venerdì 29 gennaio 2021

SE QUESTO È UN UOMO...

Il classico italiano per eccellenza della vasta letteratura relativa ai campi di sterminio nazisti attivi durante il secondo conflitto mondiale è senza alcuna ombra di dubbio Se questo è un uomo di Primo Levi (1919-1987), uscito senza clamori per la prima volta nel 1947, accolto nella collana einaudiana “Saggi” nel 1958 e da quel momento continuamente ristampato e tradotto con successo in tutto il mondo. Il libro dello scrittore torinese – autore peraltro de I sommersi e i salvati, La tregua e dell’antologia I racconti – è un romanzo autobiografico, una sorta di narrazione-testimonianza sulla drammatica realtà dei lager raccontata dalla prospettiva di una delle vittime, ovvero lo stesso Levi, uno dei pochi Ebrei che riuscirono a scampare al loro ineluttabile destino di morte. Nella presentazione l’autore torinese spiega che la genesi di Se questo è un uomo non va ricercata nell’esigenza di «formulare nuovi capi d’accusa» ai danni dei persecutori nazisti, quanto invece con la volontà di «fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano» ed in particolare per soddisfare la necessità di raccontare agli altri un’esperienza straordinaria nel suo essere estrema, feroce e brutale, dunque da ricordare per sempre ad eterno monito di cosa gli esseri umani sono stati in grado di fare, spesso consapevolmente, ai propri simili. Levi comincia a raccontarci la sua discesa agli inferi dall’inizio, spiegandoci le modalità della sua cattura e la partenza su un treno per il trasporto di bestiame con destinazione Auschwitz. Nel secondo capitolo, intitolato “Sul fondo”, l’autore ci racconta il suo approdo nell’abisso del campo di concentramento e la scoperta del micidiale meccanismo che cancellerà la sua identità e calpesterà la sua dignità di essere umano, riducendolo nel breve volgere di poche ore soltanto ad un numero: «ho imparato che io sono uno Häftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro». È soltanto mostrando il proprio numero che si ha diritto al pane ed alla zuppa che consentono di sopravvivere nell’allucinante successione di lavori forzati svolti nelle condizioni più impossibili, cercando ogni volta di restare fuori dall'immancabile selezione delle prossime vittime. Se questo è un uomo si rivela incisivo soprattutto nella ricostruzione del disumano ritmo che regolava le esistenze delle vittime predestinate dei lager: «uscire rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire». Senza nessuna speranza di uscire, cercando semplicemente di resistere il più a lungo possibile, in una galleria di varia umanità che si divide in due categorie, i sommersi ed i salvati, coloro che respirano per forza d’inerzia, ormai completamente cancellati come uomini, e coloro invece che paiono quasi emblematicamente programmati a livello genetico per arrivare al momento della liberazione, che le vittime ad un certo punto sembrano avvertire come imminente ma che sembra non giungere mai. Da segnalare la bellissima poesia che anticipa il libro (nota generalmente come Shema, termine ebraico che significa "ascolta") prescrivendo ai lettori una riflessione sul valore della memoria dell'allucinante vicenda della Shoah. Completano il volume uno scritto di Cesare Segre ed un’incisiva appendice con le risposte dell’autore alle domande ricorrenti cui si è ritrovato a rispondere nei numerosi incontri con gli studenti. Da leggere per non dimenticare… 

Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2008; pp. 213

DAVVERO... UN'OTTIMA IDEA!

L'autore di Che idea! si chiama Christian Hill ed è un ingegnere aeronautico che, dopo la laurea, ha deciso che nella vita non voleva fare ciò per cui aveva studiato ma scrivere, così si è dedicato al giornalismo divulgativo, alla scrittura, alla fotografia e ai giochi. Però gli è rimasto dentro l'amore per gli aerei, quindi ha scritto Il volo dell'asso di picche per la collana "Carta Bianca" dell'Einaudi. Allo stesso modo, essendo in lui innata la passione per la scienza e la tecnologia in lui deve essere innata, ha recentemente deciso di scrivere Che idea! Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, un libro capace di coniugare narrativa breve e invenzioni, dato che raccoglie diciotto racconti dedicati ad altrettante idee che hanno cambiato il mondo, talvolta avviando vere e proprie rivoluzioni: da oggetti entrati nella vita quotidiana come la matita, l’automobile e il forno a microonde, la televisione, il telefono o la bicicletta a materiali che hanno cambiato la civiltà per sempre (come la carta) o sono entrati talmente nell'uso da compromettere l'ambiente (la plastica) o infine a fenomenali intuizioni tecnologiche come i raggi X o il computer. Per ogni storia c'è un background umano che l'autore ricostruisce in modo semplice e coinvolgente, tratteggiando chi c'era dietro il classico urlo di giubilo di ogni inventore - "Eureka!", ovviamente - e come è successo che quell'idea così rivoluzionaria abbia preso forma nella sua mente. Si comincia ai tempi dei Romani nell'80 a.C. con l'invenzione del riscaldamento centralizzato per arrivare alla fine del secolo scorso, quando due tecnici del Cern di Ginevra inventano la scintilla alla base del World Wide Web, creando internet e rivoluzionando il mondo delle telecomunicazioni (e senza guadagnarci un centesimo, per il bene dell'umanità). Contrappuntano il libro le illustrazioni di afflato fumettistico di Giuseppe Ferrario. Da provare: ha un taglio intrigante che catturerà l'attenzione dei lettori (e dei curiosi) di ogni età.

Christian Hill, Che idea! Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, Trieste, Edizioni EL, 2016; pp. 189


lunedì 25 gennaio 2021

CORALINE, UNA FIABA DARK DI NEIL GAIMAN

 

È strano che non sia stato Tim Burton a portare sul grande schermo Coraline di Neil Gaiman, perché il romanzo per ragazzi dai risvolti fiabeschi e dark del grande scrittore e giornalista inglese, già sceneggiatore della serie The Sandman, sarebbe stato davvero perfetto per le corde del regista di Edward mani di forbice Big Fish. Gaiman, classe 1960, ha elaborato un’ambientazione ombrosa e perfetta per Coraline, a partire dall’esotico nome della piccola protagonista, nato da un fortunato errore di battitura - con il più comune Caroline, il nome con cui la chiamano molti dei personaggi del libro -. Coraline è la figlia di due scrittori professionali troppo occupati con i rispettivi computer per badare a lei ed appena approdata in una nuova casa, vecchia, cadente e pure un pochino spettrale. Durante una perlustrazione suggeritale dal padre, la ragazzina conta tredici porte che collegano (come deve essere) le stanze a corridoi o ad altri locali, ma c’è anche la quattordicesima, che non va da nessuna parte: dietro nasconde semplicemente un muro di mattoni. Dietro dovrebbe esserci un appartamento vuoto, ma un giorno Coraline oltre quella porta trova un corridoio che porta ad una casa perfettamente identica alla sua, dove vive una madre simile alla sua, ma non proprio uguale, anche perché ha due bottoni luccicanti (ed ambigui) al posto degli occhi ed un atteggiamento infinitamente più disponibile della sua vera madre. Apparentemente docile ed amorevole, l’altra madre chiede a Coraline di restare con lei in cambio della vita più meravigliosa che potrà immaginare, a patto però che acconsenta a farsi cucire due bottoni al posto degli occhi. Ben presto però l’avveduta protagonista si renderà conto d’essere finita nel bel mezzo della tela di un ragno ombroso ed innaturale, ed a quel punto ogni cosa, da bella che era, comincerà a diventare repellente e minacciosa. Coraline intuisce che dovrà togliersi d’impiccio da sola, fatta eccezione per i consigli di uno strano gatto parlante che pare transitare senza problemi di sorta tra i due mondi. Una storia ricca e di suspense ed altamente simbolica sul superamento delle paure infantili, capace di dimostrare (in ossequio all'epigrafe chestertoniana), più che i draghi esistono, che è possibile sconfiggere i draghi. Coraline è un romanzo a tinte fiabesche e al contempo horror che si legge tutto d’un fiato e talvolta mette pure i brividi con tempi narrativi implacabilmente giusti. Impreziosiscono il tutto le scarne ma incisive illustrazioni di Dave McKean. Imperdibile, ha l'unica pecca di finire troppo presto...

Neil Gaiman, Coraline, Milano, Mondadori, 2009; pp. 184


STEPHEN KING E LA BAMBINA CHE AMAVA TOM GORDON

Nonostante la trama tutto sommato tranquilla per il nume tutelare dell'horror contemporaneo, probabilmente La bambina che amava Tom Gordon è uno dei romanzi più terrificanti di Stephen King, l'indiscusso re del brivido. E questo non tanto per la presenza di elementi sovrannaturali in un contesto complessivamente realistico, quanto per la loro percezione da parte della piccola protagonista, Patricia McFarland, Trisha per gli amici, una ragazzina di nove anni che durante un'escursione perde di vista la madre e il fratello, perdendosi per diversi giorni in una natura incontaminata ma da incubo. Stephen King ci fa vivere in presa diretta la sua paura (in primis di morire da sola), le decisioni da prendere, i morsi della fame, la sua gola riarsa dalla sete, e la sua unica ancora alla civiltà: un walkman che le consentirà di riempire i momenti di maggiore ansia ascoltando via radio le partite dei suoi amati Red Sox e in particolare le gesta sportive del suo giocatore preferito, Tom Gordon, il mitico battitore di chiusura dei Sox. Trisha si ritrova in una situazione a dir poco tragica cercando un momento di pausa nell'infinito battibecco tra la madre e il fratello, che si accorgeranno della sua assenza troppo tardi per fare qualcosa: la ragazzina, infatti, perso ogni punto di riferimento, cercherà di mantenere un tragitto in linea retta, allontanandosi dalla famiglia ed addentrandosi sempre più nel bosco. Dopo l'iniziale scoramento la dinamica Trisha farà appello a tutte le sue forze ed alle sue esili cognizioni di sopravvivenza per tirare avanti, facendosi forza con la presenza immaginaria del 'suo' Tom Gordon, pregando l'entità del cosiddetto Subudibile di cui le ha parlato il padre e cercando di sfuggire ad un'inquietante presenza che parla osservarla di continuo in attesa del momento ideale per un agguato. E oltre a tutto questo Trisha realizza ben presto che per sopravvivere dovrà trovare bacche, felci commestibili e acqua per riempirsi lo stomaco, oltre che ripari improvvisati per superare la notte, sempre costantemente immersa in una nube di fameliche zanzare e fastidiosi moscerini, a spasso per un ambiente selvaggio e a tratti malsano che darà filo da torcere al suo fisico debilitato. King ci porta con straordinaria maestria - e tramite una perfida prolessi nelle prime pagine - nei meandri della mente sempre più scossa di una dinamica ragazzina gettata in una situazione disperata che le farà scoprire senza colpo ferire la crudeltà del mondo fuori dalla sua accogliente cameretta e senza poter confidare sull'amata bambola che ha lasciato dentro l'auto al parcheggio. Da provare: basta concedersi il primo capitolo per trovarsi coinvolti nella vicenda col desiderio di arrivare all'ultimo inning tutto d'un fiato insieme al vecchio, glaciale Tom Gordon. 

Stephen King, La bambina che amava Tom Gordon, Milano, Sperling & Kupfer, 2008; pp. 320

domenica 24 gennaio 2021

ABBIAMO TOCCATO LE STELLE

Genovese, classe 1976, Riccardo Gazzaniga da oltre vent'anni fa parte della Polizia di Stato e nel 2013 si è aggiudicato il premio Calvino con il romanzo A viso coperto. Abbiamo toccato le stelle è un libro che assortisce venti storie di campioni sportivi di quelli che sono riusciti ad andare oltre i limiti della loro disciplina, cambiando in qualche modo il mondo e diventando un esempio per gli altri. In particolare questo libro ha cominciato a nascere dall'ultima delle storie narrate da Gazzaniga, che è stata pubblicata per la prima volta nel profilo Facebook dell'autore nel 2015, che ha entusiasmato lettori in tutto il mondo e che è stata tradotta in dieci lingue: si tratta della storia di Peter Norman, il velocista australiano che arrivò secondo nella finale dei 200 metri alle olimpiadi di Città del Messico del 1968, il terzo sul podio accanto agli americani Tommy Smith e John Carlos, che vinsero l'oro e il bronzo. La foto di quella premiazione è diventata un'icona (Gazzaniga la racconta dettagliatamente nella prima storia del libro): Smith e Carlos sono scalzi sul podio e hanno una mano in un guanto nero in segno di protesta contro le discriminazioni razziali che ancora negli Stati Uniti gli afroamericani sono costretti a subire ogni giorno. La protesta costò caro ai due, che furono espulsi il giorno dopo dal villaggio olimpico con le rispettive carriere sportive praticamente spezzate, costretti a sopravvivere in attesa di una tardiva valorizzazione come tecnici. L'ultima storia ci fa scoprire che fu Peter Norman, l'argento del podio dei 200 metri delle olimpiadi messicane del 1968, a suggerire a Smith e Carlos di dividersi l'unica coppia di guanti disponibile per poi offrirsi di prender parte alla loro protesta, indossando anche lui la spilla dell'associazione dei diritti umani che avevano sulle maglie i due atleti americani. Norman pagò il suo gesto con l'esclusione ingiustificata dalle successive olimpiadi di Monaco 1972, passando la vita senza mai essere valorizzato dalla federazione di atletica australiana, vedendosi riconosciuti i suoi meriti sportivi (e umani) solo dopo la morte. E sono altrettante fonti di ispirazione anche le altre diciotto storie: dal pilota di Formula Uno Alex Zanardi, che perse le gambe e trovò nuove sfide negli sport per disabili, al mitico pugile Muhammad Ali, che fu privato dei suoi titoli dopo aver rifiutato di combattere in Vietnam ma poi se li riprese nell'incontro più leggendario di sempre, dal maratoneta Dorando Petri, che era stremato ma arrivò comunque in fondo alla sua gara, all'indimenticabile Ginettaccio Bartali, campione di ciclismo e (silenzioso) campione di solidarietà durante l'occupazione nazista. Da segnalare anche la bella storia di amicizia che unì nella vita reale due tra le più grandi campionesse della storia del tennis, Martina Navratilova e Chris Evert, e la storia da brividi della nuotatrice libanese Yusra Mardini, costretta a lasciare la sua patria in guerra e scampata per un soffio alla morte per poi partecipare alle olimpiadi come atleta rifugiata. Insomma, Abbiamo toccato le stelle racconta venti bellissime storie di sport e di speranza, peraltro scritte con uno stile diretto ma incisivo e sempre in grado di toccare le corde giuste. Vivamente consigliato per le giovani generazioni, anche per trasmettere l'idea che lo sport non è solo agonismo ma anche un veicolo ideale per i valori più importanti.

Riccardo Gazzaniga, Abbiamo toccato le stelle, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 238

venerdì 15 gennaio 2021

UNA GHOST STORY... SOTTOVOCE

L'ultima fatica della scrittrice e giornalista spezzina Fulvia Degl'Innocenti s'intitola Sottovoce ed è l'ennesimo titolo di una carriera ventennale nell'ambito della narrativa per ragazzi. Si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di formazione che gioca le sue carte migliori nel versante del sovrannaturale e che nella parte conclusiva si trasforma a tutti gli effetti in una tipica ghost story sullo stile di Amabili resti. La storia parte da lontano mostrandoci una strana "dote" della protagonista, Caroline, che emerge nell'infanzia, mentre la bambina sta accompagnando la nonna al cimitero e si accorge, senza essere capace di razionalizzare tale capacità, di riuscire ad avvertire le presenze dei defunti. Crescendo, e passando attraverso la separazione dei genitori, Caroline, ormai adolescente, è costretta a trasferirsi in una nuova casa, in un quartiere diverso da quello in cui ha passato i suoi primi anni: sceglie per sé la stanza più allettante, una mansarda, e comincia ad esplorare la nuova zona, compreso il cimitero abbandonato nei dintorni, si fa anche dei nuovi amici come Ruth e Eddie, un tipo un po' disconnesso appassionato di dietrologia e di storie horror. Qui le strane sensazioni che Caroline sentiva da bambina riaffiorano sotto forma di incubi e diventano un grosso problema, tanto che la madre, che nel frattempo ha perso il lavoro al giornale cittadino, accetta di trasferirsi in provincia per scrivere su un piccolo quotidiano locale. Anche qui  Caroline tornerà ad avvertire voci provenienti dalla dimensione del cosiddetto "invisibile", ma stavolta deciderà di assecondarle e indagare, ritrovandosi invischiata nelle tragiche storie di tre ragazze scomparse nel nulla molti anni prima e di cui le famiglie non hanno saputo più notizie. Riuscirà a risolvere i loro casi, che sembrano misteriosamente intrecciati? Forse, e, magari anche rischiando in prima persona per trovare il colpevole... Sottovoce in ossequio al titolo si rivela una storia di formazione a tinte paranormali che inizia a scavare come una piccola goccia nell'orizzonte d'attesa del lettore, con una sequenza di piccole esperienze apparentemente senza importanza che, col passare delle pagine, diventeranno sempre più inquietanti, fino a farci sprofondare in un vero e proprio thriller adolescenziale sospeso tra sprazzi di cronaca nera e una serie di inspiegabili SOS dall'oltretomba. Un bel romanzo per ragazzi che si fa leggere tutto d'un fiato, insomma... 

Fulvia Degl'Innocenti, Sottovoce, Milano, Pelledoca, 2020; pp. 143

giovedì 14 gennaio 2021

VAI ALL'INFERNO, DANTE!

Non è certo un giornalista sportivo come tutti gli altri, Luigi Garlando, classe 1962, una delle migliori firme della "Gazzetta dello Sport" e da anni convincente autore di narrativa per ragazzi con titoli come Per questo mi chiamo Giovanni o la popolare serie Gol! della Piemme. L'ultima fatica di Garlando s’intitola Vai all’Inferno, Dante! e prende ispirazione dal suo hobby di collezionare edizioni della Commedia di Dante in tutte le nazioni dove gli capita di viaggiare. Il protagonista del romanzo si chiama Vasco, rampollo quattordicenne della nobile e antica famiglia fiorentina dei Guidobaldi, che vive in una splendida magione cinquecentesca, la Gagliarda, e vanta pure un antenato che ha combattuto nelle Crociate. Il buon Vasco però non si può certo definire un ragazzo esemplare: frequenta con scarso impegno la terza media (per la seconda volta), non ha il benché minimo rispetto per i suoi prof e si diletta facendo scherzi riprovevoli al malcapitato di turno insieme ad amici della sua stessa risma. Apparentemente il suo unico pregio è quello di essere un imbattibile giocatore di Fortnite (non proprio il videogame più istruttivo del pianeta) seguito da cinquantamila followers e con la prospettiva di diventare un gamer professionista. Le cose si complicano quando, in procinto di ottenere l'ennesima Vittoria Reale, trova sulla sua strada un avversario che si chiama Dante, porta il classico copricapo dell'autore della Divina Commedia e parla pure in versi... Il buon Vasco, umiliato in diretta YouTube, medita vendetta finché non gli capita d'incontrare in carne ed ossa la sua nuova nemesi, che sembra veramente Dante Alighieri, si esprime esclusivamente attraverso terzine di endecasillabi e per giunta afferma d'essere stato rimandato nel mondo terreno per togliere il buon Vasco dalla selva oscura esistenziale da cui non il ragazzo non pare capace di tirarsi fuori. Sì, in effetti una storia che assomiglia parecchio a quella raccontata nel suo divino poema... Fatto sta che da questo momento Vai all'Inferno, Dante! inizia a proporre al lettore invenzioni a ripetizione: un rapper ecologista e un rapper commerciale che sogna di smetterla per dedicarsi all'apicoltura, un sogno sportivo impossibile come la Fiorentina che contende lo scudetto alla Juve, la scoperta della solidarietà (al Meyer di Firenze, of course), tanti sprazzi videoludici e un lutto mai superato. Insomma, per un terzo del romanzo Garlando ci fa indignare con le perfide marachelle di un bad boy della Firenze dei giorni nostri, poi nel resto della storia ci intriga con una metamorfosi esistenziale apparentemente impossibile. Il romanzo convince anche per la felicità delle invenzioni linguistiche, non soltanto a livello di endecasillabi ma anche sul versante dello slang giovanile tra social e videogames. Risultato: cinquecento pagine che volano via, e non è mica poco…

Luigi Garlando, Vai all'Inferno, Dante!, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 503

mercoledì 13 gennaio 2021

NEXT, PICCOLO LIBRO SULLA GLOBALIZZAZIONE

Il sottotitolo di Next definisce questo lavoro di Alessandro Baricco come un “piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà” ma, più che dirci quale esattamente sia il significato (o i molteplici significati) del suo oggetto di ricerca, lo scrittore torinese con molta umiltà cerca di capire (lui per primo) origini, dimensione, portata ed aspetti nascosti del fenomeno. Il volume raccoglie quattro lunghi articoli dedicati al tema della globalizzazione, scritti dall’autore di Oceano mare, Seta e City all’indomani dei tragici fatti del G8 di Genova, pubblicati su “Repubblica” e riediti appunto in Next con qualche rimaneggiamento e l’aggiunta di un’interessante sezione finale di bonus tracks, una sorta di note di approfondimento per capire meglio il suo complesso oggetto di ricerca. Baricco, classe 1958, si è avvicinato ad una delle tematiche più dibattute del momento con lo stato d’animo di chi, come molti altri, ha trascurato la globalizzazione e gli argomenti ad essa correlati e, dopo la scossa emotiva di quella tragedia, ha avvertito un colpevole disagio, scegliendo di tentare almeno di tratteggiare i contorni del complesso fenomeno, perché non è mai troppo tardi per provarci. Il libro, oltre ad un successo di pubblico superiore alle aspettative, ha innescato molte polemiche a livello critico, ma è doveroso riconoscere a Baricco di aver dato un lodevole esempio di onestà intellettuale: Next affronta il tema di riferimento dall’ottica del neofita dichiarato e preoccupato di inquadrare il problema nei giusti termini, facendo chiarezza sui propri dubbi in proposito. A prescindere dall’assoluto rigore dei concetti che Baricco va enucleando pagina dopo pagina, l’interesse del volume è risposto forse proprio nel suo metodo di ricerca, caratterizzato da un linguaggio scarno ed essenziale, non tanto per il vezzo di svelare ardue verità ad un pubblico di non iniziati, quanto invece perché, affrontando un campo a lui stesso non congeniale, è l’autore stesso a sentire il bisogno di procedere fissando concetti base: alla fine, esaurito questo percorso maieutico, più che il tragitto, si ricorda appunto il metodo dell’approccio utilizzato, la via indicata, insomma. La rotta d’avvicinamento scelta da Baricco punta sui numerosi pseudo-dogmi circolanti in materia di globalizzazione – gli isolatissimi monaci tibetani che navigano su Internet, la Coca Cola o le Nike che si trovano ovunque, la possibilità di comprare azioni online o qualunque altra cosa – per smontarli uno ad uno e chiedersi: se in fondo pochissimi acquistavano libri o titoli in rete, se i monaci tibetani non erano affatto netsurfers, se in India la Coca Cola si trova, ma solo a beneficio dei turisti o dei ricchi locali, allora perché c’era bisogno di veicolare simili informazioni? Perché dare l’idea che la globalizzazione fosse l’ultima frontiera, il futuro che è già qui, ciò da cui non si può più prescindere? Forse perché la proiezione fantastica di nuove sterminate frontiere economiche, se considerata reale, finirà per divenire reale ed indispensabile. Il progresso è stato finanziato dai detentori dei grossi capitali, desiderosi di creare una nuova frontiera, gli artefici del treno diretto verso l’ultimo West possibile, ovvero il West virtuale. Chiaramente i costi umani fanno parte del gioco ed il progresso, la cosiddetta Best Next Thing, implica vittime sacrificabili: secondo Baricco i no-global sono quei pionieri del nuovo millennio saltati giù dal treno perché si erano accorti che la meta non era più eticamente condivisibile. 

Alessandro Baricco, Next, Milano, Feltrinelli, 2002; pp. 90 


 

sabato 9 gennaio 2021

BENIGNI E IL "SUO" DANTE

 

È un tipo di libro che potremmo definire ingenerosamente... pleonastico, Il mio Dante di Roberto Benigni, per dire in modo molto educato che avrebbe potuto farne a meno. È peraltro un libro che neppure lui stesso pensava di scrivere, ma che gli è stato suggerito, per così dire, dall’editore Einaudi, pensato e concepito per la fortunata collana “Stile Libero” e poi felicemente riedito in quella altrettanto fortunata degli "Einaudi Tascabili". Un'operazione dichiaratamente commerciale, insomma... Ma è anche vero che si tratta di un volumetto intrigante e molto gradevole da sfogliare, che sfodera un breve ma arguto scritto introduttivo nientemeno che del professor Umberto Eco, più una corposa ma agile presentazione che Benigni ha fatto distillando il succo delle sue fortunatissime Lecturae Dantis portate con successo in giro per l’Italia e capaci di ottenere incredibili indici d’ascolto anche sul piccolo schermo, emozionando il pubblico con un argomento non immediato come la Divina Commedia del sommo Dante Alighieri. Anche sulla pagina scritta si evince infatti il grande entusiasmo, l’efficacia didattica e l’immediatezza che Benigni ha mostrato a meraviglia sul palcoscenico, facendoci anche sorridere ma senza trascurare le spiegazioni lessicali, gli accenti, le figure retoriche, i motivi, le storie ed i personaggi dei canti affrontati volta per volta. Già, perché, oltre che attore da Oscar, regista ispirato, comico prodigioso, enigmista per diletto, Roberto Benigni è indubbiamente anche un raffinato ed atipico esempio di intellettuale, dotato tra l’altro di una rara capacità divulgativa anche relativamente a materie di solito ostiche da trattare ma che diventano fruibili e godibili grazie al suo stile leggero e rigoroso al tempo stesso. Con i tempi che corrono c'è davvero da tenerselo stretto un personaggio così... A corredo del volume figurano in versione integrale i tredici canti della Divina Commedia che Roberto Benigni ha trattato nel suo spettacolo e l'intrigante genesi del progetto "TuttoDante" raccontata da Valentina Pattavina. Insomma, un libro non indispensabile ma vivamente consigliato, soprattutto per i neofiti della Commedia

Roberto Benigni, Il mio Dante, Torino, Einaudi, 2010; pp. 147


venerdì 8 gennaio 2021

DANTE E IL CIRCOLO SEGRETO DEI POETI

Un romanzo per ragazzi su Dante? Una sfida difficile sulla carta, ma Silvia Vecchini, una scrittrice specializzata nella narrativa per adolescenti, è riuscita a vincerla con Dante e il circolo segreto dei poeti. La storia si apre ovviamente a Firenze, nel lontano 1277, quando il futuro autore della Divina Commedia ha appena dodici anni e coltiva un paio di sogni di quelli davvero importanti: il primo è diventare un poeta celebre al pari del grande Virgilio o almeno quanto Guido Cavalcanti, un giovane letterato che si è già fatto notare a livello cittadino con le sue rime, mentre il secondo è conoscere Beatrice, una ragazza a cui non riesce a smettere di pensare da quando l'ha vista per la prima volta. Tutto procede in modo apparentemente normale nella vita del giovane Dante, che passa le sue giornate per le vie di Firenze in compagnia dell'amico Lapo Gianni, suo coetaneo, a sognare un futuro ben diverso da quello che Alighiero immagina per lui. Un'improvvisa svolta sembra arrivare quando Guido Cavalcanti offre a Dante di entrare in un circolo segreto di poeti, ma prima di coronare questo sogno il nostro eroe dovrà arrovellarsi non poco per risolvere un intrigo davvero pericoloso, oltre che superare tre prove apparentemente proibitive, ma c'è da immaginarsi che il futuro autore della Vita Nova e della Commedia riuscirà senz'altro a superarle... Dante e il circolo segreto dei poeti cattura l'attenzione fin dalle prime pagine, che ci mostrano il nostro giovane eroe mentre scorrazza per le vie del centro storico fiorentino per riuscire a vedere anche per pochi secondi il suo oggetto d'amore, Beatrice, finendo per scontrarsi col cattivo della storia, il violento Corso Donati, e vivere una brutta disavventura. Nel prosieguo la trama scorre sui due binari paralleli dei sogni danteschi cui si alludeva in apertura, lasciando il lettore col fiato in sospeso fino all'immancabile happy ending, che arriva in modalità intriganti e affatto scontate. Assolutamente da leggere per un approccio atipico col più grande poeta della letteratura italiana... quando ancora doveva diventarlo. Il libro fa parte della collana "Sì, io sono", che propone romanzi per romanzi ispirati alle biografie giovanili di celebri personaggi del mondo dell'arte, della scienza e della letteratura.

Silvia Vecchini, Dante e il circolo segreto dei poeti, Roma, Lapis Edizioni, 2010; pp. 

mercoledì 30 dicembre 2020

GHOST: UNA STORIA DI SPORT & DISAGIO SOCIALE

Per l’anagrafe lui è Castle Cranshaw, anche se preferisce farsi chiamare Ghost: è un ragazzo senza molti punti fermi nella vita, a parte la bustina di semi di zucca che ogni santo giorno compra nel negozio del vecchio Mr. Charles e… correre. Castle ha la consapevolezza di saper correre sul serio da quando una sera suo padre (che amava i semi di zucca come lui) è stato abbrutito senza ritorno dall’alcool ed ha sparato al figlio e alla moglie mentre scappavano di casa, per poi finire dritto in galera senza fiatare. Da quel giorno la vita è stata particolarmente grama per il giovane protagonista, che non riesce mai a tenersi lontano dagli alterchi con chi lo provoca per il suo taglio di capelli strampalato, per i vestiti troppo grandi e poco trendy o per il fatto che abita a Glass Manor, che non è proprio il posto più elegante della città. Tutto cambia quando Ghost scorge un gruppo di ragazzi che si stanno allenando nella pista d’atletica del parco e, senza saper bene neanche lui perché, si ritrova a sfidare il più veloce di loro, finendo peraltro per ‘asfaltarlo’ nonostante sia vestito in modo improponibile per correre (e non abbia mai preso in seria considerazione nessuno sport tranne il basket). Fatto sta che l’impresa colpisce subito l’attenzione dell’allenatore del gruppo, Coach Brody, tassista ed ex medaglia d’oro olimpica che assomiglia in modo inquietante a una tartaruga con un dente scheggiato. Il buon Ghost entra così nella squadra dei Defenders, a patto di tenersi lontano dai guai, ma ben presto scoprirà di non essere particolarmente fortunato su questo fronte. Ghost è un romanzo di formazione di ambito sportivo che prende subito per la prospettiva dal basso del protagonista, che vive in una situazione svantaggiata con una madre sola e senza troppe prospettive, peraltro oppresso da un trauma infantile con cui è dura scendere a patti, però di buon cuore ed anche piuttosto cool, qualità non banali per il quartiere in cui vive e cerca di tirare avanti. A parte la trascinante sequenza di disavventure che Ghost si trova costretto a superare, la storia prende anche per i dettagli di atletica che la contrappuntano e per lo spirito di squadra che la pervade. Senza spoilerare troppo, colpisce anche lo spaccato di interiorità che Jason Reynolds ci regala un attimo prima dei titoli di coda. Da provare.

Jason Reynolds, Ghost, Milano, Rizzoli, 2020; pp. 191

LA STRAORDINARIA INVENZIONE DI HUGO CABRET

Di questo romanzo hanno scritto che si tratta del “primo libro in cui le parole illustrano le immagini”, ed in effetti questa definizione è decisamente calzante per La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, classe 1966, celebre illustratore per ragazzi che è riuscito a realizzare un’opera che è la perfetta sintesi tra un romanzo di formazione, una graphic novel a carboncino e un atto d’amore per il cinema muto (e la fantasia in genere). È un libro per ragazzi, indubbiamente, ma è confezionato proprio come la narrativa per adulti con la “N” maiuscola: si comincia con una prefazione che incornicia la storia vera e propria, presentataci, con tanto di consigli per una corretta fruizione, da un certo Professor Alcofrisbas, la cui identità scopriremo solo alla fine. Voltata pagina, inizia subito la magia: attraverso una prospettiva ‘telescopica’ arriveremo nella Parigi del 1931, in una stazione, dietro un orologio dal quale un ragazzino sta tenendo d’occhio l’anziano gestore di un chiosco di giocattoli. Hugo è un orfano che ha perso il padre, provetto orologiaio morto a causa di un incendio nel museo in cui lavorava, ed è stato adottato dallo zio alcolizzato che vive nei meandri della stazione, con l’incarico di tenere gli orologi in efficienza. È ormai da tempo però che lo zio non ha più fatto ritorno e Hugo è abbandonato a se stesso, sopravvive con piccoli furti e continua a provvedere agli orologi della stazione per evitare che qualcuno si accorga dell’assenza del suo tutore. L’unica luce nella solitudine del ragazzo è la sola eredità che il padre gli ha lasciato, un vecchio automa a carica che rappresenta uno scrivano ed a cui il padre di Hugo ha continuato a lavorare fino alla tragica notte in cui è morto: il giovane protagonista infatti è sicuro che il genitore sia riuscito a ripararlo e gli abbia affidato il suo ultimo messaggio per lui, così ha cercato di ripararlo seguendo gli appunti paterni e procurandosi i pezzi di ricambio dal chiosco di giocattoli della stazione. Le cose peggiorano quando il vecchio negoziante lo pesca con le pive nel sacco e gli sequestra il taccuino del padre, restandone turbato e ripromettendosi di distruggerlo. Per rientrarne in possesso Hugo cercherà l’appoggio di Isabelle, la figlioccia del negoziante, molto intrigata dal suo nuovo amico e dall’avventura che le si prospetta davanti. Passando attraverso molteplici citazioni letterarie e la fantasmagorica scoperta del cinema – soprattutto le straordinarie invenzioni su celluloide di Georges Méliès, il cineasta che ideò il concetto stesso di effetti speciali –, arriverà anche il tassello narrativo decisivo per mezzo della chiave a forma di cuore che serve ad attivare l’automa di Hugo (e le meraviglie che ne deriveranno). Il tutto per arrivare all’immancabile happy ending che chiuderà la vicenda in modo impeccabilmente circolare. Una gran bella storia, che impone al lettore l’assoluta necessità di scoprire dove lo porteranno i primi passi inquieti del protagonista, attraverso la sua particolare prospettiva del mondo e la sua frenesia per la soluzione dell’ultimo mistero del padre perduto. L'alchimia tra disegni e narrazione è assolutamente funzionale a tratteggiare una storia di formazione davvero coinvolgente. Passate parola. 

Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, Milano, Mondadori, 2007; pp. 544


domenica 27 dicembre 2020

JACK BENNET E LA CHIAVE PER LA FANTASIA

L'autrice di Jack Bennet e la chiave di tutte le cose si chiama Fiore Manni, classe 1988: romana, Fiore è figlia d'arte, dato che sua madre è l'attrice Fiorenza Tessari e suo nonno il noto regista Duccio Tessari, Dopo aver conseguito un diploma in fashion design, la Manni è stata la conduttrice di "Camilla Store", un programma televisivo di successo che le ha aperto le porte nell'editoria con una serie di titoli del brand Camilla Store per De Agostini Editore. Jack Bennet e la chiave di tutte le cose è il suo primo romanzo per ragazzi e vede come protagonista un ragazzino di dieci anni senza troppa fortuna, dato che ha perso suo padre (che gli manca moltissimo) e che neppure sua mamma se la passa troppo bene, al punto che lui è costretto ad accettare un lavoro in una tipografia per darle una mano a tirare avanti, nonostante abbia soltanto dieci anni. Una perfetta situazione dickensiana, insomma, finché un bel giorno, uscendo dal lavoro (che consiste più che altro nel risolvere i problemi d'inceppamento del processo di stampa), il buon Jack, perennemente avvolto nella lunga sciarpa a righe blu regalatagli dal padre, incontra uno strano tizio vestito di viola che dice di chiamarsi il Padre di Tutte le Cose, che gli affida un passepartout dopo aver avuto dal ragazzo una generica disponibilità a dargli una mano. Non è che l'inizio di una svolta fantastica che porterà il nostro piccolo e modesto eroe a spasso per tre mondi alternativi a risolvere in modo sempre spontaneo problemi apparentemente al di fuori della sua portata, sia che finisca in una strana fabbrica di pappagalli tipografi che stampano libri magici praticamente per ogni occasione, sia che si trovi a tu per tu con l'Architetto dei sogni o che sia catapultato su una nave pirata su un oceano di foglie in rotta verso un incredibile tesoro. Ne viene fuori un romanzo fantastico per ragazzi che in modo strano e indecifrabile riesce a raccontare il desiderio di scoperta e di apprendimento insito nel cuore di ogni adolescente, come appunto nell'impagabile Jack Bennet, un piccolo protagonista di buon cuore che desidera più di ogni altra cosa scoprire qualcosa di nuovo e che nel farlo è sempre disposto a dare una mano a chi ne ha bisogno: attraverso i suoi occhi viaggeremo per strani mondi, alla ricerca inconscia di un sogno impossibile, solo per scoprire, forse, che il tesoro più grande per un ragazzino di dieci anni può rivelarsi l'amicizia. Assolutamente intrigante  e ricco di immaginazione: insieme a Jack Bennet non potremo fare a meno di vedere cosa c'è dall'altra parte di ogni porta che conduce a un mondo ignoto, una pagina dopo l'altra fino all'immancabile lieto fine.

Fiore Manni, Jack Bennet e la chiave di tutte le cose, Milano, Rizzoli, 2018; pp. 351


SETTE ABBRACCI E TIENI IL RESTO

Già autore de L'ombelico di Adamo, Stefano Tofani con Sette abbracci e tieni il resto ha scritto un romanzo di formazione per ragazzi di quelli che conquistano fin dalle prime pagine e non ti lasciano più. Il merito in gran parte è del protagonista, un ragazzino di dodici anni che si chiama Ernesto, anche se parecchi lo apostrofano con un soprannome che a lui non piace per niente come Quattrocchi, perché ovviamente porta gli occhiali. Non se la passa granché bene in effetti: zoppica per i postumi di un incidente automobilistico in cui ha perso l'amata nonna, di cui continua a ricordare come un mantra gli insegnamenti di vita, i proverbi e l'affetto. E la sfortuna del ragazzino non è finita qui: Ernesto ha i genitori separati, vive con una madre che spesso rincasa tardi dalle discoteche, e anche il padre non è affatto il massimo. Il protagonista insomma ha un'unica consolazione: sognare di essere considerato un po' da Martina, l'immancabile ragazza più carina della classe che ha ben altri studenti per la testa, purtroppo, ovviamente più grandi di lei. Tutto cambia quando Ernesto viene a conoscenza di un sistema per osservare il suo amore impossibile in modalità discinta, finendo per combinare l'immancabile disastro. D'altra parte non ha neanche un amico in grado di dargli consigli sensati, eccettuando Lucio, che è bloccato su una carrozzina ed ha purtroppo la vocazione del grillo parlante. In un quadro desolante a dir poco però Ernesto intravede l'occasione per coprirsi di gloria e conquistare Martina quando quest'ultima sparisce nel nulla sgomentando l'intero paese. Con un improbabile segugio prestato da un amico albanese di un centro accoglienza, Ernesto cercherà infatti di fare la cosa giusta e ritrovare Martina. Ci riuscirà? E si tratterà davvero di un caso di rapimento come tutti sembrano pensare? La storia al centro di questo delicato romanzo di formazione di Stefano Tofani regala al lettore una realistica ricostruzione della vita di provincia dalla prospettiva di un ragazzino sfortunato che vorrebbe qualcosa di più dalla vita e ragiona a un livello più alto della fauna giovanile che lo circonda e spesso finisce per ferirlo (gratuitamente) a livello emotivo. Da provare, soprattutto per la verve linguistica, che a tratti in effetti stende il lettore.

Stefano Tofani, Sette abbracci e tieni il resto, Milano, Rizzoli, 2019; pp. 222

sabato 26 dicembre 2020

LA BELLA RESISTENZA

Il sottotitolo di questo libro è "L'antifascismo raccontato ai ragazzi" e già costituirebbe un ottimo motivo per consigliarne la lettura. L'autore, Biagio Goldstein Bolocan, classe 1966, laureato in Storia, si occupa della redazione di manuali di Storia per le scuole secondarie di primo e di secondo grado. Nelle prime pagine rivela ai lettori di aver scritto La bella resistenza come debito di gratitudine verso nonna Emma, pessima cuoca ma fervente divulgatrice dei tempi difficilissimi vissuti in gioventù, che hanno innescato nell'autore l'amore per la Storia e lo sdegno per le ingiustizie patite dalla propria famiglia nel periodo del ventennio, in particolare dal 1938, con l'emanazione delle Leggi razziali, dato che la sua era una famiglia di origine ebraica. Il libro di Biagio Goldstein Bolocan si alterna infatti tra le vicende private familiari, spesso intrecciate con la vita culturale di Milano, e una serie di efficacissimi profili dei momenti cruciali tra il 1914 e il 1945, sempre illustrati dagli incisivi disegni di Matteo Berton: la Grande guerra, il primo dopoguerra, l'avvento del fascismo, la dittatura di Benito Mussolini, l'antifascismo, l'apoteosi del fascismo negli anni Trenta,  fascismo e nazismo, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, la resistenza. Per quanto riguarda le storie della grande famiglia Damiani-Bolocan, è decisamente arduo ricordare tutte le figure che si alternano nel periodo ma, dovendo scegliere, è doveroso ricordare almeno l'irresistibile ritratto dell'orientaleggiante nonno Alexandru Bolocan, un ingegnere che ama suonare il violino che a un certo punto è costretto a fuggire in esilio in Svizzera, dove finisce comunque in una sorta di campo di lavoro per ebrei ma si salva dal tifo e dagli stenti proprio grazie alla sua passione, "adottato" da un maestro svizzero amante della buona musica. D'obbligo anche ricordare il senso di giustizia di nonna Emma, che all'indomani del 25 aprile 1945 imbracciando una scopa salva dall'esecuzione da parte dei partigiani il segretario comunale di Mozzate, che comunque non l'aveva mai denunciata pur sapendo che lei e i suoi figli erano ebrei. Da leggere per non dimenticare.

Biagio Goldstein Bolocan, La bella resistenza, Milano, Feltrinelli, 2019; pp. 126

VIOLA NELLA RETE (DEL CYBERBULLISMO)

L'autrice di Viola nella rete si chiama Elisabetta Belotti e, oltre che una scrittrice, è una docente di Lettere che insegna da anni nella scuola secondaria di primo grado, quindi conosce a menadito l'ambientazione del suo romanzo e uno degli ingredienti principali del medesimo, dato che si occupa da tempo di social in relazione agli adolescenti e di cyberbullismo. La storia è narrata in una modalità autobiografica mista, diciamo, in quanto corrisponde alle pagine di diario di due dei protagonisti, Leo e Viola, e ai post di Instagram del terzo personaggio principale, Chiara: gli spunti dei tre ragazzi si alterneranno dandoci l'idea dell'intrecciata vicenda scolastica ordita dall'autrice a nostro uso e consumo. Siamo in una seconda media dei giorni nostri, con le classiche dinamiche relazionali che ci si potrebbe aspettare, nel bene e nel male: Leo è il classico studente potenzialmente brillante ma svogliato che è stato bocciato per farlo maturare ma non sembra aver imparato granché dall'infortunio scolastico; Viola è la new entry della classe, dove tutti gli altri sembrano lontani anni luce da lei, lettrice incallita dal look alternativo e dal carattere ribelle ed anticonvenzionale; Chiara è invece la queen della classe, sempre vestita all'ultimo grido e con un seguito di ancelle adoranti (e tutti i maschi cotti di lei, compreso il buon Leo). Nella perfetta vita di Chiara, che aspira a far suo Federico, lo Strafigo di terza che le piace da morire, l'arrivo di Viola rappresenta uno spiacevole contrattempo e quindi la ragazza passa al contrattacco creando su Facebook un profilo falso della rivale per screditarla in classe e indurla a lasciare la scuola, sempre che Leo, che ha iniziato a collaborare con Viola per un progetto scolastico, non trovi un modo per risolvere l'intricata faccenda, magari evitando di farsi espellere dalla Gazzaniga, la prof di Lettere che dal primo giorno di scuola gli sta sempre col fiato sul collo. Con Viola nella rete la Belotti ha scritto un romanzo breve che affronta in modalità realistiche e intriganti tematiche difficili come il bullismo e il cyberbullismo, riuscendo a catturare in modo incisivo lo slang degli adolescenti dei nostri giorni. La storia prende subito e ricorda altri romanzi per ragazzi dotati di prospettiva multipla come Ciao, tu e Mi ricci. Davvero niente male, insomma, e tra le righe affiora anche un approccio variegato e non banale alla scrittura da parte dei tre protagonisti, che sono diversissimi ma che sono sempre spinti dalla loro prof a raccontarsi anche per imparare ad orientarsi nella giungla social in cui, da bravi nativi digitali, vivono da sempre. 

Elisabetta Belotti, Viola nella rete, Torino, Einaudi, 2020; pp. 122

giovedì 24 dicembre 2020

DOPPIO PASSO

A St. Helens, in Inghilterra, durante i tempi duri della Grande guerra sembra che l'unica occasione di divertimento possibile per i ragazzi locali sia la partita di calcio della domenica pomeriggio tra le squadre dei quartieri, squadre che di solito assortiscono intere nidiate di fratelli, come avviene nella compagine del cortile dei quattro fratelli Kell e dei fratelli Jones (tra l'altro stranamente le famiglie della loro zona sembrano in grado di generare quasi esclusivamente figli maschi). Purtroppo l'ultimo dei fratelli Kerr, Martin, è un vero disastro sotto il versante calcistico, tanto che l'hanno relegato al ruolo di portiere, che tradizionalmente assolve in modo imbarazzante, anche perché ha un vero terrore del pallone da quando ha preso un brutto colpo e da allora chiude gli occhi quando gli avversari calciano per segnare nella sua porta, cosa che avviene ovviamente con disarmante puntualità. All'ennesima figuraccia rimediata in campo sotto gli occhi di un osservatore di una squadra importante, Martin scappa per sfuggire all'ira dei fratelli e finisce per scontrarsi casualmente con un coetaneo che sembra uguale a lui come una goccia d'acqua, se non fosse che al contrario di lui gioca a football in modo eccezionale e ha un piede sinistro che sembra progettato dal dio del calcio in persona. In vista del ritorno dell'osservatore nella prossima partita a Martin viene in mente il trucco dello scambio di persona: tornando sui suoi passi per ritrovare il presunto gemello finirà però per scoprire che è una gemella quella con cui il destino l'ha fatto scontrare. Per noi lettori sarà l'occasione per scoprire la vera storia di una vera leggenda del calcio femminile, ovvero Lilian Parr (detta Lily), classe 1905, una calciatrice mancina che ha appeso le scarpette al classico chiodo solo a 46 anni suonati dopo aver marcato un migliaio di goal in partite ufficiali, roba da far invidia perfino a "O Rey" Pelé o a Cristiano Ronaldo. Una bella storia sportiva raccontata in punta di penna da Alice Keller in Doppio passo, un'intrigante graphic novel illustrata e colorata da Veronica Truttero. Assolutamente da provare.

Alice Keller & Veronica Truttero, Doppio passo, Roma, Sinnos Editrice, 2020; pp. 96

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...