martedì 29 giugno 2021

NON RESTARE INDIETRO

Carlo Greppi, classe 1982, è uno storico che collabora con Rai Storia, con la Scuola Holden e con il blog "Doppiozero", è inoltre presidente della sezione torinese dell'associazione Deina, con la quale da anni organizza e partecipa ai viaggi della memoria alla scoperta degli ex lager del Terzo Reich. Proprio questa esperienza diretta costituisce il cuore pulsante di questo romanzo per ragazzi, Non restare indietro, in cui l'autore sembra aver voluto condensare le sue esperienze di accompagnatore di studenti nei viaggi della memoria. Il protagonista della storia è un adolescente come tanti altri: si chiama Francesco, ha sedici anni, gioca a calcio, è un ribelle di buon cuore in guerra con i genitori e con la scuola, tanto che per un diverbio con la componente docente ha dovuto cambiarla. Ora è iscritto alla 3C della scuola nuova, con nuovi docenti e con nuovi compagni, e il cappuccio della sua inseparabile felpa per proteggersi dal resto del mondo. Tra parentesi Francesco non ha superato la perdita del suo amico più caro, con cui condivideva la passione per il pallone: cerca di dargli una mano a modo suo l'altro amico del terzetto, che intende diventare un writer e sta appunto tappezzando tutte le mura del quartiere con la K che è il suo tag. La storia prende avvio in un lunedì di gennaio quando la nuova prof di storia spiega cos'è il Giorno della Memoria e presenta alla classe un progetto che tutti gli studenti faranno insieme, un viaggio d'istruzione molto particolare, che li porterà a scoprire il punto più basso toccato dalla razza umana nella sua storia, un viaggio "per non dimenticare" la Shoah, con destinazione Auschwitz. Nella classe di Francesco arrivano così due giovani operatori dell'associazione di volontari che accompagnerà lui e i suoi compagni, prima però dovranno prepararli, aiutandoli a immedesimarsi con le vittime e con i carnefici, per capire quel che è stato: il loro approccio è avvolgente e pratico, e Francesco gradualmente si lascia coinvolgere, anche se non è convinto a fondo del progetto e continua ad avere dubbi in proposito. In continua alternanza tra la più grande tragedia della storia e le emozioni irrisolte (e il suo dolore non metabolizzato) del suo vissuto, il giovane protagonista imparerà a conoscere i suoi nuovi compagni, abbracciando l'idea di mettersi in viaggio e di capirne il senso per davvero. Insomma, ne vien fuori un dinamico romanzo di formazione sull'adolescenza: dalla prospettiva di Francesco vivremo un ventaglio dei tipici turbamenti di un ragazzo dei nostri giorni (soprattutto la mancanza di senso e l'incomprensione con gli adulti) alle prese con un viaggio più grande di lui, che gli servirà per aprire una serie di porte e lasciarsi finalmente alle spalle ciò che non è riuscito finora ad accettare. Da questo punto di vista Non restare indietro ricostruisce anche il microverso tipico di una classe delle superiori, dove non manca il ragazzo con la vocazione del bullo né la prima della classe animata dal desiderio di fare la cosa giusta e così via, compreso Francesco, che è il classico ragazzo con la felpa che vuole volare basso e non farsi notare troppo. La galassia giovanile è ben delineata anche grazie alla ricca colonna sonora che traspare da un capitolo all'altro, alle citazioni cinematografiche (in particolare la celebre scena di Monsieur La Padite in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino) e a vari aneddoti (d'obbligo citare almeno la tabellina dell'undici che Francesco usa per classificare la storia del Novecento). Nonostante le tante sequenze "didattiche" si tratte di un libro scritto con uno stile fresco e accattivante, che conquisterà sia i lettori adulti che gli adolescenti a cui è rivolto.

Carlo Greppi, Non restare indietro, Milano, Feltrinelli, 2016; pp. 223

lunedì 28 giugno 2021

TRE UOMINI IN BARCA (PER NON PARLAR DEL CANE)

Si tratta in assoluto dell’esempio per definizione di romanzo umoristico di marca anglosassone: Tre uomini in barca (per non parlar del cane)  fu pubblicato dal giornalista e scrittore inglese Jerome Klapka Jerome (1859-1927) nel 1889 e divenne a sorpresa un bestseller in patria, ottenendo ben presto un discreto successo anche oltre Manica. In effetti il successo fu imputabile in buona parte anche all’editor che si occupò del libro di Jerome, che in origine sembra fosse nato come una sorta di guida turistica sul Tamigi: in fase di stampa furono però sforbiciate quasi tutte le digressioni storico-culturali, mettendo così in evidenza le numerose ed irresistibili gag del romanzo. Il libro in sé all’autore fu effettivamente ispirato in seguito ad una luna di miele in barca sul Tamigi, ma Jerome decise di raccontare la storia di viaggio di tre amici (tra cui lui stesso e due personaggi ripresi dalla realtà) piuttosto che un romanzo sentimentale: la scelta fu premiata da un imprevedibile successo, dato che il libro solo in Gran Bretagna vendette un milione e mezzo di copie, in molti battezzarono le proprie barche “Tamigi” su diretta ispirazione del romanzo e qualche anno dopo arrivò anche l’immancabile sequel Tre uomini a zonzo. Ma senza indugio ulteriore veniamo alla storia: Tre uomini in barca prende avvio con la decisione di tre amici londinesi di viaggiare su una barca risalendo la corrente del Tamigi. Sono rispettivamente Jerome (che è anche la voce narrante del romanzo), Harris e George, terzetto completato dal vivace cane Montmorency, un fox terrier che amplifica a dismisura il naturale afflato umoristico del gruppo. La decisione di viaggiare è assolutamente attuale: i tre amici si vedono messi male e decidono di fuggire dalla confusione e dalla monotonia di Londra con un bel viaggio fluviale che si prospetta avventuroso e rilassante al tempo stesso. Dei tre Jerome è quello che ha il malanno facile, mentre Harris pensa di far tutto lui e George è pigro oltre misura: in realtà tutti e tre non sembrano in pessime condizioni di salute poiché dimostrano a più riprese un invidiabile appetito. Durante questo esilarante viaggio fluviale lungo le campagne britanniche i nostri eroi vivranno tragicomiche avventure proponendoci un incredibile repertorio di storielle e battute: degna di segnalazione in tal senso è la storia dello zio Podger impegnato ad attaccare un quadro con tutti gli immancabili disastri che ne seguono. Tre uomini in barca fa sorridere in continuazione grazie all’uso delle armi di distrazione di massa dello humour britannico: disavventure in sequenza, nonsense a ripetizione e strepitose divagazioni sul senso della vita. Insomma, un classico dell’umorismo che ancora oggi si fa leggere regalando grande diletto.

Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca, Milano, Feltrinelli, 2013; pp. 190

martedì 22 giugno 2021

LE OTTO MONTAGNE

È diventato già un cult della narrativa italiana contemporanea Le otto montagne dell’autore milanese Paolo Cognetti, classe 1978, che con questo romanzo ha vinto il premio Strega nel 2017. Si tratta di un romanzo di formazione articolato in tre parti, intitolate rispettivamente Montagna d’infanzia, La casa della riconciliazione e L’inverno di un amico. La storia è raccontata in un’avvolgente prima persona dal protagonista, Pietro, un ragazzo di città figlio di un taciturno chimico e di un’operatrice sanitaria, entrambi provenienti dal Veneto ed entrambi appassionati alpinisti. La comune passione per la montagna è appunto la scintilla che ha fatto scoccare l’amore tra i genitori di Pietro, che si sono addirittura sposati in una chiesetta ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo e hanno passato la prima notte di nozze in un rifugio montano. Trasferitisi a Milano, i due durante le ferie estive si spostano puntualmente a Grana, un minuscolo paese valdostano alle pendici del Monte Rosa dove Pietro fin da bambino ha conosciuto Bruno, un coetaneo che, diversamente da lui, d’estate non è vacanza ma deve occuparsi delle bestie di famiglia, dato che i genitori sono allevatori. I due divengono ben presto inseparabili amici… stagionali, ma l’adolescenza li separa: nonostante la madre di Pietro cerchi di aiutare Bruno negli studi, il ragazzo è costretto dalla famiglia ad abbandonare la scuola una volta raggiunta l’età dell’obbligo scolastico. Bruno inizierà a lavorare prima come allevatore, quindi come muratore, mentre Pietro continuerà gli studi a Milano per poi trasferirsi a Torino iniziando a lavorare come documentarista, anche per il rapporto conflittuale col padre. L’amore per la montagna in effetti sembra l’unico insegnamento che il padre ha lasciato a Bruno, col suo modo tormentato di ascendere verso le cime attraverso l’itinerario più scosceso e a passo veloce, per poi esaurire il desiderio di conquistare la cima un secondo dopo esserci arrivato. Alla morte del padre, Pietro, che ha ricevuto in eredità una baita diroccata, ritroverà l’amico di un tempo per ricostruire insieme l’edificio, vivendo un’estate di svolta esistenziale che darà due direzioni precise alle loro vite. Le otto montagne è uno struggente romanzo di formazione che vive sul Leitmotiv della montagna a cui tutti i personaggi finiscono sempre per tornare e che costituisce il crocevia simbolico di tutte le storie umane che Cognetti ha condensato nel suo libro. Oltre alla montagna il romanzo squaderna una manciata di tematiche indimenticabili: la nostalgia della terra natia, la magia dell’infanzia, il rapporto talvolta problematico tra padre e figlio e l’amicizia virile. È uno di quei libri in cui è bello perdersi e in grado di cambiare la percezione esistenziale del lettore.

Paolo Cognetti, Le otto montagne, Torino, Einaudi, 2016; pp. 203

mercoledì 16 giugno 2021

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO

 

Il capolavoro indiscusso di Italo Calvino è la visionaria e grottesca trilogia romanzesca intitolata I nostri antenati - comprendente rispettivamente Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente - ma è in un genere completamente diverso che l’autore ligure ha esordito come narratore con Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo breve di chiaro impianto neorealista che ha aperto la cosiddetta narrativa di Resistenza. Nella sua opera prima Calvino ha riversato – espropriandosene, per certi versi – buona parte del proprio bagaglio personale di ricordi giovanili, quelli ‘ingombranti’ almeno, accumulati nel suo periodo di militanza attiva nei ranghi della Resistenza partigiana. Il romanzo, ambientato tra una cittadina ligure tra la riviera di Ponente e le montagne dell’entroterra, fu scritto nell’immediato Dopoguerra e pubblicato nel 1947 con una prefazione di Cesare Pavese. Protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno è un bambino, Pin, che ha perso i genitori e vive con la sorella (una giovane prostituta) in un clima di privazioni e confusione, nel periodo della Resistenza, appunto. Avendo trovato una pistola lasciata distrattamente in casa sua da un soldato nazista dopo un occasionale incontro mercenario con la sorella, Pin decide di nascondere l’arma in un sentiero sperduto, per lui quasi magico, l’unico al mondo (a suo parere) dove i ragni facciano il nido. Pin entra poi in un contraddittorio gruppo di partigiani, ognuno con la sua storia ed un indistinto (e personale) ideale di Resistenza da seguire. Quando il drappello si sfascia, Pin resta con un partigiano, il Cugino, avviandosi, in uno splendido finale interrotto, verso la notte illuminata da lucciole, nella campagna, senza meta, l’uomo e il bambino mano nella mano: intorno a loro una guerra civile, anch’essa contraddittoria, sfumata, comprensibile a pochi. Il sentiero dei nidi di ragno è un romanzo di formazione che racconta uno strano percorso di iniziazione alla vita, caratterizzato da un realismo di base cui s’intrecciano in sottofondo i fili del meraviglioso, del fantastico e del fiabesco, una peculiarità stilistica che diventerà il tratto distintivo dello scrittore ligure negli anni della maturità. Il romanzo si fa leggere e cattura subito il lettore per la particolare prospettiva dal basso scelta da Calvino per raccontare la storia.

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Milano, Garzanti, 1991; pp. 199   


mercoledì 9 giugno 2021

EHI, PROF! QUANDO MCCOURT SALE IN CATTEDRA…

Lui è Frank McCourt (1930-2009), newyorchese di nascita, irlandese di ritorno e di nuovo migrante nella Grande Mela, dove è sbarcato in cerca di fortuna ed ha passato tutta la vita da docente delle superiori, finché da pensionato si è ritrovato a diventare un incredibile caso letterario internazionale con il bestseller autobiografico Le ceneri di Angela, premiato col Pulitzer nel 1997 e poi diventato un film di Alan Parker. Dopo l’immancabile sequel Che paese, l’America! è poi arrivato Ehi, prof!, altro memoriale centrato in particolare sul Frank McCourt dietro la cattedra, un romanzo autobiografico di ambientazione scolastica, insomma. La storia prende avvio nel marzo 1958 quando il protagonista è in trepidante attesa dei suoi studenti in un’aula vuota dell’Istituto Tecnico e Professionale McKee, distretto di Staten Island, New York. Lui, insegnante alle prime armi, sta giocherellando nervosamente con gli oggetti scalcinati dell’arredo scolastico, e fin dalle prime battute ci fa capire che ci troveremo spesso a girovagare per i suoi pensieri con quello stile sarcastico, disincantato e irresistibile che ormai è diventato il suo marchio di fabbrica: infatti ci dice fin dall’inizio che il primo giorno ha rischiato il posto per aver mangiato il panino a un alunno e il secondo giorno, non contento, di averci riprovato facendo un’ambigua allusione sulla confidenza ‘relazionale’ che gli irlandesi avrebbero con gli ovini. Dalla prima pagina in poi è un ininterrotto diario di giorni e giorni di scuola, di centinaia (anzi di migliaia) di alunni spesso senza prospettive ma con un bagaglio di umanità da vendere che si alternano sui banchi di scuola davanti al nostro eroe, sempre più sfinito, sempre più assordato dal brusio di sottofondo della classe durante le sue lezioni ma sempre con la voglia di trovare il modo di insegnare qualcosa ai suoi ragazzi, non necessariamente quello più convenzionale possibile. E poi ci sono divagazioni imperdibili sulle amenità scolastiche per definizione, come l'irresistibile excursus sulle giustificazioni più fantasiose raccolte negli anni dai suoi studenti. Alla fine, dopo trent’anni di lezioni tra scuole tecniche (e non) ubicate tra Staten Island, Brooklyn e Manhattan, Frank McCourt si dichiara stupito di aver resistito tutto quel tempo, anche se da una pagina all’altra, si fa presto a capire il perché: ha raccontato un sacco di aneddoti personali, si è fatto continui esami di coscienza per capire dove sbagliava e aggiustare il tiro, ha sempre provato a fare quella che gli sembrava la cosa giusta, insomma, è stato umano fino allo squillo dell’ultima campanella della sua carriera. La prima, che poi ha usato per raccontare la seconda da scrittore, soprattutto in questo libro. Leggendo Ehi, prof! sembra di vedere all’opera una versione normale del John Keating del mitico L’attimo fuggente, meno fantasioso e memorabile ma non meno sognatore, perché il bello di un prof di buona volontà è non smettere mai di provarci fino all'ultimo secondo dell'ultima ora di lezione. Assolutamente da leggere nonché auspicabile come lettura obbligatoria per qualunque docente contemporaneo.

Frank McCourt, Ehi, prof!, Milano, Adelphi, 2006; pp. 309

domenica 30 maggio 2021

ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS, UN CLASSICO DEL GIALLO

Senza dubbio Assassinio sull’Orient Express insieme a Dieci piccoli indiani è uno dei gialli a orologeria che hanno fatto la fortuna della signora del brivido, Agatha Christie (1890-1976), celebre scrittrice e drammaturga britannica diventata un vero e proprio mito letterario grazie a due personaggi seriali del calibro di Miss Marple e del detective Hercule Poirot. Assassinio sull’Orient Express prende avvio alle cinque del mattino nella stazione di Aleppo, in Siria, dove il noto investigatore belga ha appena risolto un caso importante su richiesta del governo francese: Poirot è diretto verso Istanbul, dove ha intenzione di passare qualche giorno da turista – tra parentesi la Christie scrisse il romanzo proprio qui, nella stanza 441 dell’Hotel Pera Palais – ma un telegramma lo costringe a ripartire subito alla volta di Londra. Il detective cerca di prenotare un posto su un vagone letto dell’Orient Express, ma nonostante nella stagione invernale i viaggiatori siano sempre pochi, scopre che stranamente non ci sono posti disponibili, riuscendo comunque a trovarne uno grazie all’amico Monsieur Bouc, direttore della compagnia ferroviaria. Nel vagone ristorante il protagonista conosce un ricco imprenditore americano, Ratchett, che tenta di ingaggiarlo perché teme d’essere ucciso, ma Poirot rifiuta perché a pelle non gli va a genio. La notte successiva il treno resta bloccato da una tormenta di neve e l’indomani viene scoperto proprio il cadavere di Ratchett, assassinato con dodici pugnalate. Poirot, su richiesta dell’amico Bouc, accetta di indagare: prima perquisisce lo scompartimento della vittima trovando una serie di indizi apparentemente insignificanti, quindi inizia ad interrogare tutti i sospettati che viaggiano sull’Orient Express. Da qui Poirot comincerà a dipanare una complessa matassa di interconnessioni umane per arrivare all’immancabile soluzione dell’intricatissimo caso, peraltro ispirato alla tragica vicenda di cronaca nera che colpì il celebre aviatore americano Charles Lindbergh all’inizio degli anni Trenta. Assassinio sull’Orient Express è un implacabile meccanismo narrativo in cui la Christie ha sublimato tutte le convenzioni del genere giallo: un ambiente chiuso come un leggendario treno bloccato dalla neve in mezzo al nulla, un crimine apparentemente insolubile, una serie di indizi che non sembrano portare da nessuna parte, un gruppo di sospettati a prima vista senza niente in comune. Voilà, il delitto è servito, e il lettore sfidato ad aguzzare l’ingegno per risolvere il mistero o scoprirlo pagina dopo pagina in un crescendo di suspense. Un grande classico.

Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express, Milano, Mondadori, 1987; pp. 191

martedì 25 maggio 2021

IL FURIOSO ARIOSTESCO RACCONTATO DA CALVINO

Questo volume costituisce l’incontro tra uno degli scrittori più sperimentali della letteratura italiana del Novecento, Italo Calvino (1923-1985), e il più celebre degli autori di poemi cavallereschi tra Quattrocento e Cinquecento, Ludovico Ariosto. Il motivo di questo strano incontro è prima di tutto la predilezione dimostrata da Calvino per l’Orlando Furioso, che l’autore della trilogia de I nostri antenati, da sempre considera il suo poema, uno dei suoi libri d’elezione. Il problema è che spesso il capolavoro ariostesco è considerato dai potenziali lettori un libro difficile da leggere, come d’altra parte la maggioranza dei classici più antichi della letteratura italiana: l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino è il tentativo di rendere meno impegnativo e più immediato l’incontro di un lettore con il poema ariostesco, che ha molteplici dinamiche da considerare, tra le quali una tradizione assai stratificata (e articolata tra più nazioni), molteplici intrecci di personaggi e di avventure ed infine un linguaggio poetico mirabilmente codificato in ottava rima. Così, dato che la strada dei riassunti scolastici non si è mai rivelata funzionale al godimento di un poema come il Furioso, Calvino ha adottato una strategia ibrida, individuando ventidue episodi fondamentali del libro dell’Ariosto e quindi proponendone le ottave più memorabili intervallate da inserti in prosa in cui sintetizza, contrappunta e chiarisce per noi lettori le parti più ardue dell’episodio narrato. Sembrerà strano, ma il tentativo di Calvino funziona, in quanto l’autore di Marcovaldo non vuole sostituire il testo di Ariosto ma proporne una guida alla lettura, offrendoci così una serie di itinerari “facilitati” e dotati di commenti che ne facilitano la fruizione e la comprensione. Ovviamente si perde un po’ il senso riposto del capolavoro ariostesco, quell’entrelacement che conduce il lettore lungo un continuo zigzagare tra mille avventure che arrivano ogni volta al punto culminante per passare a qualcos’altro (e così via), ma cattura decisamente lo spirito del Furioso e può costituire un buon viatico per la lettura diretta dell’opera (che forse era proprio il fine ultimo che Calvino si era fissato). Assolutamente da provare.

Italo Calvino, Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1970; pp 286

domenica 23 maggio 2021

TRASH, UN GIALLO D’INCHIESTA NATO DALLA SPAZZATURA

Andy Mulligan, classe 1966, originario di Londra, dopo la laurea a Oxford ha fatto il direttore teatrale per dieci anni, poi ha insegnato Inglese e Drammaturgia alternandosi tra l’India, le Filippine e il Brasile, quindi ha esordito come autore di narrativa per ragazzi, centrando il successo internazionale proprio con Trash nel 2010, un romanzo che poi nel 2014 è stato traslato sul grande schermo da Stephen Daldry, il regista di Billy Elliot. La storia al centro di Trash prende avvio in India, a Behala, un sobborgo di Calcutta, e vede protagonisti tre ragazzini di quattordici anni, Raphael, Gardo e Ratto, che sopravvivono rovistando tra i rifiuti della vasta discarica locale, per poi smistarli e venderli a peso. Ovviamente hanno a che fare soprattutto con l’immondizia prodotta dagli abitanti della baraccopoli circostante, quindi in parecchi dei sacchetti che i tre squarciano con i loro rampini si trova quasi sempre quella che loro chiamano stuppa, ovvero escrementi umani, perché negli slums suburbani l’acqua corrente e i servizi igienici sono un optional rarissimo degli alloggi di fortuna in cui vivono gli esponenti più poveri e sfortunati della razza umana, che fanno i propri bisogni dove capita e li raccolgono con carta di giornale (o quello che c’è) per poi gettarli via con la spazzatura. Un bel giorno, però, mentre Raphael sta girovagando a piedi nudi con Gardo per la discarica, al ragazzo capita una bella sorpresa: un borsello con dentro un sacco di soldi, documenti, una mappa e una chiave di piccole proporzioni (senza indizi su cosa esattamente possa aprire). Non c’è neanche il tempo di gioire della fortuna insperata che si fanno avanti con grande energia i poliziotti, che sembrano davvero pronti a tutto per recuperare l’oggetto: dopo lo sconforto iniziale, i due ragazzi decidono di coinvolgere anche Ratto per scoprire cosa bolle in pentola, visto che sembra molto importante per la polizia. Così, con calma e metodo, i tre cominciano a indagare per trovare la serratura della chiave misteriosa, imbattendosi in un codice cifrato complicatissimo e ritrovandosi dentro una brutta storia di malapolitica che in tanti vorrebbero tenere segreta. Trash si sviluppa come un gradevole cocktail tra un romanzo d’avventura e un anomalo giallo d’inchiesta raccontato da una spiazzante prospettiva multipla che ogni volta costringe il lettore a mettersi nei panni di un personaggio diverso - Raphael, Gardo e Ratto, ovviamente, ma anche il missionario Padre Juilliard e l’assistente Olivia Weston –. Insomma, una storia intricata ma anche avvincente e con l’immancabile happy ending in agguato. Assolutamente da provare.

Andy Mulligan, Trash, Milano, Rizzoli, 2014; pp. 277 

sabato 22 maggio 2021

LATINOAMERICANA, IL DIARIO DI VIAGGIO DEL GIOVANE “CHE” GUEVARA

S’intitola Latinoamericana il diario giovanile di Ernesto Che Guevara, pubblicato a Cuba soltanto nel 1992 e poi diventato nel 2004 un bellissimo film on the road di Walter Salles, I diari della motocicletta. Il sottotitolo Diario per un viaggio in motocicletta descrive in modo calzante l’argomento raccontato in questo esile libro, tradotto da Pino Cacucci ed introdotto da Ernesto Guevara Linch, il padre del mitico rivoluzionario argentino quando tale ancora doveva diventare ed era invece uno studente di medicina a un passo dalla laurea con un gran desiderio di scoprire il mondo. È ciò che cominciò a fare il giovane Ernesto Guevara de la Serna (senza il nomignolo “Che” che gli dettero i compagni guerriglieri cubani qualche anno dopo), trascrivendo gli appunti di un viaggio lungo circa tredicimila chilometri percorsi in nove mesi per i meandri del continente sudamericano: dall’Argentina al Cile, passando per Perù, Colombia e Venezuela. L’autore improvvisò questo viaggio di esplorazione dell’America Latina insieme a un amico biochimico di qualche anno più grande di lui, Alberto Granado, all’inizio viaggiando in sella alla vecchia Norton 500 di quest’ultimo, battezzata la Poderosa, poi a piedi o con qualunque mezzo di trasporto a disposizione. I due cominciarono questo picaresco viaggio nel dicembre del 1951 in Argentina e si separarono soltanto il 26 luglio dell’anno successivo a Caracas, in Venezuela, incontrando un sacco di persone, vivendo molteplici avventure e scoprendo squarci drammatici della realtà latinoamericana: due tappe indelebili in tal senso furono senza dubbio le miniere di Chuquicamata, nel Cile settentrionale, un simbolo dello spietato sfruttamento dei minatori, e il lebbrosario di San Pablo, nell’Amazzonia peruviana, un luogo di profonda discriminazione per i malati qui ricoverati. Latinoamericana racconta anche la sofferenza personale del futuro Che, affetto da crisi d’asma che in paio di occasioni lo misero seriamente alle corde, e soprattutto fotografa la sua progressiva presa di coscienza dello sfruttamento generalizzato dei popoli sudamericani, spesso calpestati da regimi repressivi e disponibili alla vocazione economicamente imperialista degli Stati Uniti nei loro confronti. Insomma, giunto alla conclusione di questo agile diario di viaggio, al lettore resta impressa la necessità di un mondo meno diseguale sbocciata pagina dopo pagina nell’autore, che alla fine sembra già diventato il leggendario combattente che lascerà un’impronta nella Storia del Novecento.

Ernesto Che Guevara, Latinoamericana. Un diario per un viaggio in motocicletta, Milano, Feltrinelli, 2004; pp. 129 

mercoledì 19 maggio 2021

PER QUESTO MI CHIAMO GIOVANNI

Questo libro è un esempio di narrativa per ragazzi con un altissimo valore civico aggiunto, trattandosi della storia romanzata di uno dei pochi veri eroi contemporanei della nostra sempre più disgraziata penisola: Giovanni Falcone, il magistrato che seppe avviare una lotta senza quartiere contro la mafia, fino all'attentato del 23 maggio 1992 che mise fine alla sua vita insieme alla moglie e agli agenti di scorta. Garlando ce ne racconta la parabola esistenziale in modo dettagliato – pur con qualche inevitabile semplificazione – attraverso un padre che, nel decimo compleanno del figlio Giovanni, lo porta a spasso per Palermo e dintorni nei luoghi che videro protagonista il dinamico giudice siciliano, che sacrificò la sua vita a combattere la mafia, la piaga maggiore della sua terra tormentata, spesso senza l’appoggio del potere ufficiale, che anzi spesso non agevolò il suo operato. Il bambino, che è nato proprio il giorno della strage di Capaci, scoprirà l’origine del suo nome, il motivo per cui il suo orsacchiotto preferito è sempre stato bruciacchiato e la nuova consapevolezza che quella tragedia innescò nel padre. Per questo mi chiamo Giovanni è un romanzo breve per ragazzi, scritto con uno stile volutamente diretto e immediato, dotato però di una struttura a scatole cinesi davvero impeccabile nella sua semplicità di fondo. Si tratta insomma di un romanzo perfetto per gli adolescenti, gli ideali lettori di riferimento di Garlando, che avranno l'occasione per entrare attraverso una corsia privilegiata nella biografia di un eroe italiano dei nostri giorni, una parabola davvero esemplare per tutti, ragazzi e adulti. L'introduzione è firmata da Maria Falcone, sorella di Giovanni. Assolutamente da leggere: si tratta di un libro che tiene viva la curiosità fino all'ultima pagina, oltre che di una lettura davvero istruttiva. 

Luigi Garlando, Per questo mi chiamo Giovanni, Milano, Rizzoli, 2010; pp. 141


martedì 18 maggio 2021

I RACCONTI DEL TERRORE, GARANTISCE EDGAR ALLAN POE

L’autore di questa straordinaria raccolta di racconti non ha bisogno di presentazioni, trattandosi del mitico Edgar Allan Poe, scrittore americano dalla vita breve e tormentata (1809-1849), noto per poesie ombrose come Il corvo e considerato l’inventore del poliziesco – o giallo, come è stato ribattezzato in Italia grazie all’omonima collana della Mondadori – con I delitti della Rue Morgue. I racconti del terrore è una raccolta che assortisce complessivamente ventisei racconti, molti dei quali ormai entrati nella leggenda, come ad esempio Manoscritto trovato in una bottiglia, che fin dall’uscita conferì grande fama all’autore americano, La caduta della Casa Usher, Una discesa nel Maelstroem, Il ritratto ovale, La maschera della Morte Rossa, Il pozzo e il pendolo, Il cuore rivelatore e Il barile d’Amontillado. Ovviamente nell’indice della raccolta non manca forse il racconto più celebre di Edgar Allan Poe, Il gatto nero, sospeso in modo davvero inquietante tra noir ed horror. Si tratta di una storia davvero straordinaria, narrata in prima persona con una prodigiosa prolessi che ammanterà tutto lo sviluppo successivo con una cappa di angoscia opprimente. Il racconto vede come protagonista un uomo timorato e amante degli animali, che passerà però attraverso un’inspiegabile discesa esistenziale che lo porterà faccia a faccia con il suo lato oscuro e malvagio, guidandolo verso un terribile delitto a cui assisterà il gatto “responsabile” dello scatto di violenza omicida del protagonista: il tutto in attesa dell’immancabile finale a sorpresa, una chiusa davvero magistrale. I racconti del terrore intriga a più riprese proponendo al lettore scenari gotici e angosciosi, personaggi sull’orlo del baratro, incubi tremendamente realistici, insomma, un campionario orrorifico davvero a pronta presa. Il pregio di questa edizione è ampliato anche dalla notevole introduzione di Charles Baudelaire, uno scritto dedicato appunto alla vita e alle opere di Edgar Allan Poe, autore di cui per primo tradusse i racconti in francese. Assolutamente da provare: i brividi sono garantiti in ogni racconto della raccolta, con un adeguato pizzico di suspense e l’immancabile mistero in sottofondo.

Edgar Allan Poe, I racconti del terrore, Roma, Liberamente, 2018; pp. 296

lunedì 17 maggio 2021

NOVECENTO, GRAN BELLA STORIA

Torinese, classe 1958, Alessandro Baricco è il fondatore della Scuola Holden, il più prestigioso istituto italiano di scrittura creativa, e come scrittore ha pubblicato romanzi come Castelli di rabbia, Oceano, mare, Seta e City. Novecento è un monologo teatrale che Baricco ha scritto per l'attore Eugenio Allegri e per il regista Gabriele Vacis, che ne hanno fatto uno spettacolo messo in scena nel Festival di Asti nel luglio del 1994. Una volta che Novecento è stato pubblicato, Baricco ha osservato nella prefazione che, più che un testo teatrale (peraltro il primo in cui si fosse cimentato), gli sembrava "un testo che sta in bilico tra una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce". E forse è proprio questa la dimensione ideale della storia che Novecento racconta, che è davvero una bella storia: siamo sul Virginian, un piroscafo che fa la spola tra l'Europa e l'America a cavallo tra i due conflitti mondiali. A bordo, trasportati da un capo all'altro dell'Atlantico, ci sono passeggeri ricchi, gente qualunque ed emigranti in cerca di fortuna nel Nuovo Mondo. Sembra che ogni sera sul Virginian si esibisse un eccezionale pianista, dotato di una tecnica straordinaria e in grado di suonare una musica che non si poteva ascoltare da nessuna altra parte in tutto il mondo, una vera meraviglia per le orecchie. Sembra inoltre che quel musicista strepitoso - pare che il suo strano nome per esteso suonasse Danny Boodman T.D. Lemon Novecento - fosse addirittura nato a bordo di quella nave e non ne fosse mai sceso. E sembra che nessuno ne conoscesse il perché. Per quanto breve, Novecento racconta una storia ricchissima e sorprendente, che parla di emigrazione, di sogni, di trovare il proprio posto nel mondo, della possibilità di una vita diversa, di jazz e di America, ovviamente... Da questo libro Giuseppe Tornatore ha tratto nel 1998 il film La leggenda del pianista sull'oceano. Assolutamente da provare. 

Alessandro Baricco, Novecento, Milano, Feltrinelli, 1994; pp. 62 


 

venerdì 14 maggio 2021

IO SONO MALALA

 

Il sottotitolo dell’autobiografia di Malala Yousafzai, classe 1997, scritta dall’autrice a quattro mani con la giornalista britannica Christina Lamb, è una bella dichiarazione d’intenti: “La mia battaglia per la libertà e l’istruzione delle donne”. E si tratta di una battaglia che parte molto presto: Malala ad appena undici anni comincia a scrivere su un blog in urdu della BBC le sue osservazioni sulla vita in Pakistan sotto i Talebani, contrari sia ai diritti delle donne che al diritto per l’istruzione dei bambini. La tragedia che renderà Malala un simbolo planetario accade il 9 ottobre 2012, alla fine delle lezioni, all’uscita da scuola, quando sale sul vecchio autobus per tornare a casa: improvvisamente sale a bordo un attentatore che le spara, colpendola al volto e lasciandola a un passo dalla morte. Per Malala è il prezzo da pagare per aver attirato l’attenzione dei Talebani esprimendo pubblicamente, fin da piccola, il suo grande desiderio di leggere, studiare e imparare. Miracolosamente però Malala sopravvive, viene trasferita, priva di coscienza, in un ospedale di Birmingham e diventa in tutto il mondo l’emblema delle donne che lottano per il diritto all’istruzione. Il suo impegno l’ha resa nel 2014, a soli diciassette anni, la più giovane vincitrice di sempre del Premio Nobel per la Pace, che le è stato conferito ex aequo con l’attivista indiano Kailash Satyarthi con questa motivazione: “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all'istruzione”. Io sono Malala è l’appassionato racconto di questo impegno profuso con coraggio e generosità, in nome della tolleranza e del diritto all’educazione di ogni bambino del pianeta. Malala ha quindi continuato a scrivere libri e ad impegnarsi come attivista. Un libro assolutamente da leggere: nonostante la lunghezza e qualche sprazzo di retorica, le pagine di questo libro traboccano letteralmente di umanità e di voglia di cambiare il mondo.

Malala Yousafzai, Io sono Malala, Milano, Garzanti, 2016; pp. 292

lunedì 10 maggio 2021

PRIMO LEVI E IL SISTEMA PERIODICO

Anche se il titolo sembrerebbe suggerire un trattato di chimica, Il sistema periodico è invece una raccolta di racconti che Primo Levi (1919-1987) pubblicò nel 1975. Si tratta di ventuno storie che hanno come titoli altrettanti elementi della tavola periodica, storie che in effetti parlano anche degli elementi chimici dei rispettivi titoli, per quanto si tratti effettivamente di racconti variegati dal punto di vista tematico. Eccoli qua, in successione: si comincia con l’Argon, seguito rispettivamente dall’Idrogeno, dallo Zinco, dal Ferro, dal Potassio, dal Nichel, dal Piombo, dal Mercurio, dal Fosforo, dall’Oro, dal Cerio, dal Cromo, dallo Zolfo, dal Titanio, dall’Arsenico, dall’Azoto, dallo Stagno, dall’Uranio, dall’Argento, dal Vanadio e quindi dall’ultimo della serie, il Carbonio. Ognuna delle storie è ovviamente collegata all’elemento chimico che le dà il titolo, ma ogni volta a questo Leitmotiv si associano spunti autobiografici di varia natura, che possono variare dagli esperimenti universitari di Primo Levi ai suoi primi impieghi, dai ricordi delle sue esperienze nei lager nazisti alle vicende, talvolta vere ma all’occorrenza anche frutto di fantasia, associate alla professione di chimico: insomma, Il sistema periodico per certi versi è anche una sorta di autobiografia non lineare di Primo Levi raccontata tramite la lente divergente della chimica. L’effetto talvolta è spiazzante ma nell’insieme i racconti funzionano e si fanno leggere dal primo all’ultimo, Carbonio, che racconta la successione di legami di un atomo del relativo elemento fino all’impulso per l’azione decisiva del punto finale nel cervello del narratore (insomma, finisce letteralmente con il punto che chiude la storia). La raccolta tra l’altro assortisce anche due racconti di fantasia, Piombo e Mercurio, che Levi scrisse all’inizio Quaranta e che dunque costituiscono le sue prime prove letterarie. Da segnalare una curiosità: a oltre trent’anni dalla pubblicazione Il sistema periodico nel 2006 fu scelto dalla Royal Institution del Regno Unito come il miglior libro di scienza mai scritto. In appendice, oltre a una rigorosa cronologia della vita e delle opere dell’autore, figura anche l’intervista che lo scrittore americano Philip Roth fece a Primo Levi nel 1986. Assolutamente da provare.

Primo Levi, Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 2014; pp. 243 

LA METAMORFOSI E ALTRI RACCONTI KAFKIANI

Questa raccolta assortisce il racconto lungo più celebre di Franz Kafka (1883-1924) e altri quindici storie decisamente caratteristiche dello stile essenziale ed inquietante che ha reso l’autore praghese lo scrittore forse più significativo d’inizio Novecento. La narrativa di Kafka, sia nella misura del romanzo che in quello del racconto, spesso è infatti basata su situazioni surreali ed inspiegabili che costringono il protagonista a mettersi alla prova con qualcosa più grande di lui e senza cognizione di causa: l’effetto in genere è spiazzante per il lettore, che si ritrova a seguire vicende apparentemente assurde, inspiegabili e prive di significato apparente. Sotto questo punto di vista La metamorfosi risulta effettivamente la più emblematica della narrativa kafkiana: il protagonista, Gregor Samsa, giovane commesso viaggiatore, dopo una notte turbata da sogni inquieti si sveglia una mattina trasformato in un mostruoso insetto senza avere la minima idea di quale possa essere la causa della sua mutazione improvvisa. Il risvolto più inquietante però è che il protagonista neppure si pone il problema di quanto gli è successo ma cerca semplicemente, per quanto possibile, di andare avanti come se niente fosse, anche se ovviamente la sua vita non può che essere stravolta da ciò che gli è, inspiegabilmente, capitato. Il problema che lo costringerà ad alzarsi in qualche modo dal letto e convivere con la sua nuova forma è dunque di essere in ritardo al lavoro… Ovviamente la raccolta offre altri esempi riusciti dell’immaginario kafkiano, come ad esempio Un vecchio foglio, Un sogno e soprattutto Un messaggio dell’imperatore, in cui il misterioso messaggio dell’imperatore morente a uno sconosciuto destinatario (che potrebbe anche essere il lettore, chissà...) diventa per certi versi la metafora di ciò che l’umanità vorrebbe disperatamente scoprire. Insomma, La metamorfosi e altri racconti è una raccolta assolutamente da leggere: pagina dopo pagina, racconto dopo racconto, dimostra implacabilmente il significato dell’aggettivo kafkiano, che paradigmaticamente indica le situazioni assurde e incomprensibili che caratterizzano la narrativa del celebre scrittore ceco.

Franz Kafka, La metamorfosi e altri racconti, Varese, Crescere Edizioni, 2019; pp. 143

domenica 9 maggio 2021

STORIA DI IQBAL

Questo libro racconta la vera storia di Iqbal Masih, un ragazzo pakistano dodicenne che in tutto il mondo è diventato il simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile. L’autore di Storia di Iqbal, Francesco D’Adamo, classe 1949, è ormai da tempo una firma importante della narrativa per ragazzi: la sua ovviamente è una versione romanzata della storia di questo coraggioso dodicenne, che forse è stato descritto, come ammette lo stesso autore nella prefazione, un po’ più bello e coraggioso di come magari fu nella realtà. D’Adamo invece ci confessa d’aver inventato di sana pianta il personaggio di Fatima, la compagna di prigionia di Iqbal che ci racconta la storia in prima persona, anche se sicuramente un’amica o un amico gli sono stati accanto e hanno condiviso la sua sorte. È appunto attraverso i ricordi di Fatima che l’autore ci porta nel laboratorio di tappeti di Hussain Khan, nella periferia di Lahore, dove scopriamo il dramma comune di tanti bambini ceduti ad un padrone in cambio di pochi dollari e poi ridotti in schiavitù, incatenati ad un telaio a tessere tappeti in ambienti malsani, caldi d’estate e freddi d’inverno, a lavorare ininterrottamente da mezz’ora prima dell’alba fino a sera in cambio di una forma di pane chapati da intingere in una grande ciotola comune piena di crema di lenticchie, per dormire poche ore su scomodi giacigli e quindi ricominciare da capo l’indomani, finché non avranno ripagato il debito delle proprie famiglie. Ma il debito di questi piccoli lavoratori sta scritto su delle lavagne da cui ogni giorno il padrone, se lo ritiene opportuno, cancella l’equivalente di una rupia: ma in realtà il debito non si estingue mai. Un giorno nella fabbrica di Hussain Khan approda Iqbal, rilevato da un altro padrone che ha deciso di disfarsene, nonostante la grandissima abilità del ragazzo ad intessere tappeti, per la sua propensione alla fuga ed il suo carattere particolarmente orgoglioso. Iqbal, come milioni di altri bambini nella sua situazione, è stato ceduto dai suoi genitori, contadini finiti in miseria, in cambio di appena 26 dollari. Non passa molto prima che Iqbal dimostri al suo nuovo padrone di che tempra è fatto, squarciandogli un tappeto di gran pregio – che lui stesso aveva intessuto, l’unico tra i piccoli lavoranti della fabbrica ad esserne capace – davanti agli occhi: è così che il giovane protagonista finirà nel luogo più temuto dai suoi compagni di schiavitù, la Tomba, una prigione ricavata in una cisterna buia e malsana. Nonostante le difficoltà, Iqbal riuscirà a fuggire ed avrà il coraggio di denunciare il proprio padrone che, dopo essersi salvato una prima volta corrompendo i poliziotti, finirà poi in carcere. Riacquistata la libertà, Iqbal continuerà ad impegnarsi attivamente in un’associazione contro lo sfruttamento del lavoro minorile, diventando un simbolo e contribuendo alla liberazione di centinaia di piccoli schiavi, prima di morire assassinato per mano di sicari della cosiddetta “mafia dei tappeti” il 16 aprile 1995. Una gran bella storia, insomma: in questo romanzo di denuncia, triste e realistico al tempo stesso, D’Adamo ci ricorda il valore della libertà e il diritto dei bambini a crescere in armonia, a giocare ed a sognare. L’edizione 2015 dell’Einaudi, celebrativa del venticinquennale della morte di Iqbal, è introdotta da una bella prefazione del giornalista Gad Lerner, che riflette sull’importanza della figura dello sfortunato giovane attivista pakistano e su quello che ha rappresentato per i bambini che lavorano che, dati UNICEF alla mano, nel mondo ammontano a ben 168 milioni, più del 10% della popolazione infantile del pianeta.

Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal, Torino, Einaudi, 2021; pp. 141

sabato 8 maggio 2021

L'ETÀ DEI MURI, UN PARADIGMA DEL NOSTRO TEMPO

Carlo Greppi, classe 1982, è un giovane storico che da anni collabora con Rai Storia e organizza viaggi della memoria con l’associazione Deina, ha inoltre scritto libri di narrativa per ragazzi che esplorano tematiche a lui care come appunto la memoria in Non restare indietro e il concetto di confine in Bruciare la frontiera. Nel saggio L’età dei muri Greppi rilegge il nostro tempo attraverso la lente divergente dei muri e degli strumenti di divisione in genere: si parte dallo spunto di un frammento del muro per eccellenza del ventesimo secolo, il Muro di Berlino, portato come souvenir all’autore alla tenera età di sette anni e qualche mese dal padre, di ritorno da un viaggio nella città tedesca con l’impressione di aver appena vissuto una svolta epocale. Quel frammento perduto (ci resterà la curiosità sul relativo ritrovamento) per Greppi è l’innesco di un viaggio in quella che lui chiama l’età dei muri, in quanto il Berliner Mauer, una volta abbattuto, è stato seguito da una vera e propria schiera di sbarramenti divisori in varie parti del mondo. Nel capitolo incipitario di questo viaggio nella storia Carlo Greppi ci mostra la preistoria dell’argomento del suo saggio: nel corso dell’Ottocento infatti due uomini, il francese Joseph Monier e l’americano Joseph Farwell Glidden, elaborano altrettante invenzioni che si riveleranno decisive per creare divisioni nel futuro prossimo e venturo, ovvero il cemento armato e il filo spinato, mentre un terzo, l’inglese Charles Wheatstone, inventerà uno strumento musicale simile a una fisarmonica, la concertina, che presterà il nome a un tipo di nastro spinato a grandi bobine che si allargano per creare ostacoli militari dalla prima guerra mondiale in poi. Da qui L’età dei muri prosegue raccontando cronologicamente il Novecento attraverso una serie di archi temporali caratterizzati da muri, divisioni e affini coprendo un secolo e arrivando fino ai giorni nostri. Non si tratta di un racconto lineare, però, dato che Greppi ha scelto di mostrarcelo dalle prospettive diversissime ma con inquietanti punti di contatto di quattro protagonisti del nostro tempo: si tratta rispettivamente dello storico polacco Emanuel Ringelblum, dell’attivista canadese John Runnings, del fotografo tedesco Joe J. Heydecker e del mitico cantante giamaicano Robert Nesta Marley, in arte Bob Marley. Sono quattro uomini che hanno letteralmente attraversato l’età dei muri: Emanuel Ringelblum ha scelto di non fuggire dal suo destino ma di farsi rinchiudere nel ghetto di Varsavia per documentare la Shoah e nascondere le prove per quando tutto sarà finito; John Runnings ha partecipato al D-Day e poi ha passato una vita da pacifista, per diventare, già avanti negli anni, il celebre Wall Walker, colui che ha sferrato la prima picconata al Muro di Berlino; Joe J. Heydecker è entrato nella Wehrmacht perché la sua famiglia non subisse ripercussioni e da soldato non ha quasi sparato al nemico, ma è entrato nel ghetto di Varsavia per fotografare l’orrore, riuscendo a pubblicarne un libro decenni dopo; Bob Marley è diventato la prima star del terzo mondo grazie al reggae, un nuovo genere musicale, perfetto per superare le divisioni e celebrare l’amore universale (e non a caso ogni capitolo comincia puntualmente con una citazione di una canzone del vasto repertorio del cantante giamaicano). Un gran bel saggio storico, insomma, dove il lettore fluttua tra quattro indimenticabili uomini persi nei meandri dell’età dei muri, che secondo Greppi è ben lungi dal concludersi.

Carlo Greppi, L’età dei muri. Breve storia del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2019; pp. 286

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...