venerdì 3 marzo 2023

MATILDE, UN CLASSICO DI ROALD DAHL

Nella lunga carriera dello scrittore britannico (ma di origini norvegesi) Roald Dahl (1916-1990) senza dubbio uno titoli più iconici è Matilde, che è divenuto un classico della narrativa per ragazzi accanto ad opere come La fabbrica di cioccolato, Le streghe, Il GGG, tutti puntualmente traslati sul grande schermo. La protagonista del romanzo si chiama Matilde ed è la figlia minore dei signori Dalverme, che come genitori non sono proprio il massimo nei confronti della bambina e in generale sono persone prive di interessi e senza filtri morali di sorta: prima di tutto stravedono dichiaratamente per il fratello maggiore Michele, il padre è un (disonestissimo) venditore di automobili usate mentre la mamma una casalinga sfaccendata che passa i suoi pomeriggi a giocare al bingo. E Matilde? Completamente abbandonata a se stessa fin dalla più tenera età, ben presto scopre di riuscire a fare calcoli elaborati a mente e impara a leggere a soli tre anni iniziando a sfogliare le riviste di casa e l'unico libro presente tra le mura domestiche, una raccolta di ricette culinarie. Curiosamente, pur essendo a tutti gli effetti una bambina prodigio, i genitori di Matilde ne ignorano le qualità intellettuali che, anzi, trovano fastidiosissime, anche perché sono letteralmente ossessionati dallo schermo televisivo (che la piccola di casa invece ignora) e non hanno nessuna intenzione di spendere soldi per acquistarle dei libri. E così Matilde decide di prendere l'iniziativa recandosi da sola alla biblioteca pubblica più vicina, dove in breve tempo legge tutti i libri per l'infanzia per poi seguire i consigli della perplessa bibliotecaria e dedicarsi a romanzi più corposi, come quelli di Charles Dickens. Nel frattempo emergono sempre più contrasti con i genitori, chiusi perentoriamente dai grandi ma puntualmente vendicati dalla bambina, che inizia a usare la sua intelligenza per punire la stupidità degli adulti di casa. Le cose sembrano cambiare quando a cinque anni e mezzo Matilde comincia a frequentare la scuola elementare lasciando esterrefatta con le sue capacità la maestra Dolcemiele fin dal primo giorno. Purtroppo, anche se la giovane maestra è perfettamente consapevole di essere davanti ad una bambina prodigio, la perfida direttrice Spezzindue la pensa in modo diametralmente opposto su Matilde. D’altra parte la donna non ha la vocazione dell’educatrice: ruvida e violenta, non sopporta i suoi piccoli alunni e si diverte e chiuderli in un armadietto pieno di chiodi che ha il minaccioso appellativo di Strozzatoio, a volte si serve dei bambini per allenarsi al lancio del martello, altre ancora li tiene sospesi da terra per le orecchie. A sorpresa davanti alle inaudite e bestiali esplosioni di collera della tirannica direttrice Matilde si infuria scoprendo di essere in possesso di inquietanti poteri telecinetici. Cercherà di darle una mano la timida maestra Dolcemiele, che non riuscirà a evitare di sfogarsi con la sua allieva speciale riguardo la sua triste storia personale. Come andrà a finire? Riuscirà Matilde a dare il fatto suo alla tremenda dirigente scolastica? E i suoi genitori finalmente inizieranno a capirla? Matilde sarà capace di aiutare la sua dolcissima maestra? Interessanti interrogativi che Roald Dahl scioglierà nel sorprendente finale. Matilde è un originale romanzo di formazione per ragazzi su una bambina precoce e iperdotata che cerca di superare le anguste limitazioni culturali della gretta famiglia d'origine che vorrebbe semplicemente soffocare le qualità della piccola protagonista, troppo sveglia e piena di domande per la limitatezza dei suoi genitori, troppo interessata ai libri e alla cultura per gli orizzonti ristretti degli adulti di casa, che come valori hanno il denaro, le sitcom televisive e il bingo. In tralice il romanzo affronta una serie di tematiche con apparente leggerezza: il superamento del background svantaggiato in cui la piccola protagonista ha avuto la sfortuna di crescere, il contrasto tra un insegnamento empatico e una scuola autoritaria, l’intelligenza e la sensibilità opposte all’ottusità e alla prepotenza, lo scavalcamento degli stereotipi di genere a cui Matilde rifiuta di adeguarsi. Un romanzo bellissimo e molto divertente. Corredano il volume le godibili illustrazioni di Quentin Blake.

Roald Dahl, Matilde, Firenze, Salani, 1998; pp. 223

martedì 28 febbraio 2023

IL LATO SINISTRO DEL CUORE: LA NARRATIVA BREVE DI CARLO LUCARELLI

Che Carlo Lucarelli sia il più fulgido talento del giallo nazionale è cosa ormai assodata, anche da scrittori del calibro di Andrea Camilleri, che talvolta ha omaggiato il giovane collega attraverso sibillini giudizi letterari espressi dal commissario Montalbano. Impeccabile nella misura ‘canonica’ del romanzo giallo (pensiamo a gioielli come Almost blue, L’isola dell’angelo caduto o Un giorno dopo l’altro) ma autore anche di notevoli racconti lunghi (leggere in merito una delizia non indispensabile come Laura di Rimini), Lucarelli si è sempre dimostrato a suo agio sia con le ambientazioni contemporanee che con quelle storiche, sia con personaggi seriali che con creazioni destinate ad una vita letteraria conclusa nel volgere di un libro. Nel curriculum dell’autore non sono neppure mancati singolari esperimenti nati magari sulle colonne di quotidiani (come Autosole) o ibridi letterari a metà strada tra inchiesta e fiction (come Compagni di sangue), né ovviamente sono mancati racconti, pubblicati su riviste di varia estrazione, magari finora reperibili soltanto online e quindi riuniti (non tutti ma almeno la maggior parte) nella raccolta Il lato sinistro del cuore, che ne assortisce ben cinquantatré. Di misura varia, talvolta nati per sperimentare uno stile o focalizzare un’idea, altre volte scritti su commissione, l’unico vero Leitmotiv costante in questi racconti è indubbiamente l’elemento diabolico, una sinistra atmosfera che aleggia intorno alle varie storie, a prescindere che il loro obiettivo sia muovere il riso, suggestionare o terrorizzare. Tra leggenda metropolitana e mito suburbano, Lucarelli si muove sinuosamente sulle orme del diavolo e del male, ovunque si annidi, tra l’oscurità che avvolge un museo durante la notte, come accade ne Il silenzio dei musei, oppure nella ruspante ambientazione in cui si svolge la ricostruzione del mistero de I garganelli al ragù della Linina, un’inchiesta impropria ma non meno accattivante. Pagina dopo pagina ne Il lato sinistro del cuore, che peraltro è il titolo che presta all’intera racconta un godibilissimo racconto, si alternano storie d’ispirazione kafkiana come C’è un insetto sul muro, o l’inquietante La tenda nera, e ancora una storia che potrebbe casualmente accadere a chiunque come Telefono sostitutivo, la resa dei conti del sottotenente tedesco Reinhardt Klotz nel racconto omonimo, gli strani fatti narrati in Jubileo, il torbido omicidio de Il conte, l’inspiegabile fenomeno lunare raccontato via etere in Radiopanico, il panico in prospettiva dal basso di Ottobre, una gustosa rivisitazione del mostro di Frankenstein come Julian. Per usare le parole dello stesso Lucarelli, il talentuoso giallista ha “cercato di fare l’unica cosa che uno scrittore, di romanzi o racconti che sia, deve fare quando scrive: raccontare una storia che gli piace nel miglior modo possibile e con le parole più belle che sa”. Ne Il lato sinistro del cuore c’è pienamente riuscito, per l’ennesima volta.

Carlo Lucarelli, Il lato sinistro del cuore, Torino, Einaudi, 2003; pp. 370

venerdì 3 febbraio 2023

L’OCCHIO DEL LUPO: NARRATIVA PER RAGAZZI FIRMATA PENNAC

Lui è uno degli scrittori contemporanei più celebri della Francia: si tratta di Daniel Pennac, classe 1944, autore della strepitosa saga dedicata a Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, avviata nel 1985 con Il paradiso degli orchi, oltre che a Signori bambini, vari saggi (ad esempio Come un romanzo, dedicato al piacere di leggere) e ripetute incursioni nei fumetti e nella narrativa per ragazzi. Proprio a quest’ultimo genere appartiene il romanzo breve che lo scrittore francese ama indicare come il suo libro preferito, L’occhio del lupo, una delle sue prime opere, che Pennac scrisse prima di divenire famoso a livello internazionale. Per usare la definizione dell’autore stesso al riguardo, si tratta di un romanzo per ragazzi che “racconta la storia di un piccolo africano che incontra un vecchio lupo guercio venuto dall’Alaska”. L’attacco della narrazione è spiazzante e ci presenta l’incontro tra i due protagonisti: Pennac ce lo racconta dalla prospettiva del lupo, che ha un manto azzurro e proviene dall’Alaska, esattamente da Barren Lands, dove è stato catturato, ha perso un occhio e si è rovinato la pelliccia, venendo così destinato alla gabbia di uno zoo per sempre. Da allora il lupo ha deciso di ignorare gli umani che lo hanno strappato alla sua famiglia e gli hanno tolto tutto: lui e una lupa sua compagna di prigionia infatti solevano passare il tempo fermi a fissare un punto alle spalle degli umani davanti alla loro gabbia, che avevano la sensazione di essere invisibili per le due bestie (impressione assai disturbante). Quando la lupa è morta, pochi giorni fa, il lupo si è messo a trottare avanti e indietro nella sua gabbia, incessantemente, ma è successo qualcosa di strano: un ragazzo infatti si è piazzato ostinatamente davanti alla sua gabbia, iniziando a fissarlo intensamente e in silenzio. Il lupo, indispettito, ha continuato a muoversi avanti e indietro, stupito che il giovane umano potesse restarsene bloccato così davanti alla sua gabbia. Alla fine, esausto, si è fermato e ha iniziato a guardarlo anche lui, incapace però di fissare col suo unico occhio il silenzioso ospite, che di occhi ne ha due. Questo fastidio è finito con un gesto apparentemente banale ma in certo senso magico: il ragazzo, infatti, intuendo l’imbarazzo del lupo, chiude un occhio per metterlo a suo agio. Nei capitoli successivi i due scopriranno le rispettive storie “scritte” indelebilmente nei loro occhi fissati l’uno verso l’altro, fino al sorprendente happy ending che conclude questo incontro silenzioso nell’unico modo possibile, decisamente singolare, e con un pizzico di magia. È davvero una gran bella storia quella che Pennac ci racconta con L’occhio del lupo, semplice come può esserlo l’incontro tra un ragazzo alternativo con un fiero lupo che ha perso tutto, forse anche la speranza. Ma il vento della fiducia progressivamente riprende a spirare sempre più forte davanti alla gabbia del lupo proprio grazie al ragazzo, un cantastorie proveniente dall’Africa (e che si chiama come il suo continente, lo stesso che ha dato i natali a Pennac, a Casablanca), che ama la natura, gli animali e i racconti, e forse è approdato in quello che lui e i suoi genitori chiamano “Altro Mondo” (il nostro, il mondo occidentale) proprio per ridare speranza al disilluso Lupo Azzurro, chissà... Uno splendido romanzo breve sull’amicizia e sull’incontro col prossimo.

Daniel Pennac, L’occhio del lupo, Firenze, Salani, 1993; pp. 103

lunedì 23 gennaio 2023

BILLY ELLIOT, UNA STORIA DI FORMAZIONE TRA PICCHETTI E PASSI DI DANZA

Tutto è cominciato con l’uscita di un piccolo film britannico, Billy Elliot, diretto da Stephen Daldry nel 2000 e in breve tempo diventato un grande successo internazionale in grado di attirare ben tre nominations all’Oscar (miglior film, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura originale) e diventare in seguito un apprezzatissimo musical musicato da Elton John. Contrariamente a come accade di solito (un romanzo di successo che viene traslato sul grande schermo) il film di Stephen Daldry è diventato un romanzo del giornalista e scrittore britannico Melvin Burgess, classe 1954, che ha basato il suo libro ovviamente sulla bellissima sceneggiatura scritta da Lee Hall. La storia è esattamente la stessa che ha incantato milioni di spettatori in tutto il mondo: prende avvio a Durham, nel 1984, nella casa di una normale famiglia operaia del Nord Est dell’Inghilterra. Vi risiedono quattro persone appena uscite da un tremendo lutto che ha lasciato in ognuno di loro cicatrici silenziose: il padre di famiglia, Jackie Elliot, e il figlio maggiore Tony, entrambi minatori, l’adolescente Billy e la disorientata nonna di cui si occupa per evitare che si perda nel nulla. Chi è scomparsa è la madre Rose, che manca a tutti ma soprattutto al figlio minore. Il momento è uno dei più drammatici della storia per i minatori inglesi, che hanno avviato uno sciopero ad oltranza contro il governo della conservatrice Margaret Thatcher, la cosiddetta Iron Lady: Jackie e Tony tengono duro nonostante fare sciopero comprometta non poco le già misere finanze familiari, soprattutto il padre sta vacillando ma cerca di resistere per dare una possibilità al figlio maggiore, che non ha altro futuro possibile che la miniera di carbone. Nel frattempo Billy pratica con scarso successo la boxe, una tradizione degli Elliot per cui non è assolutamente portato, non a caso è più attratto dal corso di danza di Miss Wilkinson, che si svolge nella stessa palestra e prende avvio proprio quando termina il corso di pugilato. Fatalmente il ragazzo trova interessante cimentarsi con le scarpette da ballo, pur sapendo che un’attività simile è destinata a suscitare l’ira del padre perché eccessivamente effeminata (in effetti vi partecipano solo ragazze). Per ironia della sorte, pur essendo una vera schiappa nel pugilato, Billy Elliot sembra avere un vero talento naturale per la danza, infatti Miss Wilkinson ritiene che dovrebbe fare un’audizione per essere accettato alla Royal Ballet School di Londra. Riuscirà Billy a convincere il suo riluttante genitore che proprio questo potrebbe essere il suo futuro? Quel che è certo è che le parole più intense del romanzo (e del film) sono quelle con cui Billy spiega ai suoi esaminatori le sensazioni che prova ballando, quasi scomparisse e si trasformasse in elettricità seguendo la musica. La versione romanzata di Melvin Burgess tratteggia con efficacia le tematiche del film, in cui alla tormentata storia di formazione centrale s’intrecciano varie sottotrame caratterizzate dalla discriminazione di genere, dalla lotta sociale, dalla povertà, dall’omosessualità, dal sogno di una vita diversa. Rispetto al film il romanzo è articolato in venti capitoli in cui si alternano sei diverse voci narranti (ovvero Billy, Jackie Elliot, Michael, Tony, Mr Dainty e George) che ci costringono a scoprire la storia da punti di vista talvolta molto differenti. Probabilmente il romanzo non regala le stesse emozioni del film ma nei momenti topici usa le stesse parole e ci va davvero molto vicino… Da provare.

Melvin Burgess, Billy Elliot, Milano, Fabbri, 2014; pp. 250

sabato 21 gennaio 2023

LA SCHIAPPA: UN PICCOLO GRANDE ROMANZO DI JERRY SPINELLI

Nella sua lunga carriera lo scrittore americano Jerry Spinelli, classe 1941, ha scritto numerosi romanzi per ragazzi – da Guerre in famiglia a Crash, da Una casa per Jeffrey Magee a Stargirl (entrambi poi finiti sul grande schermo) – ma La schiappa è forse il suo libro con più cuore in assoluto, tutto giocato su un protagonista con cui è impossibile non empatizzare. L’autore ce lo fa conoscere da bambino ed è magia fin da subito: si chiama Donald Zinkoff (che suona come un nome da sfigato in tutte le lingue) e sembra l’apoteosi stessa della goffaggine, ma è anche animato da un’abbagliante energia positiva che non lo fa fermare davanti a nulla e si entusiasma per tutto ciò che la vita gli propone, perfino per la scuola. Purtroppo, l’unico talento di cui il buon Donald sembra dotato è di risultare un pasticcione in ogni campo: a scuola non se la cava granché bene (ha una grafia improbabile e ride a ripetizione), nello sport è praticamente un disastro in ogni disciplina possibile, si veste male e ha un debole per i cappelli da giraffa, insomma è praticamente il bersaglio ideale di qualunque bullo in circolazione, anche se per fortuna è talmente disarmante nella sua purezza da disinnescare anche il prepotente più scaltrito. La schiappa è propriamente un romanzo di formazione che segue le tappe della crescita del protagonista fino alla prima adolescenza, un ragazzino che impara a correre urlando di gioia nell’isolato intorno a casa, approda con entusiasmo alla scuola elementare suscitando la legittima preoccupazione della signorina Meeks – che subito comprende che Donald potrebbe turbare il suo ultimo anno da maestra prima della pensione –, procede quindi allegramente attraverso le varie classi, entra in una squadra di calcio anche se non vede mai la palla, nella mitica Giornata Campale di fine anno viene inserito nella squadra che vince tutte le gare ma perde la decisiva proprio per colpa sua (meritandogli l’indelebile epiteto di “schiappa”) e finalmente passa alle medie, realizzando di essere diventato… invisibile, almeno finché il destino gli offrirà l’occasione di dimostrare il suo grande cuore a tutta la città. La schiappa è articolato in trenta capitoli che esplorano altrettanti piccoli frammenti esistenziali di questo meraviglioso ragazzino che sta al centro della storia, Donald Zinkoff: ingenuo ma ricco d’umanità, goffissimo ma sempre pronto a provarci con tutto se stesso, sempre disposto a imparare e a lasciarsi sorprendere da qualcosa di nuovo, sempre straordinariamente orgoglioso della sua famiglia ordinaria ma ricca d’amore, e soprattutto positivamente rivolto verso il futuro e nei confronti del prossimo, sempre e comunque. Una bella storia, insomma, e narrata con consumata sagacia da Jerry Spinelli, che strizza l’occhio continuamente al lettore per esaltare l’involontaria eccezionalità del suo protagonista e sa incantarci con una rete di dialoghi essenziali ma efficacissimi. Notevole anche l’alternarsi delle varie ambientazioni nel romanzo: dentro La schiappa sono realisticamente ricostruiti nidi familiari, molteplici squarci di quartiere e mirabili quadri di vita scolastica. Assolutamente da provare.

Jerry Spinelli, La schiappa, Torino, Einaudi, 2014; pp. 186

giovedì 29 dicembre 2022

LE STORIE DA NON CREDERE DI ZUCCONI

L’autore di questa saporita e deliziosa raccolta di racconti è uno dei migliori giornalisti italiani dell’ultimo mezzo secolo, Vittorio Zucconi (1944-2019), per lunghi anni inviato de “La Stampa” e di “Repubblica” in mezzo mondo, nonché autore di vari libri tra cui Stranieri come noi. Non è quindi un caso che anche Storie da non credere sia stato scritto nel 2000 negli Stati Uniti, dove Zucconi ha vissuto gran parte della sua vita e dove si è spento di recente. Come lo stesso autore spiega nella premessa alla raccolta, uno scrittore è un giardiniere in grado di far germogliare storie da ogni occasione, dato che i semi delle storie si possono trovare ovunque intorno a noi, figuriamoci in America, che per certi versi è la nazione fondatrice delle leggende metropolitane… Complessivamente Storie da non credere assortisce quarantotto racconti articolati in tre sezioni che già dai titoli sono tutto un programma: gente strana, i casi della vita e sorprese finali. E in effetti sono tutti casi strani quelli raccolti e raccontati da Zucconi, sempre sul filo di un irresistibile humour, perché talvolta queste storie strappano davvero un sorriso e tengono il lettore col fiato in sospeso fino all’ultima riga, dato che spesso si chiudono con l’artificio narrativo prediletto del grande nume della fantascienza breve, Fredric Brown, ovvero il finale a sorpresa. Il bello però è che queste storie incredibili sono tutte vere e si potrebbero trovare in qualunque giornale alla voce “curiosità”. Si comincia con la strana vicenda di Ruth Hana e della sua generosa eredità in… alluminio per chiudere con il coraggioso salvataggio infantile ad opera di una siamese di cui scopriremo la vera natura solo in extremis. In mezzo troveremo casi umani troppo incredibili per essere veri ma di fatto accaduti nella realtà: la rapina galeotta al Bancomat con finale ai fiori d’arancio, la detenuta che scoprì di cucinare uno struggente chili con carne, l’ultraventennale ricerca della giusta qualità di mele per replicare la torta della nonna, la leggendaria torta del… ladro e ci fermiamo per evitare di spoilerare troppo. Una miriade di storie che Zucconi ci racconta spesso sul filo di un irresistibile humour, in certi casi anche con una puntina di macabro ma sempre trattenuto. Un libro di racconti tutti assolutamente da scoprire (e il bello, va ricordato, è che sono anche tutti veri): il divertimento è assicurato, insomma.

Vittorio Zucconi, Storie da non credere, Torino, Einaudi, 2001; pp. 222

giovedì 22 dicembre 2022

UN ROMANZO PER RAGAZZI… DADIECI

Diciamo subito che Dadieci è un romanzo per ragazzi che coniuga sport, formazione e buoni sentimenti. L’autrice, Saschia Masini, è fiorentina ed ha tratteggiato un’ambientazione decisamente caratteristica per la storia, che presenta personaggi ben delineati e difficili da dimenticare, oltre a un ritmo davvero pimpante che costringerà il lettore agli straordinari per arrivare ai titoli di coda. Il protagonista è un tredicenne con la passione del pallone che risponde al nome (piuttosto raro, in effetti) di Ardito: neanche a dirlo, il suo sogno è quello di sfondare nel calcio e finire su una figurina Panini ma purtroppo si trova bloccato da una perentoria punizione affibbiatagli dai genitori paleontologi dopo un brutto guaio causato alle vetrate scolastiche… Il povero Ardito dovrà astenersi da allenamenti e partite fino al ritorno dei genitori da una spedizione di ricerca nell’America Latina: l’unico modo per essere perdonato è una missione sulla carta impossibile, dato che consiste nello scrivere un tema su un nonno e meritare un “Dadieci”, la massima valutazione del Prof. Raimondo, docente di Italiano che peraltro non ha mai assegnato un voto simile nella classe di Ardito. La missione è doppiamente impossibile perché richiederebbe, per avere un minimo di speranza di riuscita, un nonno mediamente interessante, mentre l’unico che Ardito ha a disposizione, nonno Marzio, è bloccato da una vita su una carrozzina o a letto, mangia con difficoltà e blatera frasi  col contagocce e in apparenza prive di senso compiuto. Un compito ingrato, insomma, complicato anche dal fatto che il sostituto di Ardito nella squadra del Rapid Ripoli di Bagno a Ripoli, sembra capace di non far avvertire ai compagni la sua assenza. Ma il nostro eroe, spinto anche da sentimenti che non avrebbe creduto possibile provare, scoprirà che nonno Marzio nasconde dentro di sé una storia molto più complessa di quanto il nipote avrebbe mai potuto immaginare, da un’insospettabile passione calcistica a un misterioso (e fantomatico) brillante che forse non è nemmeno mai esistito. Risalendo la corrente del tempo all’incontrario va da sé che il ragazzo troverà più del previsto e forse, oltre a un tema potenzialmente “Dadieci”, anche qualcosa in grado di dare un senso alla sua vita, chissà… Il finale, quando arriva, risulta sorprendente e forse anche un po' buonista ma è anche l’unico possibile. Dadieci racconta una bella storia di formazione arricchita da un sottofondo di realismo e di valori umani, contrappuntata da un buon numero di siparietti divertenti e talvolta irresistibili: il fil rouge costante, neanche a dirlo, è il calcio, ma quello vero e sincero dei campi di provincia, non quello all’insegna dell’apparenza a tutti i costi che al giorno d’oggi regna sovrano in televisione. Assolutamente da provare e adatto a lettori di tutte le età.

Saschia Masini, Dadieci, Casal Monferrato, Piemme, 2020; pp. 287

mercoledì 21 dicembre 2022

RACCONTI DI NATALE: (QUASI) TUTTI PIÙ BUONI... E ALCUNI ANCHE PIÙ STRANI

Stando a questa godibile raccolta dell’Einaudi curata da Nico Orengo il racconto di Natale è un genere a sé almeno dalla nascita di Gesù Cristo, ovvero dal primo Natale della storia, narrato nei Vangeli sia nella versione secondo Luca che in quella secondo Matteo (entrambe peraltro presenti nella sezione d’apertura di questo volume). Il racconto di Natale fa pensare in primo luogo all’atmosfera così unica e caratteristica che prepara ogni anno l’arrivo del 25 dicembre, la ricorrenza religiosa per eccellenza, davvero ricchissima sul versante simbolico: dall’attesa della festa alla sorpresa del dono, dalla meraviglia dell’albero decorato e luminescente al profluvio di amore e buoni sentimenti, dal banchetto tutti insieme alla magia insita nella notte di Natale. Insomma, ai tipici ingredienti del Canto di Natale di Charles Dickens, per intenderci, che infatti non è incluso nella raccolta… In particolare Racconti di Natale assortisce complessivamente ben trentanove storie a tema suddivise in sei sezioni. La prima narra appunto gli inizi del genere e presenta racconti… diversamente antichi della natività, dalle versioni evangeliche sopra citate fino a quelle di Jacopo da Varazze e di Giovanni da Hildeshem. La seconda è dedicata allo spirito del Natale e rappresenta il vero cuore simbolico del libro: si comincia col delizioso Il dono dei magi del grande O. Henry per arrivare al più strepitoso racconto natalizio di sempre, ovvero Il racconto di Natale di Auggie Wren che Paul Auster scrisse per la sceneggiatura del film Smoke, diretto da Wayne Wang, e in mezzo figurano delizie meno note come Il dono di Ray Bradbury (un bell’esempio di fantascienza natalizia) e il malinconico Un Natale di Truman Capote. La terza sezione verte invece sugli spiriti di Natale: si apre con La favola di Natale di Giovannino Guareschi e si chiude con Markheim di Robert Louis Stevenson, con un Buzzati dickensiano e un inquietante E.T.A. Hoffman nel mezzo. La sezione seguente s’intitola “Bad Christmas” e presenta prospettive contrastanti al classico buonismo natalizio, come il sorprendente La stella di Arthur C. Clarke (allarmante rilettura distopica della cometa che accompagnò la venuta del Redentore) e il giallo a orologeria de L’avventura del carbonchio azzurro di Arthur Conan Doyle con protagonista Sherlock Holmes. Completamente diverso il sapore della penultima sezione (“Sad Christmas”), in cui spicca il triste ritratto del partigiano sopravvissuto de Il Natale del 1945 di Mario Rigoni Stern. “Lieto finale” è la sezione di chiusura, avviata da I figli di Babbo Natale, catastrofico ma divertente racconto tratto da Marcovaldo di Italo Calvino. Insomma, il libro ideale per una full immersion nello spirito natalizio da ogni possibile prospettiva.

AA.VV., Racconti di Natale, a cura di Nico Orengo, Torino, Einaudi, 2005; pp. 424

martedì 20 dicembre 2022

IL TRATTAMENTO RIDARELLI

Ormai è diventato un classico della narrativa per ragazzi, praticamente perfetto per tutti i ragazzi che nel libro vedono un oggetto minaccioso da scardinare pagina dopo pagina. Al contrario questo divertentissimo romanzo illustrato per ragazzi - di natura prettamente comica e dal ritmo assai pimpante - propone una vicenda tanto esile quanto ricca di suspense che costringerà chiunque vi si sia avventurato ad arrivare all'ultima pagina nel più breve tempo possibile. Il trattamento Ridarelli è uno dei titoli più noti dello scrittore irlandese Roddy Doyle - classe 1958, già autore di The Commitments  (da cui Alan Parker ha tratto l'omonimo film musicale) e Paddy Clarke ah ah ah! - e costituisce la prima parte di una saga che prosegue con Le avventure nel frattempo e Rover salva il Natale. E dunque scopriamola: ne è protagonista l’irresistibile signor Mack, un ottimo padre di famiglia che di professione fa l’assaggiatore di biscotti in una fabbrica di biscotti che produce ben 365 varietà dolciarie. Il signor Mack ogni giorno dell’anno assaggia un prodotto diverso, tranne quello in cui è costretto a ‘saggiare’ le proprietà dei cracker, che non gli piacciono granché, mentre è un accanito sostenitore del biscotto alla marmellata di fichi, senza ombra di dubbio il suo preferito. Il trattamento Ridarelli prende avvio per l’appunto nel giorno lieto in cui il protagonista ha davanti l'ottima prospettiva di dedicarsi al suo biscotto prediletto, ma qualcosa potrebbe andare storto, dato che, proprio dietro l’angolo, lo attende una montagna fumante di materia poco nobile. Sì, avete capito bene: trattasi di escrementi canini prodotti nientemeno che da Rover, il quadrupede di casa Mack. Chi li ha posti proprio sul percorso del signor Mack, vi chiederete? Sono state delle strane creature che rispondono al nome di Ridarelli, esseri bizzarri che hanno fatto della giustizia filiale una vera e propria ragione di vita: è per questo che, per punire i genitori che hanno trattato male ingiustamente i rispettivi pargoli, i Ridarelli acquistano da Rover, un vero esperto del settore, gli escrementi che porranno lungo la strada dei ‘cattivi’ genitori per punirli delle loro malefatte. Sembrerebbe poco per realizzarne un romanzo, ma il fatto è che Roddy Doyle dilata oltre misura il momento che attende l’inopportuna imbrattatura della scarpa del signor Mack e la corsa disperata contro il tempo per impedire questa ingiustizia. Il tono è ovviamente comico, come abbiamo precisato in apertura, e contrappuntato da intriganti illustrazioni dei dettagli più curiosi. Menzione di merito per la modalità decisamente originale con cui vengono presentati i vari capitoli con tanto di sottotitoli. Un libro indubbiamente divertente e dotato a suo modo di un’insostenibile suspense: seguiremo il percorso (assai dilatato nel tempo) del signor Mack e tutto quello che sta succedendo a sua insaputa per impedire l’ingiustizia che lo attende. Il tono è leggero ma al tempo stesso davvero efficace e divertirà non solo i palati più verdi ma anche quelli dei lettori adulti. Decisamente consigliato per tutti coloro che cercano un libro capace di offrire una sana distrazione ludica… 

Roddy Doyle, Il trattamento Ridarelli, Milano, Salani, 2009; pp. 108


giovedì 17 novembre 2022

STARGIRL: L'ADOLESCENZA, L'AMORE... E JERRY SPINELLI

S’intitola semplicemente Stargirl ed è uno dei romanzi per ragazzi più apprezzati di un vero maestro del genere, lo scrittore americano Jerry Spinelli, classe 1941, autore anche di Crash, La schiappa e Misha corre. Si tratta propriamente di un romanzo di formazione raccontato dalla prospettiva di Leo Borlock, un ragazzo di Mica, Arizona, che ha una strana passione per le cravatte con i porcospini: è lui che ci racconta la storia in prima persona ed è lui che, quasi senza accorgersene, s’innamora a prima vista di Stargirl Caraway. Tra l’altro non sarebbe nemmeno scontato, perché Stargirl, che ha questo strano nome perché ha deciso di farsi chiamare così, è una tipa non particolarmente attraente ma decisamente strana, tanto da risultare un’eccentrica al cubo in una località tranquilla ma tremendamente conformista come Mica, Arizona, dove tutti i ragazzi si vestono allo stesso modo, parlano degli stessi argomenti, pensano nella stessa identica maniera. Stargirl invece è tutto meno che convenzionale e scontata: si veste con un abbigliamento tra il vintage e l’improbabile, gira per la scuola con un ukulele sulle spalle, come animaletto domestico ha un piccolo roditore (un topolino, insomma) e lo nasconde nello zaino che, neanche a dirlo, è completamente diverso da tutti gli altri zaini dei ragazzi locali. Inoltre Stargirl ben presto inizia una routine curiosa quanto famigerata alla mensa scolastica del suo liceo: dopo aver pranzato, infatti, prende a girovagare per i tavoli fino a trovare uno studente che compie gli anni quel giorno e, immancabilmente, si mette a cantargli buon compleanno accompagnandosi con l’ukulele. In breve la ragazza col suo comportamento istrionico e sopra le righe contagia la scuola in positivo, catturando l’attenzione dei suoi coetanei e, in certo senso, risvegliandoli dal conformistico torpore in cui vegetavano. Lo comprende ben presto anche Leo Borlock, che fa il regista per il programma televisivo “Sedie roventi” insieme al suo amico Kevin (che lo presenta): i due individuano in Stargirl una ‘vittima’ perfetta per mandare alle stelle l’audience del loro show. Da qui in poi le cose sono destinate a complicarsi quando sboccia qualcosa di tenero tra Leo e Stargirl: per una circostanza imprevedibile infatti i ragazzi locali, che prima l’avevano adottata, iniziano a prendere le distanze rispetto all’eccentrica ragazza e di conseguenza anche Leo comincia a sentirsi isolato. Che succederà? Lo scopriremo ovviamente in un pirotecnico finale dove Stargirl lascerà senza fiato una scuola intera alla festa danzante di fine anno, prima di uscire di scena per sempre come un cavaliere solitario… Una gran bella storia, insomma, capace di sviscerare in profondità le relazioni tra adolescenti e il contrasto che nasce quando una personalità emerge dalla massa come una gemma luccicante in mezzo a un mucchio di pietre opache delle stesso colore. Lo sviluppo conclusivo della storia raccontata in Stargirl sviscera la difficoltà della protagonista ad ‘inquadrarsi’ nel resto del gruppo per amore di Leo, che mal sopporta le conseguenze che l’isolamento sociale della ragazza potrebbe portare anche nella sua vita, e nonostante il fatto che Stargirl sia destinata a rimanere indelebilmente impressa nel suo cuore. Il romanzo è già stato efficacemente traslato sul grande schermo ed ha innescato anche l’immancabile sequel, intitolato Per sempre Stargirl. Per un salutare tuffo nell'adolescenza di un personaggio davvero difficile da dimenticare.

Jerry Spinelli, Stargirl, Milano, Mondadori, 2004; pp. 170 

DODICI RACCONTI RAMINGHI: GARANTISCE GABO...

Si tratta di una raccolta di racconti dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez (1927-2014), premio Nobel per la Letteratura 1982, già autore di Cent’anni di solitudine, Cronaca di una morte annunciata e L’amore ai tempi del colera. Giornalista e sceneggiatore, il grande Gabo ha sempre avuto una predilezione per la narrativa breve e questi Dodici racconti raminghi ne sono la testimonianza perfetta: come spiega nell’introduzione alla raccolta, i soggetti di questi dodici racconti hanno avuto una gestazione ultradecennale, hanno rischiato di finire perduti, sono stati faticosamente ricostruiti, finalmente sono sbocciati in racconti, sottoposti ad una spietata revisione che ne ha lasciati in piedi soltanto dodici, e decisamente raminghi, considerando l’accidentata odissea che hanno dovuto attraversare prima di diventare un libro. Gli elementi comuni ai dodici racconti superstiti sono quelli che ci si potrebbe attendere da García Márquez: molti rientrano a buon diritto nel realismo magico che ha fatto la fortuna dello scrittore originario di Aracataca, vari mostrano una spiccata prospettiva autobiografica (essendo nati nel corso delle molteplici residenze che Gabo ha cambiato per il mondo) e sono narrati in prima persona, parecchi vedono protagonisti personaggi che riescono a risultare indimenticabili nella manciata di pagine necessarie a raccontare una storia. Si comincia con il malinconico ritratto di un presidente latinoamericano in esilio di Buon viaggio, signor presidente e si conclude con la lancinante e tristissima luna di miele del conclusivo La traccia del tuo sangue nella neve. Nel mezzo ai due estremi l’autore ci presenta molteplici e diversissimi ritratti, alcuni immaginati, altri ricostruiti minuziosamente: dal suo viaggio contemplativo in quota al fianco di una bellissima compagna di viaggio tra le braccia di Morfeo ne L’aereo della bella addormentata al fatto di cronaca raccontato dopo un anomalo incidente automobilistico che ha visto vittima una signora che di professione sognava il futuro in Mi offro per sognare, dall’allucinante destino di una donna internata per caso in un improbabile manicomio nel racconto “Sono venuta solo per telefonare” all’atipico horror a sorpresa in un castello aretino con fantasma di Spaventi di agosto. Assolutamente da provare.

Gabriel García Márquez, Dodici racconti raminghi, Milano, Mondadori, 1994; pp. 203

giovedì 3 novembre 2022

SUPER SIZE ME: IL LIBRO

All’indomani dell’uscita nei cinema del suo fortunato documentario Super Size Me, premiato nella relativa categoria al Sundance Festival del 2004,  il regista americano Morgan Spurlock, classe 1970, pubblicò anche Non mangiate questo libro, che approfondisce e documenta il notevole lavoro di ricerca che poi è finito soltanto parzialmente nel film. Lo stile del libro è in perfetto accordo con quello del documentario: l’autore ha scritto un saggio assolutamente coinvolgente e divertente da leggere, davvero in linea con il brio registico che caratterizza Super Size, che ha una struttura diaristica di base – un pazzesco ed estremo esperimento alimentare a cui lo stesso regista si sottopone per trenta giorni mangiando solo cibi della catena McDonald’s a colazione, pranzo e cena per registrarne gli effetti sull’organismo umano sotto il controllo di un’équipe medica – in cui alle classiche interviste e sequenze narrative s’intarsiano parti animate e brani rock che rendono il documentario molto accattivante da vedere. Non mangiate questo libro prende avvio sfruttando il divieto del titolo per arrivare a riflettere sul concetto di ‘etichetta d’avvertenza’, nata negli Stati Uniti per difendere dalle cause legali dei clienti danneggiati tutte le aziende produttrici: Spurlock ribadisce infatti che il suo libro è solo per uso esterno, o al limite potrebbe essere considerato cibo per la mente… Tutto è cambiato quando, dopo decenni di pubblicità (peraltro ingannevole) finanziata dalle multinazionali del tabacco che hanno spinto soprattutto i giovani ad iniziare a fumare precocemente mostrando il vizio del fumo come una tendenza cool, a fine anni Novanta hanno preso avvio le prime cause risarcitorie collettive (o class-actions che dir si voglia) contro i principali produttori di sigarette da parte di alcuni stati per arginare le crescenti spese sanitarie per i danni causati dal fumo (che hanno iniziato a comparire sui pacchetti di sigarette). Secondo Spurlock sarebbe un atteggiamento emblematico del modello consumistico americano attuato anche da altre tipologie di industrie, come quelle automobilistiche o quelle alimentari, che hanno speso miliardi di dollari per convincere gli americani di aver bisogno di macchine per andare ovunque e di sempre più cibo, senza peraltro ottenere mai la felicità, perché consumare porta soltanto a consumare ancora di più. Lo spunto per Super Size Me – titolo mutuato dal menu XL venduto all’epoca da McDonald’s e poi soppresso dopo il successo del film – è nato appunto dalla causa intentata alla catena della grande M da due fedelissime clienti adolescenti gravemente obese: il giudice non si pronunciò però a loro favore adducendo la motivazione che si sarebbe dovuto dimostrare che la loro obesità sarebbe stata causata da una dieta esclusivamente di prodotti venduti da McDonald’s. L’esperimento estremo di Spurlock nasce da qui, per registrare i danni provocati sul suo organismo da trenta giorni di bagordi alimentari a base di Big Mac, patatine fritte, Coca Cola e affini. Risultato: undici chili e mezzo (soprattutto di massa grassa) in più e valori del sangue completamente sballati. La dipendenza da fast food è un problema difficile da risolvere anche perché i ragazzi americani fanno poca attività fisica e mangiano male (di solito, almeno) anche nelle mense scolastiche: da adulti questo modello sballato spesso degenera nell’obesità e in altre patologie. Catene di ristoranti come McDonald’s, Burger King e Taco Bell amplificano il problema per la qualità discutibile dei prodotti e per l’efficacissima pubblicità capace di catturare l’attenzione dei clienti fin da piccoli (basti pensare agli irresistibili gadget degli Happy Meal per bambini). Che fare dunque? Secondo Morgan Spurlock siamo ciò che mangiamo e, se mangiamo pessimo cibo, non avremo una buona salute. Dovremo dunque impegnarci ad essere genitori modello anche in ambito alimentare con le nuove generazioni, attenderci che anche gli insegnanti facciano lo stesso e… votare con le nostre forchette, puntando sui politici che sostengono un modello di alimentazione corretta ed equilibrata. Non mangiate questo libro è un saggio corposo ma agile che sviscera in profondità il modello alimentare dei fast food e dintorni, indicandoci la via da seguire per evitare la dipendenza dal cibo spazzatura: un pugno allo stomaco (ricco d’ironia) contro l’industria del cibo.

Morgan Spurlock, Non mangiate questo libro, Roma, Fandango Libri, 2005; pp. 341

mercoledì 2 novembre 2022

ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE: RITA LEVI MONTALCINI SI RACCONTA…

La scienziata torinese Rita Levi Montalcini (1909-2012) salì agli onori della cronaca internazionale  grazie alla scoperta del Nerve Growth Factor (NGF), ovvero in virtù degli studi che le consentirono di vincere il premio Nobel per la Medicina nel 1986. L’Elogio dell’imperfezione è la sua autobiografia, che la Montalcini pubblicò giusto l’anno successivo. In questo libro l’autrice racconta le tappe più significative della sua vita e il suo approccio alla ricerca scientifica, tratteggiato come un cammino esistenziale in cui è necessario riconoscere i propri errori, imparare a conviverci e magari superarli trovando una soluzione per arrivare all’obiettivo finale. In tal senso il cammino di un ricercatore onesto e determinato spesso è destinato all’imperfezione, a cui quindi Rita Levi Montalcini intende rivolgere un elogio col suo libro. Si tratta di un’autobiografia convenzionale, comunque, quindi l’autrice parte affrescando la sua città d’origine, la Torino d’inizio Novecento, racconta la sua famiglia, i suoi interessi e ovviamente il momento topico in cui, in seguito alla malattia di una persona vicina alla famiglia, prese la decisione di studiare medicina nonostante avesse frequentato il liceo femminile, che non consentiva di proseguire gli studi universitari: così, dopo aver superato l’opposizione del padre, affettuoso ma autoritario, Rita Levi Montalcini insieme a un’amica prese la decisione di prepararsi autonomamente per superare l’esame di ammissione all’università. Poi, pagina dopo pagina, Elogio dell’imperfezione ci porta lungo le varie fermate esistenziali dell’autrice: gli studi universitari, la morte del padre, le difficoltà causate dalle leggi razziali, il trasferimento negli Stati Uniti, a Saint Louis, il ritorno in Italia anni dopo per ricongiungersi con la famiglia. Il libro si conclude con una sorta di lettera rivolta a Primo Levi per il messaggio che lo scrittore aveva consegnato ai suoi lettori ritrovando la luce dell’Ulisse dantesco nell’inferno di Auschwitz. È davvero un bel viaggio autobiografico, insomma, quello raccontato nell’Elogio dell’imperfezione: con la sua prosa essenziale ed elegante al contempo Rita Levi Montalcini ricorda le sue scelte, gli studi, la sua famiglia, i luoghi della sua vita, la ricerca scientifica. Assolutamente da leggere.

Rita Levi Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Milano, Garzanti, 1988; pp. 232

mercoledì 19 ottobre 2022

STEVENSON, UNA MAPPA E... QUINDICI UOMINI SULLA CASSA DEL MORTO!

Nonostante L’isola del tesoro sia stato spesso apparentato alla narrativa per ragazzi tout court, il romanzo di Robert Louis Stevenson (1858-94) regge da vero classico qual è alla prova del tempo grazie agli ottimi ingredienti miscelati nell’impeccabile ricetta letteraria: un protagonista sveglio ed adolescente come Jim Hawkins, un ambiguo villain del calibro di Long John Silver, una vera goletta settecentesca come la Hispaniola, un pugno di vecchi bucanieri, un'autentica mappa del demoniaco capitano Flint, una misteriosa isola del tesoro da trovare (e magari dove perdersi). Dal futuro autore de Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde un grande classico che, parafrasando Calvino, non finisce mai di dire quel che ha da dire, intrigante per lettori di tutte le età, fruibile a svariati livelli ma, dato che Stevenson lo dedicò al figliastro Lloyd Osbourne nel 1882, vale indicarne il taglio pedagogico: una caccia al tesoro che equivale, per il giovane protagonista, ad un itinerario d’ingresso nella maturità, alla scoperta della spietatezza che domina incontrastata i rapporti umani nel mondo, spesso regolati da un’etica di marca economica. Eppure è con gioia e trepidazione che il giovane Hawkins parte alla volta del tesoro nascosto in un’isola dei mari del Sud “su una goletta, con un nostromo che avrebbe suonato il fischietto, e marinai dal codino incatramato che avrebbero cantato: sul mare, verso un’isola sconosciuta, alla ricerca di tesori nascosti!”. L’isola del tesoro prende avvio quando Jim trova nel baule di Billy Bones, vecchio lupo di mare morto ammazzato nella sua locanda, l’Admiral Benbow, una mappa per una fantomatica isola del tesoro e la consegna al dottor Livesey ed all’aristocratico Trelawney, che in breve organizzano la spedizione di ricerca. Il richiamo dell’oro di John Flint, pirata d’inaudita ferocia, dividerà immediatamente l’equipaggio approdato alla malsana isola tropicale: da una parte Jim, Trelawney, Livesey, il capitano Smollett e pochi altri buoni, dall’altra il resto della ciurma, un tempo agli ordini di Flint in persona, capeggiati dal suadente Long John Silver che, nonostante abbia una gamba di legno, si rivelerà il più furbo e spietato di tutti. Alla fine, con non poche difficoltà e grazie all’aiuto dello strano Ben Gunn (ex bucaniere abbandonato nell’isola tre anni prima), i buoni avranno la meglio, ma Jim Hawkins resterà turbato per sempre dal tributo di sangue gravante sullo straordinario tesoro. Indicato dai nove anni in poi, come suggeriscono i curatori dell'edizione Einaudi, che è l'età più adatta per perdersi in questa straordinaria avventura di crescita con occhi (empatici) da adolescente, ancor più godibile in un'edizione illustrata come questa. In realtà il classico stevensoniano regge a meraviglia all'usura del tempo, dunque ne consigliamo vivamente la scoperta (o la riscoperta) anche ai lettori più maturi, anche a chi l'ha letto in tempi più verdi: una vera garanzia per tornare all'adolescenza con un biglietto di andata e ritorno... 

Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, Torino, Einaudi, 2010; pp. 330

sabato 15 ottobre 2022

LE NOVELLE RUSTICANE DI GIOVANNI VERGA

L’autore siciliano Giovanni Verga (1840-1922) pubblicò la raccolta delle Novelle rusticane nel 1883, nel punto culminante della sua produzione narrativa, tra l’uscita dei suoi capolavori romanzeschi, I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo, editi rispettivamente nel 1881 e nel 1889. Le Novelle rusticane insieme alla precedente raccolta di novelle intitolata Vita dei campi costituiscono una sorta di galleria tematica di elementi del Verismo destinati a trovare una più ampia trattazione nelle ambientazioni dei romanzi maggiori. Rispetto a Vita dei campi nelle storie raccontate nelle Novelle rusticane affiora maggiormente il pessimismo di Verga, che occulta la propria voce narrando storie di ordinaria umanità dei più bassi ceti sociali del Meridione, ambientandole spesso nel periodo dell’impresa dei Mille di Garibaldi, che negli intenti avrebbe dovuto portare un po’ di giustizia sociale ma che poi ha finito per tradire le aspettative del popolo, di cui Verga tratteggia l’amara disillusione. Le Novelle rusticane assortiscono complessivamente dodici novelle, ovvero Il ReverendoCos’è il reDon Licciu PapaIl MisteroGli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. GiuseppePane neroI galantuominiLibertàDi là dal mare. Dieci delle novelle erano inedite al momento della pubblicazione, mentre due erano state già pubblicate su riviste: La roba era infatti uscita sulla “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti” del 26 dicembre 1880 e Libertà nella “Domenica letteraria” del 12 marzo 1882. Le due novelle costituiscono senza dubbio i due vertici artistici della raccolta. Nella prima Verga dà forma e sostanza a Mazzarò, singolare esempio di contadino arricchito ed abbrutito dall’ossessione per la cosiddetta “roba”, ovvero per le ricchezze accumulate a dismisura che non sopporta di dover abbandonare, ormai essendo vecchio e destinato a morire: si tratta di un personaggio con notevoli punti in contatto col protagonista di Mastro-don Gesualdo, che vive un’arrampicata sociale culminata nella ricchezza ma che non porta felicità alla sua esistenza. La seconda novella, Libertà, è ispirata a un fatto storico avvenuto a Bronte nell’agosto del 1860, durante l’impresa dei Mille, quando i contadini si rivoltarono contro i notabili locali, contando sul fatto che le proprietà terriere dei nobili sarebbero state ridistribuite al popolo, mentre invece Garibaldi inviò sul posto il fidato Nino Bixio per punire i responsabili dei crimini commessi e ristabilire l’ordine. La novella non cita luoghi e nomi, ma il riferimento alla strage è evidente e la rivolta popolare è tratteggiata come una fiumana inarrestabile, attraverso voci corali che contrappuntano le violenze narrate a tinte forti. Questa raccolta rappresenta un viadotto ideale per entrare nel complesso mondo narrativo di Verga.

Giovanni Verga, Novelle rusticane, Napoli, Medusa, 2007; pp. 167

lunedì 10 ottobre 2022

MUSCHIO: UN'AVVENTURA A QUATTRO ZAMPE IN TEMPO DI GUERRA

L'eclettico autore di Muschio si chiama David Cirici, nato a Barcellona nel 1954, ed ha svolto un sacco di professioni nella vita: docente di lingua e letteratura, pubblicitario, sceneggiatore per la radio e per la televisione. Muschio è un folgorante racconto degli orrori della guerra visti attraverso gli occhi di un cane nero di pelo riccio che si chiama, appunto, Muschio. Essendo un cane, il nostro protagonista, che è dotato di un fiuto eccezionale con cui è solito leggere il mondo e archiviare i suoi ricordi, non è in grado di comprendere qualcosa di complesso (e, sostanzialmente, incomprensibile) come la guerra. Prima era un 'normale' cane da compagnia e amava i due bambini della famiglia che l'aveva adottato, insieme ai quali adorava giocare tutti i santi giorni, ma purtroppo a un certo punto una bomba è arrivata a distruggergli il suo mondo perfetto in un attimo. Lui  però riesce a ricordare i suoi due padroncini ancora oggi grazie ai loro odori unici ed irripetibili, oltre a quella deliziosa sensazione di solletico che accompagnava i loro momenti di gioco insieme a lui. Ogni tanto, infatti, girovagando per le rovine della città, quell'odore ricompare a sprazzi, ma per il nostro eroe a quattro zampe poi risulta sempre impossibile ritrovarne la fonte, purtroppo, anche se lui senza dubbio non smetterà di provarci. Una pagina dopo l'altra ricostruiremo la storia di Muschio e le sue infinite avventure, che lo porteranno in situazioni difficili o a contatto con persone orribili, spesso abbrutite dalla guerra: il nostro eroe troverà un variopinto gruppo di compagni di viaggio, finirà dietro le sbarre, diventerà un implacabile  guardiano di vittime, combatterà con bestie feroci e avrà a che fare con esseri umane anche più mostruosi. Il tutto sorretto dall'incrollabile speranza di riuscire un giorno a ritrovare i bambini che ha perduto e che continuano a dare un senso alla sua vita grazie all'incancellabile ricordo olfattivo che Muschio conserva di loro. Corredano questa bella storia per ragazzi, che nel 2013 ha vinto il prestigioso Premio Edebé de Literatura Infantil, le incisive illustrazioni di Federico Appel. Si tratta di un romanzo semplice ma davvero incisivo, che cattura progressivamente con l'originalità della prospettiva dal basso di un cane di buona volontà costretto a ritrovare il suo perduto posto nel mondo in tempo di guerra. Da provare.

David Cirici, Muschio, Milano, Il Castoro, 2015; pp. 117

domenica 9 ottobre 2022

IL SOGNO DEGLI ANDROIDI E IL CUPO FUTURO DI PHILIP K. DICK

Il romanzo in assoluto più noto della sterminata produzione dello scrittore americano Philip K. Dick (1928-1982) risale al 1968 e s’intitola Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ma in Italia il libro è stato pubblicato anche col titolo Il cacciatore di androidi e ovviamente Blade Runner, mutuando l’omonimo film di Ridley Scott del 1982 con Harrison Ford, Rutger Hauer e Sean Young, indiscusso cult movie del cinema fantascientifico. La storia è ambientata nell’oscuro scenario post-apocalittico della San Francisco del 1992, in un mondo in decadenza da cui l’umanità ha cercato di scappare emigrando nelle colonie extramondo. Sulla Terra le specie animali sono praticamente tutte estinte e quindi in molti cercano di acquistare copie di animali prodotte in laboratorio o i meno pregiati simulacri robotici, esattamente come la pecora elettrica (peraltro mal funzionante) del protagonista della storia, Rick Deckard, di professione cacciatore di taglie di androidi sfuggiti al controllo degli umani e dunque da ‘ritirare’ ovvero da eliminare. Il buon Deckard vive con la moglie Iran e si sente frustrato per non essere riuscito ancora ad acquistare un animale domestico vivente: anche per questo, oltre che per sfuggire alla noia, accetta di concludere un incarico lasciato a metà dall’anziano cacciatore di taglie Dave Holden, rimasto ferito dopo aver ucciso due degli otto androidi modello Nexus 6 fuggiti dalla colonia extramondo di Marte. Subito Deckard con la sua aeromobile si reca a Seattle ai laboratori della Rosen Industries, dove sono stati prodotti gli androidi fuggitivi: qui incontra Rachael Rosen, nipote di Eldon Rosen, il proprietario dell’azienda, e, dopo averla sottoposta al test Voight-Kampff, scopre che la donna è una replicante. Successivamente Deckard finisce sulle tracce di una cantante lirica androide ma, mentre sta cercando di sottoporla al test per avere conferma della sua natura,  lei chiama la polizia:  il protagonista si ritrova così in una centrale che sembra essere un covo di replicanti e riesce ad uscirne solo grazie all’aiuto di un collega. Nel frattempo gli androidi Nexus 6 superstiti si rifugiano nel palazzo dove vive lo “speciale” Isidore, un uomo solitario dal basso quoziente intellettivo (forse a causa delle piogge radiattive): è qui che cercheranno di organizzarsi in vista dell’immancabile resa dei conti con il cacciatore di androidi. Romanzo distopico per eccellenza, Blade Runner tratteggia il cupo quadro di un drammatico futuro incombente su un’umanità capace di creare copie replicanti di se stessa e della vita animale ormai scomparsa dal pianeta Terra ma che i superstiti avvertono come un imprescindibile status symbol esistenziale. È un futuro oscuro, opprimente e senza speranza quello immaginato da Philip K. Dick: nelle case di tutti ci sono dispositivi che regolano l’umore – quasi a figurare una necessità di serenità interiore almeno illusoria –, gli onnipresenti programmi televisivi contrappuntano la narrazione ed è arduo talvolta riconoscere gli androidi, creature senzienti ma prive di empatia, dagli umani più spietati. Insomma, Deckard cacciando i replicanti scruta nel torbido e intravede schegge di se stesso, finendo per dubitare delle sue capacità e presagendo l’impossibilità di continuare la sua professione. Dal libro di Dick il grande Ridley Scott ha ottenuto un film che riesce ad immaginare con profondo impatto visivo l’ambientazione del romanzo (spostata nella Los Angeles del 2019), pur stravolgendone la storia: Deckard diventa un futuribile detective solitario che Chandler avrebbe apprezzato, Rachael viene riletta come una replicante di nuova generazione che ignora la propria natura, i replicanti in fuga sono androidi che stanno per esaurire il loro tempo di vita e cercano disperatamente di prolungare la loro esistenza a tempo determinato. Tutto per arrivare al clou drammatico del sorprendente confronto finale tra il protagonista e l’unico antagonista ancora vivo ma condannato comunque a sparire come lacrime nella pioggia…

Philip K. Dick, Blade Runner, Roma, Fanucci, 1996; pp. 254

OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...