giovedì 24 aprile 2025

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D'AMORE

L’autore di questa raccolta è Raymond Carver (1938-1988), uno scrittore considerato il nume tutelare della short story americana e del cosiddetto minimalismo, una tendenza letteraria diffusasi negli Stati Uniti negli anni Ottanta del secolo scorso, che tratteggia squarci di realtà quotidiana con uno stile essenziale. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore comprende diciassette racconti che, nel loro insieme, rileggono tout court il concetto di narrativa breve, realizzando un salto in avanti sul piano del realismo, paragonabile forse soltanto alla forza dialogica (e anche al non detto) dei racconti di Ernest Hemingway. Carver riesce nell’impresa di catturare, nei propri testi, la lingua d’uso del suo tempo così come se ne servivano i suoi personaggi privilegiati: la gente comune, “fotografata” nelle sue idiosincrasie, nelle sue dipendenze – a partire da quella dell’alcolismo, vissuta in prima persona dall’autore – e nei suoi lavori ordinari, senza prospettive. Carver scriveva di ciò che aveva intorno e sotto gli occhi giorno dopo giorno. Semplicemente, scriveva racconti brevi perché la vita stressante di ogni giorno non gli consentiva di mantenere la concentrazione necessaria per affrontare un romanzo. Scriveva di getto, per poi rielaborare per sottrazione, cogliendo l’essenziale delle storie che lo avevano colpito. Sembra niente, invece fu una sorta di rivoluzione copernicana per quei lettori che si lasciarono incantare da questo straordinario cantore della normalità e della quotidianità, mentre altri si limitarono a bollarlo, superficialmente, come uno scrittore deprimente. In effetti, il milieu e le situazioni di certi suoi racconti potrebbero inizialmente dare questa impressione; in realtà, nascondono una ricchezza umana difficile da trovare altrove. Basti pensare al racconto che apre la raccolta, Perché non ballate?, che mostra una coppia di giovani innamorati in cerca di mobilia a buon mercato nel giardino di un uomo di mezza età che dà l’impressione di essersi da poco separato (e dell’incontro umano che ne deriva). Tra i racconti notevoli della raccolta, corre l’obbligo di citare almeno Di’ alle donne che andiamo, che narra la deriva di due uomini in libera uscita senza le rispettive compagne, e ciò che ne segue fino al dirompente finale di ordinaria brutalità. Molto efficace anche lo scenario di incomunicabilità tra due divorziati raccontato in Un discorso serio: Burt torna nella vecchia casa dove l’ex moglie Vera continua a vivere con i figli, deciso a fare con lei un discorso serio sul loro rapporto, un discorso che aleggia su tutta la storia senza che la comunicazione tra i due si attivi mai veramente. Il tutto è narrato in modo estremamente naturale, come se la storia si raccontasse da sola, sviluppandosi frase dopo frase. Esemplare, da questo punto di vista, anche il racconto che dà il titolo al libro, che fotografa la conversazione tra due coppie molto diverse, impegnate a bere e discutere su cosa sia veramente l’amore – un concetto che resta indecifrabile fino all’ultimo –. Una raccolta assolutamente da scoprire, un racconto dopo l’altro.

Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Roma, Minimum Fax, 2009; pp. 153

domenica 13 aprile 2025

I BEATLES. I FAVOLOSI QUATTRO

Uscita nella collana “Grandissimi” delle Edizioni EL, I Beatles. I favolosi quattro è una biografia illustrata del più grande gruppo rock della storia, ovvero i Beatles, noti anche come i Fab Four, capaci di infrangere qualunque record di vendita e di popolarità mai raggiunti in precedenza da altri gruppi o artisti solisti tra il 1962 e il 1970, l’anno del loro scioglimento. L’autore del libro è un grande scrittore di narrativa per ragazzi del calibro di Pierdomenico Baccalario – tra le sue opere principali da segnalare Lo spacciatore di fumetti e Le volpi del deserto –, che in poco più di cinquanta pagine riesce nell’obiettivo di ricostruire in modo essenziale ma efficace gli esordi dei Beatles, i principali snodi della loro carriera, un nugolo di personaggi a loro vicini, gli aneddoti principali sul loro magico gruppo, i principali dischi. Si comincia scendendo le scale del Cavern, un locale di musica dal vivo di Liverpool, insieme a Brian Epstein, il loro futuro manager, in cerca del gruppo che ha inciso un disco che non riesce a trovare in nessun catalogo (My Bonnie) ma che molti clienti del suo negozio di dischi continuano a chiedergli. Quando Epstein si trova davanti i primi Beatles intuisce subito il potenziale di questa band dinamica ma poco professionale e – dopo aver conosciuto il chitarrista George Harrison, il cantante e chitarrista John Lennon, l’altro cantante e bassista Paul McCartney, e infine il batterista… Pete Best – si propone subito come manager. Sarà proprio lui a trovare un po’ per caso un’etichetta discografica disposta a far firmare ai quattro ragazzi un contratto, ma il produttore esige che si trovino un batterista più dotato, e la scelta di John, Paul e George cade su Ringo Starr, all’anagrafe Richard Starkey. E comincia così l’avventura musicale più avvincente di tutti i tempi: il successo arriva fin dal primo 45 giri, Love Me Do, e subito scoppia la Beatlemania: i ragazzi d’Inghilterra e poi di tutto il mondo iniziano a vestirsi come i Fab Four, che sfornano singoli e album che finiscono regolarmente al numero uno di tutte le classifiche, girano due film, fanno concerti ovunque e talmente pieni di gente che non riescono nemmeno a sentirsi tra loro quattro sul palco. Così nel 1965 decidono di dedicarsi soltanto a registrare album in studio e incidono capolavori a ripetizione: Rubber Soul, Revolver (con la mitica copertina psichedelica di Klaus Voormann), Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (il primo concept album della storia), un album doppio completamente bianco (The White Album), Abbey Road (con la celebre copertina di loro quattro sulle strisce pedonali davanti agli studi di registrazione) e infine Let It Be, assemblato dal produttore Phil Spector quando ormai il gruppo era già sciolto. E nel mezzo c’è la colonna sonora del cartoon Yellow Submarine, lo strano esperimento del Magical Mystery Tour, l’esecuzione in mondovisione di All You Need Is Love e l’ultimo concerto sul tetto della Apple (il cosiddetto “Rooftop Concert”). Assolutamente da leggere.

Pierdomenico Baccalario, I Beatles. I favolosi quattro, Edizioni EL, 2017; pp. 74

sabato 5 aprile 2025

TESTI E NOTE DI ISAAC ASIMOV

La raccolta Testi e note è un'antologia che raccoglie ventiquattro racconti di fantascienza scritti dal grande Isaac Asimov tra il 1950 e il 1973 e già usciti in Italia in due distinti volumi della collana Urania. Negli Stati Uniti la raccolta si intitolava Buy Jupiter and Other Stories, un titolo che ha una storia piuttosto curiosa: uno dei racconti inclusi, infatti, il brevissimo e fulminante It Pays (tradotto in italiano con Pianeta comprasi), venne ribattezzato da un editor piuttosto creativo in Buy Jupiter – un gioco di parole con l’esclamazione inglese “By Jupiter!” – e ad Asimov (che neanche era stato consultato al riguardo) piacque così tanto che lo scrittore americano lo adottò addirittura per l'intera raccolta. L'edizione italiana propone invece un titolo come Testi e note che rende bene l'idea dell'elemento distintivo del volume, ovvero le introduzioni e i commenti dell'autore che accompagnano ogni racconto. Sono proprio quelle “note”, scritte da Asimov col suo caratteristico stile affabulatorio e ricco d'ironia a fare la differenza: l'autore di Io, robot racconta infatti come e perché tutte le storie sono nate, per quali riviste sono state scritte e quale accoglienza hanno ricevuto. Ne scaturisce un autoritratto informale, leggero e ricco di aneddoti simpatici, che aiuta a comprendere meglio non solo l’evoluzione dell'autore di fantascienza unanimemente riconosciuto come il più grande, ma anche come funzionava la macchina editoriale americana alla sua epoca. Il tratto distintivo dei racconti in genere è la loro brevità e varietà, nel complesso sono un’efficace esemplificazione del miglior Asimov: alcuni sono piccoli esperimenti narrativi, altri calibrati esercizi stilistici, altri ancora delle gemme di acume e umorismo. I racconti in assoluto più memorabili sono forse quelli della seconda parte, come l'esemplare Razza di deficienti! - in cui i terrestri prima sono segnalati come degni di entrare nei registri galattici di Naron e poi subito cancellati perché votati all'estinzione -, la divertente speculazione narrata in Pianeta Comprasi e la strepitosa riflessione sul senso ultimo dell'evoluzione robotica che emerge in Parola-chiave. Insomma, chi apprezza la fantascienza in Testi e note troverà pane per i propri denti, chi ama Asimov ci troverà tutto il resto.

Isaac Asimov, Testi e note, Milano, Mondadori, 1985; pp. 186

UNA RACCOLTA DI SAGGI ERRANTI DA DANTE A FENOGLIO

L’ultima fatica di marca critica di Hans Honnacker, docente di materie letterarie di chiara origine tedesca ma fiorentino d’adozione, è una raccolta di saggi che s’intitola Da Dante a Fenoglio. Si tratta di un percorso ondivago tra le ricerche letterarie dell’autore nell’ultimo trentennio, come testimoniato dal sottotitolo Sentieri letterari ‘erranti’, e anche dell’ideale chiusura di una tetralogia saggistica pubblicata con le Edizioni Erasmo a partire da Amore furioso: l’Ariosto e oltre nel 2016, continuata con Dante e oltre nel 2022 e quindi con Semplicemente Ariosto nel 2024. La raccolta presenta complessivamente cinque saggi critici, più una postilla e un’appendice che completano il volume, peraltro impreziosito da una serie di originali illustrazioni realizzate dagli ex studenti dell’autore. I saggi sono tutti inediti, ad eccezione del primo, dedicato a Dante, che descrive un'intrigante ricostruzione del personaggio di Attila tra Il Cantare dei Nibelunghi e la Commedia, opere (diversissime) che presentano due ritratti quasi opposti del leggendario sovrano degli Unni. Il secondo saggio della raccolta è invece una riflessione sulla funzione dell’ossimoro dolce-amaro nella concezione dell’amore che emerge dal Canzoniere di Francesco Petrarca, dove ha una frequenza che salta subito all’occhio. Il terzo saggio è un’indagine sul personaggio di Rinaldo nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, dove uno storico protagonista della tradizione cavalleresca viene scelto dall’autore come capostipite della dinastia estense (oltre che come eroe centrale del poema) con un esito più convincente in chiave encomiastica rispetto a quanto fatto dai suoi illustri predecessori Boiardo e Ariosto con la figura di Rugiero/Ruggiero, cavaliere pagano convertito alla fede cristiana divenuto poi similmente fondatore degli Este. Il quarto contributo è un’intrigante riflessione sull’importanza della forma dialogica nelle Operette morali di Giacomo Leopardi e sul rapporto di tale opera con l’apice della produzione lirica del poeta di Recanati, i cosiddetti Grandi idilli. Il quinto e ultimo saggio della raccolta è un confronto tra due romanzi molto diversi della letteratura italiana novecentesca quali Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda tramite il diverso uso del pastiche linguistico in entrambe le opere. La verve enciclopedica dell’autore tedesco si esplica anche nei due contributi che il volume offre in limine: il primo è un frizzante studio del personaggio di San Nicola e della sua metamorfosi innescata dalla nascente globalizzazione di marca americana nel Babbo Natale della pubblicità della Coca Cola, mentre il secondo è un poemetto giovanile in prosa ispirato dal primo viaggio in Grecia compiuto da Honnacker da adolescente (peraltro con traduzione a fronte dal tedesco). Insomma, una raccolta di saggi davvero interessante, vivamente consigliata agli eruditi ed ai curiosi generici.

Hans Honnacker, Da Dante a Fenoglio, Livorno, Edizioni Erasmo, 2024; pp. 113

venerdì 4 aprile 2025

JACK FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO DI ENRICO BRIZZI

Beh, leggere un libro come Jack Frusciante è uscito dal gruppo potrebbe essere anche una buona idea, direbbe senza dubbio il vecchio Alex, un tardoadolescente che col flusso dei suoi pensieri forse cerca di catturare, uh, il senso della vita. Quel roccioso ama pensare soprattutto pestando sui pedali della sua bici come un Girardengo appena più basso e rock, mentre si guadagna la salita verso il Seminario per approdare a una casa in mezzo al bosco dove vive Adelaide, per gli amici Aidi, che potrebbe anche essere la sua ragazza (ma di fatto non è tale). Lei e il vecchio Alex sono più che amici, oltre gli innamorati, semplicemente sono al di là, ecco. E la loro storia di stare insieme senza stare insieme è pure a tempo determinato perché Aidi, perdonatela, ha un biglietto aereo per gli States nel cassetto e dal prossimo settembre passerà un anno in Pennsylvania, così al nostro pirata non resterà che aspettare e stare a vedere. La trama è più o meno questa, sintetizzata con le parole che il buon Enrico Brizzi userebbe con quella sorta di terza persona confidenziale di marca bolognese di cui si serve per narrare le avventure esistenziali di quel roccioso del suo protagonista, parole peraltro alternate a quelle trascritte dall’archivio magnetico di Alex D. e dettate al suo fedele magnetofono (ovviamente in prima persona). C’è qualcosa di più, certo, inutile dirlo, ma l’umile scriba recensore preferisce scriverlo comunque: le disillusioni di un adolescente quasi a fine percorso che non vorrebbe essere incasellato nel destino annunciato che lui e tutti i suoi coetanei sembrano avere disteso all’orizzonte, le pruderies culturali che comunque in qualche modo lo colpiscono ed eccitano la sua curiosità, quel senso di incompiuto ma che al contempo pare già scritto che caratterizza da sempre tutti i tardoadolescenti che si rispettino dal buon Holden Caulfield in poi e di cui Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un indimenticabile canto elegiaco in forma di romanzo. Il libro d’esordio di Enrico Brizzi sostanzialmente è una fotografia (letteraria) del canto del cigno della generazione X catturata in movimento sul fronte scolastico (il classico Caimani è tratteggiato come una prigione con sprazzi d’ore d’aria), sul versante sociale (un pugno di rockettari con il sogno di un disco d’esordio) e ovviamente dal punto di vista sentimentale – il roccioso Alex D. che s’innamora della ragazza perfetta, anche se presto dovrà salutarla per un anno intero –. Sembra un’accozzaglia improbabile e scontata, invece il mix si rivela originale e cattura il lettore fin dalle prime pagine per non lasciarlo più e a tale scopo mi giova ricordare che la prima volta mi capitò di sfogliarlo solo per dare un’occhiatina a un libro posato su un asciugamani steso su una spiaggia: lo lessi tutto d’un fiato astraendomi dal sole e dal mare per restituirlo alla legittima proprietaria qualche ora dopo. E questo rende questo romanzo un libro decisamente da consigliare al prossimo…

Enrico Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Milano, Baldini & Castoldi, 2006; pp. 182

mercoledì 2 aprile 2025

IL LEONE, LA STREGA E L'ARMADIO: UN GRANDE CLASSICO DI C.S. LEWIS

Il professor C.S. Lewis (1898-1963), docente di lingua e letteratura inglese all’università di Oxford, cominciò a scrivere il romanzo fantasy per ragazzi Il leone, la strega e l’armadio nel 1949: il libro, che fu pubblicato nel 1950, fu il primo episodio del ciclo di Narnia, che sarebbe stata completato da altri cinque capitoli e da un prequel, Il nipote del mago (non a caso nella prima edizione completa della saga il volume apripista fu inserito in seconda posizione). La storia prende avvio durante la seconda guerra mondiale, quando quattro fratelli londinesi – ovvero Peter, il maggiore, Susan, Edmund e Lucy, la più piccola – lasciano la capitale britannica sotto i bombardamenti per essere ospitati da un vecchio professore nella sua enorme casa isolata nella campagna inglese. Comincia a piovere e, siccome non hanno di meglio da fare che esplorare la loro nuova casa, i quattro ragazzi vagano tra le stanze e i corridoi. A un certo punto finiscono in una stanza quasi vuota, dove spicca un grande armadio: gli altri tre proseguono i loro giri ma Lucy è attratta dal vecchio mobile e prova ad aprire un’anta, riuscendoci, e poi a perlustrarne l’interno. Dentro all’armadio c’è una fila di pellicce: Lucy lascia l’anta aperta per non restare prigioniera dell’armadio, poi entra attratta dall’odore delle pellicce, dietro le quali sente qualcosa di pungente e qualcos’altro che scrocchia sotto i piedi. Sembra anche esserci una flebile luce in lontananza: alla fine Lucy si ritrova in una pineta innevata, mentre sta nevicando, e nello spiazzo davanti a lei c’è un anomalo lampione. È finita in un posto quasi buio, mentre dietro di sé intravede la luce del giorno, e sembra arrivare pure qualcuno, uno strano fauno che si presenta come il Signor Tumnus e la invita a prendere un tè nella sua casa, non distante da lì. La piccola Lucy sembra finita in un mondo incantato che Tumnus rivela chiamarsi Narnia e dove da tempo immemorabile sembra esser calato un lunghissimo inverno a causa della malvagia magia di una dispotica Strega Bianca. Lucy a un certo punto torna indietro, ma scopre che nel mondo reale sono passati soltanto pochi attimi da quando è “entrata” nell’armadio: le crederanno i fratelli? Torneranno a liberare Narnia dalla morsa di quell’eterno inverno? Insomma, si tratta di una bellissima storia fantasy dove C.S. Lewis ha ben miscelato tutti gli ingredienti canonici del genere: un mondo alternativo di afflato mitico e misterioso, un’antagonista cattivissima, un pugno di creature immaginarie e un eroe predestinato, il leone magico Aslan, che può aiutare i quattro ragazzi a vincere la guerra, magari a prezzo di un grande sacrificio, per mettere fine al lunghissimo inverno che ha reso Narnia una terra desolata e riportarla al suo antico splendore. Il libro di C.S. Lewis narra un’epopea che si alterna tra il registro della fiaba, la mitologia e la religione: Aslan ricorda non poco Gesù Cristo che si immola per salvare la Terra di Narnia dall’inverno (altra allegoria della morte spirituale) in cui è precipitata a causa della Strega Bianca, una cattiva al di là di ogni redenzione. E il portale è la chiave per entrarci dentro e fare la cosa giusta, quindi potremmo vederlo anche come un simbolo di fede. Oltre a questa chiave di lettura religiosa il libro apripista della saga di Narnia si profila anche come l’eterna avventura che ogni ragazzino deve superare per crescere e quindi, in un certo senso, è anche un grande romanzo di formazione. È Il leone, la strega e l’armadio e per entrarci è sufficiente oltrepassare il portale nel vecchio armadio di una stanza mezza vuota di un’enorme casa di campagna in mezzo al nulla: ci entreremo dalla prospettiva di una bambina e, esattamente come lei, arriveremo all’happy ending senza neanche accorgercene, perché questa è la magia di un grande libro per ragazzi. Che peraltro con gli anni è diventato un classico da oltre 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Assolutamente da provare…   

C.S. Lewis, Il leone, la strega e l’armadio, Milano, Mondadori, 2006; pp. 167

domenica 30 marzo 2025

MAI DEVI DOMANDARMI DI NATALIA GINZBURG

Si tratta di un libro assai variegato e molto personale il cui titolo (che suona piuttosto particolare) è ripreso dal libretto del Lohengrin. Come precisato nell’avvertenza dalla stessa Natalia Ginzburg alla prima edizione del novembre 1970, Mai devi domandarmi raccoglie quasi tutti gli scritti pubblicati dall’autrice sulla “Stampa” dal dicembre 1968 all’ottobre del 1970, il racconto apripista La casa (uscito invece sul “Giorno” nel 1965) e altre prose inedite cui fu aggiunto nel 1989 il racconto Luna pallidassi, che era stato pubblicato dal “Corriere della Sera” nel 1976. Sono testi di argomenti molto diversi, alcune volte di taglio prettamente giornalistico e altre di tipologia memoriale, infatti la Ginzburg all’inizio era intenzionata a dividere queste prose tra quelle ispirate alla memoria e le altre, poi però ha realizzato che in qualche modo la memoria affiorava un po’ ovunque e così ha optato per un ordinamento cronologico. Mai devi domandarmi è la modalità espressiva più vicina a un diario che l’autrice di Lessico famigliare abbia prodotto nella vita, lei che non è mai riuscita a tenere un diario vero e proprio, trattandosi di annotazioni su ciò che nel tempo le “capitava di ricordare o pensare” sui più svariati argomenti: sono riflessioni sulla solitudine che ha caratterizzato la sua infanzia o il senso di stupore che può affiorare nella vecchiaia, sono recensioni (molto profonde e personali) dei libri letti e dei film visti, fotografie scritte delle sue esperienze sul lavoro, pensieri di natura politica o saggi ispirati ai grandi interrogativi dell'umanità, come sul credere in Dio oppure no. Ovviamente, in tutti questi saggi, articoli e racconti affiorano schegge autobiografiche di una grande scrittrice, di cui raccontano in modo apparentemente casuale tanti momenti topici di vita vissuta. L’edizione definitiva dell’Einaudi presenta un’introduzione firmata da Cesare Garboli e una corposa appendice del curatore Domenico Scarpa con notizie sui testi della raccolta e un’antologia della critica. Un libro tutto da scoprire.

Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi, Torino, Einaudi, 2014; pp. 296

venerdì 28 marzo 2025

I QUARANTANOVE RACCONTI DI HEMINGWAY

Questa celebre raccolta di racconti fu pubblicata da Ernest Hemingway (1899-1961) nel 1938 insieme a La quinta colonna, che in Italia fu edita singolarmente da Einaudi nel 1946, mentre I quarantanove racconti uscirono l’anno dopo. Come lo stesso autore spiega nella prefazione, le prime quattro storie dell’indice sono le ultime che ha scritto, mentre le altre seguono fedelmente l’ordine in cui furono pubblicati per la prima volta: Su nel Michigan fu scritta per prima, a Parigi, nel 1921, mentre l’ultima fu telegrafata da Hemingway da Barcellona nel 1938. Sono racconti scritti nei luoghi dove lo scrittore americano si è alternato nell’arco di quasi vent’anni tra Europa, Stati Uniti, Canada e Cuba. Le quarantanove storie saltano da un genere all’altro e, a detta dello stesso Hemingway, sono sgrezzate con la mola, perché lui preferisce scrivere con “uno strumento storto e spuntato” ma avendo qualcosa da dire, piuttosto che servirsi di un mezzo “lucido e splendente” ma senza niente di originale da mettere su carta. Lo stile che emerge in questa raccolta è forse la versione più realistica ed essenziale di quello che ha condotto Hemingway fino al Nobel per la letteratura: sono pezzi di vita vissuta (talvolta neanche troppo eccezionale) che suonano veri in ognuna di quelle frasi o battute scarne con cui l’autore americano ce le racconta, talvolta in modo meditativo e confidenziale. Sono racconti mediamente di poco oltre le dieci pagine, alcuni intorno alle trenta pagine, ma molti davvero brevissimi, intorno alle quattro, eppure in tutti si vedono nitidi scatti di umanità più o meno normale, con occasionali concessioni ai sogni da matador, alle schegge esistenziali di rivoluzionari o di soldati. Si va dalla tragedia beffarda del racconto apripista, La breve vita felice di Francis Macomber, fino alla nostalgica elegia generazionale di Padri e figli, l’ultima storia dell’indice. In mezzo figurano un buon numero di meraviglie narrative tra cui spiccano l'inesorabile attesa della fine de Le nevi del Kilimangiaro, gli essenziali sottintesi di Colline come elefanti bianchi, il bisogno estemporaneo di affetto di Gatto sotto la pioggia e il delicato ritratto di un vecchio solitario in Un posto pulito, illuminato bene. Un indiscusso capolavoro della narrativa di Hemingway, che salutava il lettore esprimendo l’impellente bisogno di tornare a scrivere: “Adesso è necessario rimettersi alla mola. Mi piacerebbe vivere abbastanza per scrivere altri tre romanzi e altri venticinque racconti. Ne conosco di bellini”. A chiusura del volume figura Il principio dell’iceberg, un’intervista a Hemingway sull’arte di scrivere e narrare. Assolutamente da leggere.

Ernest Hemingway, I quarantanove racconti, Torino, Einaudi, 1999; pp. 554

domenica 23 marzo 2025

SESSANTA RACCONTI DI DINO BUZZATI

Si tratta di una raccolta narrativa dall’afflato decisamente ambizioso che Dino Buzzati assemblò personalmente nel 1958 selezionando i primi trentasei racconti dell’indice dalle tre precedenti raccolte (tutte andate esaurite) I sette messaggeri (dal primo al nono), Paura alla Scala (dal decimo al diciottesimo) e Il crollo della Baliverna (dal diciannovesimo al trentaseiesimo), mentre i restanti ventiquattro non erano usciti precedentemente in raccolte ma non erano inediti in quanto erano già stati pubblicati su quotidiani o riviste (soprattutto “Il Corriere della Sera”). Nel loro complesso le sei decine di racconti brevi – tranne eccezioni, la lunghezza media varia tra le cinque e le sette pagine – illustrano in modo significativo le situazioni narrative care all’autore de Il deserto dei Tartari: l’incomunicabilità, l’assurdità che si annida nelle maglie del quotidiano, il mistero che incombe sulla vita, la costante indagine sui grandi enigmi del reale. Insomma, per certi versi molti dei temi cari a Franz Kafka, lo scrittore boemo costantemente associato quasi in automatico dalla critica alle prove di Buzzati, che non a caso avvertiva un senso d’insofferenza per il continuo accostamento al celebre collega. In ogni modo, all’epoca dell’uscita questa raccolta assortiva il meglio che Buzzati avesse prodotto fino a quel momento: scorrendo l’indice corre l’obbligo di segnalare almeno l’apripista I sette messaggeri (racconto altamente simbolico sulla difficoltà delle comunicazioni umane), Sette piani (l’inesorabile aggravarsi di una malattia apparentemente indegna di preoccupazione), Il mantello (l’inquietante ultimo saluto ai familiari di un soldato destinato all’aldilà), Il crollo della Baliverna (bella metafora sul crollo dell’equilibrio e delle certezze quotidiane), I topi (sull’angosciante presenza di una colonia di ratti nei bassifondi di una casa), Il disco si posò (un anomalo plot di fantascienza su Dio e sul senso della vita), Le mura di Anagoor (altra bella metafora delle mura invalicabili che gli uomini elevano tra loro) e infine Il tiranno malato (un racconto allegorico sull’eclissarsi del potere con cani come protagonisti). I Sessanta racconti sono ritenuti una raccolta narrativa davvero emblematica delle tematiche care a Dino Buzzati, e vinsero l’edizione 1958 del Premio Strega.

Dino Buzzati, Sessanta racconti, Milano, Mondadori, 2018; pp. 479

giovedì 20 febbraio 2025

BOY: ROALD DAHL TRA INFANZIA E GIOVINEZZA

È sicuramente un libro di Roald Dahl (1916-1990) – peraltro arricchito dai disegni del suo fedele illustratore Quentin Blake – ma Boy è quanto di più diverso dalla tipica produzione narrativa del grande scrittore britannico: non si tratta infatti di un romanzo e neppure di un’opera di fantasia anche se, curiosamente, trattandosi dell’autobiografia della sua infanzia fino alla giovinezza, assortisce il materiale grezzo, per così dire, che sta alla base di tutti i suoi romanzi e racconti per ragazzi, sempre raccontato con quell’irresistibile humour che gli estimatori di Dahl, grandi e piccoli, adorano. Il libro è articolato in quattro sezioni: comincia con Punto di partenza per farci conoscere la complessa famiglia Dahl, di origine norvegese, piena di figli e di lutti, e dei primi passi dell’autore nel giardino d’infanzia di Villa Olmo fino ai sette anni, poi il piccolo Roald inizia a frequentare Llandaff, la sua prima scuola, dove iniziano le prime difficoltà, quindi a nove anni il futuro scrittore si trasferisce al collegio St. Peter’s, dove la durezza è di casa, e infine a tredici passa a Repton, un collegio ancora più duro, da dove uscirà ventenne e disgustato dalla scuola per entrare nella Shell allo scopo di scoprire il mondo. In Boy l’autore si muove con leggerezza e nostalgia rievocando i ricordi dolceamari che hanno caratterizzato le sue esperienze scolastiche, che di sicuro non sono state piacevoli (per quanto senza dubbio memorabili) ma raccontano di un sistema educativo, quello britannico, apparentemente costruito sulla disciplina e sulla mortificazione sistematica dello studente. Roald Dahl ricostruisce un mosaico di avventure giovanili anche molto divertenti e narrate in punta di penna, soffuso di un umorismo leggero e intrigante anche quando raccontano punizioni fisiche o pesanti umiliazioni subite sulla propria pelle: da una scuola all’altra l’autore ricorda più che altro di aver cercato di limitare i danni e sopravvivere a direttori violenti, a maestri spietati o ad alunni più grandi e sadici rispetto a lui ma, incredibilmente, riesce a farlo senza mai lamentarsi troppo ma come se tutto ciò che gli è capitato fosse semplicemente nell’ordine delle cose e dunque andasse sopportato, magari anche facendoci sopra qualche sana risata. E di divertimento Boy ne regala a mucchi, per esempio con l’incredibile vendetta perpetrata dall’autore verso una maleducatissima venditrice di dolciumi mettendole un topo morto dentro un recipiente di vetro pieno di caramelle oppure con la cronaca dettagliata di un’operazione senza anestesia perpetrata a tradimento su di lui da un medico durante le vacanze estive ad Oslo dai nonni. Non manca neppure l’evocazione struggente della madre, donna umanamente dolce quanto determinata a crescere al meglio i cinque figli nonostante la vedovanza precoce. Alla fine, quando nelle ultime pagine Dahl ci racconta di non aver nessuna intenzione di infliggersi pure l’università dopo le atrocità vissute sui banchi di scuola, si capisce che la galleria umana che vi ha incontrato è quella che poi ha tratteggiato con efficacia nei personaggi negativi dei suoi romanzi per ragazzi, una vera palestra di villains che gli sarebbe bastata per tutta la carriera. In definitiva, Boy non è solo un tuffo nell’infanzia di Dahl, ma la chiave per comprendere il lato più umano – e, talvolta, anche sorprendentemente oscuro – di un autore che ha saputo trasformare le ferite del passato in spunti per le storie indimenticabili che hanno appassionato generazioni di lettori.

Roald Dahl, Boy, Milano, Salani, 2011; pp. 190

giovedì 13 febbraio 2025

TUTT’ALTRO CHE TIPICO

Nome: Jason Blake. Età: dodici anni. Diagnosi: disturbo dello spettro autistico. Jason è un dodicenne con qualcosa che lo rende speciale in un mondo di cosiddetti “neurotipici”, e il suo particolare modo di essere quasi sicuramente gli rovinerà la giornata, ad un certo punto, è solo questione di tempo… E lui lo sa. La sua storia infatti ce la racconta lui stesso, in prima persona, in un costante flusso di pensieri, con i suoi disagi che prendono forma in tempo reale davanti a noi. La sua vera dimensione Jason riesce a trovarla soltanto quando è davanti allo schermo di un computer e scrive i suoi racconti, quei racconti che poi pubblica sul sito Storyboard, dove gli appassionati di scrittura come lui postano i loro elaborati narrativi, l’unico spazio virtuale dove può sentirsi esattamente come tutti gli altri. Jason infatti si sente fuori posto in molteplici situazioni e il suo principale problema relazionale sono le ragazze: lui non crede affatto che riuscirà mai a trovarne una, ma è proprio su Storyboard che diventa amico di PhoenixBird che, dall’iniziale apprezzamento per i racconti di Jason, curiosamente finisce per divenire la sua prima vera amica. Tra l’altro il buon Jason avrebbe anche la possibilità di passare dall’amicizia virtuale a quella reale, dato che potrebbe incontrare la ragazza di persona ad una convention degli autori del suo sito preferito: il problema è che se lei lo incontrasse dal vero, si renderebbe subito conto del suo autismo e questo finirebbe per cancellare cosa Jason sia veramente. Come andranno le cose? Jason riuscirà a trovare la forza di andare oltre i propri limiti e conoscere la sua amica di penna virtuale? O si lascerà bloccare dalla presunta discriminazione che chiunque, a suo giudizio, dovrebbe fare nei suoi confronti? Lo scopriremo in un finale che non ci lascerà delusi e ci sorprenderà. È Tutt’altro che tipico, un romanzo per ragazzi capace di tratteggiare qualcosa di molto difficile da decifrare come la prospettiva del mondo di un ragazzino autistico con un talento davvero molto particolare per la scrittura. Intrigante anche la doppia chiave di lettura che l’autrice ci presenta tramite la storia nella storia, che racconta di una persona affetta da nanismo che ha la possibilità di diventare… “normale”. Alla fine il dubbio che entrambe le storie innescano nella testa del lettore è il medesimo: non sarebbe come cancellare una parte di se stessi per uniformarsi a tutti gli altri? Indipendentemente dalla trama, che cattura l’interesse fin dalle prime righe per non lasciarci più, questo romanzo di Nora Raleigh Baskin merita la lettura anche perché fa sbocciare dentro di noi dubbi simili. Da provare. 

Nora Raleigh Baskin, Tutt’altro che tipico, Crema, Uovo Nero, 2013; pp. 181

L'ITALIA DI OGGI, LA NATURA, L'ÌRONIA E... MARGHERITA DOLCEVITA

Stefano Benni, classe 1947, con Margherita Dolcevita ha scritto una fiaba ecologica che nasconde al suo interno un quadro ironico e dissacrante dell’Italia di oggi, oppressa dalla divinità del sacro consumo e da un’imperante sottovuoto morale. Di nuovo rispetto ai romanzi precedenti dello scrittore bolognese Margherita Dolcevita può contare su un’irresistibile protagonista che ci racconta la storia (e si racconta) in prima persona, Margherita ovviamente, una “bambina in scadenza” di quasi quindici anni: leggermente sovrappeso, con occhi maliardi e blu e capelli biondi ricci tendenti al fusillo, fiera inventrice di libri mai scritti (che racconta però di aver letto), una piccola anticonformista con un problemino alla valvola cardiaca ed un’innata propensione a leggere la realtà attraverso il filtro di una naturale ironia. Insieme al suo cosiddetto “cancatalogo” Pisolo, incredibile incrocio di ogni razza canina, animale e forse vegetale, la nostra Margherita ci porta all’interno di una normalissima famiglia media italiana, la sua: un padre mite e pensionato, strenuo difensore dei vecchi oggetti che raccoglie e ripara in un vecchio capannone; una madre casalinga che fuma sigarette virtuali e non si perde una replica dell’amata soap “Eternal love”; un fratello maggiore, di professione ultrà che si divide tra calcio e pallone; un fratello minore genio in erba e videogiocatore incallito; un nonno stralunato che ingerisce cibi scaduti per immunizzarsi dai veleni della società postindustriale. La famiglia della nostra eroina vive in una cadente villetta periferica con giardino, una casa ai margini di un grande prato e di un bosco che nasconde al suo interno le macerie di una casa bombardata e il fantasma della Bambina di Polvere, l’anima di una bimba morta durante la guerra, l’amica dolce e spaventosa di Margherita nonché il personaggio più struggente di tutto il romanzo. A turbare questo quadretto familiare nel prato accanto spunta dal terreno un gigantesco cubo di cemento che ricorderebbe il deposito di Zio Paperone, se non fosse ricoperto interamente di vetro nero, recintato da una siepe artificiale in perfetto accordo con il tono sintetico del giardino con piscina annessa. All’interno si nasconde un prototipo di famiglia dei nostri tempi che sembra cesellato sul massimo esempio nazionale: il padre, Frido Del Bene – sempre sorridente e con una chioma fasulla ottenuta da “trapianto progressivo bioselezionato” –, rampante affarista senza scrupoli e biecamente reazionario verso i margini sociali, come la gentil consorte Lenora, celebrazione della casalinga ricca, alla moda e nullafacente, o la figlia adolescente Labella, una superficiale top model in erba. Ben presto la diabolica famiglia Del Bene – che al suo interno accoglie perfino l’eccezione autorizzata di Angelo, il classico figlio ribelle per cui subito ovviamente Margherita sentirà simpatia – comincerà ad allungare le proprie spire consumistiche verso i vicini, mesmerizzandoli uno ad uno con un’irresistibile gradualità che ricorda L’invasione degli ultracorpi: solo Margherita ed il vecchio nonno resteranno immuni al loro fascino sottile e tenteranno, con l’arma scardinante della fantasia e con l’indispensabile aiuto dell’amica fantasma, di salvare il loro piccolo mondo, che come il mondo intero sembra avviato a precipitare verso un abisso di colpevole stupidità. Un gran bel romanzo per ragazzi che condensa tutta l’arte narrativa di Stefano Benni nell’irresistibile figura Di Margherita. Assolutamente da provare. 

Stefano Benni, Margherita Dolcevita, Milano, Feltrinelli, 2005; pp. 207

ANNA, L'APOCALISSE DELL'ADOLESCENZA

Anna di Niccolò Ammaniti, classe 1966, segna un'inversione di tendenza rispetto alla sua produzione precedente e rappresenta il primo tentativo dell'autore romano di mettersi alla prova con il romanzo di marca distopica. Siamo in un futuro imprecisato, che purtroppo non sembra molto distante dal nostro presente: il mondo che conosciamo non esiste più, è stato spazzato via da un'epidemia inarrestabile che ha ucciso tutti gli adulti, lasciando di conseguenza un mondo pieno di bambini e ragazzi orfani. Già, perché infatti il contagio si concretizza quando gli adolescenti arrivano all'età dello sviluppo e sui loro corpi si manifestano i segni inequivocabili della malattia che minaccia di portare la razza umana all'estinzione, la cosiddetta "Rossa". Ci troviamo a scoprire questo quadro apocalittico attraverso gli occhi di Anna, una ragazza di tredici anni rimasta ovviamente orfana della madre e responsabile del fratellino, Astor: i due vivono desolatamente soli in una casa sperduta nella campagna di una Sicilia che pare un ininterrotto cumulo di rovine. Anna ha con sé un quaderno di istruzioni che la mamma le ha lasciato per cercare di sopravvivere quando lei non ci sarebbe stata più, anche se spesso la giovane protagonista si trova davanti un quadro in cui le regole materne sono inefficaci e lei è costretta di volta in volta a improvvisare cercando di fare la cosa giusta. A un certo punto, tutto questo diventa un'impellente necessità, perché il fratellino le viene rapito da una banda di coetanei regrediti a uno stadio tribale: con l'aiuto di un compagno di viaggio incontrato durante la sua ricerca, Anna intraprende un viaggio per ritrovare Astor e sfuggire alla Rossa, che le sta inesorabilmente arrivando addosso con lo scorrere dei giorni, magari arrivando al Continente, dove nell'immaginario di Anna forse qualcuno ha trovato una cura per questo desolato mondo di giovani senza futuro. Una gran bella storia, senza dubbio, di struggente presa narrativa grazie alla capacità di Ammaniti di immergerci nella vicenda attraverso gli occhi della protagonista, che ci fanno scoprire un mondo che sembra l'ombra di quello che conosciamo, in cui i bambini e i ragazzi superstiti, abbandonati a se stessi, sono sopravvissuti grazie ai loro sforzi isolati oppure sono finiti in gruppi selvaggiamente tribali - per tratteggiare i quali di certo Ammaniti ha tenuto presente la lezione di William Golding ne Il signore delle mosche -. Insomma, ne vien fuori un altro gran bel romanzo sulla scoperta della realtà da parte dell'adolescenza, come avremmo potuto aspettarci dall'autore di Io non ho paura e Io e te. Ammaniti si conferma dunque uno scrittore di grande presa anche alla prova con la narrativa di marca distopica. Assolutamente da non perdere. 

Niccolò Ammaniti, Anna, Torino, Einaudi, 2015; pp. pp. 278 

mercoledì 5 febbraio 2025

L'ULTIMA ESTATE COI DISCHI VOLANTI

È uno scrittore che a suo dire ha vissuto diverse vite (alcune anche piuttosto avventurose) Maurizio Maggiani, nato nel 1951 in un paese della provincia di La Spezia: maestro carcerario e di bambini non vedenti, aiuto regista, montatore, fotografo, pubblicitario, impiegato e infine autore di romanzi. Tra i suoi libri corre l’obbligo di ricordare almeno Il coraggio del pettirosso (Premio Viareggio e Premio Campiello), La regina disadorna e Il viaggiatore notturno (Premio Strega). La sua ultima fatica letteraria s’intitola L’ultima estate coi dischi volanti, che è anche il suo primo romanzo per ragazzi. Si tratta di una storia a tinte dichiaratamente autobiografiche, che attinge a pieni neuroni dalle memorie dell’autore adolescente a Castelnuovo Magra, ovvero il paese tra le Alpi Apuane e il mare dove Maggiani è nato ed ha passato i suoi anni giovanili. Ed è proprio qui, in questo tipico luogo di provincia, ricco di storie strane e improbabili che si raccontano a veglia tra amici davanti a un focolare, che fin da bambino Maggiani ha scoperto la sua vena da narratore e che è diventato scrittore, ascoltando racconti (alcuni abbastanza) assurdi tramandati nella sua famiglia, come quello della gallina che viveva anche senza cervello, giusto per ricordarne uno. In effetti l’autore si scopre narratore quando si trova a vivere in prima persona un’avventura horror, trovandosi inseguito da un fantomatico mostro sul ciglio del canale tornando a casa con l’oscurità, e poi la racconta in modo apprezzabile. Si conferma tale tempo dopo quando entra nella locale Società dei cacciatori di dischi volanti, un pugno di ragazzini che si ritrovano in una scalcinata baracca in mezzo a un boschetto superstite di un progetto edilizio di ampliamento del paese: l’autore diventa il trascrittore del libro mastro delle imprese dell’associazione, durante le cui riunioni i componenti fumano amarissime radici di sambuco e discutono dei libri del loro eroe, lo scrittore e divulgatore Peter Kolosimo. Tutto cambia quando la compagnia entra in contatto con la Patri e soprattutto con il padre di lei, professore ed esperto escursionista, pronto a guidare la variegata truppa dei cacciatori di dischi volanti in gita notturna al Monte Bruno, dove si dice che da secoli gli alieni siano soliti discendere periodicamente per visitare il nostro pianeta. Per i componenti dell’allegra brigata di ragazzini interessati agli alieni e dintorni l’escursione è l’avventura più grande che hanno mai sperato di vivere e, come spesso capita nella vita reale, è il preludio alla fine dell’adolescenza e all’ingresso nell’età adulta, anche se all’autore restano comunque i ricordi alla base di questo libro... L’ultima estate coi dischi volanti è un accattivante romanzo di formazione per ragazzi che riesce a catturare a meraviglia l’incertezza e la voglia di scoprire l’ignoto che caratterizzava quel grande periodo di trasformazione nazionale all’inizio degli anni Sessanta, quando tanti paesi di campagna come Castelnuovo Magra cambiarono pelle entrando a timidi passi nell’Italia dei tempi nostri. Assolutamente da scoprire.

Maurizio Maggiani, L’ultima estate coi dischi volanti, Milano, Feltrinelli, 2024; pp. 203

venerdì 24 gennaio 2025

NOWHERE GIRL, UNA GRAPHIC NOVEL TRA BEATLES E ADOLESCENZA

Classe 1979, Magali Le Huche è un’illustratrice francese che si è formata alla Scuola di Arti Decorative di Strasburgo ed ha iniziato a disegnare fin da piccola, dato che si inventava storie che non le facevano prendere sonno e allora si metteva a disegnare per cercare di addormentarsi. Nowhere girl è una graphic novel di sapore autobiografico in cui l’autrice transalpina parla della se stessa undicenne degli anni Novanta che muove i primi passi nella scuola media Massillon dove è approdata insieme all’inseparabile Agathe, la sua miglior amica dai tempi dell’asilo. Il problema è che ben presto lo zaino della protagonista comincia a diventare progressivamente più pesante e l’ansia quotidiana sempre più opprimente, al punto che i suoi genitori se ne accorgono e tentano di correre ai ripari: fobia scolare è la diagnosi della specialista a cui si rivolgono, così che Magali sospende la frequenza scolastica in attesa di tempi migliori. E nel frattempo, all’improvviso, ascoltando per caso un CD della sorella maggiore, Magali scopre l’esistenza dei Beatles, ne viene contagiata e resta col passare del tempo letteralmente catturata dal coloratissimo mondo dei Fab Four, che riscopre a bocce ferme a vent’anni dal loro scioglimento e a dieci dalla tragica scomparsa di John Lennon: l’apprendistato amburghese, il Cavern di Liverpool, la Beatlemania, i film, il cartoon del sottomarino giallo, i dischi epocali, gli aneddoti su John, Paul, George & Ringo. I Beatles diventano il talismano curativo di una ragazzina troppo fragile per camminare da sola nel mondo esterno, la rassicurante coperta di Linus sempre pronta ad accoglierla. Alla fine, c’è da immaginarselo, la giovanissima protagonista imparerà ad accettare l’adolescenza ed a smettere di isolarsi, ma dimenticare i Beatles si rivelerà una faccenda leggermente più ostica... Nowhere girl è un’intrigante graphic novel sulla difficoltà ad accettare se stessi nel periodo più confuso della crescita ed una bella metafora sul valore salvifico che riveste la musica dei quattro di Liverpool, i protagonisti della più grande leggenda del rock del Novecento, che hanno sviluppato in una fantasmagoria di sperimentazioni musicali, cambiandolo per sempre in modo indelebile. In siffatto percorso ci si perde volentieri anche per gli essenziali e coloratissimi disegni di Magali Le Huche, che talvolta raggiungono abissi caleidoscopici e visionari degni di quel rivoluzionario cartoon che fu Yellow Submarine. Da provare.

Magali Le Huche, Nowhere girl. A scuola con i Beatles, Latina, Tunué, 2024; pp. 118

mercoledì 22 gennaio 2025

LE FIABE (IN VERSI PERVERSI) DI ROALD DAHL

Lui è il nume tutelare della fantasia rivolta all’infanzia e dintorni, ma nel corso della sua vita rocambolesca ha anche fatto la spia, l’aviatore e l’inventore di marchingegni medici: nato in una famiglia di origine norvegese, Roald Dahl (1916-1990) nella sua lunga carriera letteraria ha scritto numerosi capolavori della narrativa per ragazzi, come Matilde, Il GGG e La fabbrica di cioccolato, spesso puntualmente finiti sul grande schermo con altrettanto successo. Le invenzioni narrative di Dahl sono praticamente sconfinate, ma curiosamente quando ha scelto di dedicarsi alle fiabe più classiche ne è venuto fuori questo piccolo libro in rima intitolato Versi perversi: non si tratta di una riscrittura tradizionale perché le fiabe sono rilette invece in chiave parodica e puntualmente concluse con spiazzanti finali a sorpresa. Le fiabe al centro del libro sono soltanto sei, equamente distribuite tra tre estrapolate dal corpus dei Fratelli Grimm e altrettante della tradizione popolare britannica: nell’ordine l’indice presenta Cenerentola, Giacomino e il Granfagiolo, Biancaneve e i Sette Nani, Treccedoro e i Tre Orsi, Cappuccetto Rosso e il Lupo e, per finire, I Tre Porcellini. Senza dubbio le parodie più esilaranti sono la prima e la penultima: Cenerentola nella fase in cui il principe la sta cercando si rende conto del carattere sanguinario del suo possibile sposo e cerca un buon partito dall’indole più rassicurante, al contrario Cappuccetto Rosso da vittima annunciata si trasforma in una spietata killer a danno del povero Lupo – e la nomea di pistolera della bambina arriva alle orecchie del fratello superstite dei Tre Porcellini per mettere la parola fine alla minaccia del Lupo –. Se le fiabe in rime baciate di Dahl sono delle vere chicche è anche per la maestria poetica di chi le ha tradotte nella nostra lingua, ovvero il grande Roberto Piumini, ormai da decenni autore di punta della narrativa italiana per ragazzi ma altrettanto valido nelle vesti di traduttore (vedere in merito l'edizione nella collana "Einaudi Ragazzi" de Le avventure di Tom Sawyer). Corredano questo piccolo libro le intriganti illustrazioni di Quentin Blake, storico disegnatore dei romanzi di Roald Dahl. Da non perdere.

Roald Dahl, Versi perversi, Milano, Salani, 2024; pp. 45

domenica 19 gennaio 2025

RICORDAMI DI MERCOLEDÌ DI JERRY SPINELLI

Senza dubbio Jerry Spinelli è uno degli autori di libri di narrativa per ragazzi più prolifici degli Stati Uniti da diversi decenni: classe 1941, lo scrittore originario della Pennsylvania all’inizio della sua lunga carriera ha scritto romanzi per adulti ma ben presto si è reso conto che il suo pubblico di riferimento sono bambini e adolescenti, ai quali ha dedicato piccoli capolavori come La schiappa, Crash, Stargirl e Misha corre. Al centro del suo ultimo romanzo Ricordami di mercoledì figura una particolarissima tradizione che riguarda tutti gli studenti di terza media della cittadina di Amber Springs, Pennsylvania, che ricorre ogni secondo mercoledì di giugno: ogni alunno riceve infatti una camicia nera e la tessera anagrafica di uno dei cosiddetti “spiaccichi”, ovvero di un adolescente morto in un incidente stradale che ha causato con un comportamento imprudente o sconsiderato. Una volta indossata la camicia nera, ogni studente per convenzione sparisce e nessuno lo vede né lo considera più per tutta la giornata, come se fossero i ragazzi deceduti a cui sono stati associati. È il “mercoledì dei morti” e in teoria sarebbe una ricorrenza per indurre i ragazzini a non ripetere gli errori che sono costati la vita a chi li ha preceduti, ma in realtà quasi tutti la vivono come una giornata speciale di libertà assoluta in cui possono combinare impunemente ogni scherzo o idiozia la loro mente possa immaginare, dato che gli adulti fingono di non vederli. Ed essendo uno studente di terza media,  il timidissimo Robbie Tarnauer, Bruco per gli amici, aspetta a gloria questo giorno per vedere cosa combineranno le teste calde della sua scuola, e anche perché all’ora di pranzo è in programma una rissa tra due compagni che si odiano dall’asilo e finalmente faranno a botte come desiderano da sempre. Bruco ha un soprannome che descrive perfettamente la sua indole schiva ed il suo entusiasmarsi per interposta persona, infatti si accontenta di vivere della luce riflessa del suo migliore amico Eddie, che è il ragazzo più popolare e trascinante della scuola. Tutto cambia però quando Bruco si vede assegnare la tessera di Becca Finch, morta per uno sfortunato incidente causato dalla neve: un attimo dopo infatti il piccolo protagonista comincia a parlare con la “fanciulla spettrale” che la sorte ha associato a lui, rendendosi subito conto che è l’unico a percepirla. I due tra l’altro sono diversissimi: Bruco è schivo in modo imbarazzante, mentre Becca è (o, meglio, era) vivace ed estroversa. All’inizio la ragazza non capisce a cosa sia dovuto il suo momentaneo ritorno sulla Terra, poi comprende che la sua missione è far crescere il suo nuovo amico, così i due cominciano a familiarizzare ricostruendo la sfortunata catena di circostanze che ha portato Becca a morire. Nel frattempo nasce un’amicizia indimenticabile e Bruco inizia a scoprire il mondo, conoscersi meglio e credere in se stesso. Ricordami di mercoledì è un piccolo romanzo di formazione che racconta l’indimenticabile giorno che unisce un adolescente in fieri con una ragazza che non ce l’ha fatta cambiando per sempre il mondo del primo. Jerry Spinelli si conferma un delicato narratore di storie struggenti in grado di lasciare un segno profondo nei lettori, stavolta con una vicenda che miscela le difficoltà della crescita, la memoria e la morte. Assolutamente da provare.

Jerry Spinelli, Ricordami di mercoledì, Milano, Mondadori, 2023; pp. 235

lunedì 13 gennaio 2025

SE PENNAC PARLA DI LETTURA... COME UN ROMANZO

Docente di lettere e poi scrittore assurto alla fama internazionale grazie alla saga di Benjamin Malaussène di Belleville (capro espiatorio per professione), Daniel Pennac, classe 1944, è anche autore di libri di narrativa per ragazzi come L’occhio del lupo ed ha dedicato il saggio Come un romanzo alla lettura, in particolare riflettendo sul piacere della lettura fine a se stessa. L’idea è stata innescata proprio dalla sua ultraventennale esperienza di insegnante, che gli ha offerto un punto di osservazione sui giovani e sulla loro progressiva perdita di interesse (spesso divenuta un’aperta avversione) per la lettura. Da bravo prof empatico Pennac affronta il problema di come invece si possa fare per contagiare positivamente i ragazzi per avvicinarli ai libri, oggetti che talvolta sono percepiti dalle generazioni più verdi come ingombranti ‘mattoni’ che occupano ingiustamente lo spazio dei comodini delle loro camerette. Secondo lo scrittore francese il trucco consiste non tanto nel puntare sulla promozione della lettura a tutti i costi quanto sul piacere della lettura, mostrando come i libri possano rivelarsi amici in grado di ampliare i nostri orizzonti e portarci in altri mondi, insomma degli ideali compagni di viaggio capaci di farci vivere più vite di quante potremmo soltanto sognare. Pennac comincia la sua riflessione dichiarando che “il verbo leggere non sopporta l’imperativo”, come pure altri pezzi da novanta del panorama dei verbi come amare o sognare, quindi, nel resto del primo capitolo, l’autore francese rileva che ogni bambino è stato allevato al piacere della lettura al punto di sviluppare una gran voglia di imparare prima possibile a leggere e poi col tempo si è trasformato in un adolescente che non sa come ritrovare quell’ancestrale piacere di ascoltare una storia. Una volta perso quel piacere, infatti, la situazione del ragazzo “non lettore” fa letteralmente a cozzi con la scuola, che in teoria promuove la necessità della lettura a tutti i costi (argomento del secondo capitolo) che, va da sé, non trasforma per forza tutti gli studenti in altrettanti lettori. Nel terzo capitolo del suo saggio Pennac costruisce creativamente un “cast” di buone letture e poi, giusto nell’ultima pagina, propone un bel decalogo dei diritti dei lettori “a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura”. Eccoli qua, rigorosamente in ordine: “1) Il diritto di non leggere. 2) Il diritto di saltare le pagine. 3) Il diritto di non finire il libro. 4) Il diritto di rileggere. 5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa. 6) Il diritto al bovarismo [ovvero ad emozionarsi anche fino a piangere]. 7) Il diritto di leggere ovunque. 8) Il diritto di spizzicare. 9) Il diritto di leggere ad alta voce. 10) Il diritto di tacere.” Nel quarto e ultimo capitolo del suo saggio Pennac spiega analiticamente il senso di ognuno dei dieci diritti, che stanno tra i due estremi della rinuncia tout court alla lettura alla sacrosanta possibilità di lasciare la lettura alla sfera della nostra intimità, cioè di non fare un parola sui libri che abbiamo oppure di scriverci sopra Come un romanzo, perché no?

Daniel Pennac, Come un romanzo, Milano, Feltrinelli, 1995; pp. 141

giovedì 9 gennaio 2025

IL DIAVOLO NELLA BOTTIGLIA, UN GIOIELLO DELLA NARRATIVA BREVE DI STEVENSON

L’autore del racconto lungo Il diavolo nella bottiglia, qui proposto in un’edizione con testo originale a fronte, è una certezza della narrativa del calibro di Robert Louis Stevenson, il grande scrittore originario di Edinburgo che andò a terminare ancora giovane la sua vita nelle isole Samoa, dove fu soprannominato dagli indigeni Tusitala, un termine che nella loro lingua suona come “narratore di storie”. Fu proprio nei mari del Sud che lo scrittore scozzese, già divenuto celebre grazie a capolavori come L’isola del tesoro e Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde, consolidò la sua fama con nuovi lavori, alcuni di sapore ‘coloniale’, come Gli intrattenimenti delle notti sull’isola, la raccolta che contiene appunto Il diavolo nella bottiglia. Nonostante la trama sia caratterizzata da una solida ambientazione realistica alle Hawaii (rievocate con numerosi riferimenti), in realtà si tratta della rielaborazione di una storia la cui genesi risale a decenni prima nell’Europa centrale. L’incipit cattura l’attenzione fin dalla prima pagina tratteggiando il protagonista, un marinaio hawaiano che l’autore chiama Keawe per tacerne la vera anagrafe, trattandosi a suo dire di persona vivente che altrimenti potrebbe essere riconosciuta. Keawe sta passeggiando per le strade di una collina di San Francisco ed è intrigato dalle belle abitazioni che vede intorno a sé ma è catturato soprattutto da una casa più piccola delle altre ma decisamente splendida e dotata di finestre talmente trasparenti da consentire di vederne distintamente gli interni. In una in particolare Keawe distingue un vecchio che lo sto guardando, ed entrambi si osservano come se si invidiassero reciprocamente. L’anziano invita Keawe ad entrare e presto tra i due nasce un’inquietante conversazione sulla fortuna dell’ospite, che sarebbe dovuta a una strana bottiglia panciuta col collo allungato: conterrebbe un piccolo diavolo in grado di realizzare qualunque desiderio di chi la possiede, che non può separarsene se non per una somma di denaro in contanti inferiore a quanto l’ha pagata. E il possessore dovrebbe darsi da fare a trovare un compratore prima di morire, perché altrimenti la sua anima immortale è destinata a bruciare per l’eternità nelle fiamme dell’Inferno. Keawe è combattuto se usare i cinquanta dollari che ha in tasca per cambiare la propria vita, ma ben presto realizza che in teoria non dovrebbe essere così difficile trovare un acquirente per l’apparente felicità… Da siffatto presupposto si sviluppa un articolato intreccio di amore, fortuna e destino in grado di incatenare il lettore alle vicissitudini del protagonista fino all’ultima sorpresa di una storia dal finale annunciato.

Robert Louis Stevenson, Il diavolo nella bottiglia, Milano, La Vita Felice, 2021; pp. 125

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...