mercoledì 19 ottobre 2022

STEVENSON, UNA MAPPA E... QUINDICI UOMINI SULLA CASSA DEL MORTO!

Nonostante L’isola del tesoro sia stato spesso apparentato alla narrativa per ragazzi tout court, il romanzo di Robert Louis Stevenson (1858-94) regge da vero classico qual è alla prova del tempo grazie agli ottimi ingredienti miscelati nell’impeccabile ricetta letteraria: un protagonista sveglio ed adolescente come Jim Hawkins, un ambiguo villain del calibro di Long John Silver, una vera goletta settecentesca come la Hispaniola, un pugno di vecchi bucanieri, un'autentica mappa del demoniaco capitano Flint, una misteriosa isola del tesoro da trovare (e magari dove perdersi). Dal futuro autore de Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde un grande classico che, parafrasando Calvino, non finisce mai di dire quel che ha da dire, intrigante per lettori di tutte le età, fruibile a svariati livelli ma, dato che Stevenson lo dedicò al figliastro Lloyd Osbourne nel 1882, vale indicarne il taglio pedagogico: una caccia al tesoro che equivale, per il giovane protagonista, ad un itinerario d’ingresso nella maturità, alla scoperta della spietatezza che domina incontrastata i rapporti umani nel mondo, spesso regolati da un’etica di marca economica. Eppure è con gioia e trepidazione che il giovane Hawkins parte alla volta del tesoro nascosto in un’isola dei mari del Sud “su una goletta, con un nostromo che avrebbe suonato il fischietto, e marinai dal codino incatramato che avrebbero cantato: sul mare, verso un’isola sconosciuta, alla ricerca di tesori nascosti!”. L’isola del tesoro prende avvio quando Jim trova nel baule di Billy Bones, vecchio lupo di mare morto ammazzato nella sua locanda, l’Admiral Benbow, una mappa per una fantomatica isola del tesoro e la consegna al dottor Livesey ed all’aristocratico Trelawney, che in breve organizzano la spedizione di ricerca. Il richiamo dell’oro di John Flint, pirata d’inaudita ferocia, dividerà immediatamente l’equipaggio approdato alla malsana isola tropicale: da una parte Jim, Trelawney, Livesey, il capitano Smollett e pochi altri buoni, dall’altra il resto della ciurma, un tempo agli ordini di Flint in persona, capeggiati dal suadente Long John Silver che, nonostante abbia una gamba di legno, si rivelerà il più furbo e spietato di tutti. Alla fine, con non poche difficoltà e grazie all’aiuto dello strano Ben Gunn (ex bucaniere abbandonato nell’isola tre anni prima), i buoni avranno la meglio, ma Jim Hawkins resterà turbato per sempre dal tributo di sangue gravante sullo straordinario tesoro. Indicato dai nove anni in poi, come suggeriscono i curatori dell'edizione Einaudi, che è l'età più adatta per perdersi in questa straordinaria avventura di crescita con occhi (empatici) da adolescente, ancor più godibile in un'edizione illustrata come questa. In realtà il classico stevensoniano regge a meraviglia all'usura del tempo, dunque ne consigliamo vivamente la scoperta (o la riscoperta) anche ai lettori più maturi, anche a chi l'ha letto in tempi più verdi: una vera garanzia per tornare all'adolescenza con un biglietto di andata e ritorno... 

Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, Torino, Einaudi, 2010; pp. 330

sabato 15 ottobre 2022

LE NOVELLE RUSTICANE DI GIOVANNI VERGA

L’autore siciliano Giovanni Verga (1840-1922) pubblicò la raccolta delle Novelle rusticane nel 1883, nel punto culminante della sua produzione narrativa, tra l’uscita dei suoi capolavori romanzeschi, I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo, editi rispettivamente nel 1881 e nel 1889. Le Novelle rusticane insieme alla precedente raccolta di novelle intitolata Vita dei campi costituiscono una sorta di galleria tematica di elementi del Verismo destinati a trovare una più ampia trattazione nelle ambientazioni dei romanzi maggiori. Rispetto a Vita dei campi nelle storie raccontate nelle Novelle rusticane affiora maggiormente il pessimismo di Verga, che occulta la propria voce narrando storie di ordinaria umanità dei più bassi ceti sociali del Meridione, ambientandole spesso nel periodo dell’impresa dei Mille di Garibaldi, che negli intenti avrebbe dovuto portare un po’ di giustizia sociale ma che poi ha finito per tradire le aspettative del popolo, di cui Verga tratteggia l’amara disillusione. Le Novelle rusticane assortiscono complessivamente dodici novelle, ovvero Il ReverendoCos’è il reDon Licciu PapaIl MisteroGli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. GiuseppePane neroI galantuominiLibertàDi là dal mare. Dieci delle novelle erano inedite al momento della pubblicazione, mentre due erano state già pubblicate su riviste: La roba era infatti uscita sulla “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti” del 26 dicembre 1880 e Libertà nella “Domenica letteraria” del 12 marzo 1882. Le due novelle costituiscono senza dubbio i due vertici artistici della raccolta. Nella prima Verga dà forma e sostanza a Mazzarò, singolare esempio di contadino arricchito ed abbrutito dall’ossessione per la cosiddetta “roba”, ovvero per le ricchezze accumulate a dismisura che non sopporta di dover abbandonare, ormai essendo vecchio e destinato a morire: si tratta di un personaggio con notevoli punti in contatto col protagonista di Mastro-don Gesualdo, che vive un’arrampicata sociale culminata nella ricchezza ma che non porta felicità alla sua esistenza. La seconda novella, Libertà, è ispirata a un fatto storico avvenuto a Bronte nell’agosto del 1860, durante l’impresa dei Mille, quando i contadini si rivoltarono contro i notabili locali, contando sul fatto che le proprietà terriere dei nobili sarebbero state ridistribuite al popolo, mentre invece Garibaldi inviò sul posto il fidato Nino Bixio per punire i responsabili dei crimini commessi e ristabilire l’ordine. La novella non cita luoghi e nomi, ma il riferimento alla strage è evidente e la rivolta popolare è tratteggiata come una fiumana inarrestabile, attraverso voci corali che contrappuntano le violenze narrate a tinte forti. Questa raccolta rappresenta un viadotto ideale per entrare nel complesso mondo narrativo di Verga.

Giovanni Verga, Novelle rusticane, Napoli, Medusa, 2007; pp. 167

lunedì 10 ottobre 2022

MUSCHIO: UN'AVVENTURA A QUATTRO ZAMPE IN TEMPO DI GUERRA

L'eclettico autore di Muschio si chiama David Cirici, nato a Barcellona nel 1954, ed ha svolto un sacco di professioni nella vita: docente di lingua e letteratura, pubblicitario, sceneggiatore per la radio e per la televisione. Muschio è un folgorante racconto degli orrori della guerra visti attraverso gli occhi di un cane nero di pelo riccio che si chiama, appunto, Muschio. Essendo un cane, il nostro protagonista, che è dotato di un fiuto eccezionale con cui è solito leggere il mondo e archiviare i suoi ricordi, non è in grado di comprendere qualcosa di complesso (e, sostanzialmente, incomprensibile) come la guerra. Prima era un 'normale' cane da compagnia e amava i due bambini della famiglia che l'aveva adottato, insieme ai quali adorava giocare tutti i santi giorni, ma purtroppo a un certo punto una bomba è arrivata a distruggergli il suo mondo perfetto in un attimo. Lui  però riesce a ricordare i suoi due padroncini ancora oggi grazie ai loro odori unici ed irripetibili, oltre a quella deliziosa sensazione di solletico che accompagnava i loro momenti di gioco insieme a lui. Ogni tanto, infatti, girovagando per le rovine della città, quell'odore ricompare a sprazzi, ma per il nostro eroe a quattro zampe poi risulta sempre impossibile ritrovarne la fonte, purtroppo, anche se lui senza dubbio non smetterà di provarci. Una pagina dopo l'altra ricostruiremo la storia di Muschio e le sue infinite avventure, che lo porteranno in situazioni difficili o a contatto con persone orribili, spesso abbrutite dalla guerra: il nostro eroe troverà un variopinto gruppo di compagni di viaggio, finirà dietro le sbarre, diventerà un implacabile  guardiano di vittime, combatterà con bestie feroci e avrà a che fare con esseri umane anche più mostruosi. Il tutto sorretto dall'incrollabile speranza di riuscire un giorno a ritrovare i bambini che ha perduto e che continuano a dare un senso alla sua vita grazie all'incancellabile ricordo olfattivo che Muschio conserva di loro. Corredano questa bella storia per ragazzi, che nel 2013 ha vinto il prestigioso Premio Edebé de Literatura Infantil, le incisive illustrazioni di Federico Appel. Si tratta di un romanzo semplice ma davvero incisivo, che cattura progressivamente con l'originalità della prospettiva dal basso di un cane di buona volontà costretto a ritrovare il suo perduto posto nel mondo in tempo di guerra. Da provare.

David Cirici, Muschio, Milano, Il Castoro, 2015; pp. 117

domenica 9 ottobre 2022

IL SOGNO DEGLI ANDROIDI E IL CUPO FUTURO DI PHILIP K. DICK

Il romanzo in assoluto più noto della sterminata produzione dello scrittore americano Philip K. Dick (1928-1982) risale al 1968 e s’intitola Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ma in Italia il libro è stato pubblicato anche col titolo Il cacciatore di androidi e ovviamente Blade Runner, mutuando l’omonimo film di Ridley Scott del 1982 con Harrison Ford, Rutger Hauer e Sean Young, indiscusso cult movie del cinema fantascientifico. La storia è ambientata nell’oscuro scenario post-apocalittico della San Francisco del 1992, in un mondo in decadenza da cui l’umanità ha cercato di scappare emigrando nelle colonie extramondo. Sulla Terra le specie animali sono praticamente tutte estinte e quindi in molti cercano di acquistare copie di animali prodotte in laboratorio o i meno pregiati simulacri robotici, esattamente come la pecora elettrica (peraltro mal funzionante) del protagonista della storia, Rick Deckard, di professione cacciatore di taglie di androidi sfuggiti al controllo degli umani e dunque da ‘ritirare’ ovvero da eliminare. Il buon Deckard vive con la moglie Iran e si sente frustrato per non essere riuscito ancora ad acquistare un animale domestico vivente: anche per questo, oltre che per sfuggire alla noia, accetta di concludere un incarico lasciato a metà dall’anziano cacciatore di taglie Dave Holden, rimasto ferito dopo aver ucciso due degli otto androidi modello Nexus 6 fuggiti dalla colonia extramondo di Marte. Subito Deckard con la sua aeromobile si reca a Seattle ai laboratori della Rosen Industries, dove sono stati prodotti gli androidi fuggitivi: qui incontra Rachael Rosen, nipote di Eldon Rosen, il proprietario dell’azienda, e, dopo averla sottoposta al test Voight-Kampff, scopre che la donna è una replicante. Successivamente Deckard finisce sulle tracce di una cantante lirica androide ma, mentre sta cercando di sottoporla al test per avere conferma della sua natura,  lei chiama la polizia:  il protagonista si ritrova così in una centrale che sembra essere un covo di replicanti e riesce ad uscirne solo grazie all’aiuto di un collega. Nel frattempo gli androidi Nexus 6 superstiti si rifugiano nel palazzo dove vive lo “speciale” Isidore, un uomo solitario dal basso quoziente intellettivo (forse a causa delle piogge radiattive): è qui che cercheranno di organizzarsi in vista dell’immancabile resa dei conti con il cacciatore di androidi. Romanzo distopico per eccellenza, Blade Runner tratteggia il cupo quadro di un drammatico futuro incombente su un’umanità capace di creare copie replicanti di se stessa e della vita animale ormai scomparsa dal pianeta Terra ma che i superstiti avvertono come un imprescindibile status symbol esistenziale. È un futuro oscuro, opprimente e senza speranza quello immaginato da Philip K. Dick: nelle case di tutti ci sono dispositivi che regolano l’umore – quasi a figurare una necessità di serenità interiore almeno illusoria –, gli onnipresenti programmi televisivi contrappuntano la narrazione ed è arduo talvolta riconoscere gli androidi, creature senzienti ma prive di empatia, dagli umani più spietati. Insomma, Deckard cacciando i replicanti scruta nel torbido e intravede schegge di se stesso, finendo per dubitare delle sue capacità e presagendo l’impossibilità di continuare la sua professione. Dal libro di Dick il grande Ridley Scott ha ottenuto un film che riesce ad immaginare con profondo impatto visivo l’ambientazione del romanzo (spostata nella Los Angeles del 2019), pur stravolgendone la storia: Deckard diventa un futuribile detective solitario che Chandler avrebbe apprezzato, Rachael viene riletta come una replicante di nuova generazione che ignora la propria natura, i replicanti in fuga sono androidi che stanno per esaurire il loro tempo di vita e cercano disperatamente di prolungare la loro esistenza a tempo determinato. Tutto per arrivare al clou drammatico del sorprendente confronto finale tra il protagonista e l’unico antagonista ancora vivo ma condannato comunque a sparire come lacrime nella pioggia…

Philip K. Dick, Blade Runner, Roma, Fanucci, 1996; pp. 254

lunedì 26 settembre 2022

JOANIE IL MASCHIACCIO... JOHN PER GLI AMICI

Autrice americana specializzata in narrativa per ragazzi, Francess Lantz ha esordito nel lontano 1982 e da allora non ha smesso di entusiasmare il suo giovane pubblico con decine e decine di libri, sempre di grande successo. La storia al centro di Joanie il maschiaccio è semplice quanto efficace: ne è protagonista Joan Frankenhauser, Joanie per gli amici, che per la verità vorrebbe soltanto giocare a football (come sono liberi di fare i maschi) e non apprezza le sue coetanee che come massima aspirazione vorrebbero soltanto diventare cheerleaders della squadra della scuola. Il problema è che ben presto Joanie, che tra l'altro non è neppure granché integrata nel suo istituto scolastico, dovrà trasferirsi a Yardville, in Pennsylvania, perché il padre ha accettato un incarico da medico lì, dato che l'ospedale di Boston dove lavora sta chiudendo. E così la famiglia Frankenhauser - di cui fanno parte i fratelli maggiori di Joanie e la madre, che insegna economia domestica alle superiori, oltre al cane Amigo - si trasferisce nella nuova realtà, ma per la giovane protagonista c'è una sorprendente possibilità in agguato: quando la professoressa Anstine fa l'appello nella nuova classe, capita infatti che un errore di trascrizione trasformi la nostra eroina in John Frankenhauser (anziché Joan) senza che lei dica una sola parola in merito per non perdersi la possibilità di scoprire come sarebbe la sua vita da maschio. Il che accadrà a seguire secondo i desideri più inconfessabili di Joanie/John, come emettere flatulenze rumorose dalla bocca, vestirsi unisex, giocare a football per davvero (e non nella versione da ragazze), raccontarsi barzellette imbarazzanti come fanno i maschi. E inoltre la nostra protagonista sotto mentite spoglie finalmente potrà scrivere le sue avventure di SuperKid, già censurate dalla precedente prof perché considerate troppo "maschili" e violente, anzi, condivise le medesime col gruppo dei maschi da cui è stata accettata, Joanie/John vedrà perfino nascere nella realtà la lega dei SuperAmici che ha inventato con la sua fantasia. Peccato che poi la vita (anche quella maschile) si riveli più complicata e problematica di quanto si potrebbe pensare sulla carta... Un dignitosissimo romanzo per la prima adolescenza, davvero ideale per mettere in luce con brio ed efficacia tutti gli stereotipi di genere che a quell'età si cominciano a formare tra ragazzi e ragazze, in modo tale che siano preparati a riconoscerli (e possibilmente ad evitarli). La dinamica narrativa alterna peraltro alle vicende della protagonista la storia nella storia che lei stessa ha inventato con le avventure di SuperKid, che sono un modo per rileggere tramite il filtro supereroistico le sue paure e le sue idiosincrasie. Da provare. 

Francess Lantz, Joanie il maschiaccio, Firenze-Milano, Giunti, 2008; pp. 189 


domenica 18 settembre 2022

BOOM! ...DIRETTAMENTE DAL PIANETA PLONK

Il titolo per esteso di questo romanzo dello scrittore britannico Mark Haddon, classe 1962, è Boom! ovvero La strana avventura sul pianeta Plonk. Non si tratta propriamente dell'ultima fatica letteraria dell'autore de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ma di un'opera di riscrittura integrale di un romanzo già uscito con scarsissimo successo (e con un titolo molto più improbabile) all'inizio degli anni Novanta, prima che Haddon diventasse un nome famoso a livello internazionale (peraltro specializzato nella narrativa per ragazzi) e cominciasse a scrivere per la televisione e per la radio. Come si intuisce dal sottotitolo, la storia al centro di Boom! è felicemente sospesa a metà tra avventura e fantascienza, con una puntina di umorismo in sottofondo, dato che Plonk, come affermerà Jim, il giovane protagonista, quando avrà la sventura di trovarcisi, è davvero il nome più ridicolo che si possa dare a un pianeta. Tutto comincia quando Jim, che come studente non è granché brillante, apprende dalla sorella Becky – che forse ci mette anche un po’ del suo in sovrappiù, tanto per stressarlo – che i suoi insegnanti stanno pensando di mandarlo a un istituto per ragazzi ritardati. La ferale notizia getta il ragazzo nello sconforto, ma non c’è problema, perché Charlie, il suo miglior amico, escogita prontamente la soluzione perfetta: basterà mimetizzare un walkie-talkie nella sala docenti per spiare tutto quello che i prof dicono di Jim e poi elaborare un piano. Il problema è che, finita la riunione, gli ultimi due insegnanti rimasti nella stanza, Mr. Kidd e Mrs. Pearce, si mettono a parlare tra loro in una lingua davvero strana, per non dire aliena. Il mistero accende la curiosità di Jim e Charlie, che cominciano ad indagare senza andare troppo per il sottile, attirando così l’attenzione dei sospettati ed innescandone la reazione: Charlie scompare nel nulla e Jim rischia di essere rapito a sua volta e si dà alla fuga con la sorella in sella alla moto del ragazzo di lei. Sulle tracce dell’amico perduto i due approdano in una landa perduta della Scozia: è qui che Jim viene teletrasportato in un pianeta a settantamila anni luce dalla Terra, il misterioso Plonk, dove ritroverà Charlie e dovrà escogitare in fretta un piano plausibile per salvare il suo mondo dagli alieni più assurdi che siano mai stati immaginati. Un romanzo per ragazzi che intriga e diverte fino all’ultima pagina con un'originale miscela di romanzo comico, d'avventura, horror e di fantascienza, tutto shakerato insieme in una storia ricca di colpi di scena e di mirabolanti trovate narrative. E la cosa veramente curiosa è che, a patto di lasciarsi andare un po', Boom! si rivela irresistibile anche per un pubblico adulto... Provare per credere. 

Mark Haddon, Boom!, Torino, Einaudi, 2009; pp. 155

sabato 9 luglio 2022

THE BIG SWIM: COME SOPRAVVIVERE A UN CAMPO ESTIVO

Lo scrittore canadese Cary Fagan, già autore di La strana collezione di Mr. Karp,  con The Big Swim. La grande prova ha costruito un racconto lungo (o romanzo breve che dir si voglia) sulla più classica esperienza che un ragazzo possa vivere durante l'estate, partecipando insieme a tanti coetanei a un campo estivo. L'incipit della storia ci porta nella testa di Ethan , uno dei tanti ragazzi che passerà l'estate al Campo Betulla: siamo nel suo bungalow, insieme ai suoi compagni, che stanno parlando di un tipo che trascorrerà le vacanze estive con loro e sul quale circolano troppe voci e tutte pessime, insomma, è uno di cui si parla tantissimo e malissimo, uno che ha una fama davvero troppo brutta per essere vera. Subito dopo avremo modo di scoprire meglio le prospettive del nostro protagonista, Ethan, con la sua personalissima scala dei valori: "I miei obiettivi per il campo estivo erano modesti. Primo, sopravvivere. Secondo, non farmi odiare. Terzo, non essere il peggiore in tutte le attività". Ethan, che ha avuto dai suoi compagni un soprannome poco lusinghiero come Pinky, è consapevole di avere una serie di problemini (tra cui l'indole ansiosa) che in teoria potrebbero fargli passare un'estate terribile, dunque la sua storia consisterà fondamentalmente nel limitare i danni il più possibile. In realtà l'estate al Campo Betulla per Ethan sarà l'occasione di crescere, anche grazie alla conoscenza di un tipo come Zach, preceduto da un alone quasi leggendario di ribelle e di anticonformista (sì, proprio quello di cui parlavano tutti in modo inquietante in apertura). E sullo sfondo aleggia anche la grande nuotata del titolo, una sorta di spartiacque simbolico tra l'infanzia e l'adolescenza. Niente male nel complesso: un romanzo per ragazzi ricco di sostanza e decisamente scorrevole, anche grazie ai caratteri ad alta leggibilità. Una lettura avventurosa decisamente ideale per tutti gli adolescenti che amano le sfide con cui mettersi alla prova. 

Cary Fagan, The Big Swim. La grande prova, Cremona, Biancoenero, Roma, 2016; pp. 95


giovedì 16 giugno 2022

GENTE DI DUBLINO: I RACCONTI DUBLINESI DI JOYCE

Gente di Dublino è una raccolta di racconti che James Joyce riuscì a pubblicare – con non poche difficoltà e dopo numerosi rifiuti – soltanto nel 1914, ma questo libro conobbe subito un grande successo e fu considerato unanimemente dalla critica uno dei capolavori assoluti della letteratura europea contemporanea. In ossequio al titolo la raccolta assortisce complessivamente quindici racconti ambientati a Dublino che l’autore irlandese scrisse tra il 1904 e il 1907, l’anno in cui Joyce terminò l’ultimo della serie, I morti, che peraltro è il più noto del libro ed è la fonte narrativa dell’omonimo film di John Huston (l'ultimo diretto nella sua lunga carriera. La raccolta cattura momenti emblematici delle vite ordinarie di vari personaggi che vivono a Dublino e dintorni raccontandone le storie quotidiane. Nel complesso Joyce fotografa la sua città natale enfatizzandone due tematiche principali: la soffocante (e diffusa) atmosfera di paralisi morale e la propensione generalizzata alla fuga, un'esigenza che lo stesso autore a un certo punto metterà in atto trasferendosi altrove. I racconti di Gente di Dublino sono narrati in modalità ancora tradizionali (Joyce non aveva ancora realizzato l’approccio sperimentale del suo capolavoro, Ulisse) e sono articolati in quattro sezioni che rappresentano altrettante fase esistenziali: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la vita pubblica. Nel suo insieme il libro evidenzia l’immobilità morale di molti personaggi di Dublino, che amano la loro terra  e magari ignorano che dovrebbero andarsene, che ci provano senza poi averne la forza, che non sanno come essere felici e talvolta (abbastanza spesso, in effetti) cercano un conforto illusorio nell’alcool. Joyce molto spesso ci fa stare dentro la testa dei protagonisti dei racconti grazie alla tecnica del discorso indiretto libero, e a volte ci mette con loro in una condizione altamente simbolica facendoci vivere insieme a loro un’epifania, uno di quegli momenti rivelatori di un’intera vita. E poi dentro il libro c’è Dublino, ovviamente, lo scenario costante delle storie, con i suoi luoghi d’interesse come Grafton Street o il Trinity College. Le storie che più lasciano il segno a mio modesto avviso sono Eveline, in cui una ragazza riflette sulla prossima partenza per i mari del Sud per vivere una nuova vita col fidanzato marinaio in Argentina (ma poi all’ultimo non ha la forza per abbandonare la città natale) e I morti, il lungo racconto conclusivo che narra di una grande festa e del successivo ritorno nella loro camera d’albergo di Gabriel e Gretta, e dell’epifania evocata in lei dai versi di una canzone capace di ricordare alla donna il suo primo amore di Gallway, un ragazzo fragile che probabilmente si uccise pur di rivederla un’ultima volta. Davvero una gemma luminosa a chiusura di una raccolta assolutamente da scoprire.
James Joyce, Gente di Dublino, Milano, Garzanti, 2008; pp. 213

martedì 7 giugno 2022

LA STORIA INFINITA, UN GRANDE CLASSICO FANTASY

Pochi romanzi contemporanei per ragazzi hanno raggiunto lo status di classico in breve tempo come La storia infinita di Michael Ende, classe 1929, regista teatrale tedesco con la passione per la scrittura, già autore di Momo e La terribile banda dei “Tredici” Pirati. La storia infinita ha conosciuto un crescente successo fin dall’uscita in libreria, nel 1979, amplificato peraltro dalla traslazione del romanzo nell’omonimo film di Wolfgang Petersen del 1984. Il romanzo in sé appartiene al genere fantasy, ma è dotato di una particolarità intertestuale che lo rende a suo modo unico: racconta una storia nella storia e in più a un certo punto i protagonisti dei due mondi narrativi entreranno fatalmente in contatto. Il protagonista del romanzo ha dieci anni e si chiama Bastiano Baldassarre Bucci, ed è quello che si definirebbe uno sfigato: sovrappeso, senza talenti particolari (tranne la passione per la lettura), orfano di madre (e con un padre comprensibilmente depresso), Bastiano sembra la vittima perfetta dei bulli di turno. Ed è proprio scappando da qualcuno che ce l’ha con lui che finisce dentro una libreria antiquaria, al cospetto di un libraio antipatico che ha tra le mani un libro il cui titolo attira immediatamente l’attenzione di Bastiano: La storia infinita. Sfruttando un momento di distrazione del librario, il protagonista afferra il libro e scappa dal negozio. Arriva a scuola, ma ha fatto tardi, così si sistema nella soffitta dell’edificio, buia, polverosa e piena di cianfrusaglie. Da uno spiraglio di luce inizia a leggere il libro e si perde in una fantastica storia: siamo a Fantàsia, un regno governato dall’Infanta Imperatrice, in cui però si sta diffondendo uno strano male, il Nulla, che sta fagocitando sempre più territori e che nessuno riesce a contrastare. Anche l’Infanta Imperatrice è afflitta da una malattia sconosciuta per cui sembra non esserci cura, così incarica Atreiu, un ragazzo dei Pelleverde del Mare Erboso, di trovare una cura per lei e per il regno. Per riuscire nella missione Atreiu riceve l’Auryn, un potente talismano che lo proteggerà da ogni, e poco dopo si imbatte nel Drago della Fortuna Fùcur, che diventerà un inseparabile compagno d’avventure. La storia è questa, ed è persino divisa cromaticamente, dato che gli eventi nella realtà di Bastiano sono stampati con inchiostro rosso scuro, mentre quanto succede a Fantàsia è stampato in verde. Ovviamente ad un certo punto sarà il protagonista umano ad approdare nel regno incantato per mettere a posto le cose. La storia infinita in ossequio al suo titolo si presenta come un libro multiforme, un po’ romanzo metatestuale, un po’ libro d’avventura, un po’ romanzo di formazione, e in ogni riga sembra letteralmente affiorare un atto d’amore alla potenza creatrice della fantasia. In effetti Michael Ende è riuscito nella sfida di raccontare una storia apparentemente ricolma di tante storie che prendono origine da essa stessa, e in più offre al lettore l’occasione di identificarsi con lo sfortunato protagonista, anche lui amante dei libri e delle storie in genere, e provare con lui l’ebbrezza di diventare un vero eroe. Un grande classico fantasy.

Michael Ende, La storia infinita, Milano, Corbaccio, 2009; pp. 446


 

venerdì 20 maggio 2022

OMERO, ILIADE: LA CADUTA DI TROIA SECONDO BARICCO

Romanziere, saggista, drammaturgo, ma fondamentalmente un narratore puro di storie: questa pare essere la vocazione privilegiata di Alessandro Baricco, nato a Torino nel 1958, dove ha fondato la scuola di scrittura creativa Holden. E come resistere alla sfida per definizione per un narratore puro, ovvero raccontare oralmente la storia più antica di tutte, quella narrata da Omero nell’Iliade? Mosso appunto dall’idea di adattarne il testo per una lettura pubblica Baricco ha riletto l’opera nella traduzione di Maria Grazia Ciani, riscrivendone il materiale narrativo e montandolo dalla prospettiva di ventuno voci narranti, l’ultima delle quali appartiene all’aedo Demòdoco, che racconta la fine di Troia sulla base dell’Odissea ed altre fonti. Ventuno voci narranti per creare un tramite meno distaccato della terza persona come trait d’union tra la storia – o meglio tra i tanti mitici episodi che compongono la grande storia dell’Iliade – e il punto di vista del lettore/ascoltatore. Ecco così che nell’opera di secondo grado Omero, Iliade rivivono gli dei (che rimangono però più sullo sfondo della narrazione rispetto alla fonte letteraria vera e propria), gli uomini e gli eroi ormai entrati nella sfera del mito, cristallizzati nell’epilogo della decennale guerra di Troia, un’eterna storia di vendetta, ambizione, pietà, valore, astuzia, violenza. E una storia di guerra – e dunque sempre attuale nei drastici tempi che corrono – quando la guerra però si poteva ancora concepire come un’avventura estrema, dotata di un’infernale bellezza che la rende un’avventura ancora avvincente a secoli di distanza dalla sua composizione: “Quel che forse suggerisce l’Iliade è che nessun pacifismo, oggi, deve dimenticare, o negare quella bellezza: come se non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta” scrive Baricco nella postilla finale “è una dannosa menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordarsi che la guerra è un inferno: ma bello. Da sempre gli uomini ci si buttano come falene attratte dalla luce mortale del fuoco. Non c’è paura, o orrore di sé, che sia riuscito a tenerli lontani dalle fiamme: perché in esse sempre hanno trovato l’unico riscatto possibile dalla penombra della vita. Per questo, oggi, il compito di un vero pacifismo” conclude Baricco “dovrebbe essere non tanto demonizzare all’eccesso la guerra, quanto capire che solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che la guerra da sempre ci offre”. Strappi di sintesi della trama ovviamente ce ne sono – e sono voluti, per agevolarne una lettura ad alta voce tra un’ora e mezza e due ore – ma il fascino della storia è rimasto integro, semmai grazie al talento di Baricco la storia ha guadagnato in efficacia e fantasia: rispetto all’Iliade originale compaiono infatti anche brani evidenziati con caratteri in corsivo inventati di sana pianta per aumentare il livello di definizione di una trama che non smette di incantare lettori da tre millenni in qua. Un libro ideale per addentrarsi nelle meraviglie narrative del capolavoro all’origine della cultura occidentale.

Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Milano, Mondadori, 2004; pp. 165

ANTOLOGIA DI SPOON RIVER

Una delle raccolte di poesia più iconiche di sempre è senza dubbio l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1868-1950), che l'autore americano pubblicò a puntate sul "Mirror" di Saint Louis tra il 1914 e il 1915 e poi nella versione definitiva in volume l'anno successivo. Il volume assortisce poesie in versi liberi che raccontano le vite degli abitanti del paese immaginario di Spoon River - che nella realtà deriva dal nome dell'omonimo fiume che scorre nei pressi di Lewistown, la città di residenza dell'autore - e sepolti nel fantomatico cimitero locale: in pratica il libro contiene una serie di epitaffi che raccontano altrettante vite dei defunti che riposano nel cimitero di Spoon River. La versione definitiva del 1916 raccoglie 243 epigrafi più la poesia incipitaria, intitolata La Collina. Masters aveva già l'idea di raccontare i luoghi della sua vita tramite le voci di persone realmente esistite, ma lo spunto per narrarle tramite epitaffi di personaggi già defunti - e dunque, ovviamente, sinceri e obiettivi verso le proprie esistenze ormai concluse - probabilmente gli venne in mente dalla lettura dell'Antologia Palatina, appunto una racconta di epigrammi ed epitaffi greci. Il risultato è una galleria di varia umanità che colpisce allo stomaco il lettore e ne stuzzica l'immaginario con una serie di ritratti ricchi di rivelazioni fulminanti e spesso in grado di fotografare con pochi tratti l'anima di un uomo. Nonostante Masters si fosse posto lo scrupolo di cambiare i nomi, siccome tutte le storie del suo libro erano assolutamente vere e tratte dalle piccole realtà di Petersburg e Lewistown, successe che gli abitanti di queste comunità, in grado di cogliere le "fonti" umane del libro, bandirono il poeta a vita. Alcuni personaggi della raccolta sono in effetti davvero autentici, come il dottor Siegfried Iseman, che tradì il giuramento d'Ippocrate e finì dietro le sbarre fabbricando un elisir di lunga vita, o George Gray, che ha una barca con vele ammainate scolpita sulla lapide perché per timore finì per vivere una vita immobile, o Francis Turner, morto ragazzo baciando la sua Mary "con l'anima sulle labbra", o il giudice Selah Lively, schernito tutta la vita per la sua bassa statura e vendicativo una volta divenuto giudice della vita del prossimo, o lo sfortunato Walter Simmons, atteso da un destino luminoso che mai arrivò per mancanza di genio, o l'ottico Dippold, che aveva sempre una lente giusta per tutti. L'immediato successo delle prime poesie sconvolse letteralmente la vita di Edgar Lee Masters, che iniziò a comporre la sua grande galleria poetica a ritmo continuo e alla fine decise di abbandonare la legge per diventare scrittore a tempo pieno, anche se le sue opere successive non ebbero la stessa fortuna, ben presto i proventi editoriali dell'Antologia cominciarono a sfumare e l'autore visse la vecchiaia in condizioni economiche sempre più difficili. Il capolavoro di Edgar Lee Masters conobbe ben presto un grande successo anche nel vecchio continente e in Italia corre l'obbligo di citare almeno l'omaggio che  fu tributato al libro da un grande cantautore come Fabrizio De André, che ne fu ispirato per l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo del 1971. Insomma, una raccolta poetica in cui ci si perde subito e che non si dimentica più...

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 1971; pp. 257 


mercoledì 18 maggio 2022

STORIA DI UNA LUMACA CHE SCOPRÌ L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA

L’autore cileno Luis Sepúlveda (1949-2020) aveva raggiunto qualche anno fa il successo internazionale con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, un romanzo per ragazzi a tinte fiabesche che è anche diventato un fortunato film d’animazione di Enzo D’Alò. Anche nella Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza lo scrittore sudamericano ha creato un’analoga commistione tra fiaba e romanzo, presentandoci una lumaca diversa da tutte le altre compagne che vivono nel Paese del Dente di Leone, all’ombra di una frondosa pianta di alicanto. La storia è la promessa, mantenuta ad anni di distanza, della domanda fatta da un nipote di Sepúlveda quando era bambino, la classica domanda infantile che potrebbe nascondere un mondo: perché le lumache sono così lente? Già… sembra banale, dato che siamo abituati a vederle muoversi così piano, ma perché? Lo scrittore sudamericano in quel momento non aveva una buona risposta, ma si è ricordato della domanda, che gli ha appunto fornito lo spunto per questo romanzo breve per ragazzi, che risponde con la fantasia all’acuto quesito del bambino di un tempo. Ma veniamo senza altri indugi alla storia, che prende avvio nel prato conosciuto dalle molte lumache che vi abitano da sempre appunto come il Paese del Dente di Leone. Le lumache vivono placidamente in questo luogo ameno chiamandosi l’una con l’altra in modo generico, ma tra loro c’è una giovane ribelle che vorrebbe avere un nome e sapere la ragione della lentezza che caratterizza la sua specie. Purtroppo nessuna delle sue compagne riuscirà a darle delle risposte, quindi partirà per trovarne iniziando un viaggio lungo e lentissimo in cui incontrerà vari personaggi, come un gufo malinconico e una saggia tartaruga, acquisterà un nome strada facendo, scoprirà un tremendo pericolo che incombe sul suo popolo, che dovrà cercare di salvare nonostante la sfiducia generale nei suoi confronti. Tutto qui, narrato in modo semplice e incisivo. Ne vien fuori una gran bella storia, delicata e leggera come una goccia di rugiada che scivola giù per uno stelo d’erba: ideale per un pubblico infantile ma gradevole anche per adulti di buoni sentimenti. La nostra impagabile lumaca protagonista è un’ottima metafora anche per la vita contemporanea nella sua ostinata e consapevole ricerca di un’identità precisa, di un segnale anagrafico che la separi dalla massa indistinta in cui di solito tende a mimetizzarsi la razza umana nel suo complesso. E la ricerca di una risposta alla lentezza insita nel suo modo di essere è un’altra bella metafora del cammino di ricerca di se stessi che contraddistingue l’evoluzione dell’adolescenza. Due riuscite metafore implicite, insomma, che costituiscono due ottimi motivi, senza considerare il sempre intrigante stile sepulvediano, semplice ed affabulatorio, per azzardare la lettura di Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza.

Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Parma, Guanda, 2013; pp. 97 

lunedì 16 maggio 2022

READY PLAYER ONE: PRONTI A GIOCARE?

Ci sono i romanzi distopici che aprono la porta a universi d’immaginazione in sé conclusi e portano il lettore in un futuro alternativo senza colpo ferire, trasportandolo letteralmente altrove e Ready Player One di Ernest Cline appartiene decisamente a questa categoria, degno erede di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il classico per antonomasia del genere. Siamo in un futuro prossimo e venturo che si può sintetizzare in una sola parola: inquietante. Nel 2045 la Terra è sovrappopolata e in piena decadenza, anche nelle nazioni più sviluppate tecnologicamente: le città sono stracolme ed oppresse dalla mancanza di fonti energetiche, i poveri del futuro vivono in piccole unità abitative impilate in strutture d’acciaio in periferie da incubo, quasi baraccopoli di lamiere sviluppate in verticale su tralicci che sfidano la forza di gravità. È un mondo quasi senza speranza e in cui l’umanità è riuscita a sopravvivere soltanto rifugiandosi in un mondo virtuale che si chiama Oasis, cui si accede con speciali occhiali sinaptici con riconoscimento retinico: questo straordinario paradiso di pixel e codici aperto a tutti e senza costi di abbonamento è stato inventato da un leggendario programmatore, James Halliday, il fondatore della Gregarious Games, un multimiliardario che, dopo aver scoperto di aver poco ancora da vivere, ha lasciato la sua immensa fortuna e il controllo della sua azienda a chi riuscirà ad impossessarsi di un easter egg oltrepassando tre porte che si aprono con tre chiavi nascoste chissà dove nei meandri di Oasis. Purtroppo questo straordinario annuncio risale a cinque anni fa e nessuno da allora ha fatto il minimo progresso riuscendo ad entrare nel segnapunti di Oasis: da una parte lo cercano i cosiddetti gunter (contrazione di egg’s hunter) dall’altra la spietata multinazionale IOI, che intende impossessarsi di Oasis per imporre canoni d’abbonamenti ed arricchirsi a dismisura con la pubblicità che Halliday ha sempre estromesso dalla sua creazione. Protagonista della storia è appunto un gunter senza arte né parte che vive nelle cosiddette “cataste” di Oklahoma City (sterminati quartieri periferici di roulotte impilate) e risponde al nome di Wade Watts, grande appassionato della cultura pop degli anni Ottanta (venerata da Halliday), noto su Oasis come Parzival, il suo avatar. In cerca di un’idea per trovare la prima chiave insieme al suo miglior amico Each, il nostro eroe incontrerà la valente Art3mis, gunter di grande potenza e fama, e sarà proprio lui ad attirare l’attenzione della IOI guidata dal perfido Nolan Sorrento, un capo disposto a infrangere ogni regola e perfino a uccidere pur di impossessarsi dell’easter egg di Halliday. Ben presto il giovane protagonista scoprirà a caro prezzo l’assoluta mancanza di scrupolo della spietata multinazionale e deciderà di far causa comune con Each, Art3mis e i due gunter nipponici Daito e Shoto per vincere la “partita” e magari fare la cosa giusta: gli darà una mano dietro le quinte il vecchio Ogden Morrow, ex socio nonché miglior amico di Halliday. Che dire? Ready Player One è davvero quello che si può immaginare dalle linee narrative della trama, ovvero una caccia al tesoro ambientata in un’isola virtuale vasta quanto un universo e ricca di riferimenti soprattutto alla cultura popolare degli anni Ottanta nel senso più allargato che si possa concepire: videogames a profusione, giochi di ruolo come Dungeons and Dragons, film d’azione per ragazzi, serie televisive, cartoons giapponesi e così via. E il bello è che i mondi di Oasis sono pure tematici, quindi ognuno presenta un irresistibile spaccato della sterminata immaginazione di Halliday, nume tutelare della caccia planetaria che lui stesso ha innescato col suo avatar Anorak. Alla fine il romanzo regala un confronto epico tra buoni e cattivi prima di farci scoprire perfino il manzoniano “sugo” della storia… Una piccola meraviglia a orologeria perfettamente congegnata per intrappolare le nuove generazioni e quelle dei bei tempi andati.

Ernest Cline, Ready Player One, Milano, DeA, 2018; pp. 441

venerdì 6 maggio 2022

IL LADRO DI MERENDINE DI ANDREA CAMILLERI

Si tratta del terzo giallo che Andrea Camilleri (1925-2019), regista e sceneggiatore siciliano, ha dedicato al fortunato personaggio di Salvo Montalbano, il sagace commissario di Vigàta, cittadina siciliana immaginaria ma caratteristica a tal punto quasi da superare la realtà. Il ladro di merendine inizia mostrandoci gli sforzi ciclopici del protagonista per evitare lo spettro di un avanzamento gerarchico che gli imporrebbe di trasferirsi altrove, rinunciare all'amato modus vivendi, oltre che ai capricci investigativi che solo Vigàta ed i suoi fedeli collaboratori da sempre possono consentirgli. L'indagine vera e propria stavolta è duplice ed incentrata sulla connessione che Montalbano intravede tra l'omicidio di un pescatore tunisino imbarcato in un peschereccio siciliano finito in acque internazionali (e mitragliato da una motovedetta tunisina) e quello di Aurelio Lapecora, un commerciante di Vigàta che è stato accoltellato nell'ascensore di casa: riguardo al secondo omicidio, in particolare, i sospetti cadono ben presto sulla vedova, che forse il marito tradiva con una bellissima tunisina che si occupava delle pulizie domestiche. L'insperato collegamento tra i due omicidi spunta fuori in carne e ossa in un bambino che ruba le merendine a scuola e sembra nascondersi da un segreto terribile. Ne Il ladro di merendine a questo punto acquista spessore soprattutto la figura di Livia da Boccadasse, Genova, l'eterna fidanzata ligure di Montalbano che qui intravede un possibile futuro di madre (e moglie): si tratta però di un futuro che il buon commissario cercherà di ritardare al pari della promozione incombente. Il romanzo è ovviamente scritto nell'originale pastiche di italiano e dialetto siciliano che è diventato il marchio caratteristico della narrativa di Camilleri e, oltre al tradizionale avvincente intreccio poliziesco della serie dedicata a Montalbano, presenta uno spaccato sociale narrato in modo efficace e mai banale. Davvero un romanzo avvincente e notevole.

Andrea Camilleri, Il ladro di merendine, Palermo, Sellerio, 1996; pp. 250

sabato 23 aprile 2022

PER SEMPRE INSIEME, AMEN

Per sempre insieme, amen è l’ennesimo piccolo capolavoro di uno scrittore specializzato nella narrativa per ragazzi, l'olandese Guus Kuijer, classe 1942, che negli ultimi quarant'anni ha vinto moltissimi premi letterari e nel 2012 si è visto assegnare addirittura il Premio Astrid Lindgren, il riconoscimento internazionale più prestigioso per quanto riguarda la letteratura per ragazzi. Ma passiamo senza indugi ulteriori alla storia raccontata in Per sempre insieme, amen: ne è protagonista un'irresistibile undicenne che si chiama Polleke, un'adolescente dal problematico background familiare, forse in misura superiore alla media, in effetti. All'inizio della storia Polleke ha un diverbio col fidanzato Mimun, un compagno di classe di origine marocchina: lo screzio induce il maestro di Polleke ad improvvisare una lezione contro la discriminazione razziale, innescando la reazione della mamma della piccola protagonista, che non ha apprezzato che a sua figlia sia stata affibbiata la poco lusinghiera etichetta di razzista. Quando però il maestro incontra la mamma della ragazzina, che è separata dal marito, scocca la fatidica scintilla, tanto per rendere ancora più problematica la situazione della povera Polleke. La reazione della protagonista è perfettamente normale, dato che è rimasta molto legata al padre, nonostante lui abbia abbandonato la madre per sposare un'altra: Polleke infatti suole perdonare ogni cosa al genitore, che appartiene a pieno merito alla categoria dei PP (padri problematici), e che considera un poeta anche se non ha mai scritto un solo verso in vita sua. Al contrario i versi (e le preghiere) di Polleke contrappuntano i brevissimi capitoli di questo breve romanzo di formazione con la concisione e l’efficacia tipica degli haiku giapponesi: “A volte la parola cade / come un fiocco di neve, / a volte come una pietra, e tutti dicono; silenzio,/ lì cade una parola”. In mezzo a siffatti spunti lirici questa impagabile ragazzina trova anche il tempo per accudire la vitellina dei nonni di campagna (cui viene dato il suo stesso nome), svincolarsi dalla predestinazione matrimoniale del suo ex fidanzato ed infine dare una mano al suo dissennato genitore, che è stato buttato fuori di casa dalla nuova compagna e sembra addirittura piombato nella tossicodipendenza. Una bella storia, tutto sommato, nonostante la strana miscela narrativa con cui è stata confezionata, che assortisce problematiche variegate: una tipica famiglia contemporanea (davvero parecchio complicata), una frammentata multiculturalità di sfondo (piena di stereotipi classici e difficili da risolvere), un’adolescenza difficile fotografata nel bel mezzo di un amore difficoltoso, e infine quel complesso processo che porta ognuno a trovare il suo posto nel mondo, il tutto con uno spruzzo di poesia ricca di emotività. Sembra impossibile, ma funziona, ed è pure gradevole da leggere… 

Guus Kuijer, Per sempre insieme, amen, Milano, Feltrinelli, 2012; p. 94


PERCY JACKSON: ECCO IL GRAN FINALE!

Tutte le saghe hanno una fine e Lo scontro finale è la roboante conclusione di quella di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, che ha portato fortuna e gloria al suo autore, l’americano Rick Riordan, classe 1964, per lungo tempo docente di Inglese e Storia nell’equivalente statunitense delle Medie italiane. Il quinto ed ultimo episodio condensa e risolve le numerose sottotrame che progressivamente sono state aperte nelle avventure precedenti , compresa la famigerata profezia mortale che incombe sul giovane protagonista al componimento del sedicesimo anno di età. Lo scontro finale – pessima traduzione del titolo originale, che suona “l’ultimo Olimpico” – prende avvio mostrandoci Percy impegnato in una missione che porta alla distruzione della nave della sua nemesi Luke, ma purtroppo causa anche la morte di Beckendorf, il compagno d’avventura del figlio di Poseidone. Nel frattempo al Campo Mezzosangue fervono i preparativi per la battaglia risolutiva contro Crono e il suo esercito, le cui file si sono ingrossate col passaggio di molti semidei dalla parte dei Titani. Sono in grande difficoltà anche gli stessi dei dell’Olimpo, impegnati nell’ardua impresa di rallentare il possente Tifone nella sua inarrestabile marcia verso New York, dove l’Olimpo ha trovato la sua sede nel XXI secolo, al seicentesimo piano dell’Empire State Building. Toccherà ai Mezzosangue impedire a Crono di espugnare la casa dei loro divini genitori, ma prima il buon Percy, che intanto ha avuto modo di leggere l’infausta profezia che lo riguarda, dovrà azzardare un’escursione nel regno di Ade, durante la quale avrà modo di diventare invincibile bagnandosi nello Stige, esattamente come il prode Achille (dotato peraltro di un punto debole esattamente come l’eroe dell'Iliade). Nella battaglia finale il nostro Testa d’Alghe andrà progressivamente perdendo fiducia negli dei, ma resterà fedele alla loro causa in vista della sorprendente serie di fatali eventi che condurrà il gentil pubblico all’immancabile happy ending dove tutto magicamente andrà a finire nel modo giusto. L’ultimo tassello della premiata saga di Percy Jackson non delude le attese e ci consegna il solito gustoso romanzo fantasy per ragazzi cui Rick Riordan ci ha abituati, che forse nel complesso è anche un po’ troppo prevedibile nella dinamica degli eroi allo stremo che riescono in modo singolare a ribaltare l’ineluttabile destino che grava su di loro… Certo, la sensazione di déjà vu che traspare dalla trama è evidente, ma che importa se è esattamente quel che i lettori si aspettano? 

Rick Riordan, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. Lo scontro finale, Milano, Mondadori, 2012; pp. 360 


LA BATTAGLIA DEL LABIRINTO: PERCY JACKSON COLPISCE ANCORA!

Si tratta del quarto episodio (su cinque complessivi) della saga fantasy di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, che in patria è divenuta un sorprendente fenomeno editoriale da trenta milioni di copie e da cui è stato traslato sul grande schermo nel 2010 il primo film della serie, diretto dallo specialista Chris Columbus, seguito dal sequel di Thor Freudenthal (per adesso l'unico). Con La battaglia del labirinto entriamo davvero nel vivo dell’epopea del giovanissimo semidio Percy Jackson, figlio di Poseidone e di una mortale. Ormai il conflitto conclusivo tra gli dei dell’Olimpo – che, come ormai sappiamo, non è più sulla sommità di un monte dell’antica Grecia, ma oltre le nuvole dell’Empire State Building, a New York – e i redivivi Titani è quasi ad un passo. Non a caso al Campo Mezzosangue (l’equivalente di Hogwarts nell’universo di Riordan) aleggia un vento di comprensibile nervosismo per l’imminente invasione da parte di Luke al comando dell’esercito di Crono, aumentano le defezioni, fervono gli allenamenti e perfino Dioniso è partito per una missione segreta. A scopo difensivo il buon Percy con gli inseparabili Annabeth e Grover dovrà avventurarsi nei meandri del tortuoso labirinto di Dedalo: il mitico inventore realizzò la prima incarnazione della sua creatura a Cnosso, nell’isola di Creta, ma i tentacoli di questo vero e proprio mondo sotterraneo oggi si estendono anche sotto il Nord America. All’interno del labirinto – da cui Annabeth, quale figlia di Atena, è estremamente intrigata, non a caso è lei che guida l’impresa – i nostri eroi dovranno fronteggiare pericoli in serie, trappole a ripetizione e nemici sempre più letali, molteplici insidie da cui Percy e compagnia riusciranno a destreggiarsi anche grazie ai preziosi insegnamenti di Quintus, il nuovo docente di tecniche di combattimento del Campo Mezzosangue. Riuscirà il rampollo di Poseidone a mettere le mani sul leggendario filo d’Arianna prima del suo avversario (nonché ex amico) Luke? Lo scopriremo, al solito, in un crescendo di emozioni e di colpi di scena, ovviamente dalla prospettiva in prima persona del giovane protagonista, su cui continua ad incombere una sinistra profezia che si scioglierà, ça va sans dire, nella prossima puntata, l’ultima della fortunata serie di Riordan. Anche La battaglia del labirinto non deluderà i numerosi fans grazie alla sempre efficace commistione di mito e contemporaneità che caratterizza la saga. 

Rick Riordan, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. La battaglia del labirinto, Milano, Mondadori, 2011; pp. 346


OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...