giovedì 16 giugno 2022

GENTE DI DUBLINO: I RACCONTI DUBLINESI DI JOYCE

Gente di Dublino è una raccolta di racconti che James Joyce riuscì a pubblicare – con non poche difficoltà e dopo numerosi rifiuti – soltanto nel 1914, ma questo libro conobbe subito un grande successo e fu considerato unanimemente dalla critica uno dei capolavori assoluti della letteratura europea contemporanea. In ossequio al titolo la raccolta assortisce complessivamente quindici racconti ambientati a Dublino che l’autore irlandese scrisse tra il 1904 e il 1907, l’anno in cui Joyce terminò l’ultimo della serie, I morti, che peraltro è il più noto del libro ed è la fonte narrativa dell’omonimo film di John Huston (l'ultimo diretto nella sua lunga carriera. La raccolta cattura momenti emblematici delle vite ordinarie di vari personaggi che vivono a Dublino e dintorni raccontandone le storie quotidiane. Nel complesso Joyce fotografa la sua città natale enfatizzandone due tematiche principali: la soffocante (e diffusa) atmosfera di paralisi morale e la propensione generalizzata alla fuga, un'esigenza che lo stesso autore a un certo punto metterà in atto trasferendosi altrove. I racconti di Gente di Dublino sono narrati in modalità ancora tradizionali (Joyce non aveva ancora realizzato l’approccio sperimentale del suo capolavoro, Ulisse) e sono articolati in quattro sezioni che rappresentano altrettante fase esistenziali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la vita pubblica. Nel suo insieme il libro evidenzia l’immobilità morale di molti personaggi di Dublino, che amano la loro terra  e magari ignorano che dovrebbero andarsene, che ci provano senza poi averne la forza, che non sanno come essere felici e talvolta (abbastanza spesso, in effetti) cercano un conforto illusorio nell’alcool. Joyce molto spesso ci fa stare dentro la testa dei protagonisti dei racconti grazie alla tecnica del discorso indiretto libero, e a volte ci mette con loro in una condizione altamente simbolica facendoci vivere insieme a loro un’epifania, uno di quegli momenti rivelatori di un’intera vita. E poi dentro il libro c’è Dublino, ovviamente, lo scenario costante delle storie, con i suoi luoghi d’interesse come Grafton Street o il Trinity College. Le storie che più lasciano il segno a mio modesto avviso sono Eveline, in cui una ragazza riflette sulla prossima partenza per i mari del Sud per vivere una nuova vita col fidanzato marinaio in Argentina (ma poi all’ultimo non ha la forza per abbandonare la città natale) e I morti, il lungo racconto conclusivo che narra di una grande festa e del successivo ritorno nella loro camera d’albergo di Gabriel e Gretta, e dell’epifania evocata in lei dai versi di una canzone capace di ricordare alla donna il suo primo amore di Gallway, un ragazzo fragile che probabilmente si uccise pur di rivederla un’ultima volta. Davvero una gemma luminosa a chiusura di una raccolta assolutamente da scoprire.
James Joyce, Gente di Dublino, Milano, Garzanti, 2008; pp. 213

martedì 7 giugno 2022

LA STORIA INFINITA, UN GRANDE CLASSICO FANTASY

Pochi romanzi contemporanei per ragazzi hanno raggiunto lo status di classico in breve tempo come La storia infinita di Michael Ende, classe 1929, regista teatrale tedesco con la passione per la scrittura, già autore di Momo e La terribile banda dei “Tredici” Pirati. La storia infinita ha conosciuto un crescente successo fin dall’uscita in libreria, nel 1979, amplificato peraltro dalla traslazione del romanzo nell’omonimo film di Wolfgang Petersen del 1984. Il romanzo in sé appartiene al genere fantasy, ma è dotato di una particolarità intertestuale che lo rende a suo modo unico: racconta una storia nella storia e in più a un certo punto i protagonisti dei due mondi narrativi entreranno fatalmente in contatto. Il protagonista del romanzo ha dieci anni e si chiama Bastiano Baldassarre Bucci, ed è quello che si definirebbe uno sfigato: sovrappeso, senza talenti particolari (tranne la passione per la lettura), orfano di madre (e con un padre comprensibilmente depresso), Bastiano sembra la vittima perfetta dei bulli di turno. Ed è proprio scappando da qualcuno che ce l’ha con lui che finisce dentro una libreria antiquaria, al cospetto di un libraio antipatico che ha tra le mani un libro il cui titolo attira immediatamente l’attenzione di Bastiano: La storia infinita. Sfruttando un momento di distrazione del librario, il protagonista afferra il libro e scappa dal negozio. Arriva a scuola, ma ha fatto tardi, così si sistema nella soffitta dell’edificio, buia, polverosa e piena di cianfrusaglie. Da uno spiraglio di luce inizia a leggere il libro e si perde in una fantastica storia: siamo a Fantàsia, un regno governato dall’Infanta Imperatrice, in cui però si sta diffondendo uno strano male, il Nulla, che sta fagocitando sempre più territori e che nessuno riesce a contrastare. Anche l’Infanta Imperatrice è afflitta da una malattia sconosciuta per cui sembra non esserci cura, così incarica Atreiu, un ragazzo dei Pelleverde del Mare Erboso, di trovare una cura per lei e per il regno. Per riuscire nella missione Atreiu riceve l’Auryn, un potente talismano che lo proteggerà da ogni, e poco dopo si imbatte nel Drago della Fortuna Fùcur, che diventerà un inseparabile compagno d’avventure. La storia è questa, ed è persino divisa cromaticamente, dato che gli eventi nella realtà di Bastiano sono stampati con inchiostro rosso scuro, mentre quanto succede a Fantàsia è stampato in verde. Ovviamente ad un certo punto sarà il protagonista umano ad approdare nel regno incantato per mettere a posto le cose. La storia infinita in ossequio al suo titolo si presenta come un libro multiforme, un po’ romanzo metatestuale, un po’ libro d’avventura, un po’ romanzo di formazione, e in ogni riga sembra letteralmente affiorare un atto d’amore alla potenza creatrice della fantasia. In effetti Michael Ende è riuscito nella sfida di raccontare una storia apparentemente ricolma di tante storie che prendono origine da essa stessa, e in più offre al lettore l’occasione di identificarsi con lo sfortunato protagonista, anche lui amante dei libri e delle storie in genere, e provare con lui l’ebbrezza di diventare un vero eroe. Un grande classico fantasy.

Michael Ende, La storia infinita, Milano, Corbaccio, 2009; pp. 446


 

venerdì 20 maggio 2022

OMERO, ILIADE: LA CADUTA DI TROIA SECONDO BARICCO

Romanziere, saggista, drammaturgo, ma fondamentalmente un narratore puro di storie: questa pare essere la vocazione privilegiata di Alessandro Baricco, nato a Torino nel 1958, dove ha fondato la scuola di scrittura creativa Holden. E come resistere alla sfida per definizione per un narratore puro, ovvero raccontare oralmente la storia più antica di tutte, quella narrata da Omero nell’Iliade? Mosso appunto dall’idea di adattarne il testo per una lettura pubblica Baricco ha riletto l’opera nella traduzione di Maria Grazia Ciani, riscrivendone il materiale narrativo e montandolo dalla prospettiva di ventuno voci narranti, l’ultima delle quali appartiene all’aedo Demòdoco, che racconta la fine di Troia sulla base dell’Odissea ed altre fonti. Ventuno voci narranti per creare un tramite meno distaccato della terza persona come trait d’union tra la storia – o meglio tra i tanti mitici episodi che compongono la grande storia dell’Iliade – e il punto di vista del lettore/ascoltatore. Ecco così che nell’opera di secondo grado Omero, Iliade rivivono gli dei (che rimangono però più sullo sfondo della narrazione rispetto alla fonte letteraria vera e propria), gli uomini e gli eroi ormai entrati nella sfera del mito, cristallizzati nell’epilogo della decennale guerra di Troia, un’eterna storia di vendetta, ambizione, pietà, valore, astuzia, violenza. E una storia di guerra – e dunque sempre attuale nei drastici tempi che corrono – quando la guerra però si poteva ancora concepire come un’avventura estrema, dotata di un’infernale bellezza che la rende un’avventura ancora avvincente a secoli di distanza dalla sua composizione: “Quel che forse suggerisce l’Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare quella bellezza: come se non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta” scrive Baricco nella postilla finale “è una dannosa menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno: ma bello. Da sempre gli uomini ci si buttano come falene attratte dalla luce mortale del fuoco. Non c’è paura, o orrore di sé, che sia riuscito a tenerli lontani dalle fiamme: perché in esse sempre hanno trovato l’unico riscatto possibile dalla penombra della vita. Per questo, oggi, il compito di un vero pacifismo” conclude Baricco “dovrebbe essere non tanto demonizzare all’eccesso la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che la guerra da sempre ci offre”. Strappi di sintesi della trama ovviamente ce ne sono – e sono voluti, per agevolarne una lettura ad alta voce tra un’ora e mezza e due ore – ma il fascino della storia è rimasto integro, semmai grazie al talento di Baricco la storia ha guadagnato in efficacia e fantasia: rispetto all’Iliade originale compaiono infatti anche brani evidenziati con caratteri in corsivo inventati di sana pianta per aumentare il livello di definizione di una trama che non smette di incantare lettori da tre millenni in qua. Un libro ideale per addentrarsi nelle meraviglie narrative del capolavoro all’origine della cultura occidentale.

Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Milano, Mondadori, 2004; pp. 165

ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Una delle raccolte di poesia più iconiche di sempre è senza dubbio l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1868-1950), che l'autore americano pubblicò a puntate sul "Mirror" di Saint Louis tra il 1914 e il 1915 e poi nella versione definitiva in volume l'anno successivo. Il volume assortisce poesie in versi liberi che raccontano le vite degli abitanti del paese immaginario di Spoon River - che nella realtà deriva dal nome dell'omonimo fiume che scorre nei pressi di Lewistown, la città di residenza dell'autore - e sepolti nel fantomatico cimitero locale: in pratica il libro contiene una serie di epitaffi che raccontano altrettante vite dei defunti che riposano nel cimitero di Spoon River. La versione definitiva del 1916 raccoglie 243 epigrafi più la poesia incipitaria, intitolata La Collina. Masters aveva già l'idea di raccontare i luoghi della sua vita tramite le voci di persone realmente esistite, ma lo spunto per narrarle tramite epitaffi di personaggi già defunti - e dunque, ovviamente, sinceri e obiettivi verso le proprie esistenze ormai concluse - probabilmente gli venne in mente dalla lettura dell'Antologia Palatina, appunto una racconta di epigrammi ed epitaffi greci. Il risultato è una galleria di varia umanità che colpisce allo stomaco il lettore e ne stuzzica l'immaginario con una serie di ritratti ricchi di rivelazioni fulminanti e spesso in grado di fotografare con pochi tratti l'anima di un uomo. Nonostante Masters si fosse posto lo scrupolo di cambiare i nomi, siccome tutte le storie del suo libro erano assolutamente vere e tratte dalle piccole realtà di Petersburg e Lewistown, successe che gli abitanti di queste comunità, in grado di cogliere le "fonti" umane del libro, bandirono il poeta a vita. Alcuni personaggi della raccolta sono in effetti davvero autentici, come il dottor Siegfried Iseman, che tradì il giuramento d'Ippocrate e finì dietro le sbarre fabbricando un elisir di lunga vita, o George Gray, che ha una barca con vele ammainate scolpita sulla lapide perché per timore finì per vivere una vita immobile, o Francis Turner, morto ragazzo baciando la sua Mary "con l'anima sulle labbra", o il giudice Selah Lively, schernito tutta la vita per la sua bassa statura e vendicativo una volta divenuto giudice della vita del prossimo, o lo sfortunato Walter Simmons, atteso da un destino luminoso che mai arrivò per mancanza di genio, o l'ottico Dippold, che aveva sempre una lente giusta per tutti. L'immediato successo delle prime poesie sconvolse letteralmente la vita di Edgar Lee Masters, che iniziò a comporre la sua grande galleria poetica a ritmo continuo e alla fine decise di abbandonare la legge per diventare scrittore a tempo pieno, anche se le sue opere successive non ebbero la stessa fortuna, ben presto i proventi editoriali dell'Antologia cominciarono a sfumare e l'autore visse la vecchiaia in condizioni economiche sempre più difficili. Il capolavoro di Edgar Lee Masters conobbe ben presto un grande successo anche nel vecchio continente e in Italia corre l'obbligo di citare almeno l'omaggio che  fu tributato al libro da un grande cantautore come Fabrizio De André, che ne fu ispirato per l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo del 1971. Insomma, una raccolta poetica in cui ci si perde subito e che non si dimentica più...

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 1971; pp. 257 


mercoledì 18 maggio 2022

STORIA DI UNA LUMACA CHE SCOPRÌ L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA

L’autore cileno Luis Sepúlveda (1949-2020) aveva raggiunto qualche anno fa il successo internazionale con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, un romanzo per ragazzi a tinte fiabesche che è anche diventato un fortunato film d’animazione di Enzo D’Alò. Anche nella Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza lo scrittore sudamericano ha creato un’analoga commistione tra fiaba e romanzo, presentandoci una lumaca diversa da tutte le altre compagne che vivono nel Paese del Dente di Leone, all’ombra di una frondosa pianta di alicanto. La storia è la promessa, mantenuta ad anni di distanza, della domanda fatta da un nipote di Sepúlveda quando era bambino, la classica domanda infantile che potrebbe nascondere un mondo: perché le lumache sono così lente? Già… sembra banale, dato che siamo abituati a vederle muoversi così piano, ma perché? Lo scrittore sudamericano in quel momento non aveva una buona risposta, ma si è ricordato della domanda, che gli ha appunto fornito lo spunto per questo romanzo breve per ragazzi, che risponde con la fantasia all’acuto quesito del bambino di un tempo. Ma veniamo senza altri indugi alla storia, che prende avvio nel prato conosciuto dalle molte lumache che vi abitano da sempre appunto come il Paese del Dente di Leone. Le lumache vivono placidamente in questo luogo ameno chiamandosi l’una con l’altra in modo generico, ma tra loro c’è una giovane ribelle che vorrebbe avere un nome e sapere la ragione della lentezza che caratterizza la sua specie. Purtroppo nessuna delle sue compagne riuscirà a darle delle risposte, quindi partirà per trovarne iniziando un viaggio lungo e lentissimo in cui incontrerà vari personaggi, come un gufo malinconico e una saggia tartaruga, acquisterà un nome strada facendo, scoprirà un tremendo pericolo che incombe sul suo popolo, che dovrà cercare di salvare nonostante la sfiducia generale nei suoi confronti. Tutto qui, narrato in modo semplice e incisivo. Ne vien fuori una gran bella storia, delicata e leggera come una goccia di rugiada che scivola giù per uno stelo d’erba: ideale per un pubblico infantile ma gradevole anche per adulti di buoni sentimenti. La nostra impagabile lumaca protagonista è un’ottima metafora anche per la vita contemporanea nella sua ostinata e consapevole ricerca di un’identità precisa, di un segnale anagrafico che la separi dalla massa indistinta in cui di solito tende a mimetizzarsi la razza umana nel suo complesso. E la ricerca di una risposta alla lentezza insita nel suo modo di essere è un’altra bella metafora del cammino di ricerca di se stessi che contraddistingue l’evoluzione dell’adolescenza. Due riuscite metafore implicite, insomma, che costituiscono due ottimi motivi, senza considerare il sempre intrigante stile sepulvediano, semplice ed affabulatorio, per azzardare la lettura di Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza.

Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Parma, Guanda, 2013; pp. 97 

lunedì 16 maggio 2022

READY PLAYER ONE: PRONTI A GIOCARE?

Ci sono i romanzi distopici che aprono la porta a universi d’immaginazione in sé conclusi e portano il lettore in un futuro alternativo senza colpo ferire, trasportandolo letteralmente altrove e Ready Player One di Ernest Cline appartiene decisamente a questa categoria, degno erede di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il classico per antonomasia del genere. Siamo in un futuro prossimo e venturo che si può sintetizzare in una sola parola: inquietante. Nel 2045 la Terra è sovrappopolata e in piena decadenza, anche nelle nazioni più sviluppate tecnologicamente: le città sono stracolme ed oppresse dalla mancanza di fonti energetiche, i poveri del futuro vivono in piccole unità abitative impilate in strutture d’acciaio in periferie da incubo, quasi baraccopoli di lamiere sviluppate in verticale su tralicci che sfidano la forza di gravità. È un mondo quasi senza speranza e in cui l’umanità è riuscita a sopravvivere soltanto rifugiandosi in un mondo virtuale che si chiama Oasis, cui si accede con speciali occhiali sinaptici con riconoscimento retinico: questo straordinario paradiso di pixel e codici aperto a tutti e senza costi di abbonamento è stato inventato da un leggendario programmatore, James Halliday, il fondatore della Gregarious Games, un multimiliardario che, dopo aver scoperto di aver poco ancora da vivere, ha lasciato la sua immensa fortuna e il controllo della sua azienda a chi riuscirà ad impossessarsi di un easter egg oltrepassando tre porte che si aprono con tre chiavi nascoste chissà dove nei meandri di Oasis. Purtroppo questo straordinario annuncio risale a cinque anni fa e nessuno da allora ha fatto il minimo progresso riuscendo ad entrare nel segnapunti di Oasis: da una parte lo cercano i cosiddetti gunter (contrazione di egg’s hunter) dall’altra la spietata multinazionale IOI, che intende impossessarsi di Oasis per imporre canoni d’abbonamenti ed arricchirsi a dismisura con la pubblicità che Halliday ha sempre estromesso dalla sua creazione. Protagonista della storia è appunto un gunter senza arte né parte che vive nelle cosiddette “cataste” di Oklahoma City (sterminati quartieri periferici di roulotte impilate) e risponde al nome di Wade Watts, grande appassionato della cultura pop degli anni Ottanta (venerata da Halliday), noto su Oasis come Parzival, il suo avatar. In cerca di un’idea per trovare la prima chiave insieme al suo miglior amico Each, il nostro eroe incontrerà la valente Art3mis, gunter di grande potenza e fama, e sarà proprio lui ad attirare l’attenzione della IOI guidata dal perfido Nolan Sorrento, un capo disposto a infrangere ogni regola e perfino a uccidere pur di impossessarsi dell’easter egg di Halliday. Ben presto il giovane protagonista scoprirà a caro prezzo l’assoluta mancanza di scrupolo della spietata multinazionale e deciderà di far causa comune con Each, Art3mis e i due gunter nipponici Daito e Shoto per vincere la “partita” e magari fare la cosa giusta: gli darà una mano dietro le quinte il vecchio Ogden Morrow, ex socio nonché miglior amico di Halliday. Che dire? Ready Player One è davvero quello che si può immaginare dalle linee narrative della trama, ovvero una caccia al tesoro ambientata in un’isola virtuale vasta quanto un universo e ricca di riferimenti soprattutto alla cultura popolare degli anni Ottanta nel senso più allargato che si possa concepire: videogames a profusione, giochi di ruolo come Dungeons and Dragons, film d’azione per ragazzi, serie televisive, cartoons giapponesi e così via. E il bello è che i mondi di Oasis sono pure tematici, quindi ognuno presenta un irresistibile spaccato della sterminata immaginazione di Halliday, nume tutelare della caccia planetaria che lui stesso ha innescato col suo avatar Anorak. Alla fine il romanzo regala un confronto epico tra buoni e cattivi prima di farci scoprire perfino il manzoniano “sugo” della storia… Una piccola meraviglia a orologeria perfettamente congegnata per intrappolare le nuove generazioni e quelle dei bei tempi andati.

Ernest Cline, Ready Player One, Milano, DeA, 2018; pp. 441

venerdì 6 maggio 2022

IL LADRO DI MERENDINE DI ANDREA CAMILLERI

Si tratta del terzo giallo che Andrea Camilleri (1925-2019), regista e sceneggiatore siciliano, ha dedicato al fortunato personaggio di Salvo Montalbano, il sagace commissario di Vigàta, cittadina siciliana immaginaria ma caratteristica a tal punto quasi da superare la realtà. Il ladro di merendine inizia mostrandoci gli sforzi ciclopici del protagonista per evitare lo spettro di un avanzamento gerarchico che gli imporrebbe di trasferirsi altrove, rinunciare all'amato modus vivendi, oltre che ai capricci investigativi che solo Vigàta ed i suoi fedeli collaboratori da sempre possono consentirgli. L'indagine vera e propria stavolta è duplice ed incentrata sulla connessione che Montalbano intravede tra l'omicidio di un pescatore tunisino imbarcato in un peschereccio siciliano finito in acque internazionali (e mitragliato da una motovedetta tunisina) e quello di Aurelio Lapecora, un commerciante di Vigàta che è stato accoltellato nell'ascensore di casa: riguardo al secondo omicidio, in particolare, i sospetti cadono ben presto sulla vedova, che forse il marito tradiva con una bellissima tunisina che si occupava delle pulizie domestiche. L'insperato collegamento tra i due omicidi spunta fuori in carne e ossa in un bambino che ruba le merendine a scuola e sembra nascondersi da un segreto terribile. Ne Il ladro di merendine a questo punto acquista spessore soprattutto la figura di Livia da Boccadasse, Genova, l'eterna fidanzata ligure di Montalbano che qui intravede un possibile futuro di madre (e moglie): si tratta però di un futuro che il buon commissario cercherà di ritardare al pari della promozione incombente. Il romanzo è ovviamente scritto nell'originale pastiche di italiano e dialetto siciliano che è diventato il marchio caratteristico della narrativa di Camilleri e, oltre al tradizionale avvincente intreccio poliziesco della serie dedicata a Montalbano, presenta uno spaccato sociale narrato in modo efficace e mai banale. Davvero un romanzo avvincente e notevole.

Andrea Camilleri, Il ladro di merendine, Palermo, Sellerio, 1996; pp. 250

sabato 23 aprile 2022

PER SEMPRE INSIEME, AMEN

Per sempre insieme, amen è l’ennesimo piccolo capolavoro di uno scrittore specializzato nella narrativa per ragazzi, l'olandese Guus Kuijer, classe 1942, che negli ultimi quarant'anni ha vinto moltissimi premi letterari e nel 2012 si è visto assegnare addirittura il Premio Astrid Lindgren, il riconoscimento internazionale più prestigioso per quanto riguarda la letteratura per ragazzi. Ma passiamo senza indugi ulteriori alla storia raccontata in Per sempre insieme, amen: ne è protagonista un'irresistibile undicenne che si chiama Polleke, un'adolescente dal problematico background familiare, forse in misura superiore alla media, in effetti. All'inizio della storia Polleke ha un diverbio col fidanzato Mimun, un compagno di classe di origine marocchina: lo screzio induce il maestro di Polleke ad improvvisare una lezione contro la discriminazione razziale, innescando la reazione della mamma della piccola protagonista, che non ha apprezzato che a sua figlia sia stata affibbiata la poco lusinghiera etichetta di razzista. Quando però il maestro incontra la mamma della ragazzina, che è separata dal marito, scocca la fatidica scintilla, tanto per rendere ancora più problematica la situazione della povera Polleke. La reazione della protagonista è perfettamente normale, dato che è rimasta molto legata al padre, nonostante lui abbia abbandonato la madre per sposare un'altra: Polleke infatti suole perdonare ogni cosa al genitore, che appartiene a pieno merito alla categoria dei PP (padri problematici), e che considera un poeta anche se non ha mai scritto un solo verso in vita sua. Al contrario i versi (e le preghiere) di Polleke contrappuntano i brevissimi capitoli di questo breve romanzo di formazione con la concisione e l’efficacia tipica degli haiku giapponesi: “A volte la parola cade / come un fiocco di neve, / a volte come una pietra, e tutti dicono; silenzio,/ lì cade una parola”. In mezzo a siffatti spunti lirici questa impagabile ragazzina trova anche il tempo per accudire la vitellina dei nonni di campagna (cui viene dato il suo stesso nome), svincolarsi dalla predestinazione matrimoniale del suo ex fidanzato ed infine dare una mano al suo dissennato genitore, che è stato buttato fuori di casa dalla nuova compagna e sembra addirittura piombato nella tossicodipendenza. Una bella storia, tutto sommato, nonostante la strana miscela narrativa con cui è stata confezionata, che assortisce problematiche variegate: una tipica famiglia contemporanea (davvero parecchio complicata), una frammentata multiculturalità di sfondo (piena di stereotipi classici e difficili da risolvere), un’adolescenza difficile fotografata nel bel mezzo di un amore difficoltoso, e infine quel complesso processo che porta ognuno a trovare il suo posto nel mondo, il tutto con uno spruzzo di poesia ricca di emotività. Sembra impossibile, ma funziona, ed è pure gradevole da leggere… 

Guus Kuijer, Per sempre insieme, amen, Milano, Feltrinelli, 2012; p. 94


PERCY JACKSON: ECCO IL GRAN FINALE!

Tutte le saghe hanno una fine e Lo scontro finale è la roboante conclusione di quella di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, che ha portato fortuna e gloria al suo autore, l’americano Rick Riordan, classe 1964, per lungo tempo docente di Inglese e Storia nell’equivalente statunitense delle Medie italiane. Il quinto ed ultimo episodio condensa e risolve le numerose sottotrame che progressivamente sono state aperte nelle avventure precedenti , compresa la famigerata profezia mortale che incombe sul giovane protagonista al componimento del sedicesimo anno di età. Lo scontro finale – pessima traduzione del titolo originale, che suona “l’ultimo Olimpico” – prende avvio mostrandoci Percy impegnato in una missione che porta alla distruzione della nave della sua nemesi Luke, ma purtroppo causa anche la morte di Beckendorf, il compagno d’avventura del figlio di Poseidone. Nel frattempo al Campo Mezzosangue fervono i preparativi per la battaglia risolutiva contro Crono e il suo esercito, le cui file si sono ingrossate col passaggio di molti semidei dalla parte dei Titani. Sono in grande difficoltà anche gli stessi dei dell’Olimpo, impegnati nell’ardua impresa di rallentare il possente Tifone nella sua inarrestabile marcia verso New York, dove l’Olimpo ha trovato la sua sede nel XXI secolo, al seicentesimo piano dell’Empire State Building. Toccherà ai Mezzosangue impedire a Crono di espugnare la casa dei loro divini genitori, ma prima il buon Percy, che intanto ha avuto modo di leggere l’infausta profezia che lo riguarda, dovrà azzardare un’escursione nel regno di Ade, durante la quale avrà modo di diventare invincibile bagnandosi nello Stige, esattamente come il prode Achille (dotato peraltro di un punto debole esattamente come l’eroe dell'Iliade). Nella battaglia finale il nostro Testa d’Alghe andrà progressivamente perdendo fiducia negli dei, ma resterà fedele alla loro causa in vista della sorprendente serie di fatali eventi che condurrà il gentil pubblico all’immancabile happy ending dove tutto magicamente andrà a finire nel modo giusto. L’ultimo tassello della premiata saga di Percy Jackson non delude le attese e ci consegna il solito gustoso romanzo fantasy per ragazzi cui Rick Riordan ci ha abituati, che forse nel complesso è anche un po’ troppo prevedibile nella dinamica degli eroi allo stremo che riescono in modo singolare a ribaltare l’ineluttabile destino che grava su di loro… Certo, la sensazione di déjà vu che traspare dalla trama è evidente, ma che importa se è esattamente quel che i lettori si aspettano? 

Rick Riordan, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. Lo scontro finale, Milano, Mondadori, 2012; pp. 360 


LA BATTAGLIA DEL LABIRINTO: PERCY JACKSON COLPISCE ANCORA!

Si tratta del quarto episodio (su cinque complessivi) della saga fantasy di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, che in patria è divenuta un sorprendente fenomeno editoriale da trenta milioni di copie e da cui è stato traslato sul grande schermo nel 2010 il primo film della serie, diretto dallo specialista Chris Columbus, seguito dal sequel di Thor Freudenthal (per adesso l'unico). Con La battaglia del labirinto entriamo davvero nel vivo dell’epopea del giovanissimo semidio Percy Jackson, figlio di Poseidone e di una mortale. Ormai il conflitto conclusivo tra gli dei dell’Olimpo – che, come ormai sappiamo, non è più sulla sommità di un monte dell’antica Grecia, ma oltre le nuvole dell’Empire State Building, a New York – e i redivivi Titani è quasi ad un passo. Non a caso al Campo Mezzosangue (l’equivalente di Hogwarts nell’universo di Riordan) aleggia un vento di comprensibile nervosismo per l’imminente invasione da parte di Luke al comando dell’esercito di Crono, aumentano le defezioni, fervono gli allenamenti e perfino Dioniso è partito per una missione segreta. A scopo difensivo il buon Percy con gli inseparabili Annabeth e Grover dovrà avventurarsi nei meandri del tortuoso labirinto di Dedalo: il mitico inventore realizzò la prima incarnazione della sua creatura a Cnosso, nell’isola di Creta, ma i tentacoli di questo vero e proprio mondo sotterraneo oggi si estendono anche sotto il Nord America. All’interno del labirinto – da cui Annabeth, quale figlia di Atena, è estremamente intrigata, non a caso è lei che guida l’impresa – i nostri eroi dovranno fronteggiare pericoli in serie, trappole a ripetizione e nemici sempre più letali, molteplici insidie da cui Percy e compagnia riusciranno a destreggiarsi anche grazie ai preziosi insegnamenti di Quintus, il nuovo docente di tecniche di combattimento del Campo Mezzosangue. Riuscirà il rampollo di Poseidone a mettere le mani sul leggendario filo d’Arianna prima del suo avversario (nonché ex amico) Luke? Lo scopriremo, al solito, in un crescendo di emozioni e di colpi di scena, ovviamente dalla prospettiva in prima persona del giovane protagonista, su cui continua ad incombere una sinistra profezia che si scioglierà, ça va sans dire, nella prossima puntata, l’ultima della fortunata serie di Riordan. Anche La battaglia del labirinto non deluderà i numerosi fans grazie alla sempre efficace commistione di mito e contemporaneità che caratterizza la saga. 

Rick Riordan, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. La battaglia del labirinto, Milano, Mondadori, 2011; pp. 346


PERCY JACKSON E LA MALEDIZIONE DEL TITANO

Dopo essere divenuta un vero e proprio fenomeno letterario in patria, anche grazie alla prima traslazione cinematografica, ormai la saga in cinque parti di Percy Jackson nell’arco di un anno si è affermata come un must imprescindibile anche in Italia, mentre l’autore, Rick Riordan, classe 1964, già docente di inglese e storia alle medie, è già considerato come uno scrittore di riferimento per i giovani lettori. La maledizione del Titano è il terzo romanzo delle avventure del giovane mezzosangue Percy Jackson, rampollo semicelestiale di Poseidone, il dio del mare. La storia prende avvio con una missione di Percy, Annabeth e Talia in aiuto del fauno Grover, che ha scovato due potenti semidei, Nico e Bianca Di Angelo, in una scuola e intende portarli prima possibile al Campo Mezzosangue, la scuola dove i semidei scoprono se stessi e prendono confidenza con i propri poteri, una sorta d’incrocio fantasy tra Hogwarts e la Scuola per Giovani Dotati del Professor Xavier (il mentore degli X-Men). Il problema è che il vicepreside della scuola dei due ragazzi è il solito mostro in sembianze umane, una letale manticora agli ordini del perfido Crono, che rapisce Annabeth insieme alla dea Artemide, anche lei interessata al destino dei due giovani semidei. Per Percy e i suoi amici è l’inizio di una rischiosa avventura che li opporrà ai Titani, che stanno risvegliando creature mostruose scomparse da millenni ma pronte ad aiutarli nei loro progetti di vendetta contro gli dei dell’Olimpo, i loro tradizionali avversari. Per scongiurare la solita catastrofe di portata cosmica e liberare la sua compagna di mille avventure il giovane protagonista dovrà così intraprendere un viaggio ai confini del cielo, dove l’attende la dea Artemide intrappolata nel fardello dei Titani. Il tutto con la minaccia incombente di una terribile profezia (ovviamente letale) che sembra riguardare proprio il povero Percy. In attesa degli ultimi due capitoli della pentalogia… 

Rick Riordan, Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo. La maledizione del Titano, Milano, Mondadori, 2011; pp. 336


PERCY JACKSON 2... GROSSO GUAIO AL CAMPO MEZZOSANGUE!

Dopo il successo della prima avventura di Percy Jackson e della relativa traslazione sul grande schermo, ecco anche il secondo romanzo della saga in cinque parti di Rick Riordan, classe 1964, un docente americano di lettere e storia che ha sfondato nel campo della narrativa per ragazzi con un ciclo da quindici milioni di copie in grado di attualizzare in modo originale il variegato universo della mitologia greca – più un piccolo spunto dalla collega Joanne K. Rowling per quanto concerne l'ambientazione scolastica –. Nel secondo episodio ormai il buon Percy Jackson è sceso a patti con la sua natura di mezzosangue ed è più tranquillo, anche se la vita di un adolescente a New York non è mai semplice. E le cose si complicano ancor più all'arrivo dell'estate, quando Percy fa ritorno al Campo Mezzosangue e scopre che tutto è cambiato: le gerarchie dei mitologici insegnanti sono infatti sconvolte e l'albero magico che protegge il campo dalle invasioni dei mostri è stato avvelenato ed ha perso efficacia. Per salvare la divina pianta che fu già una mezzosangue figlia di Zeus servirà addirittura il mitico vello d'oro, che purtroppo si trova nell'isola dei ciclopi, sorvegliato da Polifemo in persona. La prescelta per la rischiosa missione è l'odiosa figlia di Ares, ma Percy e Annabeth partono con lo stesso obiettivo perché Polifemo tra le altre cose ha imprigionato Grover, il satiro-custode-miglior amico di Percy. Ai due si aggregherà anche il ciclope Tyson, la new entry del gruppo, 'fratello' di Percy essendo come lui figlio di Poseidone. A complicare il tutto c'è anche un'inquietante profezia sul tradimento di uno dei figli dei tre grandi, oltre all’incontro con la mitica maga Circe e con le suadenti sirene. Come si fa a resistere? In effetti, una volta aggredite le prime pagine, fermarsi è oggettivamente difficile. La storia, pur essendo meno sorprendente dell'episodio apripista, si fa leggere e il lettore si ritrova ben presto intrappolato di nuovo nell'avventuroso mondo dei mezzosangue contemporanei. 

Rick Riordan, Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. Il mare dei mostri, Milano, Mondadori, 2010; p. 336


venerdì 8 aprile 2022

PERCY JACKSON: MAGIA, MITI E... GIOVANI MEZZOSANGUE

Incredibile a dirsi, stando alla saga di Percy Jackson gli dei dell’Olimpo sono vivi e vegeti, in piena attività e saldamente radicati nel mondo occidentale cui i loro miti hanno dato avvio. Ne è la dimostrazione questo romanzo di Rick Riordan, l’atto primo di una fortunata serie di cinque libri per ragazzi che richiamano alla lontana il mondo di Harry Potter di Joanne K. Rowling. Il protagonista, Percy Jackson, è il classico ragazzo sfortunato che non manca mai in nessuna classe: dislessico, iperattivo, con un carattere problematico che l’ha costretto a cambiare scuola e ricominciare da zero praticamente ogni anno, figlio unico di una madre dolcissima e oppresso da un maleodorante patrigno con cui è costretto a convivere. In effetti la vita non è semplice per il povero Percy, che ha pure una storia personale difficile: infatti non ha mai conosciuto il padre, che è partito poco dopo la sua nascita per un viaggio in mare da cui non è più tornato. Per Percy Jackson le cose non vanno meglio neanche sotto il versante dei rapporti personali: il suo solo amico è un altro ragazzo problematico, Grover, e a scuola l’unico che sembra capirlo è il Prof. Brunner, docente di latino paralitico e profondo conoscitore della mitologia greca. Ma tutto cambia quando la terribile docente di Matematica di Percy si trasforma in una creatura che pare proprio una furia infernale. In breve Percy comprenderà di essere più speciale di quanto credesse, scoprendo addirittura che le sue origini sono divine, anzi olimpiche: gli dei dell’Olimpo infatti esistono ancora e sono più vivi e litigiosi che mai, e tra l’altro continuano ad intrecciare relazioni con i mortali come hanno fatto nell’antichità. Percy è appunto il frutto di un’unione tra dio e mortale, un mezzosangue (o un semidio) che vari mostri sembrano fermamente intenzionati ad eliminare. L’unica via d’uscita per lui sarà di arrivare prima possibile al campo d’addestramento dove tutti gli altri mezzosangue imparano ad usare i propri poteri divini (e soprattutto da cui mostri sono banditi): sarà l’amico Grover, che in realtà è un satiro incaricato di proteggerlo, a condurlo al campo in compagnia della madre di Percy, che finirà vittima del terribile Minotauro. Qui lo sconvolto protagonista ritroverà il Prof. Brunner – e scoprirà trattarsi del centauro Chirone, il leggendario istruttore di eroi del calibro di Ercole – e diverrà amico di Annabeth, mezzosangue figlia di Atena, scoprendo infine con certezza d’essere addirittura figlio di Poseidone, uno dei tre dei più potenti del pantheon greco con Zeus e Ade. Il fatto è che nell’aria aleggia la minaccia di una guerra che potrebbe scuotere le fondamenta dell’universo stesso: qualcuno infatti ha osato rubare la folgore di Zeus e i sospetti sembrano indicare l’inconsapevole Percy Jackson come colpevole del furto sacrilego. Il protagonista, insieme ad Annabeth e Grover, dovrà quindi intraprendere una rischiosa impresa per ritrovare la folgore e restituirla al legittimo proprietario: è solo l’inizio di un tortuoso viaggio che porterà i tre a spasso per l’America con tappa obbligata all’Ade (da cui si accede, ovviamente da Hollywood) ed arrivo al 600mo piano dell’Empire State Building, sede attuale dell’Olimpo, un avventuroso itinerario in cui i nostri eroi dovranno vedersela con gente poco raccomandabile come la terribile Medusa, il dio della guerra Ares e il dio degli Inferi, Ade. Il tutto nella speranza di liberare la madre di Percy dalla prigionia di Ade e con la certezza di una terribile profezia dell’Oracolo, che ha predetto a Percy il tradimento di un amico. Un gradevole romanzo per ragazzi che riesce in una missione davvero impossibile: rileggere in modo intrigante lo stratificato universo della mitologia greca rendendolo appetibile ai teenagers contemporanei. Stranamente la miscela si rivela godibile dalla prima all'ultima pagina e Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. Il ladro di fulmini riesce nell'arduo tentativo di rivitalizzare l'epica classica in chiave contemporanea. Assaporato il primo episodio, sarà arduo evitare di leggere il resto della saga...

Rick Riordan, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. Il ladro di fulmini, Milano, Mondadori, 2010; pp. 367


 

lunedì 28 marzo 2022

IL BAR SOTTO IL MARE: GARANTISCE STEFANO BENNI…

Insieme al leggendario Bar Sport questa raccolta costituisce un picco della narrativa breve del bolognese Stefano Benni, classe 1947, giornalista e scrittore dalla corrosiva vena umoristica, come si evince dalle poesie di Prima o poi l’amore arriva e da romanzi irresistibili come Terra! e La compagnia dei Celestini. Il bar sotto il mare costituisce una sorta di raccolta ‘concettuale’, che comincia addirittura dall’immagine di copertina, che raffigura apparentemente ventuno personaggi – che a onor del vero salgono a ventitré considerando anche la pulce sul cane nero e… l’uomo invisibile, che essendo tale non si vede –. Si sfoglia il libro e, dopo il frontespizio col titolo, ecco subito la legenda con le silhouettes dei personaggi della copertina, quindi il prologo che porta l’io narrante della storia sulle tracce di un vecchio elegante con una gardenia all’occhiello, che entra nell’acqua e scompare, presto (in)seguito dal protagonista, che si ritrova in un bar sotto il mare, in mezzo ai ventidue avventori in copertina più l’immancabile barista, che ricorda parecchio Vincent Price. E tutti dopo racconteranno una storia, fino a quella dell’ospite, che narrerà la ventiquattresima chiudendo il cerchio… o forse no. I racconti sono di genere vario e di fantasia dirompente, secondo consolidata tradizione benniana: d’obbligo citare almeno Oleron, il lungo racconto dell’uomo col mantello (che sembra la fotografia di Edgar Allan Poe), la divertente Storia di Pronto Soccorso e Beauty Case dell’uomo con gli occhiali neri (che pare la copia di John Belushi in The Blues Brothers), il racconto giallo Priscilla Mapple e il delitto della IIC della vecchietta (un’anziana signora che si potrebbe confondere con Miss Marple) ed infine la fiaba africana I quattro veli di Kulala narrata dal venditore di tappeti. Una raccolta intrigante e ricca di idee in cui perdersi e ritrovarsi al contempo, con una miriade di citazioni letterarie che svariano da Melville a Queneau, da Flaubert a Lewis Carroll. Assolutamente da provare.

Stefano Benni, Il bar sotto il mare, Milano, Feltrinelli, 1995; pp. 198

giovedì 24 marzo 2022

WONDER, OLTRE LE APPARENZE

R.J. Palacio, classe 1964, è una grafica e un'art director che ha esordito con questo libro, diventato in breve un sorprendente caso letterario e un bestseller internazionale della narrativa per ragazzi. Wonder - il titolo è 'rubato' all'omonima canzone di Natalie Merchant - racconta la storia di August, Auggie per gli amici, un ragazzino di dieci anni come tanti, terrorizzato dall'imminente approdo alla scuola media: il suo problema è che, a differenza della stragrande maggioranza dei suoi coetanei, Auggie non ha una faccia che gli altri possano considerare ‘normale’. Il giovane protagonista di Wonder è infatti nato con una rara malformazione e la sua faccia, per diventare quella attuale, è passata sotto il bisturi del chirurgo un'infinità di volte: Auggie dalla nascita ha dovuto affrontare ben ventisette operazioni, e parecchie nemmeno può ricordarsele, dato che le ha subite quando aveva meno di quattro anni. Non a caso è per questo che il suo ingresso nella scuola è stato ritardato fino alle medie, che incombono su di lui come un macigno, perché non sa come i suoi futuri compagni lo accoglieranno: saranno capaci di vedere oltre le apparenze o saranno spietati con lui? Lo scopriremo insieme ad Auggie, dalla sua prospettiva e da quella di altri personaggi che gravitano intorno a lui, come i suoi compagni Summer, Jack e Justin, oppure la sorella maggiore Via (anche lei molto protettiva col fratello, che dalla nascita involontariamente la 'offusca') e la di lei migliore amica Miranda. Anche questa scelta di raccontare la storia da una sorta di prospettiva molteplice si rivela assolutamente intrigante per il lettore, contribuendo a farlo riflettere ogni volta attraverso un punto di vista diverso. A rendere indimenticabile il romanzo contribuiscono anche una sorta di bonus tracks che contrappuntano la storia, come i precetti del Signor Browne (irresistibili), le "cartoline" degli alunni e una vera e propria colonna sonora (bonus tracks peraltro tutte raccolte nell'appendice finale). Nel complesso Wonder racconta una storia di formazione davvero struggente, con un'ambientazione scolastica in cui tutti ritroveranno qualcosa del loro passato recente o remoto: l'amicizia, i tradimenti, le sorprese inaspettate, gli episodi di bullismo, le cattiverie gratuite, l'onda lunga della gentilezza e, ovviamente, la bellezza naturale che accompagna ogni processo di apprendimento. Alla fine, neanche a dirlo, l'happy ending bussa dietro l'angolo, regalandoci la sensazione che fare la cosa giusta alla lunga sia sempre la scelta migliore. Un romanzo davvero bello e spesso struggente.

R.J. Palacio, Wonder, Firenze-Milano, Giunti, 2013; pp. 287


SOLUZIONE FINALE: UN GIALLO TRA SHOAH E SHERLOCK HOLMES

Lo scrittore americano Michael Chabon, classe 1963, è l’autore di psichedeliche delizie narrative come Wonder Boys o come il monumentale Le avventure di Kavalier e Clay. Con Soluzione finale si è cimentato nella narrativa per ragazzi scrivendo un piccolo gioiello di concisione ed intensità: in particolare si tratta di un (riuscito) omaggio alla tradizione della detective story britannica, con un plot davvero intrigante ambientato durante il secondo conflitto mondiale. La storia prende avvio nel 1944 nella verde campagna inglese: ad un vecchio ed energico signore sulla novantina sembrano interessare più le proprie api che non la guerra che sta infiammando in Europa, ormai giunta ad un cruciale punto di svolta. L’anziano apicoltore  sembra una versione incanutita del mitico investigatore Sherlock Holmes, che ricorda in modo davvero inquietante (anche se tale impressione non è mai confermata esplicitamente). Al vecchio protagonista in un tranquillo giorno d’estate capita di incontrare sulla propria strada un bambino molto particolare, Linus Steinman, al quale la ferocia della Germania nazista a nove anni ha già strappato la famiglia e sembra aver cancellato anche la favella. Ma, se il povero Linus è rimasto senza parole, il suo inseparabile compagno di viaggio è invece un uccello parlante, un loquace pappagallo africano che suole declamare in continuazione una strana tiritera numerica in tedesco, una misteriosa litania in merito alla quale si potrebbe pure immaginare trattarsi di un codice utilizzato dai nazisti o chissà quale strana diavoleria cifrata. Come in ogni giallo che si rispetti, a un certo punto ci scappa pure il morto ed è allora che il vecchio protagonista ritorna in azione per risolvere il mistero. Nel tragitto che conduce il lettore fino allo scioglimento dell’enigma, in ossequio al titolo Chabon ci offre anche un fulminante squarcio della Shoah. Il risultato è un piccolo romanzo appassionante fino all’ultima pagina che conferma appieno il notevole talento di Michael Chabon. Insomma, Soluzione finale è un delizioso omaggio al leggendario detective di sir Arthur Conan Doyle, che si aggiunge, sebbene in modalità atipiche, alle tante  riprese holmesiane da La soluzione sette per cento in poi. Da provare.

Michael Chabon, Soluzione finale, Milano, Rizzoli, 2006; pp. 166

mercoledì 23 marzo 2022

NELLE TERRE SELVAGGE: LA NATURA SECONDO GARY PAULSEN

Senza dubbio lo scrittore americano Gary Paulsen (1939-2021) è stato uno dei più significativi autori di narrativa per ragazzi degli ultimi decenni grazie a una produzione che assortisce oltre un centinaio di titoli (alcuni rivolti anche a lettori adulti) che gli sono valsi per tre volte l’assegnazione del Newbery Honor Award, come nel caso di Nelle terre selvagge del 1987, uno dei romanzi più noti della sua straordinaria carriera. Considerando la vita avventurosa e vagabonda che Paulsen ha condotto barcamenandosi tra l’Alaska, il Nuovo Messico e il Minnesota, non c’è da stupirsi che questo romanzo abbia una grande forza d’impatto e riesca a proiettare il lettore in mezzo a una natura incontaminata e selvaggia, a combattere con lui per sopravvivere giorno per giorno, superando una difficoltà dopo l’altra: una situazione alla Into the wild, insomma... La storia prende avvio con l’adolescente Brian Robeson in volo su un Cessna 406, un piccolo aereo ad elica da turismo: il ragazzo è partito da New York diretto in un giacimento in Canada, dove finiscono i boschi e comincia la tundra, per raggiungere il padre, che negli ultimi tempi si è separato (e traumaticamente) dalla madre. Con sé Brian porta l’ascia che quest’ultima gli ha regalato pensando che potesse tornare utile al figlio durante questa vacanza col padre, ma tutto cambia quando nelle prime pagine il pilota è colpito da un infarto e muore lasciando Brian su un aereo destinato – come tutto sembrerebbe suggerire – a un inevitabile disastro. Il ragazzo, però, a cui il pilota nella prima parte di volo aveva fatto provare i comandi del velivolo, in qualche modo riesce ad indirizzare il piccolo aereo in uno specchio d’acqua, riuscendo ad uscire dalla carlinga prima che si inabissi e salvandosi per il rotto della cuffia. Il punto è che l’aereo non è più visibile e Brian è perso nel mezzo del nulla, in preda a una natura piena di pericoli e senza grosse idee su come cavarsela. La prima sensazione che Brian prova dopo essersi messo in salvo nella terraferma ed essere crollato è una sete assoluta e senza fine al risveglio e, poco dopo, una fame implacabile. E poco dopo arriva a ruota anche la domanda destinata a tormentare le giornate del protagonista: quando arriveranno i soccorsi? Lo scopriremo nel resto del romanzo insieme a tutto ciò che ignoravamo la natura nascondesse: il caldo, la difficoltà a procacciarsi cibo, gli insetti, gli animali… Brian resiste in condizioni estreme cercando di usare quel poco che ha a disposizione e tutte le opportunità di cui la sorte gli consente di avvalersi: cerca soprattutto di mettere a frutto i consigli motivanti del suo professore di lettere, che gli ha insegnato che ognuno di noi ha se stesso e tutte le proprie capacità a disposizione. E anche Brian scoprirà di avere in serbo qualcosa che neppure immaginava e gli consentirà di tirare avanti nell’ambiente avverso in cui è precipitato molto di più di quanto si sarebbe mai aspettato. Il romanzo Paulsen ce lo racconta con un realismo che farebbe invidia a Mark Twain, fotografando le foreste canadesi con una capacità di dettaglio davvero notevole. Al resto provvede un intreccio in grado di tenere sempre il lettore sulla corda fino all’ultima pagina. Nelle terre selvagge racconta una grande storia sospesa a metà tra il romanzo avventuroso e quello di formazione: alla fine ci lascia con la sensazione di aver assistito ad un incredibile percorso di crescita nell’autonomia di un adolescente come tanti che impara a far affidamento soltanto su se stesso (con un po’ di fortuna). Un libro assolutamente da non perdere.

Gary Paulsen, Nelle terre selvagge, Milano, Pickwick, 2016; pp. 217

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...