lunedì 19 ottobre 2020

ERRORI GALATTICI: QUANDO LA SCIENZA... SBAGLIA

L'autore di Errori galattici si chiama Luca Perri, dottorando all'Università dell'Insubria e all'Osservatorio di Brera e da un decennio abbondante anche apprezzato divulgatore scientifico su vari organi d'informazione. In realtà questo libro, più che spiegare le più importanti scoperte scientifiche dei principali scienziati della storia, approfondisce (e spesso diverte) raccontando le cantonate più memorabili che gli studiosi della scienza hanno involontariamente preso (e frequentemente difeso con parecchia convinzione) nel corso dei loro studi, talvolta anche per molti anni. Secondo Luca Perri spesso il cammino della scienza è stato caratterizzato da moltissimi errori, che però in certi casi hanno in qualche modo favorito scoperte sensazionali che sono arrivate in seguito proprio a quegli errori, sempre molto divertenti da scoprire. E il bello è che comunque, sfogliando una pagina dopo l'altra, il giovane lettore avrà modo senza colpo ferire di scoprire davvero un gran numero di curiosità scientifiche, moltissime battute e varie curiosità su scienziati del calibro dell'astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli, smanettoni ante litteram come Guglielmo Marconi, per non parlare del genio più celebre di tutti, l'immenso Albert Einstein con la sua linguaccia ribelle ed il suo caratterino talora intrattabile. Nel complesso Errori galattici si rivela una piacevole lettura, adatta ai lettori onnivori ma anche a chi di scienza ne capisce il giusto ma è animato dalla giusta curiosità nei confronti dei misteri del nostro mondo e... dell'universo. Corredano il volume gli effervescenti disegni di Tuono Pettinato, nome d'arte di Andrea Paggiaro, fumettista non nuovo alla trattazione (figurata) di argomenti scientifici. Da provare.

Luca Perri, Errori galattici, Milano, De Agostini, 2018; pp. 192


IL CIMITERO SENZA LAPIDI E ALTRE STORIE NERE

Uno dei motivi per cui leggere questa deliziosa antologia di racconti del grande Neil Gaiman è senz'altro l'introduzione, dove l'autore ci ricorda che il valore aggiunto di qualunque raccolta di racconti consiste proprio nel fatto che attraverso poche pagine regalano "viaggi fino all’estremo opposto dell’universo [...] con la certezza di essere di ritorno per l’ora di cena”. Il libro in effetti offre la possibilità di alternarsi tra dieci racconti (più una stranissima poesia finale) alternati tra i generi della fantascienza, dell'horror e del fantasy. Si comincia con il racconto che dà il titolo alla raccolta, un'intrigante avventura di Nobody Owens (che diventerà il protagonista de Il figlio del cimitero), il ragazzo che vive in un cimitero in contatto con le anime di chi vi riposa, compresa una giovane strega giustiziata qualche secolo prima ma sempre vivacissima anche in versione ectoplasmica. Nel successivo, Il ponte del troll, si gioca su uno spunto fantasy di un vorace troll che mangia le vite di chi ha la sfortuna di incontrarlo: il giovane malcapitato proverà a convincerlo che sarebbe meglio aspettare il tempo adatto per divorarlo, ma la scusa non può reggere per sempre. Da citare anche Cavalleria, una bella rivisitazione del mito cavalleresco per eccellenza, il santo Graal, finito sulla mensola di un'anziana signora dei giorni nostri. C'è anche un raccontino brevissimo e tremendamente intrigante come Non chiedetelo a Jack, dove scopriremo un inquietante giocattolo che sa aspettare le sue vittime per molto, davvero molto tempo. Da segnalare anche due storie di fantascienza: una aneddotica, Come vendere il ponte di Ponti, e l'altra, davvero strana, Come parlare con le ragazze alle feste, che parla di una sorta di iniziazione sessuale destinata a culminare nell'incontro con esponenti femminili di razza... aliena. Prima di chiudere i battenti Gaiman ci stupisce con una sorta di poesia sull'arte narrativa, Istruzioni. Un'antologia di racconti dove perdersi e sorprendersi a più riprese: come spesso capita nei libri dell'autore di Coraline e Stardust, appena finito il primo racconto, il lettore non potrà che assaporarli tutti uno ad uno. 

Neil Gaiman, Il cimitero senza lapidi e altre storie nere, Milano, Mondadori, 2007; pp. 220 


IO NON HO PAURA, UN CLASSICO PER L'ADOLESCENZA

Romano, classe 1966, Niccolò Ammaniti è stato uno dei migliori esponenti della cosiddetta gioventù cannibale che qualche anno fa ha tentato di dare una sana scossa tellurica alla narrativa italiana. Già autore dei romanzi Branchie (1994) e Ti prendo e ti porto via (1999), e della raccolta Fango (1996), Ammaniti con il suo terzo romanzo Io non ho paura ha forse trovato la sua opera più riuscita ed ambiziosa. La storia presenta contenuti risvolti pulp, peraltro costanti nel resto della produzione dello scrittore romano: fin dalla prima pagina è il punto di vista di Ammaniti però ad essere più maturo e consapevole rispetto al passato, nonostante la voce narrante sia quella di un bambino di nove anni, Michele Amitrano. Io non ho paura è ambientato in un'indefinita località della campagna meridionale: il paese si chiama Acqua Traverse, una frazione di Lucignano comprendente quattro case allineate intorno ad un'unica strada, un minuscolo centro abitato disperso tra sterminati campi di grano, un luogo immaginario ma incredibilmente realistico. Nella calma piatta e sfaccendata dei giorni uguali a se stessi della torrida estate del 1978 Michele, la sorellina immancabilmente portata a traino ed il suo gruppo di amichetti, tra un gioco e l'altro, esplorano i dintorni sulle loro biciclette, arrivano in un casolare abbandonato e pericolante, e fanno la conta per decidere chi vi entrerà: toccherà a Michele, che durante la sua 'intrusione' tra le rovine scoprirà qualcosa (o qualcuno?) fuori posto, che non dovrebbe esserci ma di fatto si trova proprio lì. La scoperta, incomprensibile e traumatica al tempo stesso, cambierà per sempre la sua giovane vita, modificando in particolare la sua percezione del mondo adulto circostante, compresa la sua stessa famiglia. Per non rovinare il gusto della sorpresa, ci limiteremo a svelare soltanto che si tratta di un segreto innescato da un micidiale cocktail di variegate componenti ottative - un indiscriminato desiderio di rivalsa sociale, il sogno di una vita diversa al Nord, la necessità fisiologica di fuggire da un Sud povero e privo di prospettive -: aspirazioni comprensibili per un gruppo di adulti disperati e pronti (quasi) a tutto per cambiare l'iter delle proprie esistenze, ma ingiustificabili per un bambino come Michele, che si ritroverà con il proprio immaginario infantile ridotto in frantumi dalla dura realtà. Io non ho paura è un romanzo di grande impatto emotivo e dall'incredibile felicità di descrizione ambientale: in un quadro assolutamente "normale" il piccolo protagonista percepisce, per caso, un'anomalia destinata a causare inquietanti sviluppi nella sua vita. La soluzione narrativa escogitata da Ammaniti per chiudere la storia è in fondo, come accadeva anche ne L'ultimo capodanno, un'esplosione, non generalizzata ma individuale, svolta in modalità assai cinematografiche nel sorprendente finale. Assolutamente da provare. 

Niccolò Ammaniti, Io non ho paura, Einaudi, Torino, 2001; pp. 219


VIETATO LEGGERE LEWIS CARROLL

Nonostante il titolo sembri un curioso divieto letterario, Vietato leggere Lewis Carroll è un ispirato esempio di romanzo illustrato che è diventato un piccolo caso letterario in Spagna ed ha ricevuto il generale apprezzamento della critica, nonché svariati premi relativi alla narrativa per ragazzi. Ne sono autori lo scrittore Diego Arboleda, nato a Stoccolma e laureatosi a Madrid, dove ha fatto il libraio prima di sfondare come autore, e  il disegnatore Raùl Sagospe, esperto di marketing col pallino dell'arte, già illustratore per vari editori iberici. La storia, che prende avvio con una intrigante disposizione sui battiti di ciglia, è ambientata nel lontano 1932 e prende avvio con una doppia carrellata dei personaggi ammessi in questo libro e di quelli non ammessi. La protagonista dell'assortito cast risponde al nome di Eugène Chignon, una giovane istitutrice francese specializzata in disastri, tanto che i suoi ex clienti (che le vogliono bene nonostante i danni che lei ha prodotto nelle loro case) sono felici quando trovano un'offerta di lavoro che pare fatta apposta per lei (oltre che per loro stessi, dato che la ragazza sarà costretta a lasciare la Francia... e i loro soprammobili). Si tratta in effetti di una proposta presentata in termini abbastanza curiosi: "Prestigiosa coppia di Manhattan, New York, cerca con urgenza una istitutrice francese per la sua unica figlia. Sono richieste buone referenze, ovviamente una buona educazione e, importante e indispensabile, la capacità di mentire (sia in inglese che in francese)". L'offerta è strana ma ancor più curiosa è la lettera in cui la famiglia, esaminate le referenze di Mademoiselle Chignon, le assegna l'incarico allegando un biglietto per la nave (linea transatlantica Southampton-New York) e precisando il particolare problema della figlia della famiglia, che si chiama Alice e ha una vera fissazione per il celebre personaggio di Alice nel paese delle meraviglie e di Attraverso lo specchio (personaggio di cui pare la copia vivente): la giovane istitutrice non dovrà darle corda in alcun modo riguardo ai due libri di Lewis Carroll o sarà automaticamente licenziata. Aggiungiamo alla storia, che sarebbe già intrigante così, il fatto che a bordo del transatlantico che la porta a New York la nostra eroina "disastratrice" conoscerà tra gli altri un simpatico belga di nome Baptiste Travagant (che si porta dietro un enorme uovo di un uccello africano ormai estinto) e un distinto editore di nome Peter Davies (che da bambino ispirò a Barrie il personaggio di Peter Pan). Mademoiselle Chignon si ritroverà assunta dai signori Welrush, una coppia abbastanza eccentrica cui si aggiunge Timothy Stilt, l'ancor più stravagante fratello della signora Welrush. Aggiungiamo alla storia anche l'imminente arrivo a New York della signora Alice Liddell, la simpatica ottantenne che da bambina ispirò a Lewis Carrol il personaggio di Alice (un imminente arrivo ovviamente da nascondere alla figlia dei signori Welrush). Ce n'è quanto basta per realizzare un romanzo dotato di un grande umorismo, che procede a ritmo sempre pimpante e ravvivato da qualche scena davvero esilarante. Il bello è che pur trattandosi di un libro letteralmente traboccante di riferimenti letterari, risulta divertentissimo da leggere sia per lettori maturi che per quelli di età più verdi, che magari potrebbero cogliere l'occasione per scoprire Lewis Carroll e (perché no?) appassionarsi all'opera di uno degli scrittori inglesi più interessanti di fine Ottocento.

Diego Arboleda - Raùl Sagospe, Vietato leggere Lewis Carroll, Roma, Lapis Edizioni, 2015; pp. 205


mercoledì 14 ottobre 2020

SCOPRENDO IL MONDO... A PIEDI

Sì, in effetti un libro come questo risulterà “strano” per la maggior parte dei lettori, soprattutto dei lettori giovani o giovanissimi i quali, stando a recenti indagini statistiche, fanno sempre meno attività fisica. Si tratta di un libro scritto da un “camminatore” d’eccezione, Paolo Rumiz, classe 1947, giornalista de “La Repubblica” e de “Il Piccolo”: è una sorta di diario di bordo del viaggio a piedi da Trieste a Promontore, sulla punta all’estremo Sud della penisola dell’Istria. A piedi è scansionato in sette capitoli per i relativi sette giorni di viaggio percorsi da Rumiz quasi rigorosamente a piedi, tranne un tratto iniziale in autobus. È un viaggio in solitario e aperto ad imprevisti molteplici, che forse costituiscono il vero centro d’interesse del viaggio stesso, che altrimenti consisterebbe, nell’accezione più tristemente diffusa al giorno d’oggi, nel recarsi da un posto all’altro nel modo più asettico ed indolore possibile. Al contrario A piedi dimostra con grande dinamismo ed indubbia facilità che, anche nel terzo millennio, il succo del viaggio consiste nel conoscere gente nuova, nel vivere avventure (talvolta anche a correre pericoli), nel godersi la fatica di andare da un posto all’altro avendo il tempo di guardare cosa c’è ai bordi della strada, che potrebbe essere un sentiero in mezzo al bosco o attraverso un campo incolto. Camminando a piedi, precisa spesso Rumiz, è necessario portarsi nello zaino una quantità adeguata di acqua, the o succo di frutta, perché camminando d’estate si suda molto, è consigliabile indossare un paio di scarpe ben “rodate”, in modo da preservare i piedi, che sono lo strumento primario per compiere il viaggio, è bene portarsi dietro il siero antivipera in caso di incontri indesiderati ed anche avere un numero adeguato di aneddoti da ricordare, dato che chi cammina da solo finirà immancabilmente per parlare con se stesso. E da Trieste a Promontore, passando per Gracischie, Montona, Antignana, Canfanaro, Valle e Fasana, di storie varie, attrattive naturali e storico-artistiche ne scopriremo più d’una seguendo il buon Rumiz: squarci sulla guerra dell’ex Jugoslavia, i confini degli stati da attraversare, gli animali selvatici delle zone circostanti, l’orientamento con le stelle, le birre dei viaggi dei tempi che furono ed infine persone, cibi, bevande e usanze dei paesi dove sostare da una tappa all’altra, che molte sorprese le riservano sempre. Assolutamente da provare e (perché no?) magari da mettere in pratica. Corredano il tutto le illustrazioni di Alessandro Baronciani. 

Paolo Rumiz, A piedi, Milano, Feltrinelli, 2013; pp. 125 


CUORI DI CARTA: AVVENTURA AD ALTA ENERGIA EPISTOLARE

Chi non sognerebbe un'emozionante corrispondenza epistolare con un coetaneo di sesso opposto di cui alla lunga innamorarsi perdutamente, magari innescata grazie alla comune passione per la letteratura di marca avventurosa? Alla questione risponde con un pizzico di magia Cuori di carta della scrittrice milanese Elisa Puricelli Guerra, che si confessa apertamente lettrice compulsiva di ogni romanzo di genere e sorta e non a caso, essendo anche un'apprezzata editor, passa gran parte della sua vita a leggere. In effetti le somigliano abbastanza i protagonisti del suo romanzo, che a volerne precisare la tipologia, potremmo a buon diritto definire romanzo epistolare per ragazzi con divagazioni sentimentali e avventurose, anche se non è tutto, come spiegheremo tra breve. Prima corre l'obbligo di precisare che i due adolescenti protagonisti impareranno a conoscersi senza mai vedersi di persona né usando mezzi informatici o telematici di qualsivoglia genere. I due, che ben presto stabiliranno di chiamarsi con i nomi fittizi di Una e Dan, inizieranno a scambiarsi messaggi in biblioteca (ad ore alterne, per non vedersi) utilizzando un libro come tramite, Puck il folletto, un mezzo assolutamente casuale peraltro, dato che il primo messaggio è metaforicamente il classico messaggio nella bottiglia lasciato da una ragazza in cerca di un destinatario tra i suoi compagni di scuola - ma sarà davvero una scuola, poi? Perché qua e là affiorano indizi piuttosto strani in merito -. All'inizio i due protagonisti ignorano perfino i rispettivi generi, ma ben presto diventano inseparabili amici di penna e cominciano a fantasticare: Dan in particolare vorrebbe conoscere Una in carne e ossa, anche se lei afferma di non essere ancora pronta ad incontrarlo. La nuova amicizia in corrispondenza è assai intrigante anche perché entrambi i ragazzi in teoria potrebbero vedersi, senza saperlo, per i corridoi del loro istituto scolastico. Ma Cuori di carta nasconde ben altro e molto presto le cose cominceranno a complicarsi quando compaiono tra le righe dei due corrispondenti alcuni riferimenti all'istituto che i due frequentano in mezzo a tanti altri compagni: sembra che i loro veri nomi gli studenti non li usino neanche più, e pare che tutti prendano una non meglio specificata medicina che, capitolo dopo capitolo, scopriremo che serve sostanzialmente a... dimenticare e voltare pagina. Un po' come stiamo facendo noi lettori perdendoci in questa storia, chissà... Il romanzo si complicherà con la presenza dell'unica amica del cuore di Una, Jolanda, e dei due inseparabili compagni d'avventura di Dan, Porthos e Aramis. E acquisterà sempre maggior definizione anche lo scenario del misterioso istituto sperduto in una foresta nella morsa di un rigido inverno, con la sua struttura a spirale e tanti inquietanti interrogativi da svelare in un'altalena di colpi di scena. Il tutto restando sempre nell'alveo di una serrata sequenza di messaggi, un tambureggiante botta e risposta che sembra costruito ad arte per rivelarci la storia centellinandone gli sviluppi in un crescendo di suspense. Assolutamente da provare: se avete minimamente apprezzato il gioco epistolare di Ciao, tu, il romanzo di Elisa Puricelli Guerra vi trasporterà senza colpo ferire in una realtà spazio- temporale tutta da scoprire fino all'ultima... lettera.

Elisa Puricelli Guerra, Cuori di carta, Torino, Einaudi, 2012; pp. 212

MARCOVALDO ALLA RICERCA DELLA NATURA PERDUTA

Il titolo per esteso di questa raccolta di novelle di Italo Calvino, classe 1923, è Marcovaldo ovvero le stagioni in città e in effetti la sequenza delle storie segue appunto un criterio stagionale: dalla prima all'ultima delle venti novelle del libro passeremo dunque lungo cinque sequenze narrative ambientate in primavera, in estate, in autunno e in inverno. Ne è protagonista ovviamente Marcovaldo, che lavora come manovale nella Sbav, un'indefinita ditta di una città metropolitana non meglio identificata che potrebbe trovarsi in una qualunque regione del Nord d'Italia, come Torino o Milano, diciamo. Il filo rosso che collega tutte le storie, ambientate negli anni Sessanta, è il desiderio che Marcovaldo ha di ritrovare la natura, di cui lo squattrinato protagonista coglie ogni piccolo mutamento nell'alternanza delle stagioni: Marcovaldo vive infatti in un luogo urbano assolutamente artificiale, dove gli spazi verdi non si intravedono quasi più, soffocati come sono da un mare di asfalto e di cemento. In tale situazione il protagonista, di umore spesso malinconico ma tutto sommato ottimista, è pronto a cogliere ogni minima manifestazione della natura - che spesso cerca poi di condividere con la famiglia -, ma ogni volta il suo entusiasmo è destinato a spegnersi in finali solitamente catastrofici quanto divertenti. Il tono di Marcovaldo è insomma tragicomico e riesce a denunciare con efficacia i limiti della vita cittadina, davvero deficitaria per quanto riguarda il rapporto con la natura. In molti casi Calvino riesce ad ottenere il doppio risultato di farci sorridere dispensando riflessioni dolceamare di retrogusto ecologico con novelle davvero irresistibili, come succede nella storia apripista, Funghi in città (dove il protagonista trova nelle aiuole pubbliche funghi apparentemente gustosi che non potrebbe mai permettersi di comprare), oppure ne Il bosco sull'autostrada (dove troverà un modo originale per procurarsi legna da ardere ricavandola da cartelloni pubblicitari) o infine in Dov'è più azzurro il fiume (in cui Marcovaldo finirà in un pescosissimo fiume, anche troppo blu per essere vero). Assolutamente da provare, anche per scoprire il quadro di realtà di un'Italia che ormai non c'è più che traspare da una novella all'altra. 

Italo Calvino, Marcovaldo, Torino, Einaudi, 2013; pp. 189 


I TURBAMENTI DEL “VECCHIO” HOLDEN CAULFIELD

Se esistesse l’equivalente letterario dell’espressione cult movie, probabilmente il cult book di intere generazioni di giovani dagli anni Cinquanta ad oggi sarebbe proprio il capolavoro di J.D. Salinger (1919-2010), che dopo essere diventato una celebrità letteraria col romanzo d’esordio, scelse di eclissarsi nei boschi del New Hampshire, pubblicando col contagocce, e rifuggendo onori e interviste. Il titolo originale del romanzo non è Il giovane Holden ma The catcher in the rye, un gioco di parole intraducibile in italiano che il giovane protagonista Holden Caulfield estrapola (equivocandole) da alcuni versi di una canzone scozzese del poeta scozzese Robert Burns: mal ricordandone il testo, Holden le associa all’immagine di una frotta di bambini che giocano in un campo di segale sull’orlo d’un dirupo e, quando uno di essi vi sta cadendo, Holden stesso lo acchiappa al volo, come una sorta di “catcher in the rye” appunto, espressione che equivale più o meno a “l’acchiappatore nella segale”. Ma negli Stati Uniti inevitabilmente il termine catcher richiama anche il giocatore di baseball (il “prenditore”) che col guantone sta dietro al battitore in attesa della palla del lanciatore; rye invece indica un tipo di whisky ottenuto dalla fermentazione di segale o da una mescolanza di segale e malto: in questo caso il titolo equivarrebbe più o meno a “Il prenditore nel whisky di segale”. Per queste oggettive difficoltà di traduzione Calvino propose all’Einaudi Il giovane Holden come titolo dell’edizione italiana, titolo calzante trattandosi di un romanzo di formazione. La storia ce la racconta lo stesso protagonista, il sedicenne Holden Caulfield, figlio di benestanti altoborghesi di New York. Il ragazzo è un po’ la pecora nera di famiglia in confronto ai fratelli: il maggiore, D.B., è infatti uno scrittore che si sta affermando a Hollywood come sceneggiatore, la sua sorellina Phoebe è la prima della classe senza sforzo e il suo compianto fratello minore Allie era un ragazzo brillante e di buon carattere. Holden, invece, è stato cacciato da vari istituti scolastici già prima di iscriversi a Pencey, dove ha registrato il suo ennesimo fallimento per scarso rendimento, infatti l'hanno appena espulso. La scarna trama del romanzo è centrata soprattutto sul ritorno a New York del ragazzo, che conta di passare qualche giorno da solo in attesa che la notizia della sua espulsione giunga ai genitori. In questo lasso di tempo Holden spera di rivedere facce amiche e fare incontri gratificanti, ma le cose andranno di male in peggio. Mentre si riaffaccia con insistenza il ricordo del fratellino defunto, Holden torna di nascosto nella casa dei genitori per rivedere Phoebe: nasce l’idea di una fuga e di una vita diversa con la sorellina, ma il progetto sfuma e, poco dopo, Holden stesso ci informa che questo è tutto quel che ha intenzione di raccontarci. Il giovane Holden è diventato un libro di culto per la sua capacità di descrivere con efficacia da una parte i turbamenti dell’adolescenza, dall’altra il disagio giovanile dei ragazzi del dopoguerra, incapaci di adeguarsi al conformismo ed all’ipocrisia dilagante della società contemporanea. Holden è infatti uno straordinario personaggio capace di andare sempre oltre l’apparenza delle cose, di cui spesso riesce a cogliere aspetti alternativi andando sempre in profondità e spesso quasi per caso, aprendo all’improvviso delle digressioni riguardo ciò che gli passa per la testa, come quando, appena arrivato a New York, sale in un taxi e chiede all'autista se abbia idea di dove diavolo vadano a finire le anatre del laghetto di Central Park quando l'acqua ghiaccia per il freddo invernale. La cifra riposta del romanzo sta proprio in queste parentesi, che costituiscono il sale della storia e rivelano il mondo interiore del protagonista. Il romanzo è inoltre molto originale sul versante dello stile, che riesce a catturare le sfumature del linguaggio giovanile (in particolare il cosiddetto college slang) ed assai innovativo rispetto agli anni in cui fu scritto. Una lettura irrinunciabile. 

Jerome D. Salinger, Il giovane Holden, Torino, Einaudi, 2008; pp. 248


martedì 13 ottobre 2020

QUALCUNO CON CUI CORRERE, UN CULT DELL'ADOLESCENZA


L'israeliano David Grossman, classe 1954, è uno degli scrittori contemporanei più accreditati: divenuto un vero e proprio caso letterario a partire dal 1988 con Vedi alla voce: amore, da allora ha scritto libri di successo come Il libro della grammatica interiore e Che tu sia per me il coltello, è inoltre attivamente impegnato per una soluzione pacifica della questione palestinese. Qualcuno con cui correre è probabilmente il romanzo con cui Grossman ha realizzato il suo libro perfetto sull'adolescenza e dintorni. Ne è protagonista Assaf, un sedicenne timido e molto impacciato: è agosto e, grazie all'aiuto di un amico del padre, il ragazzo ha trovato un impiego provvisorio in municipio, dove passa le sue giornate noiosissime soprattutto pensando a Safi, la giovane di cui è innamorato ma con cui non riesce a decidersi a parlare davvero. Un incarico inusuale arriva però a spezzare la routine ripetitiva delle giornate di Assaf, che si ritrova a dover seguire un cane (peraltro piuttosto nervoso) catturato dall'accalappiacani affinché l'animale possa ritrovare il suo padrone e il giovane protagonista possa appioppargli la giusta multa per la sua negligenza. Sulle tracce dell'agitatissimo quadrupede, il nostro Assaf si ritroverà a scoprire strade di Gerusalemme che finora gli erano ignote, imbattendosi in esempi di umanità varia e talvolta inquietante. Inseguendo il cane, il nostro eroe arriverà infine a conoscerne la giovane proprietaria, ovvero la solitaria e grintosa Tamar, che ha lasciato la propria casa con l'obiettivo di salvare il fratello drogato. Intrigato dal fascino ribelle della ragazza, Assaf stupirà perfino se stesso decidendo di continuare a "correre" insieme a lei, indipendentemente dall'incarico che gli era stato affidato all'inizio della storia. Un grandissimo romanzo sull'enigma indecifrabile dell'adolescenza, capace di sviscerare - per mezzo di uno stile intrigante e capace di catturare subito l'interesse di lettori giovani e meno giovani - i meandri non espressi che accompagnano i processi di crescita, come pure le mille difficoltà (apparentemente insuperabili) che ancorano tutti i ragazzi e le mille meraviglie di cui al tempo stesso sono capaci. Assolutamente da non perdere. 

David Grossman, Qualcuno con cui correre, Milano, Mondadori, 2009; pp. 362 


IO E TE... L'AMMANITI CHE NON TI ASPETTI


Che Ammaniti fosse un sensibile cantore dell'adolescenza era noto dai tempi di romanzi come Io non ho paura e Come Dio comanda, ma con questo racconto lungo (o romanzo breve) di formazione aggiunge alla sua narrativa un nuovo capitolo in tal senso. Il protagonista di Io e te si chiama Lorenzo ed è un quattordicenne con evidenti problemi nei rapporti sociali, tanto da aver appreso l'arte della mimetizzazione esistenziale per tirare avanti con danni minimi. Ovviamente questa scelta comporta una vita di piccole bugie, soprattutto perché i genitori di Lorenzo sono molto preoccupati per il suo evidente solipsismo, tanto da indurre il ragazzo a raccontare storie fittizie per placare la loro ansia crescente. Purtroppo il giovane protagonista ha fatto il passo più lungo della gamba annunciando a sua madre che è stato invitato da un quartetto di amici per la pelle a Cortina per una settimana bianca insieme. Una vacanza da ragazzo 'normale', insomma, anche se purtroppo è soltanto un'invenzione e nessun compagno lo ha invitato. Impossibilitato ad uscire da questa situazione senza sbocchi, Lorenzo escogita un abile piano per depistare tutti: si nasconderà per una settimana in cantina, sopravvivendo con lo scatolame ed altri succedanei alimentari. Sembrerebbe un piano perfetto, se non fosse che pochi giorni dopo a sorpresa bussa alla porta della cantina Olivia, la problematica sorellastra di Lorenzo, nata nove anni prima di lui dal primo matrimonio del padre, col quale tra l'altro non ha mai intessuto un buon rapporto. La ragazza tra parentesi è chiaramente una tossica, anche se appare fortemente intenzionata a liberarsi del suo problema. Una gran bella storia, intrigante soprattutto per la scelta di raccontare la storia dalla prospettiva di un adolescente ancora alle prese con le sue molteplici idiosincrasie ed insicurezze. La situazione al centro di Io e te lo costringerà comunque il giovane protagonista a rivedere interamente la propria scala di valori iniziando ad aprirsi alla sorella (e forse alla vita). La confezione come un lungo ed ininterrotto flashback è efficace e serve a chiudere il discorso in modo emozionante. Assolutamente da provare. 

Niccolò Ammaniti, Io e te, Torino, Einaudi, 2010; pp. 121


lunedì 12 ottobre 2020

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo che dalla sua disciplina ha avuto tutto e il contrario di tutto, uno che ha conquistato il primo Slam relativamente tardi e dopo aver perso qualche finale di troppo, uno in grado di sprofondare all'inferno e poi di trovare dentro se stesso la forza per rialzarsi e tornare ai vertici. Un mito del tennis, insomma, uno dei pochi tennisti capaci di conquistare tutti e quattro i tornei dello Slam nell'era Open (prima di Federer e Nadal), l'unico ad essersi aggiudicato in carriera anche la medaglia d'oro olimpica, l'ATP World Championship e la Coppa Davis (in tre edizioni). Non c’è da stupirsi: Andre pareva un predestinato fin dall’esordio, quando ha iniziato a calcare i campi di tennis negli anni Ottanta e Giampiero Galeazzi l'ha subito soprannominato Flipper per il suo gioco fatto di scatti, angoli impossibili e colpi in top spin. Ma le cose stanno diversamente, stando al libro rivelazione di Agassi, un libro che comincia sorprendentemente così: «Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato». Open racconta la storia di una vita all’insegna dello sport cominciando dalla fine: oppresso da lancinanti dolori alla schiena, Agassi si è fatto un’iniezione di cortisone per poter giocare la sua ultima partita agli U.S. Open 2006: per il suo addio lo attende il numero 8 del mondo, un giovane talento cipriota in ascesa, Marcos Baghdatis, e l'unica speranza di Andre è di essere sconfitto in modo indolore; al contrario ne nasce uno scontro epico, perché a un certo punto l'avversario diventa preda dei crampi ma non smette di picchiare duro mirando alle linee di fondocampo. Vince Agassi, ed entrambi finiscono su un lettino dell'infermeria davanti a una TV a rivedere le loro gesta (già leggendarie) di un minuto prima. Poi si riparte dall’infanzia, con l’ossessione di un padre di origini armene fermamente intenzionato a massimizzare il talento del suo piccolo Andre mettendolo nel campo di tennis domestico con una racchetta in mano davanti ad un terribile drago che sputa palle da tennis a getto continuo, perché colpendone 2.500 al giorno, 17.500 la settimana e un milione in un anno, alla fine il ragazzo sarebbe diventato sicuramente il numero uno del mondo. Il problema è che infliggendo una punizione simile ad un ragazzino che non vuole giocare a tennis, si finisce anche per privarlo della sua gioventù. Ma in effetti, attraverso la militaresca esperienza presso l’accademia tennistica di Nick Bollettieri (in Florida, a miglia di distanza dalla sua casa a Las Vegas) e grazie ad un team di supporto in costante aumento, è quel che poi accadde: un esordio da tennista pseudopunk (orecchino, calzoncini di jeans e capelli ossigenati), quasi due anni da numero uno, otto Slam vinti in vent’anni di tennis e oltre un migliaio di partite, incredibili sconfitte (spesso per mano del rivale di sempre, Sampras) ed epiche vittorie, cadute inaudite spesso seguite da risalite da record. Una vita complicata anche sotto il versante sentimentale, passando dal chiacchierato matrimonio con l’attrice Brooke Shields all’amore predestinato con la grande Steffi Graf. La scoperta della solidarietà con la fondazione di un istituto scolastico da parte di un tennista che ha sacrificato l’istruzione sull’altare dello sport. Tutto di corsa, un match dopo l’altro, senza lesinare sulla verità, anche quando costringe ad imbarazzanti confessioni. Davvero un grande libro, tra l'altro scritto benissimo, anche perché realizzato da Agassi a quattro mani con il premio Pulitzer J. R. Moehringer, che non ha voluto figurare tra gli autori ma a cui l'ex numero uno mondiale ha dedicato un'intera pagina nei ringraziamenti conclusivi. Assolutamente da leggere: piacerà agli amanti del tennis ed ai 'semplici' lettori. 

Andre Agassi, Open. La mia storia, Torino, Einaudi, 2011; pp. 504

NARRATIVA PER RAGAZZI? SÌ, GRAZIE!

Come si fa a riempire uno spazio virtuale? Secondo un progetto, o magari a caso? Nella mia esperienza di docente interessato a promuovere la lettura e la scrittura ho sempre cercato di utilizzare le riviste online sostanzialmente per pubblicare gli articoli degli studenti del mio laboratorio di giornalismo e scrittura creativa, un progetto che mi ha sempre accompagnato in ogni scuola in cui sono passato. Solo occasionalmente ho inserito qualcosa di mio a livello didattico, in occasioni eccezionali qualche articolo che aveva senso pubblicare, e che magari avevo scritto prima in qualità di giornalista. La possibilità di un blog personale l'ho sperimentata anni fa sul portale Alboscuole, su cui ho pubblicato oltre un centinaio di recensioni di libri di narrativa: purtroppo quel portale ha subito un restyling e il mio blog è sparito, ma l'esperienza mi sembrava troppo intrigante per non continuare ad utilizzarla funzionalmente ad uno dei progetti che più mi sta a cuore come professore di lettere: l'educazione alla lettura. E così ho rifondato il mio blog, e ho deciso di chiamarlo "L'albero". Avrei potuto chiamarlo "Promozione della lettura", ma non sarebbe stata una definizione calzante, anche perché in questo spazio ho intenzione di pubblicare anche altri materiali che uso in classe, come mie schede informative dei cineforum o quello che mi verrà in mente di scrivere in futuro: e questo serve a spiegare il sottotitolo "Narrativa per ragazzi, classici & altre meraviglie". 

In ogni caso in questo blog pubblicherò soprattutto recensioni di libri, ed in particolare di libri di narrativa per ragazzi e classici adatti agli adolescenti. Gran parte dei titoli con cui da anni tento di 'agganciare' i neofiti della lettura, provando a instillare in loro la passione forse più bella, si possono a buon diritto stringere nella formula "narrativa per ragazzi" o, meglio ancora, "letteratura per ragazzi": stando a Wikipedia con questa espressione vengono indicate opere letterarie concepite per la lettura da parte dei ragazzi, ritenute adatte ai minori da parte di autorità riconosciute come competenti o notoriamente apprezzate dai ragazzi. Queste sono tre definizioni accettabili ma non sono le uniche, perché l'espressione "letteratura per ragazzi" si riferisce in generale a opere e generi letterari ritenuti adatti a un pubblico di bambini o ragazzi, talvolta anche in controtendenza con i desideri degli scrittori: basti pensare in tal senso a classici non rivolti ai ragazzi (ma poi molto apprezzati proprio dalle generazioni più giovani) come Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, tanto per fare un esempio. 

Va da sé che dietro l'etichetta "narrativa per ragazzi" possono nascondersi libri appartenenti ai generi letterari più svariati ma comunque indicati per lettori giovani e giovanissimi. Potremmo citare romanzi di formazione come Oliver Twist di Charles Dickens, fantasy come Le cronache di Narmia di C. S. Lewis, fiabe come il GGG di Roald Dahl, horror come la famigerata saga di Twilight di Stephenie Meyer o infine romanzi d'avventura come Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne e L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, che l'autore scozzese scrisse per il figliastro Lloyd Osbourne. In particolare il libro di Stevenson – che dall'infanzia continua a essere il mio libro preferito – mi ha dimostrato che anche i libri per ragazzi possono essere dei capolavori o diventare classici che non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire, secondo l’efficace definizione di Italo Calvino – e sarà anche per questo che continuo periodicamente a rileggermi L’isola del tesoro, sempre con grande piacere –. Comunque sia, indipendentemente dal genere, negli ultimi anni la narrativa per ragazzi mi ha consentito di catturare l'attenzione di molti dei miei studenti, che hanno cominciato a leggere, condizione preliminare anche per migliorare il proprio lessico e scrivere in modo sempre più corretto. Spesso in classe l'ora più felice della settimana è stata quella dedicata alla lettura di classici come La Divina Commedia di Dante Alighieri o Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain, opere diversissime ma comunque molto piacevoli da leggere. Col tempo poi ho preso l'abitudine di proporre un libro a settimana nella mia ultima ora della settimana, niente di trascendentale, ma con un trucco incorporato: dopo aver presentato il libro e letto l'incipit o un passo scelto, ho sempre chiuso le pagine sul più bello, per innescare la voglia di leggere. Considerando che in tre anni con questo giochino si possono proporre cento libri per altrettanti consigli, mi piace pensare che ogni volta i due o tre lettori forti che si dichiarano tali in una classe poi finiscano per lievitare un po', incrociando le dita...

Negli ultimi anni inoltre mi è capitato anche di ricoprire il ruolo di bibliotecario della scuola, una posizione che mi ha consentito di proporre libri a getto continuo ai ragazzi di tutte le classi, con il problema aggiuntivo di rinfoltire periodicamente il parco titoli della biblioteca scolastica senza avere fondi a disposizione (ma questa è un’altra storia). Avere un libro da leggere (quasi) obbligatoriamente a cadenza mensile talvolta induce nei ragazzi la metamorfosi in lettori e spesso innesca, per fortuna, scambi di opinioni (oltre alla scheda di lettura da produrre obbligatoriamente) sui libri 'consumati' per l'occasione. E col passare degli anni, talvolta le classi sanno sorprenderti, e capita che siano gli studenti a proporti titoli che puoi decidere di provare sulla tua pelle da docente responsabile, a costo di infliggerti qualche volta libri davvero poco ‘digeribili’. Ma è comunque bellissimo quando è la tua classe a proporti un romanzo che valeva davvero la pena leggere, o anche di cui si poteva fare a meno, ma che ci consente di condividere un interesse della generazione con cui abbiamo a che fare per svariate ore ogni giorno della settimana. Ne vale proprio la pena, e perciò tenterò di restituire il favore (e offrire, spero, salutari spunti di lettura) utilizzando questo blog per segnalare libri buoni o soltanto leggibili, ma comunque per ragazzi...


 


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