DANTE!

Non è certo un giornalista sportivo come tutti gli altri, Luigi Garlando, classe 1962, una delle migliori firme della "Gazzetta dello Sport" e da anni convincente autore di narrativa per ragazzi con titoli come Per questo mi chiamo Giovanni o la popolare serie Gol! della Piemme. L'ultima fatica di Garlando s’intitola Vai all’Inferno, Dante! e prende ispirazione dal suo hobby di collezionare edizioni della Commedia di Dante in tutte le nazioni dove gli capita di viaggiare. Il protagonista del romanzo si chiama Vasco, rampollo quattordicenne della nobile e antica famiglia fiorentina dei Guidobaldi, che vive in una splendida magione cinquecentesca, la Gagliarda, e vanta pure un antenato che ha combattuto nelle Crociate. Il buon Vasco però non si può certo definire un ragazzo esemplare: frequenta con scarso impegno la terza media (per la seconda volta), non ha il benché minimo rispetto per i suoi prof e si diletta facendo scherzi riprovevoli al malcapitato di turno insieme ad amici della sua stessa risma. Apparentemente il suo unico pregio è quello di essere un imbattibile giocatore di Fortnite (non proprio il videogame più istruttivo del pianeta) seguito da cinquantamila followers e con la prospettiva di diventare un gamer professionista. Le cose si complicano quando, in procinto di ottenere l'ennesima Vittoria Reale, trova sulla sua strada un avversario che si chiama Dante, porta il classico copricapo dell'autore della Divina Commedia e parla pure in versi... Il buon Vasco, umiliato in diretta YouTube, medita vendetta finché non gli capita d'incontrare in carne ed ossa la sua nuova nemesi, che sembra veramente Dante Alighieri, si esprime esclusivamente attraverso terzine di endecasillabi e per giunta afferma d'essere stato rimandato nel mondo terreno per togliere il buon Vasco dalla selva oscura esistenziale da cui non il ragazzo non pare capace di tirarsi fuori. Sì, in effetti una storia che assomiglia parecchio a quella raccontata nel suo divino poema... Fatto sta che da questo momento Vai all'Inferno, Dante! inizia a proporre al lettore invenzioni a ripetizione: un rapper ecologista e un rapper commerciale che sogna di smetterla per dedicarsi all'apicoltura, un sogno sportivo impossibile come la Fiorentina che contende lo scudetto alla Juve, la scoperta della solidarietà (al Meyer di Firenze, of course), tanti sprazzi videoludici e un lutto mai superato. Insomma, per un terzo del romanzo Garlando ci fa indignare con le perfide marachelle di un bad boy della Firenze dei giorni nostri, poi nel resto della storia ci intriga con una metamorfosi esistenziale apparentemente impossibile. Il romanzo convince anche per la felicità delle invenzioni linguistiche, non soltanto a livello di endecasillabi ma anche sul versante dello slang giovanile tra social e videogames. Risultato: cinquecento pagine che volano via, e non è mica poco…

Luigi Garlando, Vai all'Inferno, Dante!, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 503

mercoledì 13 gennaio 2021

NEXT, PICCOLO LIBRO SULLA GLOBALIZZAZIONE

Il sottotitolo di Next definisce questo lavoro di Alessandro Baricco come un “piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà” ma, più che dirci quale esattamente sia il significato (o i molteplici significati) del suo oggetto di ricerca, lo scrittore torinese con molta umiltà cerca di capire (lui per primo) origini, dimensione, portata ed aspetti nascosti del fenomeno. Il volume raccoglie quattro lunghi articoli dedicati al tema della globalizzazione, scritti dall’autore di Oceano mare, Seta e City all’indomani dei tragici fatti del G8 di Genova, pubblicati su “Repubblica” e riediti appunto in Next con qualche rimaneggiamento e l’aggiunta di un’interessante sezione finale di bonus tracks, una sorta di note di approfondimento per capire meglio il suo complesso oggetto di ricerca. Baricco, classe 1958, si è avvicinato ad una delle tematiche più dibattute del momento con lo stato d’animo di chi, come molti altri, ha trascurato la globalizzazione e gli argomenti ad essa correlati e, dopo la scossa emotiva di quella tragedia, ha avvertito un colpevole disagio, scegliendo di tentare almeno di tratteggiare i contorni del complesso fenomeno, perché non è mai troppo tardi per provarci. Il libro, oltre ad un successo di pubblico superiore alle aspettative, ha innescato molte polemiche a livello critico, ma è doveroso riconoscere a Baricco di aver dato un lodevole esempio di onestà intellettuale: Next affronta il tema di riferimento dall’ottica del neofita dichiarato e preoccupato di inquadrare il problema nei giusti termini, facendo chiarezza sui propri dubbi in proposito. A prescindere dall’assoluto rigore dei concetti che Baricco va enucleando pagina dopo pagina, l’interesse del volume è risposto forse proprio nel suo metodo di ricerca, caratterizzato da un linguaggio scarno ed essenziale, non tanto per il vezzo di svelare ardue verità ad un pubblico di non iniziati, quanto invece perché, affrontando un campo a lui stesso non congeniale, è l’autore stesso a sentire il bisogno di procedere fissando concetti base: alla fine, esaurito questo percorso maieutico, più che il tragitto, si ricorda appunto il metodo dell’approccio utilizzato, la via indicata, insomma. La rotta d’avvicinamento scelta da Baricco punta sui numerosi pseudo-dogmi circolanti in materia di globalizzazione – gli isolatissimi monaci tibetani che navigano su Internet, la Coca Cola o le Nike che si trovano ovunque, la possibilità di comprare azioni online o qualunque altra cosa – per smontarli uno ad uno e chiedersi: se in fondo pochissimi acquistavano libri o titoli in rete, se i monaci tibetani non erano affatto netsurfers, se in India la Coca Cola si trova, ma solo a beneficio dei turisti o dei ricchi locali, allora perché c’era bisogno di veicolare simili informazioni? Perché dare l’idea che la globalizzazione fosse l’ultima frontiera, il futuro che è già qui, ciò da cui non si può più prescindere? Forse perché la proiezione fantastica di nuove sterminate frontiere economiche, se considerata reale, finirà per divenire reale ed indispensabile. Il progresso è stato finanziato dai detentori dei grossi capitali, desiderosi di creare una nuova frontiera, gli artefici del treno diretto verso l’ultimo West possibile, ovvero il West virtuale. Chiaramente i costi umani fanno parte del gioco ed il progresso, la cosiddetta Best Next Thing, implica vittime sacrificabili: secondo Baricco i no-global sono quei pionieri del nuovo millennio saltati giù dal treno perché si erano accorti che la meta non era più eticamente condivisibile. 

Alessandro Baricco, Next, Milano, Feltrinelli, 2002; pp. 90 


 

sabato 9 gennaio 2021

BENIGNI E IL "SUO" DANTE

 

È un tipo di libro che potremmo definire ingenerosamente... pleonastico, Il mio Dante di Roberto Benigni, per dire in modo molto educato che avrebbe potuto farne a meno. È peraltro un libro che neppure lui stesso pensava di scrivere, ma che gli è stato suggerito, per così dire, dall’editore Einaudi, pensato e concepito per la fortunata collana “Stile Libero” e poi felicemente riedito in quella altrettanto fortunata degli "Einaudi Tascabili". Un'operazione dichiaratamente commerciale, insomma... Ma è anche vero che si tratta di un volumetto intrigante e molto gradevole da sfogliare, che sfodera un breve ma arguto scritto introduttivo nientemeno che del professor Umberto Eco, più una corposa ma agile presentazione che Benigni ha fatto distillando il succo delle sue fortunatissime Lecturae Dantis portate con successo in giro per l’Italia e capaci di ottenere incredibili indici d’ascolto anche sul piccolo schermo, emozionando il pubblico con un argomento non immediato come la Divina Commedia del sommo Dante Alighieri. Anche sulla pagina scritta si evince infatti il grande entusiasmo, l’efficacia didattica e l’immediatezza che Benigni ha mostrato a meraviglia sul palcoscenico, facendoci anche sorridere ma senza trascurare le spiegazioni lessicali, gli accenti, le figure retoriche, i motivi, le storie ed i personaggi dei canti affrontati volta per volta. Già, perché, oltre che attore da Oscar, regista ispirato, comico prodigioso, enigmista per diletto, Roberto Benigni è indubbiamente anche un raffinato ed atipico esempio di intellettuale, dotato tra l’altro di una rara capacità divulgativa anche relativamente a materie di solito ostiche da trattare ma che diventano fruibili e godibili grazie al suo stile leggero e rigoroso al tempo stesso. Con i tempi che corrono c'è davvero da tenerselo stretto un personaggio così... A corredo del volume figurano in versione integrale i tredici canti della Divina Commedia che Roberto Benigni ha trattato nel suo spettacolo e l'intrigante genesi del progetto "TuttoDante" raccontata da Valentina Pattavina. Insomma, un libro non indispensabile ma vivamente consigliato, soprattutto per i neofiti della Commedia

Roberto Benigni, Il mio Dante, Torino, Einaudi, 2010; pp. 147


venerdì 8 gennaio 2021

DANTE E IL CIRCOLO SEGRETO DEI POETI

Un romanzo per ragazzi su Dante? Una sfida difficile sulla carta, ma Silvia Vecchini, una scrittrice specializzata nella narrativa per adolescenti, è riuscita a vincerla con Dante e il circolo segreto dei poeti. La storia si apre ovviamente a Firenze, nel lontano 1277, quando il futuro autore della Divina Commedia ha appena dodici anni e coltiva un paio di sogni di quelli davvero importanti: il primo è diventare un poeta celebre al pari del grande Virgilio o almeno quanto Guido Cavalcanti, un giovane letterato che si è già fatto notare a livello cittadino con le sue rime, mentre il secondo è conoscere Beatrice, una ragazza a cui non riesce a smettere di pensare da quando l'ha vista per la prima volta. Tutto procede in modo apparentemente normale nella vita del giovane Dante, che passa le sue giornate per le vie di Firenze in compagnia dell'amico Lapo Gianni, suo coetaneo, a sognare un futuro ben diverso da quello che Alighiero immagina per lui. Un'improvvisa svolta sembra arrivare quando Guido Cavalcanti offre a Dante di entrare in un circolo segreto di poeti, ma prima di coronare questo sogno il nostro eroe dovrà arrovellarsi non poco per risolvere un intrigo davvero pericoloso, oltre che superare tre prove apparentemente proibitive, ma c'è da immaginarsi che il futuro autore della Vita Nova e della Commedia riuscirà senz'altro a superarle... Dante e il circolo segreto dei poeti cattura l'attenzione fin dalle prime pagine, che ci mostrano il nostro giovane eroe mentre scorrazza per le vie del centro storico fiorentino per riuscire a vedere anche per pochi secondi il suo oggetto d'amore, Beatrice, finendo per scontrarsi col cattivo della storia, il violento Corso Donati, e vivere una brutta disavventura. Nel prosieguo la trama scorre sui due binari paralleli dei sogni danteschi cui si alludeva in apertura, lasciando il lettore col fiato in sospeso fino all'immancabile happy ending, che arriva in modalità intriganti e affatto scontate. Assolutamente da leggere per un approccio atipico col più grande poeta della letteratura italiana... quando ancora doveva diventarlo. Il libro fa parte della collana "Sì, io sono", che propone romanzi per romanzi ispirati alle biografie giovanili di celebri personaggi del mondo dell'arte, della scienza e della letteratura.

Silvia Vecchini, Dante e il circolo segreto dei poeti, Roma, Lapis Edizioni, 2010; pp. 

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...