martedì 4 maggio 2021

GLI AMORI DIFFICILI

La raccolta narrativa intitolata Gli amori difficili è composta nel complesso da quindici racconti scritti da Italo Calvino tra il 1949 e il 1967, alcuni pubblicati nell’omonima sezione del volume antologico I racconti del 1958 e poi raggruppati dall’Einaudi nella prima edizione del 1970. La raccolta si divide in due parti: la prima dà il titolo al libro e assortisce tredici storie (solitamente abbastanza brevi), mentre la seconda s’intitola La vita difficile ed è costituita soltanto da due racconti più lunghi, ovvero La formica argentina e La nuvola di smog. Tutti i racconti della prima parte presentano nel titolo sempre la dicitura “L’avventura di...” seguita dall’identità (sempre generica) del protagonista o dei protagonisti: questi racconti, peraltro, erano stati tradotti nel 1964 in un’edizione francese intitolata appunto Aventures. L’aspetto curioso della faccenda è però che il termine “avventura”: a ben guardare, infatti, appare abbastanza ironico, dato che queste storie, che in ossequio al titolo dovrebbero essere avventure sentimentali, molto spesso parlano invece di evoluzioni interiori e di viaggi silenziosi, magari di relazioni difficili in cui spesso il silenzio è d’aiuto o di coppie che addirittura, paradossalmente, non s’incontrano praticamente mai. È proprio questo il soggetto del breve racconto che costituisce uno dei punti più felici di tutto il libro, ambientato negli anni del boom economico italiano in una tipica città industriale del Nord Italia: si tratta  del decimo racconto della prima parte, intitolato L’avventura di due sposi, che narra la deliziosa storia d’amore di due sposi che lavorano entrambi nella stessa fabbrica, ma purtroppo in turni diversi, lei di giorno e lui di notte; i due coniugi s’intravedono la mattina quando lui rientra in bicicletta a casa e lei si sta svegliando per andare al lavoro in tram, a fine giornata poi la stessa scena si ripete a ruoli invertiti, anche se i due sposi separati dal lavoro si amano comunque e ricercano entrambi il tepore del compagno nel suo lato del letto. Assolutamente da provare.

Italo Calvino, Gli amori difficili, Milano, Mondadori, 1993; pp. 263

SETTE MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE

Che struggente meraviglia è Sette minuti dopo la mezzanotte! In effetti sembra poco professionale iniziare con un’esclamazione la recensione di un libro, però, a guardar bene, sembra ammissibile considerando che si tratta di un romanzo splendido e lancinante scritto dal talentuoso Patrick Ness su un soggetto elaborato dalla compianta Siobhan Dowd, uccisa dal cancro prima di poter tratteggiarne compiutamente la storia, che poi è stata illustrata con i disegni di Jim Kay, incisivi, chiaroscurali, inquietanti e talvolta perfino terrificanti. Il romanzo racconta un’ordinaria tragedia come tante di quelle che capitano ai giorni nostri: c’è un ragazzino che si chiama Conor O’Malley e vive solo con la madre, perché il padre ha divorziato e si è fatto una nuova famiglia in America. A parte la situazione familiare non felicissima (ma comunque ormai tristemente diffusa nella società di oggi), Conor soffre perché la madre da qualche tempo è oppressa da una tremenda malattia che, almeno stando ai sintomi, sembra a tutti gli effetti un tumore, purtroppo di quelli incurabili. Conor vive malissimo questa situazione difficile, non a caso tutte le notti, stranamente alla stessa ora, alle 12.07, sette minuti dopo mezzanotte, è solito risvegliarsi a causa di un terribile incubo che non riesce nemmeno a raccontare a se stesso, tanto è orripilante e indicibile. Poi una notte arriva lui a bussare (letteralmente) alla casa del ragazzo: un mostro, una sorta di gigantesco tasso millenario che si è alzato e ha iniziato a camminare verso Conor. Questo mostro enorme ed oscuro pare proprio un antico albero di tasso, un agglomerato di foglie e rami intrecciati in infiniti nodi, e afferma di avere tre storie da raccontare a Conor, è proprio per lui che si è alzato e ha iniziato a camminare come poche altre volte nel passato è accaduto. Questo orribile, enorme tasso racconterà al ragazzo le sue tre storie, poi sarà Conor a raccontargli la quarta, la sua storia: e sarà la verità. Da siffatto antefatto, inquietante e intrigante al tempo stesso, Sette minuti dopo la mezzanotte continua tra voli narrativi inauditi e metafore indecifrabili per arrivare esattamente (necessariamente) dove sentivamo che ci avrebbe portato insieme al giovane protagonista, al culmine liberatorio del suo dolore inenarrabile. Prima però Patrick Ness riuscirà a farci entrare nei suoi panni, invisibili a quasi tutto il resto del mondo, che non sa come ci si sente e quindi pietosamente pare guardare da un’altra parte. Un devastante romanzo di formazione che racconta in modalità struggenti e fantastiche la scoperta del dolore e l’ineluttabilità del male da parte di un adolescente: uno straordinario ed inquietante viaggio nell’intimità di un ragazzo sperduto, ancor più impressionante grazie agli strepitosi disegni di Jim Kay. C’è davvero magia in queste pagine, e chi è passato attraverso un dolore in famiglia avrà l’impressione che l’autore sappia esattamente di cosa sta parlando. Imperdibile. 

Patrick Ness, Sette minuti dopo la mezzanotte, Milano, Mondadori, 2012; pp. 229

mercoledì 28 aprile 2021

L'ONDA: IL NAZISMO È ANCORA QUI

La storia al centro di questo romanzo di Todd Strasser s'ispira a una sorta di esperimento sociale (e didattico) realmente "proposto" da un docente di storia, Ron Jones, ai suoi studenti della Cubberley High School di Palo Alto, in California, nella prima settimana di aprile del 1967. Il libro, che rielabora questo strano laboratorio didattico in chiave romanzesca, uscì nel 1981 e da allora è diventato un testo di narrativa di riferimento a livello scolastico in Germania, dove nel 2009 è stato prodotto l'omonimo film di Dennis Gansel, ispirato alla stessa esperienza, che ha fatto molto discutere ed ha riscosso un notevole successo in patria. La storia al centro del romanzo di Todd Strasser è ambientata in una scuola superiore americana, la Gordon High School, e vede protagonista il professor Ben Ross che incontra non poche difficoltà a far capire ai suoi studenti, che stanno studiando il secondo conflitto mondiale, l'ascesa al potere di Hitler in Germania, uno degli stati storicamente più civili del vecchio continente. Per risultare più incisivo, Ross decide così di fare un curioso esperimento sociale, partendo da poche, semplici regole disciplinari: un atteggiamento generalmente più composto e rispettoso, risposte concise (e rigorosamente in piedi), l'uso di un saluto di riconoscimento del movimento, che viene denominato appunto l'Onda. L'istituzione di un gruppo codificato in cui riconoscersi paradossalmente contagia nuovi studenti, e in breve la situazione sfugge di mano al docente: i suoi studenti iniziano a discriminare chi non si riconosce nel loro movimento, arrivando a compiere atti di bullismo e di violenza - addirittura uno di loro si offre di proteggere Ross come guardia del corpo -. L'incauto professore dovrà dunque trovare un modo per mettere fine all'esperimento svelando ai suoi studenti cosa sono diventati quasi senza accorgersene. Nel complesso Il segno dell'onda si presenta come un romanzo di grande presa, nonostante sia caratterizzato da uno stile essenziale e privo di fronzoli. L'incipit ci porta all'interno di una normale classe dei giorni nostri alle prese col più classico dei problemi: la mancanza di interesse causata dall'assenza di coinvolgimento diretto, difficoltà che il docente protagonista cerca di superare inventandosi una didattica laboratoriale fin troppo efficace e contagiosa. Via via che la storia procede, s'intuiscono i primi segnali inquietanti, ma anche progressi troppo evidenti per mollare tutto all'improvviso, così il protagonista lascerà procedere l'esperimento finché non sarà costretto a fare la cosa giusta cercando di impedire il peggio. Assolutamente da provare. 

Todd Strasser, Il segno dell'onda, Milano, Archimede, 2008; pp. 159 


giovedì 8 aprile 2021

IL PIANISTA: LA STORIA DI WLADYSLAV SZPILMAN

Questo libro autobiografico di Wladyslaw Szpilman (1911-2000), uno dei pianisti polacchi più celebri della sua generazione, racconta gli anni dal 1939 al 1945, in cui, essendo di origine ebraica, in seguito all’invasione tedesca il noto musicista fu costretto a vivere con la sua famiglia l’allucinante esperienza del ghetto di Varsavia, per poi cercare di sopravvivere da solo durante un lungo periodo di clandestinità in attesa della liberazione. Il pianista racconta con implacabile realismo e dalla prospettiva delle vittime la privazione dei diritti a danno degli Ebrei polacchi applicata dagli invasori nazisti: agli Ebrei è vietato di entrare nei locali pubblici, di riunirsi nelle piazze, di camminare sui marciapiedi, di possedere più di una certa quantità di contanti, di indossare al braccio un simbolo di riconoscimento etnico. In seguito le limitazioni aumentano a dismisura quando le famiglie ebraiche sono costrette a trasferirsi nel ghetto di Varsavia, uno spazio chiuso ed ovviamente dotato di alloggi ristretti e miseri, un non-luogo dove la fame e le malattie sono i problemi più diffusi, per non parlare delle quotidiane umiliazioni inflitte dai nazisti ai malcapitati di turno, che possono essere giustiziati per minime infrazioni. La strada del protagonista si divide da quella dei suoi familiari quando arriva il momento della deportazione nei lager: all’ultimo momento una guardia ebraica lascia scappare Szpilman perché in futuro, quando la barbarie della Shoah sarà finita, il celebre pianista potrà dare il suo contributo per andare oltre. Da lì in poi Szpilman dovrà cercare di tenere duro resistendo in appartamenti chiusi, in attesa dell’arrivo dei volontari che gli portano il cibo per sopravvivere, sempre da solo e in silenzio (quindi anche senza la possibilità di suonare). Dalla sua prospettiva di clandestino il protagonista assisterà anche all’eroica rivolta del ghetto di Varsavia, destinata a finire in un nulla di fatto ma di grande impatto morale. Tutto è destinato a concludersi con la fuga finale tra le macerie del ghetto, quando la sorte gli consentirà di salvarsi mostrando il suo talento musicale all’ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld, che lo aiuterà nel periodo che prelude alla liberazione (e a cui purtroppo Szpilman non riuscì a restituire il favore). Insomma, a tutti gli effetti queste pagine raccontano, come recita il sottotitolo dell’edizione italiana, “la straordinaria storia di un sopravvissuto”, tragica e struggente da far male. Il libro fu scritto da Szpilman all’indomani dei tragici avvenimenti vissuti e pubblicato nel 1946, quindi mai più ristampato, almeno finché il figlio di Szpilman, Andrzej, ne trovò una copia e riuscì a farlo pubblicare in tedesco, con l’aggiunta di alcuni stralci del diario dell'ufficiale tedesco Wilm Hosenfeld e con una postfazione di Wolf Biermann. Il pianista è stato traslato sul grande schermo dall’omonimo film di Roman Polanski del 2002, che ha ottenuto un grande successo a livello internazionale ed è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes e con tre premi Oscar.

Wladyslav Szpilman, Il pianista, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2008; pp. 239

sabato 3 aprile 2021

MANDELA E LA PARTITA DI RUGBY CHE UNÌ IL SUDAFRICA


Propriamente Ama il tuo nemico è un libro di inchiesta che approfondisce un preciso momento della storia sudafricana recente, non a caso l’autore è il giornalista inglese John Carlin, che ha scritto per alcune delle più celebri testate a livello internazionale, compreso “The Indipendent”, di cui è stato corrispondente in Sudafrica dal 1989 al 1995. Carlin dunque ha vissuto direttamente gli anni decisivi per la nascita della nazione arcobaleno, segnati dalla scarcerazione di Nelson Mandela dopo una prigionia di ventisette anni e dalle prime elezioni a suffragio universale che lo hanno reso presidente. Mandela però era diventato il capo di una nazione ancora divisa tra una maggioranza bianca timorosa dei sentimenti di rivalsa della maggioranza nera lungamente oppressa dal regime dell’apartheid: Ama il tuo nemico è incentrato sul racconto del sogno sportivo che il presidente sudafricano cercò di sostenere in ogni modo per unire un popolo ancora lacerato dalle divisioni. Quel sogno fu innescato dai mondiali di rugby che il Sudafrica avrebbe ospitato nel 1995 dopo anni di esclusioni dalle competizioni sportive internazionali: Mandela dunque sostenne gli Springboks, la nazionale di rugby sudafricana, da sempre considerata un simbolo dell’apartheid da parte dei sudafricani neri e un grande orgoglio degli afrikaner bianchi. Nel nuovo Sudafrica gli Springboks sarebbero dovuti scomparire, e invece Mandela usò la sua grande capacità di persuasione per tutelarli, incoraggiando la squadra e il capitano Francois Pienaar a compiere un miracolo che avrebbe unito il paese, bianchi e neri, come magicamente avvenne il 24 giugno 1995, quando nello stadio di Ellis Park, a Johannesburg, il Sudafrica sconfisse la Nuova Zelanda, la nazionale dei fortissimi All Blacks, vincendo la coppa del mondo dopo una finale al cardiopalma, come in ogni favola sportiva a lieto fine che si rispetti. Ama il tuo nemico è il racconto del lungo cammino che portò Nelson Mandela fuori dalla cella dove aveva passato gran parte della sua vita adulta, un percorso decennale incorniciato tra la mattina e la sera del giorno della partita di rugby che unì una nazione in un solo popolo. Un gran bel libro, insomma, dotato di una morale irresistibile e commovente, e che offre un impeccabile ritratto di Nelson Mandela, forse la figura politica più significative della storia recente, l’uomo che uscì di prigione pronto a perdonare i nemici che l’avevano rinchiuso dietro le sbarre per ventisette anni. Da questo libro Clint Eastwood ha tratto il film Invictus.

John Carlin, Ama il tuo nemico, Milano, Sperling & Kupfer, 2009; pp. 289

 

TIM SPECTER E IL CLUB DELLA PAURA

Nell’ombrosa Londra di fine Ottocento Tim Specter è indiscutibilmente il più grande cacciatore di fantasmi della sua epoca, sempre accompagnato nelle sue avventure dal suo maggiordomo Jonathan Wilfrid, fedele quanto brontolone. A dir la verità Tim Specter, più che un cacciatore di ectoplasmi, è una sorta di “liberatore” di fantasmi dalle catene che ancora li tengono legati alla nostra realtà. In particolare Il Club della Paura prende avvio da un momento di pausa che il protagonista decide di prendersi dalla caccia alla sua nemesi, il mostruoso Thaddeus Mirkola, inspiegabilmente evaso dal carcere di Newgate, per rispondere all’invito dello stravagante Club della Paura, un’associazione di curiosi personaggi che sono soliti riunirsi nello spettrale castello dei Dragonwyck per raccontarsi storie di fantasmi in una magione atta alla bisogna. Tra parentesi nel castello da qualche tempo uno spettro si aggira per davvero, ed è appunto quello del padrone di casa, misteriosamente defunto durante una cena del club e fermamente convinto di essere stato assassinato da uno degli ex compagni. Riuscirà il nostro eroe a dipanare il gomitolo della complessa matassa? Forse, e passando per un nugolo di storie di spettri che ogni componente del Club della Paura vorrà assolutamente infliggere a lui e al suo maggiordomo in ossequio alla tradizione. Le cose sono destinate a complicarsi quando Tim Specter tramite un sogno riuscirà ad intravedere un modo per assicurare Mirakola alla giustizia, anche perché una vittima del suo tremendo avversario è la sua amata moglie Elizabeth. George Bloom (pseudonimo letterario dello sceneggiatore di fumetti Marco Nucci) ha inventato una saga per ragazzi che racconta situazioni di marca sovrannaturale attraverso il registro comico, con frequenti onomatopee e usando un tono spesso irresistibilmente ironico. Tra le storie nella storia da segnalare quella che fa da premessa al romanzo vero e proprio, davvero deliziosa. Arricchiscono il libro le illustrazioni di Paolo Gallina. Da provare.

George Bloom, Tim Specter. Il Club della Paura, Firenze-Milano, Giunti, 2019; pp. 231

lunedì 22 marzo 2021

QUANDO HELEN VERRÀ A PRENDERTI

Già insegnante d’arte alle medie, bibliotecaria e illustratrice di libri, Mary Downing Hahn, classe 1937, ha iniziato a scrivere relativamente tardi, a fine anni Settanta, ma poi non si è fermata più, pubblicando oltre trenta titoli di narrativa per ragazzi alternandosi tra fantasy, giallo e horror. Quando Helen verrà a prenderti appartiene all’ultima categoria ed è ormai un piccolo classico del genere, essendo uscito nel lontano 1986 – è perfino stato traslato sul grande schermo trent’anni dopo –. La storia prende le mosse dalla classica famiglia complessa americana: Dave, vedovo con figlioletta, ha riformato una famiglia con Jean, che ha due figli adolescenti, Molly e Michael, e a suo tempo è stata abbandonata dal marito. Jean e Dave vivono a Baltimore ma hanno comprato una casa in campagna dove dedicarsi con più facilità alle loro professioni di pittrice e di ceramista. La scelta è caduta su una vecchia chiesa ristrutturata che sembra perfetta per una famiglia di cinque persone, anche se è molto isolata e quindi costringerà Molly e Michael a perdere tutte le amicizie di Baltimore. Peraltro il trasferimento avviene all’inizio dell’estate, con la conseguenza di mandare all’aria tutti i piani dei due fratelli. In aggiunta a un quadro desolante c’è anche il fatto che la sorellina aggiunta, Heather, vorrebbe che la nuova famiglia del padre andasse all’aria. Le cose peggiorano ancor più quando i tre ragazzi, perlustrando i boschi intorno alla nuova casa, finiscono in un vecchio cimitero abbandonato, decisamente spettrale: successivamente, accompagnando il vecchio custode mentre taglia le erbacce che hanno sommerso tombe e lapidi, i tre s’imbattono in una strana pietra tombale isolata dalle altre e priva di nome, soltanto con una sigla incisa. Il problema è che Heather, nei giorni successivi sostiene di avvertire la presenza del fantasma di una non meglio specificata Helen che la farà pagare ai suoi fratellastri. A quel punto, Molly e Michael non avranno altra scelta che indagare, e a volte a rimestare nel sovrannaturale capita anche di trovare esattamente quello che si sta cercando. Nel complesso ne vien fuori una ritmata ghost story con personaggi ben caratterizzati, ambientazioni davvero azzeccate (come l’immancabile rudere con segreti sepolti tra le macerie) e uno sviluppo narrativo ricco di suspense, che non perde mai un colpo e costringe il lettore a restare incollato alla storia fino all’ultima pagina. Da non perdere.

Mary Downing Hahn, Quando Helen verrà a prenderti, Milano, Mondadori, 2020; pp. 189

sabato 6 marzo 2021

BERLIN: L’INIZIO DELLA SAGA

Atto primo di Berlin, una saga distopica ad effetto... retroattivo scritta a quattro mani dal dinamico duo composto da Fabio Geda e Marco Magnone, I fuochi di Tegel è ambientato in un luogo tristemente noto del secolo scorso, trattandosi di Berlino Ovest, lo scenario di un laboratorio di ingegneria sociale a cielo aperto davvero unico nella storia del Novecento. Siamo nella primavera del 1978, quindi in teoria dovrebbe trattarsi di una storia incorniciata nello spazio urbano circondato dal muro di Berlino, se non fosse che fin dalla prima pagina il lettore avrà l’impressione di trovarsi in una città fantasma, segnata dall’incuria e quasi deserta. Il punto è che tre anni prima un virus devastante quanto misterioso ha sterminato tutti gli adulti lasciando in vita solo gli adolescenti, non per sempre però, dato che a sedici anni l’orologio biologico dei sopravvissuti li porterà immancabilmente alla morte. In tale quadro inquietante i bambini e i ragazzi sopravvissuti, rimasti abbandonati a se stessi, si sono organizzati in cinque fazioni di tipo tribale, ognuna ubicata in una zona riconoscibile della Berlino del tempo che fu, ognuna caratterizzata da un approccio diverso alla sopravvivenza e in costante rivalità con le altre: lo Zoo popolato dal gruppo più infantile e basico, i ragazzi del Reichstag (più organizzati), le ragazze dell’Havel (più contemplative), il selvaggi giovani di Tegel – l’aeroporto su cui era basato il ponte aereo che assicurava la sopravvivenza di Berlino Ovest durante la guerra fredda – e infine i più filosofici giovani di Gropiusstadt. È il rapimento del piccolo Theo, uno dei cosiddetti “Nati dalla morte” dopo la fine della civiltà, il motore narrativo del primo episodio della saga: le ragazze dell’Havel, cui il bambino è stato sottratto, chiederanno aiuto alla fazione di Gropiusstadt ed arriveranno a Tegel per esigerlo dal gruppo più violento dei sopravvissuti. Che dire? Si comincia con una cartina topografica di Berlino Ovest, ci si ritrova incollati alla storia fin da subito in uno scenario urbano postapocalittico, all’insegna del degrado, senza energia elettrica né acqua corrente, un altro mondo, insomma… ma per il lettore lo sfogliare pagine per seguire la storia è dolce in questo mare: situazioni coinvolgenti, un ritmo tambureggiante, personaggi strepitosi, come l’indimenticabile Sven, il diciannovenne con un piede già nella fossa che fa comunque la cosa giusta quando è il momento. Sul fronte stilistico risultano davvero azzeccati i vari flashbacks del passato “normale” di alcuni protagonisti che contrappuntano l’intreccio portante e amplificano la sensazione di spaesamento che caratterizza la storia, che sembra una rielaborazione distopica de Il signore delle mosche di William Golding. Assolutamente imperdibile.

Fabio Geda – Marco Magnone, Berlin. I fuochi di Tegel, Milano, Mondadori, 2015; pp. 202

 

giovedì 4 marzo 2021

LA LEGGENDA… DEL GIOVANE SHERLOCK HOLMES

Sir Arthur Conan Doyle è diventato celeberrimo con uno dei personaggi più noti della storia della letteratura, l’unico e inimitabile Sherlock Holmes, investigatore di rara sagacia, capace di decifrare indizi incomprensibili per i ‘normali’ detectives, sempre in coppia con l’inseparabile Dottor Watson. L’investigatore britannico divenne così noto con la serie di romanzi e racconti del suo autore, tanto che la il numero 221B di Baker Street, residenza ‘ufficiale’ di Holmes e Watson, costituisce ancora oggi una visita obbligata per i fedeli lettori di una saga così celebre da innescare seguiti, come ad esempio La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer, che divenne anche un film. La produzione più recente da questo punto di vista è anche la più originale: alludiamo a L’occhio del corvo dell’autore canadese Shane Peacock, sceneggiatore, giornalista e scrittori di libri di narrativa, che costituisce il primo volume di una serie dedicata alle avventure del giovane Sherlock Holmes. Preceduta da un intenso lavoro di ricerca sul mondo del più famoso detective letterario di tutti i tempi, L’occhio del corvo prende avvio in una notte primaverile del 1867, a Londra, in un vicolo buio in cui si consuma il brutale omicidio di una giovane donna, un crimine a cui assiste un solo testimone, un corvo. L’indomani scopriremo un giovane (che peraltro ha appena marinato la scuola) intento a leggere avidamente il resoconto giornalistico di questo delitto: si chiama Sherlock Holmes ed è lo svogliato rampollo di un intellettuale ebreo e di una nobildonna britannica ripudiata dalla propria famiglia proprio per tale (indesiderato) matrimonio. Si tratta di un ragazzo sorprendentemente acuto e dotato di un incredibile spirito di osservazione. Ben presto il giovane protagonista comprenderà che il colpevole su cui la polizia ha messo le mani è un semplice capro espiatorio, ma finirà per ritrovarsi egli stesso sospettato dagli inquirenti, che se lo ritrovano spesso tra i piedi nei dintorni della scena del crimine. Spinto da un’inesauribile sete di giustizia, il buon Sherlock un indizio dopo l’altro porterà avanti la sua indagine non ufficiale, fino al momento in cui avrà l’intuizione decisiva di osservare il crimine dalla prospettiva dell’unico, silenzioso testimone, ma si tratterà di una soluzione ritrovata a un prezzo davvero molto alto. Romanzo giallo per ragazzi dal meccanismo implacabile come il genere richiede, L’occhio del corvo è un inquietante enigma che si fa leggere una pagina dopo l’altra, sorretto da un delizioso gioco di rimandi con i capitoli ‘storici’ della saga holmesiana. Proprio per tale motivo lo apprezzeranno sia i lettori adulti, curiosi di scoprire l’adolescenza (mai raccontata) del loro eroe, come i ragazzi, che troveranno in questo libro l’ideale viatico per i capolavori che sir Arthur Conan Doyle ha dedicato al personaggio di Sherlock Holmes. Assolutamente da scoprire. 

Shane Peacock, L’occhio del corvo, Milano, Feltrinelli, 2011; pp. 255


mercoledì 3 marzo 2021

IL DIARIO DI ANNE FRANK

 

La storia è tragicamente nota, purtroppo, nel bene e nel male: Anne Frank ricevette un diario in regalo per il suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno del 1942, e cominciò a scriverci come qualunque ragazzina della sua età scene di ordinaria vita scolastica, infatuazioni sentimentali, libri preferiti, sogni per il futuro. Ma a un certo punto la sua famiglia, di origine ebraica e di Francoforte ma emigrata ad Amsterdam in seguito all’ascesa di Hitler in Germania, dovrà nascondersi negli uffici della ditta del padre, Otto Frank, insieme a un’altra famiglia ebraica per evitare di essere catturata e finire in un campo di concentramento. E così per due anni Anne continuerà a scrivere in cattività le pagine del suo diario, iniziando a rivolgersi a lui chiamandolo Kitty, fingendo che sia il nome di una migliore amica di cui sente la grande mancanza: giorno dopo giorno Anne ci racconta le paure e le speranze, i momenti di angoscia e le esperienze della sua piccola comunità che cerca di resistere in clausura finché non ci sarà più pericolo per loro fuori. Sono particolarmente struggenti le pagine in cui Anne parla del suo desiderio di diventare da grande una scrittrice o una giornalista, criticando le sue composizioni in modo lucidamente implacabile per quanto consapevole di essere dotata di talento . All’inizio del 1944 Anne aveva sentito alla radio il ministro dell’educazione in esilio affermare che tutte le sofferenze vissute dal popolo olandese durante l’occupazione nazista un giorno avrebbero dovuto essere raccolte e pubblicate: così aveva iniziato a ricopiare le lettere della prima stesura del diario correggendole, tagliando le parti meno interessanti, integrando quelle che le parevano meno sviluppate. Il Diario s’interrompe con l’ultima annotazione del 1° agosto 1944: poco dopo i Frank furono catturati dalla Gestapo e deportati nei campi di concentramento nazisti, Anne e la sorella Margot morirono entrambe di tifo a Bergen-Belsen pochi giorni prima della liberazione, come la madre Edith, mentre il padre Otto fu l’unico superstite della Shoah: tornò ad Amsterdam, pubblicò il Diario della figlia minore nel 1947, che divenne in breve un classico della narrativa per ragazzi e del genere autobiografico. L’edizione Einaudi, con prefazione di Eraldo Affinati e con uno scritto di Natalia Ginzburg, propone anche una ricostruzione degli ultimi anni di vita di Anne e della sorella Margot. Si tratta dell’edizione definitiva approvata dall’Anne Frank Fonds. Assolutamente da leggere.

Anne Frank, Diario, Torino, Einaudi, 2014; pp. 359

martedì 2 marzo 2021

FUORI REGISTRO: STARNONE DOCET...

Domenico Starnone, classe 1943, è un insegnante di Lettere delle superiori che ha fatto centro fin dal romanzo d'esordio, Ex cattedra, un libro che raccontava un anno di scuola in un istituto tecnico e che è poi diventato il soggetto del film La scuola di Daniele Luchetti, ovvero la pellicola apripista delle commedie di ambientazione scolastica. I quattordici racconti di Fuori registro approfondiscono le mille idiosincrasie del professore protagonista di Ex cattedra e per certi versi ne costituiscono l'ideale appendice narrativa. L'evidente filo rosso di questi racconti è ovviamente la scuola vista dalla prospettiva dell'autore nonché voce narrante del libro, un docente rimasto intrappolato fin dalla verde età di sei anni nella scuola, dove è entrato alunno per non uscirne più... Quasi naturale in tale situazione ritrovarsi talvolta stralunati insieme a lui, che inseguendo un pensiero si mette a fischiare in classe e finisce per regredire alle esperienze poetiche che la maestra Magliaro soleva infliggergli alle elementari, oppure vivere sulla sua pelle  l'incubo ad occhi aperti di ogni insegnante che finisce in un'aula vuota (dove saranno finiti i suoi alunni, cui peraltro doveva spiegare?), o ancora relazionarsi con studenti che vogliono cambiare sempre il proprio nome, e infine avere a che fare di continuo con studenti dimenticati che tornano ad intermittenza tra i meandri della memoria. Non mancano neppure gli sprazzi di vita scolastica che ogni docente vorrebbe evitare come le riunioni e, soprattutto, i verbali, che toccano sempre all'insegnante di Lettere per una regola non detta (verbali però che sono fatti di parole con cui si può addomesticare la realtà). C'è anche un bel racconto come Le ore, che tratteggia uno struggente ritratto di chi imbriglia il tempo che gli insegnanti passano a scuola, compresi i cosiddetti "buchi", le ore libere tra un'ora di lezione e l'altra. La scuola la fa da padrona, con tutta la magia che questo ambiente in costante degrado, sempre alla ricerca di fondi necessari ma introvabili, ineguagliabile ricettacolo di varia umanità può offrire, magia che Starnone conosce e sa fissare sulla pagina scritta. Assolutamente consigliato.

Domenico Starnone, Fuori registro, Milano, Feltrinelli, 1992; pp. 133

mercoledì 24 febbraio 2021

ESPERIMENTO DI VERITÀ

Da sempre Paul Auster, classe 1947, si è dimostrato uno scrittore capace di cogliere le piccole cose senza importanza che, talvolta, nella vita sogliono ripetersi, cristallizzandosi in coincidenze apparentemente incredibili. Una delle opere più note del narratore newyorchese s’intitolava appunto La musica del caso, ed il suo primo romanzo, Città di vetro (contenuto ne La trilogia di New York) prendeva avvio proprio da un numero di telefono sbagliato, una strana coincidenza che si ripeteva tre volte, trasformando infine un tranquillo autore di gialli in un estemporaneo detective privato. Auster nel corso degli anni ha raccolto gli aneddoti curiosi appresi da amici e da conoscenti (oltre a quelli vissuti in prima persona), fatti forse insignificanti ma che instillano il dubbio che il senso della vita, in qualche modo, sia riposto proprio in questi indecifrabili concorsi di eventi: tutto sta nell’avere l’occhio (e la penna) allenato a coglierli. L’autore americano ha scritto la sua prima raccolta di microracconti, intitolata Il taccuino rosso, nel 1992, aggiungendone in seguito altre tre (ovvero Perché scrivere?, Denuncia di sinistro e Vuol dire niente): le ha poi riunite in questo Esperimento di verità, che per l’appunto, attraverso il fil rouge dei ventiquattro microracconti in esso contenuti, costituisce un esperimento curiosamente affine agli esperimenti canonici di fisica o di chimica. La scommessa di Paul Auster è dimostrare come paradossalmente la realtà di tutti i giorni abbia una sua logica interna ed impenetrabile, a prescindere dai nostri sforzi per razionalizzarla. Qualche esempio per dare meglio l'idea? Pensiamo ad una monetina lanciata dalla finestra che si perde per strada per essere ritrovata più tardi allo stadio (al bisogno, come per magia), o a come possa capitare che un prigioniero in un campo di concentramento ed il suo custode si ritrovino quarant’anni dopo per il matrimonio dei figli, divenendo amici inseparabili, o infine come due amici smettano di vedersi perché le rare volte che s’incontrano forano sempre le gomme dell’automobile. Sarà un caso? Difficile a dirsi, ma Paul Auster a un certo punto ci racconta anche come uno strano scherzo del destino lo abbia privato, quand'era bambino, dell'autografo del suo campione di baseball preferito, così da indurlo a spostarsi sempre con un taccuino e un lapis, per non farsi più sorprendere impreparato... e finendo di fatto per diventare uno scrittore. Nella riedizione del 2005 l'Einaudi ha rimaneggiato la raccolta con il proverbiale tocco di classe in più aggiungendo anche uno dei racconti più indimenticabili dell'autore newyorchese, apparso per la prima volta nella sceneggiatura di Smoke: si tratta di uno dei più formidabili racconti di Natale di sempre, ovvero Il racconto di Natale di Auggie Wren, ambientato ovviamente nella festa tradizionale più amata ma riletta da una prospettiva originale ed indimenticabile. Tutto questo rende questa raccolta di racconti che non arriva neanche a cento pagine un'esperienza narrativa semplicemente unica, un piccolo gioiello, insomma...

Paul Auster, Esperimento di verità, Torino, Einaudi, 2005; pp. 97

martedì 23 febbraio 2021

BREVE STORIA DEL MONDO: GOMBRICH RACCONTA...

Ernst H. Gombrich (1909-2001), critico d'arte di fama mondiale di origini viennesi, in questo libro scritto in età giovanile si cimenta nell'impresa, davvero ardua, di raccontare la storia del mondo dall'età della pietra ai giorni nostri condensandola in un volume di poco più di trecento pagine. La Breve storia del mondo nasce dichiaratamente come un libro diretto ad un pubblico appartenente all'infanzia e alla prima adolescenza, ed è dettato dalla ferma convinzione dell'autore «che si possa esprimere qualsiasi concetto con un linguaggio semplice e comprensibile anche da un bambino» - convinzione peraltro confermata dalla scrittura semplice e discorsiva usata da Gombrich anche nei suoi saggi critici -. L'autore, nei quaranta capitoli che compongono questa escursione storica ad ampio spettro dalla Preistoria ai giorni nostri, oltre a fatti e personaggi non trascura di illustrare scoperte, invenzioni, mutamenti sociali, svariando con la stessa consueta trasparenza dall'intuizione dell'alfabeto alle armi atomiche. L'afflato è intrigante e felicemente didascalico: sfogliando le pagine si ha la sensazione di sentirsi raccontare la storia da una sorta di vecchio zio che ne ha viste tante più di noi e vuole aiutarci ad entrare nelle complesse pieghe della realtà cercando di semplificarla a nostro uso e consumo. Assolutamente da provare e il consiglio è di mettere l'autore alla prova "assaporando" i periodi storici più complessi.

Ernst H. Gombrich, Breve storia del mondo, Firenze, Salani, 2006; pp. 332

ULTIMO VIENE IL CORVO

Si tratta di una raccolta di racconti del 1949 di Italo Calvino, raccolta che prende il titolo dal racconto Ultimo viene il corvo, già pubblicato sulle pagine del quotidiano "L'Unità" (dei trenta racconti solo sette erano inediti nella prima edizione). Nelle edizioni successive della raccolta la lista dei racconti è stata cambiata ma da quella del 1976 la prima è stata recuperata ed è diventata quella definitiva. Non esiste un filo rosso in grado di collegare tutti i racconti, che si possono suddividere in tre filoni: il primo è caratterizzato dall'ambientazione nel periodo della Resistenza - che Calvino visse in prima persona e che ha riversato nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, il romanzo apripista della cosiddetta narrativa di Resistenza -, il secondo vede protagonisti vari esempi picareschi di un'umanità semplice e animata da desideri basici, mentre il terzo ha un taglio più autobiografico ed è ispirato all'infanzia dell'autore in Liguria. Il raccolto ovviamente più riuscito della raccolta è quello che le presta il titolo, Ultimo viene il corvo, che ha come protagonista un ragazzino letteralmente fulminato dalla scoperta del fucile, con cui si dimostra un infallibile cecchino, capace di colpire oggetti molto distanti e perfino in movimento. Sembrerebbe una normale storia di partigiani, invece Calvino tratteggia un ragazzino che è stato affascinato dalla capacità dell'arma da fuoco di azzerare le distanze, come una sorta di magia: l'occhio vede distanti i bersagli, che l'aria separa dall'occhio, ma la pressione sul grilletto consente di dimostrare che si tratta di un'illusione, svelata appunto dal fucile. Nel simbolico finale il ragazzino protagonista costringerà dietro un masso in mezzo a una radura circondata dal bosco un soldato tedesco: si tratta di un luogo di passo per uccelli, che il ragazzino si mette ad abbattere assecondando il suo desiderio di centrare bersagli, finché in cielo apparirà un sinistro corvo che comincerà a stringersi in cerchi concentrici sempre più stretti... Da segnalare, per quanto concerne la seconda tipologia, Furto in una pasticceria (che è finito sul grande schermo sia ne I soliti ignoti di Mario Monicelli che in Palookaville), mentre per la terza è d'obbligo ricordare Un bastimento carico di granchi. Assolutamente da non perdere, come la maggior parte della produzione narrativa di Italo Calvino.

Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, Milano, Mondadori, 2016; pp. 230

venerdì 29 gennaio 2021

SE QUESTO È UN UOMO...

Il classico italiano per eccellenza della vasta letteratura relativa ai campi di sterminio nazisti attivi durante il secondo conflitto mondiale è senza alcuna ombra di dubbio Se questo è un uomo di Primo Levi (1919-1987), uscito senza clamori per la prima volta nel 1947, accolto nella collana einaudiana “Saggi” nel 1958 e da quel momento continuamente ristampato e tradotto con successo in tutto il mondo. Il libro dello scrittore torinese – autore peraltro de I sommersi e i salvati, La tregua e dell’antologia I racconti – è un romanzo autobiografico, una sorta di narrazione-testimonianza sulla drammatica realtà dei lager raccontata dalla prospettiva di una delle vittime, ovvero lo stesso Levi, uno dei pochi Ebrei che riuscirono a scampare al loro ineluttabile destino di morte. Nella presentazione l’autore torinese spiega che la genesi di Se questo è un uomo non va ricercata nell’esigenza di «formulare nuovi capi d’accusa» ai danni dei persecutori nazisti, quanto invece con la volontà di «fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano» ed in particolare per soddisfare la necessità di raccontare agli altri un’esperienza straordinaria nel suo essere estrema, feroce e brutale, dunque da ricordare per sempre ad eterno monito di cosa gli esseri umani sono stati in grado di fare, spesso consapevolmente, ai propri simili. Levi comincia a raccontarci la sua discesa agli inferi dall’inizio, spiegandoci le modalità della sua cattura e la partenza su un treno per il trasporto di bestiame con destinazione Auschwitz. Nel secondo capitolo, intitolato “Sul fondo”, l’autore ci racconta il suo approdo nell’abisso del campo di concentramento e la scoperta del micidiale meccanismo che cancellerà la sua identità e calpesterà la sua dignità di essere umano, riducendolo nel breve volgere di poche ore soltanto ad un numero: «ho imparato che io sono uno Häftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro». È soltanto mostrando il proprio numero che si ha diritto al pane ed alla zuppa che consentono di sopravvivere nell’allucinante successione di lavori forzati svolti nelle condizioni più impossibili, cercando ogni volta di restare fuori dall'immancabile selezione delle prossime vittime. Se questo è un uomo si rivela incisivo soprattutto nella ricostruzione del disumano ritmo che regolava le esistenze delle vittime predestinate dei lager: «uscire rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire». Senza nessuna speranza di uscire, cercando semplicemente di resistere il più a lungo possibile, in una galleria di varia umanità che si divide in due categorie, i sommersi ed i salvati, coloro che respirano per forza d’inerzia, ormai completamente cancellati come uomini, e coloro invece che paiono quasi emblematicamente programmati a livello genetico per arrivare al momento della liberazione, che le vittime ad un certo punto sembrano avvertire come imminente ma che sembra non giungere mai. Da segnalare la bellissima poesia che anticipa il libro (nota generalmente come Shema, termine ebraico che significa "ascolta") prescrivendo ai lettori una riflessione sul valore della memoria dell'allucinante vicenda della Shoah. Completano il volume uno scritto di Cesare Segre ed un’incisiva appendice con le risposte dell’autore alle domande ricorrenti cui si è ritrovato a rispondere nei numerosi incontri con gli studenti. Da leggere per non dimenticare… 

Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2008; pp. 213

DAVVERO... UN'OTTIMA IDEA!

L'autore di Che idea! si chiama Christian Hill ed è un ingegnere aeronautico che, dopo la laurea, ha deciso che nella vita non voleva fare ciò per cui aveva studiato ma scrivere, così si è dedicato al giornalismo divulgativo, alla scrittura, alla fotografia e ai giochi. Però gli è rimasto dentro l'amore per gli aerei, quindi ha scritto Il volo dell'asso di picche per la collana "Carta Bianca" dell'Einaudi. Allo stesso modo, essendo in lui innata la passione per la scienza e la tecnologia in lui deve essere innata, ha recentemente deciso di scrivere Che idea! Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, un libro capace di coniugare narrativa breve e invenzioni, dato che raccoglie diciotto racconti dedicati ad altrettante idee che hanno cambiato il mondo, talvolta avviando vere e proprie rivoluzioni: da oggetti entrati nella vita quotidiana come la matita, l’automobile e il forno a microonde, la televisione, il telefono o la bicicletta a materiali che hanno cambiato la civiltà per sempre (come la carta) o sono entrati talmente nell'uso da compromettere l'ambiente (la plastica) o infine a fenomenali intuizioni tecnologiche come i raggi X o il computer. Per ogni storia c'è un background umano che l'autore ricostruisce in modo semplice e coinvolgente, tratteggiando chi c'era dietro il classico urlo di giubilo di ogni inventore - "Eureka!", ovviamente - e come è successo che quell'idea così rivoluzionaria abbia preso forma nella sua mente. Si comincia ai tempi dei Romani nell'80 a.C. con l'invenzione del riscaldamento centralizzato per arrivare alla fine del secolo scorso, quando due tecnici del Cern di Ginevra inventano la scintilla alla base del World Wide Web, creando internet e rivoluzionando il mondo delle telecomunicazioni (e senza guadagnarci un centesimo, per il bene dell'umanità). Contrappuntano il libro le illustrazioni di afflato fumettistico di Giuseppe Ferrario. Da provare: ha un taglio intrigante che catturerà l'attenzione dei lettori (e dei curiosi) di ogni età.

Christian Hill, Che idea! Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, Trieste, Edizioni EL, 2016; pp. 189


lunedì 25 gennaio 2021

CORALINE, UNA FIABA DARK DI NEIL GAIMAN

 

È strano che non sia stato Tim Burton a portare sul grande schermo Coraline di Neil Gaiman, perché il romanzo per ragazzi dai risvolti fiabeschi e dark del grande scrittore e giornalista inglese, già sceneggiatore della serie The Sandman, sarebbe stato davvero perfetto per le corde del regista di Edward mani di forbice Big Fish. Gaiman, classe 1960, ha elaborato un’ambientazione ombrosa e perfetta per Coraline, a partire dall’esotico nome della piccola protagonista, nato da un fortunato errore di battitura - con il più comune Caroline, il nome con cui la chiamano molti dei personaggi del libro -. Coraline è la figlia di due scrittori professionali troppo occupati con i rispettivi computer per badare a lei ed appena approdata in una nuova casa, vecchia, cadente e pure un pochino spettrale. Durante una perlustrazione suggeritale dal padre, la ragazzina conta tredici porte che collegano (come deve essere) le stanze a corridoi o ad altri locali, ma c’è anche la quattordicesima, che non va da nessuna parte: dietro nasconde semplicemente un muro di mattoni. Dietro dovrebbe esserci un appartamento vuoto, ma un giorno Coraline oltre quella porta trova un corridoio che porta ad una casa perfettamente identica alla sua, dove vive una madre simile alla sua, ma non proprio uguale, anche perché ha due bottoni luccicanti (ed ambigui) al posto degli occhi ed un atteggiamento infinitamente più disponibile della sua vera madre. Apparentemente docile ed amorevole, l’altra madre chiede a Coraline di restare con lei in cambio della vita più meravigliosa che potrà immaginare, a patto però che acconsenta a farsi cucire due bottoni al posto degli occhi. Ben presto però l’avveduta protagonista si renderà conto d’essere finita nel bel mezzo della tela di un ragno ombroso ed innaturale, ed a quel punto ogni cosa, da bella che era, comincerà a diventare repellente e minacciosa. Coraline intuisce che dovrà togliersi d’impiccio da sola, fatta eccezione per i consigli di uno strano gatto parlante che pare transitare senza problemi di sorta tra i due mondi. Una storia ricca e di suspense ed altamente simbolica sul superamento delle paure infantili, capace di dimostrare (in ossequio all'epigrafe chestertoniana), più che i draghi esistono, che è possibile sconfiggere i draghi. Coraline è un romanzo a tinte fiabesche e al contempo horror che si legge tutto d’un fiato e talvolta mette pure i brividi con tempi narrativi implacabilmente giusti. Impreziosiscono il tutto le scarne ma incisive illustrazioni di Dave McKean. Imperdibile, ha l'unica pecca di finire troppo presto...

Neil Gaiman, Coraline, Milano, Mondadori, 2009; pp. 184


OPEN: LA STORIA DI ANDRE AGASSI

Lui è Andre Agassi da Las Vegas, classe 1970, uno dei talenti più cristallini che abbiano mai giocato su un campo di tennis, uno sportivo ch...