giovedì 13 febbraio 2025

TUTT’ALTRO CHE TIPICO

Nome: Jason Blake. Età: dodici anni. Diagnosi: disturbo dello spettro autistico. Jason è un dodicenne con qualcosa che lo rende speciale in un mondo di cosiddetti “neurotipici”, e il suo particolare modo di essere quasi sicuramente gli rovinerà la giornata, ad un certo punto, è solo questione di tempo… E lui lo sa. La sua storia infatti ce la racconta lui stesso, in prima persona, in un costante flusso di pensieri, con i suoi disagi che prendono forma in tempo reale davanti a noi. La sua vera dimensione Jason riesce a trovarla soltanto quando è davanti allo schermo di un computer e scrive i suoi racconti, quei racconti che poi pubblica sul sito Storyboard, dove gli appassionati di scrittura come lui postano i loro elaborati narrativi, l’unico spazio virtuale dove può sentirsi esattamente come tutti gli altri. Jason infatti si sente fuori posto in molteplici situazioni e il suo principale problema relazionale sono le ragazze: lui non crede affatto che riuscirà mai a trovarne una, ma è proprio su Storyboard che diventa amico di PhoenixBird che, dall’iniziale apprezzamento per i racconti di Jason, curiosamente finisce per divenire la sua prima vera amica. Tra l’altro il buon Jason avrebbe anche la possibilità di passare dall’amicizia virtuale a quella reale, dato che potrebbe incontrare la ragazza di persona ad una convention degli autori del suo sito preferito: il problema è che se lei lo incontrasse dal vero, si renderebbe subito conto del suo autismo e questo finirebbe per cancellare cosa Jason sia veramente. Come andranno le cose? Jason riuscirà a trovare la forza di andare oltre i propri limiti e conoscere la sua amica di penna virtuale? O si lascerà bloccare dalla presunta discriminazione che chiunque, a suo giudizio, dovrebbe fare nei suoi confronti? Lo scopriremo in un finale che non ci lascerà delusi e ci sorprenderà. È Tutt’altro che tipico, un romanzo per ragazzi capace di tratteggiare qualcosa di molto difficile da decifrare come la prospettiva del mondo di un ragazzino autistico con un talento davvero molto particolare per la scrittura. Intrigante anche la doppia chiave di lettura che l’autrice ci presenta tramite la storia nella storia, che racconta di una persona affetta da nanismo che ha la possibilità di diventare… “normale”. Alla fine il dubbio che entrambe le storie innescano nella testa del lettore è il medesimo: non sarebbe come cancellare una parte di se stessi per uniformarsi a tutti gli altri? Indipendentemente dalla trama, che cattura l’interesse fin dalle prime righe per non lasciarci più, questo romanzo di Nora Raleigh Baskin merita la lettura anche perché fa sbocciare dentro di noi dubbi simili. Da provare. 

Nora Raleigh Baskin, Tutt’altro che tipico, Crema, Uovo Nero, 2013; pp. 181

L'ITALIA DI OGGI, LA NATURA, L'ÌRONIA E... MARGHERITA DOLCEVITA

Stefano Benni, classe 1947, con Margherita Dolcevita ha scritto una fiaba ecologica che nasconde al suo interno un quadro ironico e dissacrante dell’Italia di oggi, oppressa dalla divinità del sacro consumo e da un’imperante sottovuoto morale. Di nuovo rispetto ai romanzi precedenti dello scrittore bolognese Margherita Dolcevita può contare su un’irresistibile protagonista che ci racconta la storia (e si racconta) in prima persona, Margherita ovviamente, una “bambina in scadenza” di quasi quindici anni: leggermente sovrappeso, con occhi maliardi e blu e capelli biondi ricci tendenti al fusillo, fiera inventrice di libri mai scritti (che racconta però di aver letto), una piccola anticonformista con un problemino alla valvola cardiaca ed un’innata propensione a leggere la realtà attraverso il filtro di una naturale ironia. Insieme al suo cosiddetto “cancatalogo” Pisolo, incredibile incrocio di ogni razza canina, animale e forse vegetale, la nostra Margherita ci porta all’interno di una normalissima famiglia media italiana, la sua: un padre mite e pensionato, strenuo difensore dei vecchi oggetti che raccoglie e ripara in un vecchio capannone; una madre casalinga che fuma sigarette virtuali e non si perde una replica dell’amata soap “Eternal love”; un fratello maggiore, di professione ultrà che si divide tra calcio e pallone; un fratello minore genio in erba e videogiocatore incallito; un nonno stralunato che ingerisce cibi scaduti per immunizzarsi dai veleni della società postindustriale. La famiglia della nostra eroina vive in una cadente villetta periferica con giardino, una casa ai margini di un grande prato e di un bosco che nasconde al suo interno le macerie di una casa bombardata e il fantasma della Bambina di Polvere, l’anima di una bimba morta durante la guerra, l’amica dolce e spaventosa di Margherita nonché il personaggio più struggente di tutto il romanzo. A turbare questo quadretto familiare nel prato accanto spunta dal terreno un gigantesco cubo di cemento che ricorderebbe il deposito di Zio Paperone, se non fosse ricoperto interamente di vetro nero, recintato da una siepe artificiale in perfetto accordo con il tono sintetico del giardino con piscina annessa. All’interno si nasconde un prototipo di famiglia dei nostri tempi che sembra cesellato sul massimo esempio nazionale: il padre, Frido Del Bene – sempre sorridente e con una chioma fasulla ottenuta da “trapianto progressivo bioselezionato” –, rampante affarista senza scrupoli e biecamente reazionario verso i margini sociali, come la gentil consorte Lenora, celebrazione della casalinga ricca, alla moda e nullafacente, o la figlia adolescente Labella, una superficiale top model in erba. Ben presto la diabolica famiglia Del Bene – che al suo interno accoglie perfino l’eccezione autorizzata di Angelo, il classico figlio ribelle per cui subito ovviamente Margherita sentirà simpatia – comincerà ad allungare le proprie spire consumistiche verso i vicini, mesmerizzandoli uno ad uno con un’irresistibile gradualità che ricorda L’invasione degli ultracorpi: solo Margherita ed il vecchio nonno resteranno immuni al loro fascino sottile e tenteranno, con l’arma scardinante della fantasia e con l’indispensabile aiuto dell’amica fantasma, di salvare il loro piccolo mondo, che come il mondo intero sembra avviato a precipitare verso un abisso di colpevole stupidità. Un gran bel romanzo per ragazzi che condensa tutta l’arte narrativa di Stefano Benni nell’irresistibile figura Di Margherita. Assolutamente da provare. 

Stefano Benni, Margherita Dolcevita, Milano, Feltrinelli, 2005; pp. 207

ANNA, L'APOCALISSE DELL'ADOLESCENZA

Anna di Niccolò Ammaniti, classe 1966, segna un'inversione di tendenza rispetto alla produzione precedente dell'autore romano e rappresenta il suo primo tentativo  di mettersi alla prova con il romanzo di marca distopica. Siamo in un futuro imprecisato, che purtroppo non sembra molto distante dal nostro presente: il mondo che conosciamo non esiste più, è stato spazzato via da un'epidemia inarrestabile che ha ucciso tutti gli adulti, lasciando di conseguenza un mondo pieno di bambini e ragazzi orfani. Già, perché infatti il contagio si concretizza quando gli adolescenti arrivano all'età dello sviluppo e sui loro corpi si manifestano i segni inequivocabili della malattia che minaccia di portare la razza umana all'estinzione, la cosiddetta "Rossa". Ci troviamo a scoprire questo quadro apocalittico attraverso gli occhi di Anna, una ragazza di tredici anni rimasta ovviamente orfana della madre e responsabile del fratellino, Astor: i due vivono desolatamente soli in una casa sperduta nella campagna di una Sicilia che pare un ininterrotto cumulo di rovine. Anna ha con sé un quaderno di istruzioni che la mamma le ha lasciato per cercare di sopravvivere quando lei non ci sarebbe stata più, anche se spesso la giovane protagonista si trova davanti un quadro in cui le regole materne sono inefficaci e lei è costretta di volta in volta a improvvisare cercando di fare la cosa giusta. A un certo punto, tutto questo diventa un'impellente necessità, perché il fratellino le viene rapito da una banda di coetanei regrediti a uno stadio tribale: con l'aiuto di un compagno di viaggio incontrato durante la sua ricerca, Anna intraprende un viaggio per ritrovare Astor e sfuggire alla Rossa, che le sta inesorabilmente arrivando addosso con lo scorrere dei giorni, magari arrivando al Continente, dove nell'immaginario di Anna forse qualcuno ha trovato una cura per questo desolato mondo di giovani senza futuro. Una gran bella storia, senza dubbio, di struggente presa narrativa grazie alla capacità di Ammaniti di immergerci nella vicenda attraverso gli occhi della protagonista, che ci fanno scoprire un mondo che sembra l'ombra di quello che conosciamo, in cui i bambini e i ragazzi superstiti, abbandonati a se stessi, sono sopravvissuti grazie ai loro sforzi isolati oppure sono finiti in gruppi selvaggiamente tribali - per tratteggiare i quali di certo Ammaniti ha tenuto presente la lezione di William Golding ne Il signore delle mosche -. Insomma, ne vien fuori un altro gran bel romanzo sulla scoperta della realtà da parte dell'adolescenza, come avremmo potuto aspettarci dall'autore di Io non ho paura e Io e te. Ammaniti si conferma dunque uno scrittore di grande presa anche alla prova con la narrativa di marca distopica. Assolutamente da non perdere. 

Niccolò Ammaniti, Anna, Torino, Einaudi, 2015; pp. pp. 278 

mercoledì 5 febbraio 2025

L'ULTIMA ESTATE COI DISCHI VOLANTI

È uno scrittore che a suo dire ha vissuto diverse vite (alcune anche piuttosto avventurose) Maurizio Maggiani, nato nel 1951 in un paese della provincia di La Spezia: maestro carcerario e di bambini non vedenti, aiuto regista, montatore, fotografo, pubblicitario, impiegato e infine autore di romanzi. Tra i suoi libri corre l’obbligo di ricordare almeno Il coraggio del pettirosso (Premio Viareggio e Premio Campiello), La regina disadorna e Il viaggiatore notturno (Premio Strega). La sua ultima fatica letteraria s’intitola L’ultima estate coi dischi volanti, che è anche il suo primo romanzo per ragazzi. Si tratta di una storia a tinte dichiaratamente autobiografiche, che attinge a pieni neuroni dalle memorie dell’autore adolescente a Castelnuovo Magra, ovvero il paese tra le Alpi Apuane e il mare dove Maggiani è nato ed ha passato i suoi anni giovanili. Ed è proprio qui, in questo tipico luogo di provincia, ricco di storie strane e improbabili che si raccontano a veglia tra amici davanti a un focolare, che fin da bambino Maggiani ha scoperto la sua vena da narratore e che è diventato scrittore, ascoltando racconti (alcuni abbastanza) assurdi tramandati nella sua famiglia, come quello della gallina che viveva anche senza cervello, giusto per ricordarne uno. In effetti l’autore si scopre narratore quando si trova a vivere in prima persona un’avventura horror, trovandosi inseguito da un fantomatico mostro sul ciglio del canale tornando a casa con l’oscurità, e poi la racconta in modo apprezzabile. Si conferma tale tempo dopo quando entra nella locale Società dei cacciatori di dischi volanti, un pugno di ragazzini che si ritrovano in una scalcinata baracca in mezzo a un boschetto superstite di un progetto edilizio di ampliamento del paese: l’autore diventa il trascrittore del libro mastro delle imprese dell’associazione, durante le cui riunioni i componenti fumano amarissime radici di sambuco e discutono dei libri del loro eroe, lo scrittore e divulgatore Peter Kolosimo. Tutto cambia quando la compagnia entra in contatto con la Patri e soprattutto con il padre di lei, professore ed esperto escursionista, pronto a guidare la variegata truppa dei cacciatori di dischi volanti in gita notturna al Monte Bruno, dove si dice che da secoli gli alieni siano soliti discendere periodicamente per visitare il nostro pianeta. Per i componenti dell’allegra brigata di ragazzini interessati agli alieni e dintorni l’escursione è l’avventura più grande che hanno mai sperato di vivere e, come spesso capita nella vita reale, è il preludio alla fine dell’adolescenza e all’ingresso nell’età adulta, anche se all’autore restano comunque i ricordi alla base di questo libro... L’ultima estate coi dischi volanti è un accattivante romanzo di formazione per ragazzi che riesce a catturare a meraviglia l’incertezza e la voglia di scoprire l’ignoto che caratterizzava quel grande periodo di trasformazione nazionale all’inizio degli anni Sessanta, quando tanti paesi di campagna come Castelnuovo Magra cambiarono pelle entrando a timidi passi nell’Italia dei tempi nostri. Assolutamente da scoprire.

Maurizio Maggiani, L’ultima estate coi dischi volanti, Milano, Feltrinelli, 2024; pp. 203

venerdì 24 gennaio 2025

NOWHERE GIRL, UNA GRAPHIC NOVEL TRA BEATLES E ADOLESCENZA

Classe 1979, Magali Le Huche è un’illustratrice francese che si è formata alla Scuola di Arti Decorative di Strasburgo ed ha iniziato a disegnare fin da piccola, dato che si inventava storie che non le facevano prendere sonno e allora si metteva a disegnare per cercare di addormentarsi. Nowhere girl è una graphic novel di sapore autobiografico in cui l’autrice transalpina parla della se stessa undicenne degli anni Novanta che muove i primi passi nella scuola media Massillon dove è approdata insieme all’inseparabile Agathe, la sua miglior amica dai tempi dell’asilo. Il problema è che ben presto lo zaino della protagonista comincia a diventare progressivamente più pesante e l’ansia quotidiana sempre più opprimente, al punto che i suoi genitori se ne accorgono e tentano di correre ai ripari: fobia scolare è la diagnosi della specialista a cui si rivolgono, così che Magali sospende la frequenza scolastica in attesa di tempi migliori. E nel frattempo, all’improvviso, ascoltando per caso un CD della sorella maggiore, Magali scopre l’esistenza dei Beatles, ne viene contagiata e resta col passare del tempo letteralmente catturata dal coloratissimo mondo dei Fab Four, che riscopre a bocce ferme a vent’anni dal loro scioglimento e a dieci dalla tragica scomparsa di John Lennon: l’apprendistato amburghese, il Cavern di Liverpool, la Beatlemania, i film, il cartoon del sottomarino giallo, i dischi epocali, gli aneddoti su John, Paul, George & Ringo. I Beatles diventano il talismano curativo di una ragazzina troppo fragile per camminare da sola nel mondo esterno, la rassicurante coperta di Linus sempre pronta ad accoglierla. Alla fine, c’è da immaginarselo, la giovanissima protagonista imparerà ad accettare l’adolescenza ed a smettere di isolarsi, ma dimenticare i Beatles si rivelerà una faccenda leggermente più ostica... Nowhere girl è un’intrigante graphic novel sulla difficoltà ad accettare se stessi nel periodo più confuso della crescita ed una bella metafora sul valore salvifico che riveste la musica dei quattro di Liverpool, i protagonisti della più grande leggenda del rock del Novecento, che hanno sviluppato in una fantasmagoria di sperimentazioni musicali, cambiandolo per sempre in modo indelebile. In siffatto percorso ci si perde volentieri anche per gli essenziali e coloratissimi disegni di Magali Le Huche, che talvolta raggiungono abissi caleidoscopici e visionari degni di quel rivoluzionario cartoon che fu Yellow Submarine. Da provare.

Magali Le Huche, Nowhere girl. A scuola con i Beatles, Latina, Tunué, 2024; pp. 118

mercoledì 22 gennaio 2025

LE FIABE (IN VERSI PERVERSI) DI ROALD DAHL

Lui è il nume tutelare della fantasia rivolta all’infanzia e dintorni, ma nel corso della sua vita rocambolesca ha anche fatto la spia, l’aviatore e l’inventore di marchingegni medici: nato in una famiglia di origine norvegese, Roald Dahl (1916-1990) nella sua lunga carriera letteraria ha scritto numerosi capolavori della narrativa per ragazzi, come Matilde, Il GGG e La fabbrica di cioccolato, spesso puntualmente finiti sul grande schermo con altrettanto successo. Le invenzioni narrative di Dahl sono praticamente sconfinate, ma curiosamente quando ha scelto di dedicarsi alle fiabe più classiche ne è venuto fuori questo piccolo libro in rima intitolato Versi perversi: non si tratta di una riscrittura tradizionale perché le fiabe sono rilette invece in chiave parodica e puntualmente concluse con spiazzanti finali a sorpresa. Le fiabe al centro del libro sono soltanto sei, equamente distribuite tra tre estrapolate dal corpus dei Fratelli Grimm e altrettante della tradizione popolare britannica: nell’ordine l’indice presenta Cenerentola, Giacomino e il Granfagiolo, Biancaneve e i Sette Nani, Treccedoro e i Tre Orsi, Cappuccetto Rosso e il Lupo e, per finire, I Tre Porcellini. Senza dubbio le parodie più esilaranti sono la prima e la penultima: Cenerentola nella fase in cui il principe la sta cercando si rende conto del carattere sanguinario del suo possibile sposo e cerca un buon partito dall’indole più rassicurante, al contrario Cappuccetto Rosso da vittima annunciata si trasforma in una spietata killer a danno del povero Lupo – e la nomea di pistolera della bambina arriva alle orecchie del fratello superstite dei Tre Porcellini per mettere la parola fine alla minaccia del Lupo –. Se le fiabe in rime baciate di Dahl sono delle vere chicche è anche per la maestria poetica di chi le ha tradotte nella nostra lingua, ovvero il grande Roberto Piumini, ormai da decenni autore di punta della narrativa italiana per ragazzi ma altrettanto valido nelle vesti di traduttore (vedere in merito l'edizione nella collana "Einaudi Ragazzi" de Le avventure di Tom Sawyer). Corredano questo piccolo libro le intriganti illustrazioni di Quentin Blake, storico disegnatore dei romanzi di Roald Dahl. Da non perdere.

Roald Dahl, Versi perversi, Milano, Salani, 2024; pp. 45

domenica 19 gennaio 2025

RICORDAMI DI MERCOLEDÌ DI JERRY SPINELLI

Senza dubbio Jerry Spinelli è uno degli autori di libri di narrativa per ragazzi più prolifici degli Stati Uniti da diversi decenni: classe 1941, lo scrittore originario della Pennsylvania all’inizio della sua lunga carriera ha scritto romanzi per adulti ma ben presto si è reso conto che il suo pubblico di riferimento sono bambini e adolescenti, ai quali ha dedicato piccoli capolavori come La schiappa, Crash, Stargirl e Misha corre. Al centro del suo ultimo romanzo Ricordami di mercoledì figura una particolarissima tradizione che riguarda tutti gli studenti di terza media della cittadina di Amber Springs, Pennsylvania, che ricorre ogni secondo mercoledì di giugno: ogni alunno riceve infatti una camicia nera e la tessera anagrafica di uno dei cosiddetti “spiaccichi”, ovvero di un adolescente morto in un incidente stradale che ha causato con un comportamento imprudente o sconsiderato. Una volta indossata la camicia nera, ogni studente per convenzione sparisce e nessuno lo vede né lo considera più per tutta la giornata, come se fossero i ragazzi deceduti a cui sono stati associati. È il “mercoledì dei morti” e in teoria sarebbe una ricorrenza per indurre i ragazzini a non ripetere gli errori che sono costati la vita a chi li ha preceduti, ma in realtà quasi tutti la vivono come una giornata speciale di libertà assoluta in cui possono combinare impunemente ogni scherzo o idiozia la loro mente possa immaginare, dato che gli adulti fingono di non vederli. Ed essendo uno studente di terza media,  il timidissimo Robbie Tarnauer, Bruco per gli amici, aspetta a gloria questo giorno per vedere cosa combineranno le teste calde della sua scuola, e anche perché all’ora di pranzo è in programma una rissa tra due compagni che si odiano dall’asilo e finalmente faranno a botte come desiderano da sempre. Bruco ha un soprannome che descrive perfettamente la sua indole schiva ed il suo entusiasmarsi per interposta persona, infatti si accontenta di vivere della luce riflessa del suo migliore amico Eddie, che è il ragazzo più popolare e trascinante della scuola. Tutto cambia però quando Bruco si vede assegnare la tessera di Becca Finch, morta per uno sfortunato incidente causato dalla neve: un attimo dopo infatti il piccolo protagonista comincia a parlare con la “fanciulla spettrale” che la sorte ha associato a lui, rendendosi subito conto che è l’unico a percepirla. I due tra l’altro sono diversissimi: Bruco è schivo in modo imbarazzante, mentre Becca è (o, meglio, era) vivace ed estroversa. All’inizio la ragazza non capisce a cosa sia dovuto il suo momentaneo ritorno sulla Terra, poi comprende che la sua missione è far crescere il suo nuovo amico, così i due cominciano a familiarizzare ricostruendo la sfortunata catena di circostanze che ha portato Becca a morire. Nel frattempo nasce un’amicizia indimenticabile e Bruco inizia a scoprire il mondo, conoscersi meglio e credere in se stesso. Ricordami di mercoledì è un piccolo romanzo di formazione che racconta l’indimenticabile giorno che unisce un adolescente in fieri con una ragazza che non ce l’ha fatta cambiando per sempre il mondo del primo. Jerry Spinelli si conferma un delicato narratore di storie struggenti in grado di lasciare un segno profondo nei lettori, stavolta con una vicenda che miscela le difficoltà della crescita, la memoria e la morte. Assolutamente da provare.

Jerry Spinelli, Ricordami di mercoledì, Milano, Mondadori, 2023; pp. 235

lunedì 13 gennaio 2025

SE PENNAC PARLA DI LETTURA... COME UN ROMANZO

Docente di lettere e poi scrittore assurto alla fama internazionale grazie alla saga di Benjamin Malaussène di Belleville (capro espiatorio per professione), Daniel Pennac, classe 1944, è anche autore di libri di narrativa per ragazzi come L’occhio del lupo ed ha dedicato il saggio Come un romanzo alla lettura, in particolare riflettendo sul piacere della lettura fine a se stessa. L’idea è stata innescata proprio dalla sua ultraventennale esperienza di insegnante, che gli ha offerto un punto di osservazione sui giovani e sulla loro progressiva perdita di interesse (spesso divenuta un’aperta avversione) per la lettura. Da bravo prof empatico Pennac affronta il problema di come invece si possa fare per contagiare positivamente i ragazzi per avvicinarli ai libri, oggetti che talvolta sono percepiti dalle generazioni più verdi come ingombranti ‘mattoni’ che occupano ingiustamente lo spazio dei comodini delle loro camerette. Secondo lo scrittore francese il trucco consiste non tanto nel puntare sulla promozione della lettura a tutti i costi quanto sul piacere della lettura, mostrando come i libri possano rivelarsi amici in grado di ampliare i nostri orizzonti e portarci in altri mondi, insomma degli ideali compagni di viaggio capaci di farci vivere più vite di quante potremmo soltanto sognare. Pennac comincia la sua riflessione dichiarando che “il verbo leggere non sopporta l’imperativo”, come pure altri pezzi da novanta del panorama dei verbi come amare o sognare, quindi, nel resto del primo capitolo, l’autore francese rileva che ogni bambino è stato allevato al piacere della lettura al punto di sviluppare una gran voglia di imparare prima possibile a leggere e poi col tempo si è trasformato in un adolescente che non sa come ritrovare quell’ancestrale piacere di ascoltare una storia. Una volta perso quel piacere, infatti, la situazione del ragazzo “non lettore” fa letteralmente a cozzi con la scuola, che in teoria promuove la necessità della lettura a tutti i costi (argomento del secondo capitolo) che, va da sé, non trasforma per forza tutti gli studenti in altrettanti lettori. Nel terzo capitolo del suo saggio Pennac costruisce creativamente un “cast” di buone letture e poi, giusto nell’ultima pagina, propone un bel decalogo dei diritti dei lettori “a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura”. Eccoli qua, rigorosamente in ordine: “1) Il diritto di non leggere. 2) Il diritto di saltare le pagine. 3) Il diritto di non finire il libro. 4) Il diritto di rileggere. 5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa. 6) Il diritto al bovarismo [ovvero ad emozionarsi anche fino a piangere]. 7) Il diritto di leggere ovunque. 8) Il diritto di spizzicare. 9) Il diritto di leggere ad alta voce. 10) Il diritto di tacere.” Nel quarto e ultimo capitolo del suo saggio Pennac spiega analiticamente il senso di ognuno dei dieci diritti, che stanno tra i due estremi della rinuncia tout court alla lettura alla sacrosanta possibilità di lasciare la lettura alla sfera della nostra intimità, cioè di non fare un parola sui libri che abbiamo oppure di scriverci sopra Come un romanzo, perché no?

Daniel Pennac, Come un romanzo, Milano, Feltrinelli, 1995; pp. 141

giovedì 9 gennaio 2025

IL DIAVOLO NELLA BOTTIGLIA, UN GIOIELLO DELLA NARRATIVA BREVE DI STEVENSON

L’autore del racconto lungo Il diavolo nella bottiglia, qui proposto in un’edizione con testo originale a fronte, è una certezza della narrativa del calibro di Robert Louis Stevenson, il grande scrittore originario di Edinburgo che andò a terminare ancora giovane la sua vita nelle isole Samoa, dove fu soprannominato dagli indigeni Tusitala, un termine che nella loro lingua suona come “narratore di storie”. Fu proprio nei mari del Sud che lo scrittore scozzese, già divenuto celebre grazie a capolavori come L’isola del tesoro e Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde, consolidò la sua fama con nuovi lavori, alcuni di sapore ‘coloniale’, come Gli intrattenimenti delle notti sull’isola, la raccolta che contiene appunto Il diavolo nella bottiglia. Nonostante la trama sia caratterizzata da una solida ambientazione realistica alle Hawaii (rievocate con numerosi riferimenti), in realtà si tratta della rielaborazione di una storia la cui genesi risale a decenni prima nell’Europa centrale. L’incipit cattura l’attenzione fin dalla prima pagina tratteggiando il protagonista, un marinaio hawaiano che l’autore chiama Keawe per tacerne la vera anagrafe, trattandosi a suo dire di persona vivente che altrimenti potrebbe essere riconosciuta. Keawe sta passeggiando per le strade di una collina di San Francisco ed è intrigato dalle belle abitazioni che vede intorno a sé ma è catturato soprattutto da una casa più piccola delle altre ma decisamente splendida e dotata di finestre talmente trasparenti da consentire di vederne distintamente gli interni. In una in particolare Keawe distingue un vecchio che lo sto guardando, ed entrambi si osservano come se si invidiassero reciprocamente. L’anziano invita Keawe ad entrare e presto tra i due nasce un’inquietante conversazione sulla fortuna dell’ospite, che sarebbe dovuta a una strana bottiglia panciuta col collo allungato: conterrebbe un piccolo diavolo in grado di realizzare qualunque desiderio di chi la possiede, che non può separarsene se non per una somma di denaro in contanti inferiore a quanto l’ha pagata. E il possessore dovrebbe darsi da fare a trovare un compratore prima di morire, perché altrimenti la sua anima immortale è destinata a bruciare per l’eternità nelle fiamme dell’Inferno. Keawe è combattuto se usare i cinquanta dollari che ha in tasca per cambiare la propria vita, ma ben presto realizza che in teoria non dovrebbe essere così difficile trovare un acquirente per l’apparente felicità… Da siffatto presupposto si sviluppa un articolato intreccio di amore, fortuna e destino in grado di incatenare il lettore alle vicissitudini del protagonista fino all’ultima sorpresa di una storia dal finale annunciato.

Robert Louis Stevenson, Il diavolo nella bottiglia, Milano, La Vita Felice, 2021; pp. 125

domenica 24 novembre 2024

DRILLA, QUANDO LA PAROLA DIVENTA MAGIA

S’intitola Drilla (nell’edizione americana Frindle) e probabilmente è il libro più fortunato del prolifico scrittore americano Andrew Clements (1949-2019), che nel corso della sua carriera ha scritto una settantina di libri di narrativa per ragazzi, tra cui Il club dei perdenti. Uscito nel 1996, Drilla appartiene ovviamente alla categoria, anche se è al tempo stesso e a tutti gli effetti anche un romanzo breve di formazione: ne è protagonista un vispo ragazzino americano di nome Nick Allen, residente in una tranquilla cittadina di provincia, Westfield, ed iscritto al quinto anno della Lincoln Elementary School. Del gruppo dei docenti di Nick fa parte la tostissima Mrs. Granger, che insegna la lingua inglese con una devozione lessicale assoluta per il dizionario rosso che i suoi alunni devono sfogliare per copiare interminabili liste di parole. Il buon Nick avrebbe anche intenzione di trattare Mrs. Granger come tutte le altre insegnanti che l’hanno preceduta, impedendo ad arte il momento dell’assegnazione dei compiti a fine lezione con un’interessante domanda opportunamente posta con l’unico fine di perdere tempo: ma da dove vengono tutte le parole che finiscono nel dizionario? Purtroppo Mrs. Granger la sa troppo lunga per farsi prendere per il naso da uno studente, infatti blocca Nick e per giunta gli assegna di preparare una relazione su come nascono le parole per l’indomani. Il ragazzo mastica amaro pensando al suo pomeriggio di giochi completamente sfumato a favore dello studio ma, poco dopo e un po’ per caso, durante una tranquilla passeggiata con la sorella nella sua mente prende forma una grande idea: perché non creare una parola nuova di zecca come drilla per indicare una penna come quella che sua sorella ha appena trovato per terra? Una parola esiste se gli altri cominciano ad usarla sistematicamente e, nonostante l’opposizione di Mrs. Granger, Nick inizierà a promuovere il suo intrigante neologismo col supporto di un gruppo di coetanei fortemente motivati a vedere come andrà a finire la strana disfida lessicale. Ne viene fuori una storia essenziale ma davvero frizzante sul valore delle parole, anche quelle nate da un guizzo di fantasia e magari con l’intento di divertirsi un po’, come appunto drilla. D’altra parte questo romanzo breve di Andrew Clements non è soltanto questo, ma il neologismo al centro della trama è il fil rouge per una serie di riflessioni sulla libertà di parola, sulla capacità imprenditoriale e sul sogno di cambiare in meglio il mondo circostante. Drilla ha una struttura narrativa estremamente semplice ma che funziona come un oliato meccanismo ad orologeria: tratteggia i due protagonisti e il provinciale scenario della vicenda, racconta il germoglio dell’idea di un “dispetto” linguistico creato ad arte, prosegue con le dinamiche di diffusione di tutte le cosiddette mode di qualsivoglia genere, che diventano virali quando ci mettono lo zampino i mezzi d’informazione come i giornali o le televisioni. Il tutto in poco più di un centinaio di pagine con tanto di happy ending retroattivo e moraleggiante ma non troppo. Assolutamente delizioso, e con il grande merito di promuovere l’uso del dizionario, che non fa mai male alle nuove generazioni (come d’altra parte leggere buoni libri). E talvolta la realtà supera la fantasia, come ricorda nella prefazione all’edizione italiana Maria Cristina Torchia, consulente linguistico dell’Accademia della Crusca, citando la recente fortuna del neologismo petaloso, coniato da un emulo italiano di Nick Allen giusto qualche anno fa…

Andrew Clements, Drilla, Milano, Rizzoli, 2019; pp. 126

venerdì 8 novembre 2024

DIARIO SEGRETO DI ADRIAN MOLE: COME SOPRAVVIVERE ALL'ADOLESCENZA

Sembra che l'autrice britannica Sue Townsend, classe 1946, sia stata ispirata a scrivere il romanzo per ragazzi che l'ha resa celebre, appunto il  Diario segreto di Adrian Mole di anni 13 e 3/4, prendendo spunto dall'esperienza scolastica del figlio, che era un adolescente negli anni Ottanta, un decennio piuttosto turbolento in Gran Bretagna. Il protagonista del romanzo, scritto in forma diaristica, è ovviamente Adrian Mole, un ragazzo che non ha ancora compiuto quattordici anni e la mattina di Capodanno si risveglia a fatica, intontito dall'alcool ma pieno di buoni propositi per l'anno nuovo, al punto da fissarli su carta. La vita non è facile in effetti per Adrian Mole: ha un padre mezzo alcolizzato e spesso disoccupato, una madre inconcludente col vizio di mollare la famiglia quando più ci sarebbe bisogno di lei, un cane a cui capita sempre d'ingurgitare oggetti potenzialmente letali. Oltre a una famiglia strampalata e senza grandi possibilità economiche, anche il resto della vita di Adrian lascia abbastanza a desiderare: vive in un tristissimo sobborgo di una non meglio specificata città industriale britannica, frequenta una scuola che non lo stimola quasi per niente, tra la minaccia dell'immancabile bullo e il terrore di un preside autoritario, e per giunta è un adolescente in un decennio di forte contrazione economica per la Gran Bretagna. Nonostante tutto, però, il buon Adrian guarda con occhio disincantato le molteplici smagliature della realtà che gli sta intorno, che riesce a decifrare attraverso la lente della sua caratteristica ironia. E non rinuncia a sognare, anche se senza prendersi troppo sul serio: inizia a credersi un intellettuale (ovviamente incompreso), e comincia ad amare senza grosse speranze la bella Pandora.  Nel complesso ne vien fuori un atipico romanzo per ragazzi in forma diaristica, scritto rigorosamente in prima persona, davvero intrigante da leggere e spesso molto divertente: cattura l'attenzione fin dal primo giorno di diario e non ti lascia più, tratteggiando tutte le sfumature dell'ironia dolceamara dell'impagabile protagonista, l'adolescente letterario più irresistibile che vi capiterà di conoscere e di cui vorrete scoprire tutto fino all'ultimo giorno. Da non perdere.

Sue Townsend, Diario segreto di Adrian Mole di anni 13 e 3/4, Milano, Mondadori, 2007; pp. 278


venerdì 20 settembre 2024

LE AVVENTURE DI TOM SAWYER, UN CLASSICO DELLA NARRATIVA PER RAGAZZI

Dopo i primi successi come scrittore, il giovane Mark Twain contava molto sulla pubblicazione de Le avventure di Tom Sawyer, che contrariamente alle sue aspettative all'inizio fu accolto tiepidamente dal pubblico, anche se col tempo indubbiamente si è imposto come un grande classico della narrativa americana per ragazzi. Nella prefazione l’autore spiega il carattere realistico delle avventure narrate nel libro, alcune delle quali furono sue dirette esperienze dell’infanzia passata a Hannibal, cittadina rievocata nel libro nell’immaginaria St. Petersburg. Sono ispirati alla realtà anche i protagonisti: mentre Huckleberry Finn fu tratteggiato integralmente su un ragazzo realmente conosciuto, Tom Sawyer fu il frutto di un genere di architettura letteraria composita, dato che Mark Twain assemblò nel suo protagonista le caratteristiche di tre diversi ragazzi (compreso se stesso). Per ammissione dell’autore anche le stravaganti credenze descritte nel libro sono ispirate alla realtà e fermamente ritenute per vere dai suoi coetanei ai tempi dell’ambientazione della storia, ovvero una trentina di anni prima. Si tratta di un libro dichiaratamente rivolto ai ragazzi, ma l’autore l’ha scritto sperando di ricordare agli adulti del suo tempo i sentimenti, le impressioni, le strane imprese vissute nei loro anni più verdi, e forse la duratura fortuna che Le avventure di Tom Sawyer continua a riscuotere in tutte le fasce anagrafiche di lettori è dovuta anche all'impagabile full immersion adolescenziale che il libro sa regalare a chi ormai è divenuto un adulto. Il protagonista del romanzo ovviamente è Tom Sawyer, un ragazzo assai irrequieto, tremendamente simpatico e di solito anche molto furbo: spesso riesce ad evitare le punizioni comminate dalla vecchia zia Polly semplicemente facendola ridere, talvolta invece le trasforma in buoni affari, come quando, dovendo verniciare uno steccato dalle dimensioni proibitive, riesce a convincere i suoi compagni di giochi che non si tratta di una fatica ma di un vero privilegio, usando parole talmente allettanti da indurli addirittura a pagarlo per svolgere il lavoro al suo posto. Pur essendo un monello, Tom ha un cuore d’oro e di solito è leale con gli amici, ama essere un bambino ma al tempo stesso desidera crescere, ha l’impulso di fuggire da casa ma poi ne sente una tremenda nostalgia. Ad un certo punto, stufo delle regole e delle punizioni della zia, con gli amici Joe Harper e Huckberry Finn – un ragazzo di strada senza fissa dimora e senza istruzione che diverrà qualche anno dopo protagonista del capolavoro di Mark Twain ovvero Le avventure di Huckleberry Finn, il sequel di questo libro – decide di fuggire per "diventare" un pirata: dopo essersi procurati una zattera, i tre la dirigono nel corso del Mississippi, raggiungono la vicina isola di Jackson e si divertono un mondo vivendo in piena libertà, poi tornano sui propri passi spinti dalla nostalgia per la gioia dei parenti che li credevano morti. In seguito Tom e Huck assistono all’omicidio dello stimato medico di St. Petersburg, di cui viene accusato ingiustamente Muff Potter, il mite ubriacone del paese: pur riluttante per paura della vendetta del vero responsabile, il meticcio Joe l’Indiano, Tom trova il coraggio per testimoniare in tribunale e scagiona l’innocente, diventando così una piccola celebrità locale, anche se il colpevole purtroppo riesce a scappare. In seguito, dopo un'altra incredibile avventura... sotterranea, viene ritrovato il cadavere del fuggiasco, mentre Tom e Huck scoprono il tesoro di Joe l’Indiano e diventano ricchi, anche se Huck continua a manifestare non poche difficoltà ad inquadrarsi nella vita civile. I trentasei capitoli de Le avventure di Tom Sawyer (più la conclusione) regalano nel loro insieme un vero nugolo di sorprese narrative e tratteggiano uno spaccato molto realistico degli anni Quaranta dell'Ottocento degli Stati Uniti. Questo romanzo di Mark Twain è consigliabile per i lettori di tutte le età, ma lo troveranno particolarmente intrigante i ragazzi intorno ai dieci anni per la spontaneità con cui tenderanno ad identificarsi con l'irresistibile protagonista. Peraltro i capitoli spesso coincidono con episodi che si possono leggere singolarmente con eguale diletto. In particolare questa edizione dell'Einaudi Ragazzi è stata tradotta da un grande scrittore della narrativa per ragazzi italiana del calibro di Roberto Piumini ed è arricchita dai disegni a china dell' francese dell'illustratore Claude Lapointe. Insomma, una lettura imprescindibile per ogni adolescente che si rispetti... 

Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, Trieste, Edizioni EL ("Einaudi Ragazzi"), 2004; pp. 299

venerdì 6 settembre 2024

LE TRE DEL MATTINO: UN INTENSO ROMANZO DI FORMAZIONE DI GIANRICO CAROFIGLIO

Dopo essersi costruito una solida reputazione come autore del genere giallo con la (contagiosa) serie dedicata all’avvocato Guerrieri, Gianrico Carofiglio ha cominciato ad esplorare con altrettanta fortuna la strada della saggistica e della narrativa sia romanzesca che breve. Le tre del mattino è un piccolo romanzo di formazione raccontato in prima persona dalla prospettiva del giovane protagonista, Antonio, che frequenta il liceo ed è un ragazzo dall’indole solitaria. La storia è preceduta da una pagina in cui Antonio, cinquantunenne, afferma di aver compiuto l’età che aveva il padre, ormai scomparso, all’epoca in cui i due hanno vissuto un momento fondamentale del loro rapporto durante un viaggio a Marsiglia, nel 1983, quando Antonio non aveva ancora compiuto diciotto anni. Da qui comincia un lungo flashback, che prende le mosse dalla scoperta di una rara forma di epilessia di cui Antonio aveva cominciato a soffrire forse all’età di sette anni e a causa della quale i genitori, separati da tempo, si erano rivolti a un luminare di Marsiglia, il dottor Gastaut. Dopo aver sottoposto il ragazzo a vari esami, lo specialista conforta i genitori sui miglioramenti di Antonio e si accorda per rivedersi tra tre anni per verificare l’andamento della sua patologia. A giugno del 1983 padre e figlio, che non hanno mai stretto un rapporto veramente significativo tra loro, partono alla volta di Marsiglia e il luminare transalpino attesta la guarigione di Antonio ma, per avere la certezza della definitiva scomparsa della malattia, il ragazzo si dovrà sottoporre a una veglia ininterrotta di due giorni e due notti: se il suo fisico reggerà a un simile stress senza che la malattia riemerga, Antonio sarà davvero guarito. Questa strana situazione di insonnia forzata sarà per i due l’occasione per scoprire Marsiglia, incontrare persone, ascoltare le loro storie, scoprire lati sconosciuti l’uno dell’altro e, soprattutto, conoscersi reciprocamente davvero per la prima volta. Per Antonio in particolare, anche considerando che sta per compiere la maggiore età, sarà un momento topico di passaggio all’età adulta, che scopriremo per sommi capi nell’epilogo. Le tre del mattino è un bellissimo romanzo di formazione sul tema forse più ricorrente della narrativa di Gianrico Carofiglio, ovvero il rapporto tra padre e figlio. Come spesso succede in questo genere romanzesco, la narrazione – Il giovane Holden docet – la narrazione si concentra su un frammento esistenziale particolarmente significativo della crescita del giovane protagonista. La storia, intassellata in un lungo flashback tra prefazione ed epilogo, cattura fin dalle prime righe con la prosa asciutta ma intensa dello scrittore barese e costringe (letteralmente) chi legge ad andare avanti una pagina dietro l’altra in direzione dello struggente finale. È un gran bel libro, insomma, peraltro dotato del merito aggiuntivo della concisione. Assolutamente da leggere.

Gianrico Carofiglio, Le tre del mattino, Torino, Einaudi, 2017; pp. 167

domenica 12 maggio 2024

VITA DEI CAMPI DI GIOVANNI VERGA

Giovanni Verga pubblicò la prima edizione di Vita dei campi nel 1880 e continuò a rimaneggiare questa raccolta narrativa fino all'edizione definitiva del 1897. Nel suo insieme il libro assortisce nove novelle, da Cavalleria Rusticana (che divenne la fonte dell’omonimo libretto d'opera di Mascagni) fino a Pentolaccia. Nel complesso questa raccolta è una perfetta esemplificazione della poetica verista di Verga: l'ambientazione spesso è umile, i personaggi sono solitamente popolani, le situazioni sono ispirate a fatti tipicamente quotidiani come amori, affari di poco conto, relazioni varie, storie professionali di povera gente. Le novelle più rappresentative sono sicuramente l'apripista, La lupa, Rosso Malpelo e Fantasticheria, che esprimono aspetti molto diversi dello stesso mondo contadino. Cavalleria rusticana racconta il ritorno in paese di un contadino partito per il servizio di leva e della ripresa del suo rapporto amoroso con la fidanzata di un tempo, che nel frattempo si è promessa a un facoltoso carrettiere e del duello d'onore che ne segue; come spesso accade nelle storie dell’autore siciliano i personaggi che si staccano dal loro ambiente d’origine sono fatalmente destinati all’insuccesso, all’infelicità e alla morte. La lupa racconta una storia ancora più basica e viscerale: narra di una donna dai famigerati appetiti sessuali che induce la figlia a sposare il giovane  da cui è attratta e dell’inarrestabile tragedia che ne segue. Rosso Malpelo dipana la triste storia umana dello sfortunato ragazzino protagonista, che lavora in una miniera di rena rossa dove il padre ha perso la vita e in cui tutti lo disprezzano, come pure nella sua famiglia, in cui la sorella e la madre lo tollerano solo per la paga che porta a casa a fine settimane: Rosso Malpelo vive una vita di infelicità, priva di affetti e di interessi, completamente stritolata dalla situazione di sfruttamento minorile, che purtroppo è tutto ciò che ha. Fantasticheria è uno spaccato del paese di Trezza descritto dall'autore a una conoscente straniera che l'ha visitato subendone subito la fascinazione (ma da cui comunque è presto ripartita). È una raccolta ricca di sfaccettature sociali e che applica la morale dell'ostrica sottintesa nelle opere maggiori del Verga, come I Malavoglia e Mastro don Gesualdo.

Giovanni Verga, Vita dei campi, in Tutte le novelle I, Milano, Mondadori, 1971; pp. 137-240

venerdì 3 maggio 2024

STORIE DEL TERRORE DA UN MINUTO

È una raccolta di settantatré storie brevi – a volte davvero brevissime – con cui l’assortito gruppo di scrittori allestito per l’occasione ha cercato di scrivere racconti capaci di ottenere uno scopo in apparenza quasi proibitivo: suscitare terrore in sessanta secondi appena. La sfida ovviamente è ardua, ma l’inquietante compagnia assemblata – che annovera nomi del calibro di Neil Gaiman, Brian Selznick, Brad Meltzer, Lemony Snicket, Margaret Atwood, Jerry Spinelli, Kenneth Oppel, James Patterson, R.L. Stine – regge il comprensibile carico di attese narrative fino all’ultimo racconto. Si tratta di una sfida non necessariamente che gli autori hanno scelto di giocare sul territorio della prosa ma anche in forma di poesia, di fumetto o di immagine, il risultato però è sempre lo stesso: suscitare un brivido in un pugno di secondi, a volte in modalità davvero inquietanti, anche se mai scendendo nello splatter fine a se stesso. Il terrore spesso è raggiunto con i classici strumenti orrorifici: allusioni, anticipazioni, ambientazioni lugubri, buio, creature repellenti come ragni e vermi, luoghi chiusi, oscure presenze, malvagità in serie, casi inspiegabili, leggende metropolitane. È Storie del terrore da un minuto e, incredibilmente, nonostante sia diretto a un target di lettori dalla prima adolescenza in su, in effetti… spacca, e non per forza grazie ai nomi celebri: assortisce anche un buon numero di sorprese assolute, come il per niente coccoloso topolino Tenton del duo Tom Genrich & Michèle Perry, oppure la serata apparentemente tranquilla di una babysitter di Un lavoretto facile di M.T. Anderson, o l’allucinante storia di Un pezzo unico di Sarah Weeks, o la tradizionale casa abbandonata de La sfida di Carol Gorman, o il brevissimo C’è qualcosa sotto il letto di Allan Stratton o infine l’angosciante paura del buio alla base di Non bagnare il letto di Alan Gratz. Terrore assicurato in appena un giro di lancette dei secondi: provare per credere…

AA.VV., Storie del terrore da un minuto, Milano, Feltrinelli, 2021; pp. 127

giovedì 18 aprile 2024

TECHNOLDOGY, UNA GRAPHIC NOVEL TRA FANTASCIENZA E CONSUMISMO

Gli sceneggiatori Francesco Artibani e Fausto Vitaliano con il disegnatore Claudio Sciarrone hanno elaborato una graphic novel di afflato distopico che tratteggia un quadro sconfortante del futuro prossimo e venturo che ci attende in agguato dietro l’ennesimo desiderio di acquistare un oggetto (necessario o assolutamente inutile) che immancabilmente sboccerà nella nostra testa. Già, perché il mondo futuro descritto in Technoldogy è una versione esasperata del presente in cui viviamo adesso, un mondo basato sul consumismo, un pianeta abitato da consumatori che esprimono la funzione sociale di acquistare oggetti prodotti da industrie e distribuiti spesso direttamente a casa (basti pensare al successo internazionale di Amazon). Certo, questo modello produttivo comporta delle conseguenze: la prima, di natura individuale, è una spirale infinita di acquisti che non assicurano mai la soddisfazione ma sono sostituiti sempre da una nuova necessità del consumatore, la seconda, di natura ambientale, è che necessariamente un sacco di oggetti sono destinati a diventare rifiuti in un tempo sempre più breve e diventeranno un problema sempre più ingombrante da gestire. Nel futuro immaginato in questa graphic novel gli oggetti dismessi sono soprattutto tecnologici e finiscono il loro ciclo di utilizzo in una discarica di dispositivi elettronici di varia tipologia chiamata, appunto, Tecnoldogy. Gli autori del libro si immaginano che gli strumenti in questione – i telefoni a tastiera, i fax, le telecamere, i vecchi cellulari e i generatori, ovviamente, che servono a tenere attivi i compagni di sventura – siano dotati di personalità e passino il tempo in attesa che qualche umano decida di “adottarli” e di dare loro una seconda possibilità di utilizzo. Tale ambiente viene un po’ sconvolto dal sorprendente arrivo di Han-Sen 4 X-12, uno smartphone di ultima generazione che, in effetti, non dovrebbe finire in una discarica ma che sembra aver compreso che tale eventualità è stata causata dal lancio sul mercato di un fantomatico dispositivo denominato X-Doom, di cui in rete si parla come di un potenziale Grande Fratello che potrebbe controllare qualunque oggetto elettronico del pianeta. L’SOS lanciato da Technoldogy sarà ascoltato dal più scalcinato dei rider di City One, la città perfetta dove tutti gli abitanti stanno in casa a ordinare prodotti che saranno loro recapitati a domicilio. Riuscirà il protagonista, che risponde al nome di Andy, a fare la cosa giusta per l’umanità e per lo sfortunato pianeta in cui gli è toccato di vivere? Forse, e magari gli darà una mano una ragazza che sta cercando di fare carriera senza troppa fortuna… Da tale situazione si sviluppa una scoppiettante avventura distopica e fantascientifica con un forte sottofondo di critica sociale e l’immancabile sviluppo sentimentale che incombe dietro l’angolo. È Technoldogy, assolutamente da leggere fino all’ultima vignetta, anche perché gli autori si sono divertiti a dilatare il finale a sorpresa fino ai proverbiali titoli di coda…

F. Artibani-F. Vitaliano-C. Sciarrone, Technoldogy, Milano, Feltrinelli, 2023; pp. 128

mercoledì 17 aprile 2024

ROSA PARKS E IL “NO” CHE CAMBIÒ LA STORIA

Pochi “no” nel corso della storia del Novecento hanno avuto il peso dello storico rifiuto di Rosa Parks di cedere il proprio posto sull’autobus di linea di Montgomery, Alabama, su cui era salita il 1° dicembre del 1955 dopo la solita stancante giornata di lavoro. Il conducente dell’autobus l’aveva minacciata di chiamare la polizia, ma la donna era rimasta comunque ferma dignitosamente al suo posto e si era fatta arrestare, consapevole che sarebbe stato soltanto l’inizio di una lunga lotta contro la segregazione razziale che divideva tutti i luoghi pubblici degli Stati Uniti d'America (scuole, ospedali, trasporti e così via) tra la popolazione bianca e quella nera: negli autobus in pratica i posti anteriori (ovvero i migliori) erano destinati ai bianchi, i posteriori ai neri e quelli centrali a entrambe le tipologie di passeggeri, ma la legge obbligava i neri a cedere il posto ai bianchi, anche nel caso fossero saliti successivamente. Rosa Parks lavorava come sarta in un grande magazzino all'epoca, era già un’attivista del movimento per i diritti civili ed era stata nominata segretaria della sezione locale di un’associazione nazionale per il progresso delle persone di colore, la NAACP. Rimase in prigione soltanto poche ore, perché fu scarcerata grazie a un avvocato bianco che era un convinto antirazzista. In breve il suo gesto di rifiuto la rese famosa e spinse la comunità di colore, anche grazie all’impegno del pastore Martin Luther King, ad avviare una campagna di boicottaggio contro l’agenzia di trasporti di Montgomery. L’anno successivo il caso di Rosa Parks arrivò davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che giudicò incostituzionale la segregazione applicata negli autobus pubblici dell’Alabama. No di Paola Capriolo ricostruisce la vita di Rosa Parks dall’infanzia – caratterizzata dalla figura di Nonno Sylvester, che insegnava alla nipotina a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno –, al sogno di diventare maestra, all’incontro con Raymond Parks, il barbiere (e attivista) che sarebbe diventato suo marito, all’impegno con la NAACP. È una gran bella storia di resistenza civile, finisce con la morte naturale di Rosa Parks nel 2005 e l’esposizione della sua bara nella Rotonda del Campidoglio, a Washington, la prima volta nella storia che un simile onore venne tributato a una donna divenuta celebre nel mondo come la “madre dei diritti civili”. Tre anni dopo un uomo di colore, Barack Obama, diventerà presidente degli Stati Uniti d’America, un momento topico iniziato nel lontano 1955 con il fermo e composto “no” di una sarta afroamericana di quarantadue anni che non aveva più voglia di sopportare soprusi in silenzio.

Paola Capriolo, No, Trieste, Edizioni EL, 2010; pp. 93

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...