lunedì 10 maggio 2021

LA METAMORFOSI E ALTRI RACCONTI KAFKIANI

Questa raccolta assortisce il racconto lungo più celebre di Franz Kafka (1883-1924) e altri quindici storie decisamente caratteristiche dello stile essenziale ed inquietante che ha reso l’autore praghese lo scrittore forse più significativo d’inizio Novecento. La narrativa di Kafka, sia nella misura del romanzo che in quello del racconto, spesso è infatti basata su situazioni surreali ed inspiegabili che costringono il protagonista a mettersi alla prova con qualcosa più grande di lui e senza cognizione di causa: l’effetto in genere è spiazzante per il lettore, che si ritrova a seguire vicende apparentemente assurde, inspiegabili e prive di significato apparente. Sotto questo punto di vista La metamorfosi risulta effettivamente la più emblematica della narrativa kafkiana: il protagonista, Gregor Samsa, giovane commesso viaggiatore, dopo una notte turbata da sogni inquieti si sveglia una mattina trasformato in un mostruoso insetto senza avere la minima idea di quale possa essere la causa della sua mutazione improvvisa. Il risvolto più inquietante però è che il protagonista neppure si pone il problema di quanto gli è successo ma cerca semplicemente, per quanto possibile, di andare avanti come se niente fosse, anche se ovviamente la sua vita non può che essere stravolta da ciò che gli è, inspiegabilmente, capitato. Il problema che lo costringerà ad alzarsi in qualche modo dal letto e convivere con la sua nuova forma è dunque di essere in ritardo al lavoro… Ovviamente la raccolta offre altri esempi riusciti dell’immaginario kafkiano, come ad esempio Un vecchio foglio, Un sogno e soprattutto Un messaggio dell’imperatore, in cui il misterioso messaggio dell’imperatore morente a uno sconosciuto destinatario (che potrebbe anche essere il lettore, chissà...) diventa per certi versi la metafora di ciò che l’umanità vorrebbe disperatamente scoprire. Insomma, La metamorfosi e altri racconti è una raccolta assolutamente da leggere: pagina dopo pagina, racconto dopo racconto, dimostra implacabilmente il significato dell’aggettivo kafkiano, che paradigmaticamente indica le situazioni assurde e incomprensibili che caratterizzano la narrativa del celebre scrittore ceco.

Franz Kafka, La metamorfosi e altri racconti, Varese, Crescere Edizioni, 2019; pp. 143

domenica 9 maggio 2021

STORIA DI IQBAL

Questo libro racconta la vera storia di Iqbal Masih, un ragazzo pakistano dodicenne che in tutto il mondo è diventato il simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile. L’autore di Storia di Iqbal, Francesco D’Adamo, classe 1949, è ormai da tempo una firma importante della narrativa per ragazzi: la sua ovviamente è una versione romanzata della storia di questo coraggioso dodicenne, che forse è stato descritto, come ammette lo stesso autore nella prefazione, un po’ più bello e coraggioso di come magari fu nella realtà. D’Adamo invece ci confessa d’aver inventato di sana pianta il personaggio di Fatima, la compagna di prigionia di Iqbal che ci racconta la storia in prima persona, anche se sicuramente un’amica o un amico gli sono stati accanto e hanno condiviso la sua sorte. È appunto attraverso i ricordi di Fatima che l’autore ci porta nel laboratorio di tappeti di Hussain Khan, nella periferia di Lahore, dove scopriamo il dramma comune di tanti bambini ceduti ad un padrone in cambio di pochi dollari e poi ridotti in schiavitù, incatenati ad un telaio a tessere tappeti in ambienti malsani, caldi d’estate e freddi d’inverno, a lavorare ininterrottamente da mezz’ora prima dell’alba fino a sera in cambio di una forma di pane chapati da intingere in una grande ciotola comune piena di crema di lenticchie, per dormire poche ore su scomodi giacigli e quindi ricominciare da capo l’indomani, finché non avranno ripagato il debito delle proprie famiglie. Ma il debito di questi piccoli lavoratori sta scritto su delle lavagne da cui ogni giorno il padrone, se lo ritiene opportuno, cancella l’equivalente di una rupia: ma in realtà il debito non si estingue mai. Un giorno nella fabbrica di Hussain Khan approda Iqbal, rilevato da un altro padrone che ha deciso di disfarsene, nonostante la grandissima abilità del ragazzo ad intessere tappeti, per la sua propensione alla fuga ed il suo carattere particolarmente orgoglioso. Iqbal, come milioni di altri bambini nella sua situazione, è stato ceduto dai suoi genitori, contadini finiti in miseria, in cambio di appena 26 dollari. Non passa molto prima che Iqbal dimostri al suo nuovo padrone di che tempra è fatto, squarciandogli un tappeto di gran pregio – che lui stesso aveva intessuto, l’unico tra i piccoli lavoranti della fabbrica ad esserne capace – davanti agli occhi: è così che il giovane protagonista finirà nel luogo più temuto dai suoi compagni di schiavitù, la Tomba, una prigione ricavata in una cisterna buia e malsana. Nonostante le difficoltà, Iqbal riuscirà a fuggire ed avrà il coraggio di denunciare il proprio padrone che, dopo essersi salvato una prima volta corrompendo i poliziotti, finirà poi in carcere. Riacquistata la libertà, Iqbal continuerà ad impegnarsi attivamente in un’associazione contro lo sfruttamento del lavoro minorile, diventando un simbolo e contribuendo alla liberazione di centinaia di piccoli schiavi, prima di morire assassinato per mano di sicari della cosiddetta “mafia dei tappeti” il 16 aprile 1995. Una gran bella storia, insomma: in questo romanzo di denuncia, triste e realistico al tempo stesso, D’Adamo ci ricorda il valore della libertà e il diritto dei bambini a crescere in armonia, a giocare ed a sognare. L’edizione 2015 dell’Einaudi, celebrativa del venticinquennale della morte di Iqbal, è introdotta da una bella prefazione del giornalista Gad Lerner, che riflette sull’importanza della figura dello sfortunato giovane attivista pakistano e su quello che ha rappresentato per i bambini che lavorano che, dati UNICEF alla mano, nel mondo ammontano a ben 168 milioni, più del 10% della popolazione infantile del pianeta.

Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal, Torino, Einaudi, 2021; pp. 141

sabato 8 maggio 2021

L'ETÀ DEI MURI, UN PARADIGMA DEL NOSTRO TEMPO

Carlo Greppi, classe 1982, è un giovane storico che da anni collabora con Rai Storia e organizza viaggi della memoria con l’associazione Deina, ha inoltre scritto libri di narrativa per ragazzi che esplorano tematiche a lui care come appunto la memoria in Non restare indietro e il concetto di confine in Bruciare la frontiera. Nel saggio L’età dei muri Greppi rilegge il nostro tempo attraverso la lente divergente dei muri e degli strumenti di divisione in genere: si parte dallo spunto di un frammento del muro per eccellenza del ventesimo secolo, il Muro di Berlino, portato come souvenir all’autore alla tenera età di sette anni e qualche mese dal padre, di ritorno da un viaggio nella città tedesca con l’impressione di aver appena vissuto una svolta epocale. Quel frammento perduto (ci resterà la curiosità sul relativo ritrovamento) per Greppi è l’innesco di un viaggio in quella che lui chiama l’età dei muri, in quanto il Berliner Mauer, una volta abbattuto, è stato seguito da una vera e propria schiera di sbarramenti divisori in varie parti del mondo. Nel capitolo incipitario di questo viaggio nella storia Carlo Greppi ci mostra la preistoria dell’argomento del suo saggio: nel corso dell’Ottocento infatti due uomini, il francese Joseph Monier e l’americano Joseph Farwell Glidden, elaborano altrettante invenzioni che si riveleranno decisive per creare divisioni nel futuro prossimo e venturo, ovvero il cemento armato e il filo spinato, mentre un terzo, l’inglese Charles Wheatstone, inventerà uno strumento musicale simile a una fisarmonica, la concertina, che presterà il nome a un tipo di nastro spinato a grandi bobine che si allargano per creare ostacoli militari dalla prima guerra mondiale in poi. Da qui L’età dei muri prosegue raccontando cronologicamente il Novecento attraverso una serie di archi temporali caratterizzati da muri, divisioni e affini coprendo un secolo e arrivando fino ai giorni nostri. Non si tratta di un racconto lineare, però, dato che Greppi ha scelto di mostrarcelo dalle prospettive diversissime ma con inquietanti punti di contatto di quattro protagonisti del nostro tempo: si tratta rispettivamente dello storico polacco Emanuel Ringelblum, dell’attivista canadese John Runnings, del fotografo tedesco Joe J. Heydecker e del mitico cantante giamaicano Robert Nesta Marley, in arte Bob Marley. Sono quattro uomini che hanno letteralmente attraversato l’età dei muri: Emanuel Ringelblum ha scelto di non fuggire dal suo destino ma di farsi rinchiudere nel ghetto di Varsavia per documentare la Shoah e nascondere le prove per quando tutto sarà finito; John Runnings ha partecipato al D-Day e poi ha passato una vita da pacifista, per diventare, già avanti negli anni, il celebre Wall Walker, colui che ha sferrato la prima picconata al Muro di Berlino; Joe J. Heydecker è entrato nella Wehrmacht perché la sua famiglia non subisse ripercussioni e da soldato non ha quasi sparato al nemico, ma è entrato nel ghetto di Varsavia per fotografare l’orrore, riuscendo a pubblicarne un libro decenni dopo; Bob Marley è diventato la prima star del terzo mondo grazie al reggae, un nuovo genere musicale, perfetto per superare le divisioni e celebrare l’amore universale (e non a caso ogni capitolo comincia puntualmente con una citazione di una canzone del vasto repertorio del cantante giamaicano). Un gran bel saggio storico, insomma, dove il lettore fluttua tra quattro indimenticabili uomini persi nei meandri dell’età dei muri, che secondo Greppi è ben lungi dal concludersi.

Carlo Greppi, L’età dei muri. Breve storia del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2019; pp. 286

martedì 4 maggio 2021

GLI AMORI DIFFICILI

La raccolta narrativa intitolata Gli amori difficili è composta nel complesso da quindici racconti scritti da Italo Calvino tra il 1949 e il 1967, alcuni pubblicati nell’omonima sezione del volume antologico I racconti del 1958 e poi raggruppati dall’Einaudi nella prima edizione del 1970. La raccolta si divide in due parti: la prima dà il titolo al libro e assortisce tredici storie (solitamente abbastanza brevi), mentre la seconda s’intitola La vita difficile ed è costituita soltanto da due racconti più lunghi, ovvero La formica argentina e La nuvola di smog. Tutti i racconti della prima parte presentano nel titolo sempre la dicitura “L’avventura di...” seguita dall’identità (sempre generica) del protagonista o dei protagonisti: questi racconti, peraltro, erano stati tradotti nel 1964 in un’edizione francese intitolata appunto Aventures. L’aspetto curioso della faccenda è però che il termine “avventura”: a ben guardare, infatti, appare abbastanza ironico, dato che queste storie, che in ossequio al titolo dovrebbero essere avventure sentimentali, molto spesso parlano invece di evoluzioni interiori e di viaggi silenziosi, magari di relazioni difficili in cui spesso il silenzio è d’aiuto o di coppie che addirittura, paradossalmente, non s’incontrano praticamente mai. È proprio questo il soggetto del breve racconto che costituisce uno dei punti più felici di tutto il libro, ambientato negli anni del boom economico italiano in una tipica città industriale del Nord Italia: si tratta  del decimo racconto della prima parte, intitolato L’avventura di due sposi, che narra la deliziosa storia d’amore di due sposi che lavorano entrambi nella stessa fabbrica, ma purtroppo in turni diversi, lei di giorno e lui di notte; i due coniugi s’intravedono la mattina quando lui rientra in bicicletta a casa e lei si sta svegliando per andare al lavoro in tram, a fine giornata poi la stessa scena si ripete a ruoli invertiti, anche se i due sposi separati dal lavoro si amano comunque e ricercano entrambi il tepore del compagno nel suo lato del letto. Assolutamente da provare.

Italo Calvino, Gli amori difficili, Milano, Mondadori, 1993; pp. 263

SETTE MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE

Che struggente meraviglia è Sette minuti dopo la mezzanotte! In effetti sembra poco professionale iniziare con un’esclamazione la recensione di un libro, però, a guardar bene, sembra ammissibile considerando che si tratta di un romanzo splendido e lancinante scritto dal talentuoso Patrick Ness su un soggetto elaborato dalla compianta Siobhan Dowd, uccisa dal cancro prima di poter tratteggiarne compiutamente la storia, che poi è stata illustrata con i disegni di Jim Kay, incisivi, chiaroscurali, inquietanti e talvolta perfino terrificanti. Il romanzo racconta un’ordinaria tragedia come tante di quelle che capitano ai giorni nostri: c’è un ragazzino che si chiama Conor O’Malley e vive solo con la madre, perché il padre ha divorziato e si è fatto una nuova famiglia in America. A parte la situazione familiare non felicissima (ma comunque ormai tristemente diffusa nella società di oggi), Conor soffre perché la madre da qualche tempo è oppressa da una tremenda malattia che, almeno stando ai sintomi, sembra a tutti gli effetti un tumore, purtroppo di quelli incurabili. Conor vive malissimo questa situazione difficile, non a caso tutte le notti, stranamente alla stessa ora, alle 12.07, sette minuti dopo mezzanotte, è solito risvegliarsi a causa di un terribile incubo che non riesce nemmeno a raccontare a se stesso, tanto è orripilante e indicibile. Poi una notte arriva lui a bussare (letteralmente) alla casa del ragazzo: un mostro, una sorta di gigantesco tasso millenario che si è alzato e ha iniziato a camminare verso Conor. Questo mostro enorme ed oscuro pare proprio un antico albero di tasso, un agglomerato di foglie e rami intrecciati in infiniti nodi, e afferma di avere tre storie da raccontare a Conor, è proprio per lui che si è alzato e ha iniziato a camminare come poche altre volte nel passato è accaduto. Questo orribile, enorme tasso racconterà al ragazzo le sue tre storie, poi sarà Conor a raccontargli la quarta, la sua storia: e sarà la verità. Da siffatto antefatto, inquietante e intrigante al tempo stesso, Sette minuti dopo la mezzanotte continua tra voli narrativi inauditi e metafore indecifrabili per arrivare esattamente (necessariamente) dove sentivamo che ci avrebbe portato insieme al giovane protagonista, al culmine liberatorio del suo dolore inenarrabile. Prima però Patrick Ness riuscirà a farci entrare nei suoi panni, invisibili a quasi tutto il resto del mondo, che non sa come ci si sente e quindi pietosamente pare guardare da un’altra parte. Un devastante romanzo di formazione che racconta in modalità struggenti e fantastiche la scoperta del dolore e l’ineluttabilità del male da parte di un adolescente: uno straordinario ed inquietante viaggio nell’intimità di un ragazzo sperduto, ancor più impressionante grazie agli strepitosi disegni di Jim Kay. C’è davvero magia in queste pagine, e chi è passato attraverso un dolore in famiglia avrà l’impressione che l’autore sappia esattamente di cosa sta parlando. Imperdibile. 

Patrick Ness, Sette minuti dopo la mezzanotte, Milano, Mondadori, 2012; pp. 229

mercoledì 28 aprile 2021

L'ONDA: IL NAZISMO È ANCORA QUI

La storia al centro di questo romanzo di Todd Strasser s'ispira a una sorta di esperimento sociale (e didattico) realmente "proposto" da un docente di storia, Ron Jones, ai suoi studenti della Cubberley High School di Palo Alto, in California, nella prima settimana di aprile del 1967. Il libro, che rielabora questo strano laboratorio didattico in chiave romanzesca, uscì nel 1981 e da allora è diventato un testo di narrativa di riferimento a livello scolastico in Germania, dove nel 2009 è stato prodotto l'omonimo film di Dennis Gansel, ispirato alla stessa esperienza, che ha fatto molto discutere ed ha riscosso un notevole successo in patria. La storia al centro del romanzo di Todd Strasser è ambientata in una scuola superiore americana, la Gordon High School, e vede protagonista il professor Ben Ross che incontra non poche difficoltà a far capire ai suoi studenti, che stanno studiando il secondo conflitto mondiale, l'ascesa al potere di Hitler in Germania, uno degli stati storicamente più civili del vecchio continente. Per risultare più incisivo, Ross decide così di fare un curioso esperimento sociale, partendo da poche, semplici regole disciplinari: un atteggiamento generalmente più composto e rispettoso, risposte concise (e rigorosamente in piedi), l'uso di un saluto di riconoscimento del movimento, che viene denominato appunto l'Onda. L'istituzione di un gruppo codificato in cui riconoscersi paradossalmente contagia nuovi studenti, e in breve la situazione sfugge di mano al docente: i suoi studenti iniziano a discriminare chi non si riconosce nel loro movimento, arrivando a compiere atti di bullismo e di violenza - addirittura uno di loro si offre di proteggere Ross come guardia del corpo -. L'incauto professore dovrà dunque trovare un modo per mettere fine all'esperimento svelando ai suoi studenti cosa sono diventati quasi senza accorgersene. Nel complesso Il segno dell'onda si presenta come un romanzo di grande presa, nonostante sia caratterizzato da uno stile essenziale e privo di fronzoli. L'incipit ci porta all'interno di una normale classe dei giorni nostri alle prese col più classico dei problemi: la mancanza di interesse causata dall'assenza di coinvolgimento diretto, difficoltà che il docente protagonista cerca di superare inventandosi una didattica laboratoriale fin troppo efficace e contagiosa. Via via che la storia procede, s'intuiscono i primi segnali inquietanti, ma anche progressi troppo evidenti per mollare tutto all'improvviso, così il protagonista lascerà procedere l'esperimento finché non sarà costretto a fare la cosa giusta cercando di impedire il peggio. Assolutamente da provare. 

Todd Strasser, Il segno dell'onda, Milano, Archimede, 2008; pp. 159 


giovedì 8 aprile 2021

IL PIANISTA: LA STORIA DI WLADYSLAV SZPILMAN

Questo libro autobiografico di Wladyslaw Szpilman (1911-2000), uno dei pianisti polacchi più celebri della sua generazione, racconta gli anni dal 1939 al 1945, in cui, essendo di origine ebraica, in seguito all’invasione tedesca il noto musicista fu costretto a vivere con la sua famiglia l’allucinante esperienza del ghetto di Varsavia, per poi cercare di sopravvivere da solo durante un lungo periodo di clandestinità in attesa della liberazione. Il pianista racconta con implacabile realismo e dalla prospettiva delle vittime la privazione dei diritti a danno degli Ebrei polacchi applicata dagli invasori nazisti: agli Ebrei è vietato di entrare nei locali pubblici, di riunirsi nelle piazze, di camminare sui marciapiedi, di possedere più di una certa quantità di contanti, di indossare al braccio un simbolo di riconoscimento etnico. In seguito le limitazioni aumentano a dismisura quando le famiglie ebraiche sono costrette a trasferirsi nel ghetto di Varsavia, uno spazio chiuso ed ovviamente dotato di alloggi ristretti e miseri, un non-luogo dove la fame e le malattie sono i problemi più diffusi, per non parlare delle quotidiane umiliazioni inflitte dai nazisti ai malcapitati di turno, che possono essere giustiziati per minime infrazioni. La strada del protagonista si divide da quella dei suoi familiari quando arriva il momento della deportazione nei lager: all’ultimo momento una guardia ebraica lascia scappare Szpilman perché in futuro, quando la barbarie della Shoah sarà finita, il celebre pianista potrà dare il suo contributo per andare oltre. Da lì in poi Szpilman dovrà cercare di tenere duro resistendo in appartamenti chiusi, in attesa dell’arrivo dei volontari che gli portano il cibo per sopravvivere, sempre da solo e in silenzio (quindi anche senza la possibilità di suonare). Dalla sua prospettiva di clandestino il protagonista assisterà anche all’eroica rivolta del ghetto di Varsavia, destinata a finire in un nulla di fatto ma di grande impatto morale. Tutto è destinato a concludersi con la fuga finale tra le macerie del ghetto, quando la sorte gli consentirà di salvarsi mostrando il suo talento musicale all’ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld, che lo aiuterà nel periodo che prelude alla liberazione (e a cui purtroppo Szpilman non riuscì a restituire il favore). Insomma, a tutti gli effetti queste pagine raccontano, come recita il sottotitolo dell’edizione italiana, “la straordinaria storia di un sopravvissuto”, tragica e struggente da far male. Il libro fu scritto da Szpilman all’indomani dei tragici avvenimenti vissuti e pubblicato nel 1946, quindi mai più ristampato, almeno finché il figlio di Szpilman, Andrzej, ne trovò una copia e riuscì a farlo pubblicare in tedesco, con l’aggiunta di alcuni stralci del diario dell'ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld e con una postfazione di Wolf Biermann. Il pianista è stato traslato sul grande schermo dall’omonimo film di Roman Polanski del 2002, che ha ottenuto un grande successo a livello internazionale ed è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes e con tre premi Oscar.

Wladyslav Szpilman, Il pianista, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2008; pp. 239

sabato 3 aprile 2021

MANDELA E LA PARTITA DI RUGBY CHE UNÌ IL SUDAFRICA


Propriamente Ama il tuo nemico è un libro di inchiesta che approfondisce un preciso momento della storia sudafricana recente, non a caso l’autore è il giornalista inglese John Carlin, che ha scritto per alcune delle più celebri testate a livello internazionale, compreso “The Indipendent”, di cui è stato corrispondente in Sudafrica dal 1989 al 1995. Carlin dunque ha vissuto direttamente gli anni decisivi per la nascita della nazione arcobaleno, segnati dalla scarcerazione di Nelson Mandela dopo una prigionia di ventisette anni e dalle prime elezioni a suffragio universale che lo hanno reso presidente. Mandela però era diventato il capo di una nazione ancora divisa tra una maggioranza bianca timorosa dei sentimenti di rivalsa della maggioranza nera lungamente oppressa dal regime dell’apartheid: Ama il tuo nemico è incentrato sul racconto del sogno sportivo che il presidente sudafricano cercò di sostenere in ogni modo per unire un popolo ancora lacerato dalle divisioni. Quel sogno fu innescato dai mondiali di rugby che il Sudafrica avrebbe ospitato nel 1995 dopo anni di esclusioni dalle competizioni sportive internazionali: Mandela dunque sostenne gli Springboks, la nazionale di rugby sudafricana, da sempre considerata un simbolo dell’apartheid da parte dei sudafricani neri e un grande orgoglio degli afrikaner bianchi. Nel nuovo Sudafrica gli Springboks sarebbero dovuti scomparire, e invece Mandela usò la sua grande capacità di persuasione per tutelarli, incoraggiando la squadra e il capitano Francois Pienaar a compiere un miracolo che avrebbe unito il paese, bianchi e neri, come magicamente avvenne il 24 giugno 1995, quando nello stadio di Ellis Park, a Johannesburg, il Sudafrica sconfisse la Nuova Zelanda, la nazionale dei fortissimi All Blacks, vincendo la coppa del mondo dopo una finale al cardiopalma, come in ogni favola sportiva a lieto fine che si rispetti. Ama il tuo nemico è il racconto del lungo cammino che portò Nelson Mandela fuori dalla cella dove aveva passato gran parte della sua vita adulta, un percorso decennale incorniciato tra la mattina e la sera del giorno della partita di rugby che unì una nazione in un solo popolo. Un gran bel libro, insomma, dotato di una morale irresistibile e commovente, e che offre un impeccabile ritratto di Nelson Mandela, forse la figura politica più significative della storia recente, l’uomo che uscì di prigione pronto a perdonare i nemici che l’avevano rinchiuso dietro le sbarre per ventisette anni. Da questo libro Clint Eastwood ha tratto il film Invictus.

John Carlin, Ama il tuo nemico, Milano, Sperling & Kupfer, 2009; pp. 289

 

TIM SPECTER E IL CLUB DELLA PAURA

Nell’ombrosa Londra di fine Ottocento Tim Specter è indiscutibilmente il più grande cacciatore di fantasmi della sua epoca, sempre accompagnato nelle sue avventure dal suo maggiordomo Jonathan Wilfrid, fedele quanto brontolone. A dir la verità Tim Specter, più che un cacciatore di ectoplasmi, è una sorta di “liberatore” di fantasmi dalle catene che ancora li tengono legati alla nostra realtà. In particolare Il Club della Paura prende avvio da un momento di pausa che il protagonista decide di prendersi dalla caccia alla sua nemesi, il mostruoso Thaddeus Mirkola, inspiegabilmente evaso dal carcere di Newgate, per rispondere all’invito dello stravagante Club della Paura, un’associazione di curiosi personaggi che sono soliti riunirsi nello spettrale castello dei Dragonwyck per raccontarsi storie di fantasmi in una magione atta alla bisogna. Tra parentesi nel castello da qualche tempo uno spettro si aggira per davvero, ed è appunto quello del padrone di casa, misteriosamente defunto durante una cena del club e fermamente convinto di essere stato assassinato da uno degli ex compagni. Riuscirà il nostro eroe a dipanare il gomitolo della complessa matassa? Forse, e passando per un nugolo di storie di spettri che ogni componente del Club della Paura vorrà assolutamente infliggere a lui e al suo maggiordomo in ossequio alla tradizione. Le cose sono destinate a complicarsi quando Tim Specter tramite un sogno riuscirà ad intravedere un modo per assicurare Mirakola alla giustizia, anche perché una vittima del suo tremendo avversario è la sua amata moglie Elizabeth. George Bloom (pseudonimo letterario dello sceneggiatore di fumetti Marco Nucci) ha inventato una saga per ragazzi che racconta situazioni di marca sovrannaturale attraverso il registro comico, con frequenti onomatopee e usando un tono spesso irresistibilmente ironico. Tra le storie nella storia da segnalare quella che fa da premessa al romanzo vero e proprio, davvero deliziosa. Arricchiscono il libro le illustrazioni di Paolo Gallina. Da provare.

George Bloom, Tim Specter. Il Club della Paura, Firenze-Milano, Giunti, 2019; pp. 231

lunedì 22 marzo 2021

QUANDO HELEN VERRÀ A PRENDERTI

Già insegnante d’arte alle medie, bibliotecaria e illustratrice di libri, Mary Downing Hahn, classe 1937, ha iniziato a scrivere relativamente tardi, a fine anni Settanta, ma poi non si è fermata più, pubblicando oltre trenta titoli di narrativa per ragazzi alternandosi tra fantasy, giallo e horror. Quando Helen verrà a prenderti appartiene all’ultima categoria ed è ormai un piccolo classico del genere, essendo uscito nel lontano 1986 – è perfino stato traslato sul grande schermo trent’anni dopo –. La storia prende le mosse dalla classica famiglia complessa americana: Dave, vedovo con figlioletta, ha riformato una famiglia con Jean, che ha due figli adolescenti, Molly e Michael, e a suo tempo è stata abbandonata dal marito. Jean e Dave vivono a Baltimore ma hanno comprato una casa in campagna dove dedicarsi con più facilità alle loro professioni di pittrice e di ceramista. La scelta è caduta su una vecchia chiesa ristrutturata che sembra perfetta per una famiglia di cinque persone, anche se è molto isolata e quindi costringerà Molly e Michael a perdere tutte le amicizie di Baltimore. Peraltro il trasferimento avviene all’inizio dell’estate, con la conseguenza di mandare all’aria tutti i piani dei due fratelli. In aggiunta a un quadro desolante c’è anche il fatto che la sorellina aggiunta, Heather, vorrebbe che la nuova famiglia del padre andasse all’aria. Le cose peggiorano ancor più quando i tre ragazzi, perlustrando i boschi intorno alla nuova casa, finiscono in un vecchio cimitero abbandonato, decisamente spettrale: successivamente, accompagnando il vecchio custode mentre taglia le erbacce che hanno sommerso tombe e lapidi, i tre s’imbattono in una strana pietra tombale isolata dalle altre e priva di nome, soltanto con una sigla incisa. Il problema è che Heather, nei giorni successivi sostiene di avvertire la presenza del fantasma di una non meglio specificata Helen che la farà pagare ai suoi fratellastri. A quel punto, Molly e Michael non avranno altra scelta che indagare, e a volte a rimestare nel sovrannaturale capita anche di trovare esattamente quello che si sta cercando. Nel complesso ne vien fuori una ritmata ghost story con personaggi ben caratterizzati, ambientazioni davvero azzeccate (come l’immancabile rudere con segreti sepolti tra le macerie) e uno sviluppo narrativo ricco di suspense, che non perde mai un colpo e costringe il lettore a restare incollato alla storia fino all’ultima pagina. Da non perdere.

Mary Downing Hahn, Quando Helen verrà a prenderti, Milano, Mondadori, 2020; pp. 189

sabato 6 marzo 2021

BERLIN: L’INIZIO DELLA SAGA

Atto primo di Berlin, una saga distopica ad effetto... retroattivo scritta a quattro mani dal dinamico duo composto da Fabio Geda e Marco Magnone, I fuochi di Tegel è ambientato in un luogo tristemente noto del secolo scorso, trattandosi di Berlino Ovest, lo scenario di un laboratorio di ingegneria sociale a cielo aperto davvero unico nella storia del Novecento. Siamo nella primavera del 1978, quindi in teoria dovrebbe trattarsi di una storia incorniciata nello spazio urbano circondato dal muro di Berlino, se non fosse che fin dalla prima pagina il lettore avrà l’impressione di trovarsi in una città fantasma, segnata dall’incuria e quasi deserta. Il punto è che tre anni prima un virus devastante quanto misterioso ha sterminato tutti gli adulti lasciando in vita solo gli adolescenti, non per sempre però, dato che a sedici anni l’orologio biologico dei sopravvissuti li porterà immancabilmente alla morte. In tale quadro inquietante i bambini e i ragazzi sopravvissuti, rimasti abbandonati a se stessi, si sono organizzati in cinque fazioni di tipo tribale, ognuna ubicata in una zona riconoscibile della Berlino del tempo che fu, ognuna caratterizzata da un approccio diverso alla sopravvivenza e in costante rivalità con le altre: lo Zoo popolato dal gruppo più infantile e basico, i ragazzi del Reichstag (più organizzati), le ragazze dell’Havel (più contemplative), il selvaggi giovani di Tegel – l’aeroporto su cui era basato il ponte aereo che assicurava la sopravvivenza di Berlino Ovest durante la guerra fredda – e infine i più filosofici giovani di Gropiusstadt. È il rapimento del piccolo Theo, uno dei cosiddetti “Nati dalla morte” dopo la fine della civiltà, il motore narrativo del primo episodio della saga: le ragazze dell’Havel, cui il bambino è stato sottratto, chiederanno aiuto alla fazione di Gropiusstadt ed arriveranno a Tegel per esigerlo dal gruppo più violento dei sopravvissuti. Che dire? Si comincia con una cartina topografica di Berlino Ovest, ci si ritrova incollati alla storia fin da subito in uno scenario urbano postapocalittico, all’insegna del degrado, senza energia elettrica né acqua corrente, un altro mondo, insomma… ma per il lettore lo sfogliare pagine per seguire la storia è dolce in questo mare: situazioni coinvolgenti, un ritmo tambureggiante, personaggi strepitosi, come l’indimenticabile Sven, il diciannovenne con un piede già nella fossa che fa comunque la cosa giusta quando è il momento. Sul fronte stilistico risultano davvero azzeccati i vari flashbacks del passato “normale” di alcuni protagonisti che contrappuntano l’intreccio portante e amplificano la sensazione di spaesamento che caratterizza la storia, che sembra una rielaborazione distopica de Il signore delle mosche di William Golding. Assolutamente imperdibile.

Fabio Geda – Marco Magnone, Berlin. I fuochi di Tegel, Milano, Mondadori, 2015; pp. 202

 

giovedì 4 marzo 2021

LA LEGGENDA… DEL GIOVANE SHERLOCK HOLMES

Sir Arthur Conan Doyle è diventato celeberrimo con uno dei personaggi più noti della storia della letteratura, l’unico e inimitabile Sherlock Holmes, investigatore di rara sagacia, capace di decifrare indizi incomprensibili per i ‘normali’ detectives, sempre in coppia con l’inseparabile Dottor Watson. L’investigatore britannico divenne così noto con la serie di romanzi e racconti del suo autore, tanto che la il numero 221B di Baker Street, residenza ‘ufficiale’ di Holmes e Watson, costituisce ancora oggi una visita obbligata per i fedeli lettori di una saga così celebre da innescare seguiti, come ad esempio La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer, che divenne anche un film. La produzione più recente da questo punto di vista è anche la più originale: alludiamo a L’occhio del corvo dell’autore canadese Shane Peacock, sceneggiatore, giornalista e scrittori di libri di narrativa, che costituisce il primo volume di una serie dedicata alle avventure del giovane Sherlock Holmes. Preceduta da un intenso lavoro di ricerca sul mondo del più famoso detective letterario di tutti i tempi, L’occhio del corvo prende avvio in una notte primaverile del 1867, a Londra, in un vicolo buio in cui si consuma il brutale omicidio di una giovane donna, un crimine a cui assiste un solo testimone, un corvo. L’indomani scopriremo un giovane (che peraltro ha appena marinato la scuola) intento a leggere avidamente il resoconto giornalistico di questo delitto: si chiama Sherlock Holmes ed è lo svogliato rampollo di un intellettuale ebreo e di una nobildonna britannica ripudiata dalla propria famiglia proprio per tale (indesiderato) matrimonio. Si tratta di un ragazzo sorprendentemente acuto e dotato di un incredibile spirito di osservazione. Ben presto il giovane protagonista comprenderà che il colpevole su cui la polizia ha messo le mani è un semplice capro espiatorio, ma finirà per ritrovarsi egli stesso sospettato dagli inquirenti, che se lo ritrovano spesso tra i piedi nei dintorni della scena del crimine. Spinto da un’inesauribile sete di giustizia, il buon Sherlock un indizio dopo l’altro porterà avanti la sua indagine non ufficiale, fino al momento in cui avrà l’intuizione decisiva di osservare il crimine dalla prospettiva dell’unico, silenzioso testimone, ma si tratterà di una soluzione ritrovata a un prezzo davvero molto alto. Romanzo giallo per ragazzi dal meccanismo implacabile come il genere richiede, L’occhio del corvo è un inquietante enigma che si fa leggere una pagina dopo l’altra, sorretto da un delizioso gioco di rimandi con i capitoli ‘storici’ della saga holmesiana. Proprio per tale motivo lo apprezzeranno sia i lettori adulti, curiosi di scoprire l’adolescenza (mai raccontata) del loro eroe, come i ragazzi, che troveranno in questo libro l’ideale viatico per i capolavori che sir Arthur Conan Doyle ha dedicato al personaggio di Sherlock Holmes. Assolutamente da scoprire. 

Shane Peacock, L’occhio del corvo, Milano, Feltrinelli, 2011; pp. 255


mercoledì 3 marzo 2021

IL DIARIO DI ANNE FRANK

 

La storia è tragicamente nota, purtroppo, nel bene e nel male: Anne Frank ricevette un diario in regalo per il suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno del 1942, e cominciò a scriverci come qualunque ragazzina della sua età scene di ordinaria vita scolastica, infatuazioni sentimentali, libri preferiti, sogni per il futuro. Ma a un certo punto la sua famiglia, di origine ebraica e di Francoforte ma emigrata ad Amsterdam in seguito all’ascesa di Hitler in Germania, dovrà nascondersi negli uffici della ditta del padre, Otto Frank, insieme a un’altra famiglia ebraica per evitare di essere catturata e finire in un campo di concentramento. E così per due anni Anne continuerà a scrivere in cattività le pagine del suo diario, iniziando a rivolgersi a lui chiamandolo Kitty, fingendo che sia il nome di una migliore amica di cui sente la grande mancanza: giorno dopo giorno Anne ci racconta le paure e le speranze, i momenti di angoscia e le esperienze della sua piccola comunità che cerca di resistere in clausura finché non ci sarà più pericolo per loro fuori. Sono particolarmente struggenti le pagine in cui Anne parla del suo desiderio di diventare da grande una scrittrice o una giornalista, criticando le sue composizioni in modo lucidamente implacabile per quanto consapevole di essere dotata di talento . All’inizio del 1944 Anne aveva sentito alla radio il ministro dell’educazione in esilio affermare che tutte le sofferenze vissute dal popolo olandese durante l’occupazione nazista un giorno avrebbero dovuto essere raccolte e pubblicate: così aveva iniziato a ricopiare le lettere della prima stesura del diario correggendole, tagliando le parti meno interessanti, integrando quelle che le parevano meno sviluppate. Il Diario s’interrompe con l’ultima annotazione del 1° agosto 1944: poco dopo i Frank furono catturati dalla Gestapo e deportati nei campi di concentramento nazisti, Anne e la sorella Margot morirono entrambe di tifo a Bergen-Belsen pochi giorni prima della liberazione, come la madre Edith, mentre il padre Otto fu l’unico superstite della Shoah: tornò ad Amsterdam, pubblicò il Diario della figlia minore nel 1947, che divenne in breve un classico della narrativa per ragazzi e del genere autobiografico. L’edizione Einaudi, con prefazione di Eraldo Affinati e con uno scritto di Natalia Ginzburg, propone anche una ricostruzione degli ultimi anni di vita di Anne e della sorella Margot. Si tratta dell’edizione definitiva approvata dall’Anne Frank Fonds. Assolutamente da leggere.

Anne Frank, Diario, Torino, Einaudi, 2014; pp. 359

martedì 2 marzo 2021

FUORI REGISTRO: STARNONE DOCET...

Domenico Starnone, classe 1943, è un insegnante di Lettere delle superiori che ha fatto centro fin dal romanzo d'esordio, Ex cattedra, un libro che raccontava un anno di scuola in un istituto tecnico e che è poi diventato il soggetto del film La scuola di Daniele Luchetti, ovvero la pellicola apripista delle commedie di ambientazione scolastica. I quattordici racconti di Fuori registro approfondiscono le mille idiosincrasie del professore protagonista di Ex cattedra e per certi versi ne costituiscono l'ideale appendice narrativa. L'evidente filo rosso di questi racconti è ovviamente la scuola vista dalla prospettiva dell'autore nonché voce narrante del libro, un docente rimasto intrappolato fin dalla verde età di sei anni nella scuola, dove è entrato alunno per non uscirne più... Quasi naturale in tale situazione ritrovarsi talvolta stralunati insieme a lui, che inseguendo un pensiero si mette a fischiare in classe e finisce per regredire alle esperienze poetiche che la maestra Magliaro soleva infliggergli alle elementari, oppure vivere sulla sua pelle  l'incubo ad occhi aperti di ogni insegnante che finisce in un'aula vuota (dove saranno finiti i suoi alunni, cui peraltro doveva spiegare?), o ancora relazionarsi con studenti che vogliono cambiare sempre il proprio nome, e infine avere a che fare di continuo con studenti dimenticati che tornano ad intermittenza tra i meandri della memoria. Non mancano neppure gli sprazzi di vita scolastica che ogni docente vorrebbe evitare come le riunioni e, soprattutto, i verbali, che toccano sempre all'insegnante di Lettere per una regola non detta (verbali però che sono fatti di parole con cui si può addomesticare la realtà). C'è anche un bel racconto come Le ore, che tratteggia uno struggente ritratto di chi imbriglia il tempo che gli insegnanti passano a scuola, compresi i cosiddetti "buchi", le ore libere tra un'ora di lezione e l'altra. La scuola la fa da padrona, con tutta la magia che questo ambiente in costante degrado, sempre alla ricerca di fondi necessari ma introvabili, ineguagliabile ricettacolo di varia umanità può offrire, magia che Starnone conosce e sa fissare sulla pagina scritta. Assolutamente consigliato.

Domenico Starnone, Fuori registro, Milano, Feltrinelli, 1992; pp. 133

mercoledì 24 febbraio 2021

ESPERIMENTO DI VERITÀ

Da sempre Paul Auster, classe 1947, si è dimostrato uno scrittore capace di cogliere le piccole cose senza importanza che, talvolta, nella vita sogliono ripetersi, cristallizzandosi in coincidenze apparentemente incredibili. Una delle opere più note del narratore newyorchese s’intitolava appunto La musica del caso, ed il suo primo romanzo, Città di vetro (contenuto ne La trilogia di New York) prendeva avvio proprio da un numero di telefono sbagliato, una strana coincidenza che si ripeteva tre volte, trasformando infine un tranquillo autore di gialli in un estemporaneo detective privato. Auster nel corso degli anni ha raccolto gli aneddoti curiosi appresi da amici e da conoscenti (oltre a quelli vissuti in prima persona), fatti forse insignificanti ma che instillano il dubbio che il senso della vita, in qualche modo, sia riposto proprio in questi indecifrabili concorsi di eventi: tutto sta nell’avere l’occhio (e la penna) allenato a coglierli. L’autore americano ha scritto la sua prima raccolta di microracconti, intitolata Il taccuino rosso, nel 1992, aggiungendone in seguito altre tre (ovvero Perché scrivere?, Denuncia di sinistro e Vuol dire niente): le ha poi riunite in questo Esperimento di verità, che per l’appunto, attraverso il fil rouge dei ventiquattro microracconti in esso contenuti, costituisce un esperimento curiosamente affine agli esperimenti canonici di fisica o di chimica. La scommessa di Paul Auster è dimostrare come paradossalmente la realtà di tutti i giorni abbia una sua logica interna ed impenetrabile, a prescindere dai nostri sforzi per razionalizzarla. Qualche esempio per dare meglio l'idea? Pensiamo ad una monetina lanciata dalla finestra che si perde per strada per essere ritrovata più tardi allo stadio (al bisogno, come per magia), o a come possa capitare che un prigioniero in un campo di concentramento ed il suo custode si ritrovino quarant’anni dopo per il matrimonio dei figli, divenendo amici inseparabili, o infine come due amici smettano di vedersi perché le rare volte che s’incontrano forano sempre le gomme dell’automobile. Sarà un caso? Difficile a dirsi, ma Paul Auster a un certo punto ci racconta anche come uno strano scherzo del destino lo abbia privato, quand'era bambino, dell'autografo del suo campione di baseball preferito, così da indurlo a spostarsi sempre con un taccuino e un lapis, per non farsi più sorprendere impreparato... e finendo di fatto per diventare uno scrittore. Nella riedizione del 2005 l'Einaudi ha rimaneggiato la raccolta con il proverbiale tocco di classe in più aggiungendo anche uno dei racconti più indimenticabili dell'autore newyorchese, apparso per la prima volta nella sceneggiatura di Smoke: si tratta di uno dei più formidabili racconti di Natale di sempre, ovvero Il racconto di Natale di Auggie Wren, ambientato ovviamente nella festa tradizionale più amata ma riletta da una prospettiva originale ed indimenticabile. Tutto questo rende questa raccolta di racconti che non arriva neanche a cento pagine un'esperienza narrativa semplicemente unica, un piccolo gioiello, insomma...

Paul Auster, Esperimento di verità, Torino, Einaudi, 2005; pp. 97

martedì 23 febbraio 2021

BREVE STORIA DEL MONDO: GOMBRICH RACCONTA...

Ernst H. Gombrich (1909-2001), critico d'arte di fama mondiale di origini viennesi, in questo libro scritto in età giovanile si cimenta nell'impresa, davvero ardua, di raccontare la storia del mondo dall'età della pietra ai giorni nostri condensandola in un volume di poco più di trecento pagine. La Breve storia del mondo nasce dichiaratamente come un libro diretto ad un pubblico appartenente all'infanzia e alla prima adolescenza, ed è dettato dalla ferma convinzione dell'autore «che si possa esprimere qualsiasi concetto con un linguaggio semplice e comprensibile anche da un bambino» - convinzione peraltro confermata dalla scrittura semplice e discorsiva usata da Gombrich anche nei suoi saggi critici -. L'autore, nei quaranta capitoli che compongono questa escursione storica ad ampio spettro dalla Preistoria ai giorni nostri, oltre a fatti e personaggi non trascura di illustrare scoperte, invenzioni, mutamenti sociali, svariando con la stessa consueta trasparenza dall'intuizione dell'alfabeto alle armi atomiche. L'afflato è intrigante e felicemente didascalico: sfogliando le pagine si ha la sensazione di sentirsi raccontare la storia da una sorta di vecchio zio che ne ha viste tante più di noi e vuole aiutarci ad entrare nelle complesse pieghe della realtà cercando di semplificarla a nostro uso e consumo. Assolutamente da provare e il consiglio è di mettere l'autore alla prova "assaporando" i periodi storici più complessi.

Ernst H. Gombrich, Breve storia del mondo, Firenze, Salani, 2006; pp. 332

ULTIMO VIENE IL CORVO

Si tratta di una raccolta di racconti del 1949 di Italo Calvino, raccolta che prende il titolo dal racconto Ultimo viene il corvo, già pubblicato sulle pagine del quotidiano "L'Unità" (dei trenta racconti solo sette erano inediti nella prima edizione). Nelle edizioni successive della raccolta la lista dei racconti è stata cambiata ma da quella del 1976 la prima è stata recuperata ed è diventata quella definitiva. Non esiste un filo rosso in grado di collegare tutti i racconti, che si possono suddividere in tre filoni: il primo è caratterizzato dall'ambientazione nel periodo della Resistenza - che Calvino visse in prima persona e che ha riversato nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, il romanzo apripista della cosiddetta narrativa di Resistenza -, il secondo vede protagonisti vari esempi picareschi di un'umanità semplice e animata da desideri basici, mentre il terzo ha un taglio più autobiografico ed è ispirato all'infanzia dell'autore in Liguria. Il raccolto ovviamente più riuscito della raccolta è quello che le presta il titolo, Ultimo viene il corvo, che ha come protagonista un ragazzino letteralmente fulminato dalla scoperta del fucile, con cui si dimostra un infallibile cecchino, capace di colpire oggetti molto distanti e perfino in movimento. Sembrerebbe una normale storia di partigiani, invece Calvino tratteggia un ragazzino che è stato affascinato dalla capacità dell'arma da fuoco di azzerare le distanze, come una sorta di magia: l'occhio vede distanti i bersagli, che l'aria separa dall'occhio, ma la pressione sul grilletto consente di dimostrare che si tratta di un'illusione, svelata appunto dal fucile. Nel simbolico finale il ragazzino protagonista costringerà dietro un masso in mezzo a una radura circondata dal bosco un soldato tedesco: si tratta di un luogo di passo per uccelli, che il ragazzino si mette ad abbattere assecondando il suo desiderio di centrare bersagli, finché in cielo apparirà un sinistro corvo che comincerà a stringersi in cerchi concentrici sempre più stretti... Da segnalare, per quanto concerne la seconda tipologia, Furto in una pasticceria (che è finito sul grande schermo sia ne I soliti ignoti di Mario Monicelli che in Palookaville), mentre per la terza è d'obbligo ricordare Un bastimento carico di granchi. Assolutamente da non perdere, come la maggior parte della produzione narrativa di Italo Calvino.

Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, Milano, Mondadori, 2016; pp. 230

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...